N. 1622/07 RG Trib.
TRIBUNALE Di MILANO
SEZIONE X PENALE
Il Tribunale, in persona
dei magistrati:
- Dott. Nicoletta Gandus Presidente
- Dott. Pietro Caccialanza
Giudice
- Dott. Loretta Dorigo Giudice
nel procedimento penale a carico di:
1) MILLS MACKENZIE Donald David n. a Oxted (GB) il 31.5. 1944
2} BERLUSCONI Silvio n. a Milano (I) il
29.9.1936
imputati del reato di cui agli artt.110, 319,
319 ter e 321 c.p., contestato come commesso in
Milano, Londra, Ginevra, Gibilterra e altrove fino al 29 febbraio 2000;
sull’eccezione di legittimità
costituzionale dell’art. l della legge 23 luglio 2008, n. 124, intitolata
“Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei
confronti delle alte cariche dello Stato”, sollevata dal P.M. all’udienza
del 27 settembre 2008 per contrasto con gli artt. 3,
112, 136 e 138 della Costituzione;
sentite la parte civile Presidenza del
Consiglio dei Ministri (che si è rimessa alle valutazioni del Tribunale) e le
difese degli imputati (che si sono opposte);
pronuncia la seguente
ORDINANZA
La rilevanza della
questione posta è di assoluta evidenza.
Infatti nel presente procedimento Silvio
Berlusconi, attuale Presidente del Consiglio dei Ministri, è imputato, come già
riportato in premessa, del reato di cui agli artt. 110, 319, 319 ter e 321 c.p. in concorso con Donald David Mills Mackenzie per fatti commessi, secondo l’ipotesi
accusatoria, in Milano, Londra, Ginevra, Gibilterra e altrove fino al 29
febbraio 2000.
La legge 23 luglio 2008
n. 124, che prevede la sospensione dei processi penali, anche per fatti
antecedenti l’assunzione della carica, nei confronti, fra gli altri, del
Presidente del Consiglio dei Ministri, comporterebbe
dunque una declaratoria di sospensione.
Non può pertanto che
esser riconosciuta la rilevanza della questione posta.
Nel caso concreto tale
rilevanza assume particolari connotati in relazione al
complesso andamento ed allo stato cui è giunto il processo, che pertanto va qui
sommariamente descritto, per le necessarie valutazioni in tema di non manifesta
infondatezza della questione, come meglio si vedrà nel prosieguo.
L’istruttoria
dibattimentale (scandita dalla effettuazione di
numerose rogatorie e dalla risoluzione di molteplici questioni ed eccezioni
sollevate dalle parti) è iniziata il 18 maggio 2007, dopo sei lunghe udienze
dedicate alla trattazione e decisione delle questioni preliminari, alle
richieste di prova ed alle conseguenti determinazioni.
In Italia si sono potuti
esaminare soltanto i testi Paolo Marcucci, Marina
Mahler, Flavio Briatore (dopo plurimi tentativi), Diego Attanasio
(appositamente qui giunto, due volte, dall’estero) e
Livio Gironi (imputato di reato connesso, che si è avvalso della facoltà di non
rispondere), oltre naturalmente ai consulenti delle parti.
Sono stati sentiti da
questo collegio in videoconferenza dalla Confederazione Elvetica i testimoni
Pierre Amman e Antonio Mattiello; in videoconferenza
da Londra il testimone Benjamin Marrache, la cui
citazione era stata inutilmente tentata per lunghi mesi anche per via rogatoriale nel Regno Unito (ove il teste non si era in
precedenza recato), a Gibilterra (ove il teste risiede ed
ove non è stata accolta la richiesta di rogatoria) ed in Spagna (ove l'Autorità
Giudiziaria non ha potuto notificare la citazione).
Per esaminare i testimoni
Heimo Quaderer, Maria De Fusco e l'imputato di reato connesso Paolo Del Bue il
Tribunale si è dovuto recare rispettivamente a Vaduz,
Berna e Lugano; per esaminare i testimoni Robert Drennan,
David Barker, Andrew Costard, Jeremy Scott, Virginia Rylatt, Sue Mullins, Nadia Ignatius e Tanya Maynard Ghazvini il Tribunale si
è dovuto recare a Londra.
Le deposizioni di Marrache, Amman, Mattiello e De Fusco sono state prontamente trasmesse a questa
autorità giudiziaria, non essendovi stata alcuna opposizione.
La difesa Berlusconi si è
invece opposta alla trasmissione della deposizione del teste Quaderer, avvenuta il 9 luglio 2007: i relativi atti sono
qui pervenuti solo il 15 luglio
Le difese si sono inoltre
opposte alla presenza in aula del collegio durante l’esame dei testi (sia del
P.M. che propri) sentiti a Londra nei giorni dal 24 al
28 settembre
Paolo Del Bue - pur
essendosi solo parzialmente avvalso della facoltà di non rispondere - non ha
acconsentito alla trasmissione del verbale del proprio interrogatorio, ad oggi non pervenuto a questo Tribunale.
All’ultima udienza del 19
luglio 2008 antecedente l’approvazione della legge n. 124/2008, è stata in parte esaminata la consulente Claudia Tavernari, indicata dalla difesa Berlusconi.
Con i limiti qui indicati
sono pertanto state acquisite tutte le prove documentali ed
orali ammesse sulla base delle richieste iniziali delle parti e di quelle
suppletive avanzate a seguito della modificazione dell'imputazione operata dal
P.M. il 14 dicembre 2007.
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Ciò detto, la trattazione
della questione di costituzionalità posta esige, preventivamente, un breve excursus storico.
Come è noto, la legge 23 luglio 2008, n.
124, è stata adottata dopo che
Stato”.
La norma abrogata dalla
Corte costituzionale, nell’individuare al primo comma le alte cariche dello
Stato nelle figure del Presidente della Repubblica, del Presidente del Senato
della Repubblica, del Presidente della Camera dei deputati, del Presidente del
Consiglio dei ministri e del Presidente della Corte costituzionale, stabiliva:
“Dalla data di entrata in vigore della
presente legge” - e cioè dal 22 giugno 2003 – “sono sospesi, nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 e salvo quanto previsto dagli articoli 90 e 96 della
Costituzione, i processi penali in corso in ogni fase, stato o grado, per
qualsiasi reato anche riguardante fatti antecedenti l'assunzione della carica o
della funzione, fino alla cessazione delle medesime”.
La Corte Costituzionale,
con la sentenza n. 24 del 2004, aveva osservato:
► che la natura e
la funzione della norma consistevano, come ogni altra ipotesi di sospensione “nel temporaneo arresto del normale svolgimento”
del processo penale e miravano “alla
soddisfazione di esigenze extraprocessuali…
eterogenee rispetto a quelle proprie del processo”;
►che il presupposto
della sospensione era dato dalla “coincidenza
delle condizioni di imputato e di titolare di una delle
cinque più alte cariche dello Stato”;
► che il bene che
la misura intendeva tutelare andava ravvisato “nell’assicurazione del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che
ineriscono a quelle cariche”. Nel testo della sentenza, tale bene veniva definito dapprima come “interesse apprezzabile, che può essere tutelato in armonia con i
principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto
la protezione è strumentale”, e
poi come espressione dei “fondamentali valori rispetto ai quali il
legislatore ha ritenuto prevalente l’esigenza di protezione della serenità
dello svolgimento delle attività connesse alle cariche in questione”;
►che proprio “considerando che l’interesse pubblico allo svolgimento delle attività
connesse alle alte cariche comporti nel contempo un
legittimo impedimento a comparire”,
il legislatore aveva voluto stabilire “una
presunzione assoluta di legittimo impedimento”.
particolare di quella penale”, fosse “generale, automatica e di
durata non determinata”.
Generale, in quanto la sospensione concerneva “i processi per imputazioni relative a tutti gli ipotizzabili reati, in qualunque epoca
commessi, che siano extrafunzionali, cioè estranei alle attività inerenti alla
carica”.
Automatica, in quanto la sospensione veniva disposta “in tutti i casi in cui la suindicata coincidenza” di imputato e titolare di un’alta carica “si verifichi, senza alcun filtro, quale che
sia l’imputazione ed in qualsiasi momento dell’iter processuale, senza
possibilità di valutazione delle peculiarità dei casi concreti”.
Di durata non determinata,
in quanto la sospensione, “predisposta com’è alla tutela delle importanti funzioni di cui si è
detto e quindi legata alla carica rivestita dall’ imputato”, subiva nella
sua durata “gli effetti della reiterabilità degli incarichi e comunque della possibilità
di investitura in altro tra i cinque indicati”.
In particolare,
Per
altro verso la norma violava gli articoli 111 e 112 della Costituzione: “All’effettività dell’esercizio della
giurisdizione”, scriveva
Per altro verso, ancora,
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La norma che ora si
sottopone al vaglio del giudice delle leggi dispone al
primo comma che “salvi i casi previsti
dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali nei confronti dei
soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente
del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e di
Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e
fino alla cessazione della carica o della funzione. La
sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti
l’assunzione della carica o della funzione”; al
secondo comma si stabilisce che “l’imputato o il suo difensore munito di
procura speciale può rinunciare in ogni momento alla sospensione”.
Restano inalterate la
previsione della sospensione dei corso della
prescrizione del reato, ex art. 159 c.p., e la disposizione concernente
l’applicabilità della norma anche ai processi penali in corso, in ogni fase,
stato o grado, come già stabilito dalla legge abrogata.
Viene invece sancito:
►che “la sospensione opera per l’intera durata
della carica o della funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova
nomina nel corso della legislatura, né si applica in caso di successiva
investitura in altra delle cariche o delle funzioni”;
►che, ove ne
ricorrano i presupposti non è impedita l'assunzione di
prove non rinviabili ai sensi degli artt. 392 e 467 c.p.p.;
►che la parte
civile può trasferire l’azione in sede civile, ed in
questo caso il termine per comparire è dimezzato e la causa ha carattere
prioritario.
Ritiene il collegio che
la nuova normativa non corrisponda ai parametri indicati dalla Corte nella
sentenza n. 24/2004 e che non siano pertanto
infondate le questioni di costituzionalità prospettate.
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Va in primo luogo
sollevata la questione in relazione all’art. 138 della
Costituzione.
La norma in esame dispone
l’automatica sospensione dei processi, qualunque sia il titolo ed il tempo del reato commesso, in favore del Presidente
della Repubblica, del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Presidenti
della Camera e del Senato, per tutta la durata del mandato conferito.
La normativa sullo status
dei titolari delle più alte istituzioni della Repubblica è in sé materia
tipicamente costituzionale, e la ragione è evidente: tutte le disposizioni che
limitano o differiscono nel tempo la loro responsabilità si pongono quali
eccezioni rispetto al principio generale dell’uguaglianza di tutti i cittadini
davanti alla legge previsto dall'articolo 3 della
Costituzione, principio fondante di uno Stato di diritto (questione che si
affronterà più specificamente nel prosieguo).
Dalla dizione letterale
della norma in esame emerge che la stessa conferisce una garanzia aggiuntiva
alle più alte cariche dello Stato; si tratta quindi di valutare se il
privilegio accordato in deroga alla generale disciplina in vigore per tutti i
cittadini sia da assimilare alle specifiche ed eccezionali garanzie previste
nella Carta costituzionale ed in leggi costituzionali
in favore degli organi primari a tutela e salvaguardia delle funzioni dai
medesimi esercitate.
Espressione di tali
garanzie sono le previsioni normative di cui agli articoli 68,
90, 96 della Costituzione, nonché 1’art. 3 della
legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e l’art. 5 della legge costituzionale
11 marzo 1953 n. 1, relative alle guarentigie proprie del Presidente e dei
giudici della Corte Costituzionale.
L’art. 68
al primo comma stabilisce l’immunità dei membri del Parlamento per le opinioni
espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Al
secondo e al terzo comma prevede uno specifico filtro, costituito dalla
necessaria autorizzazione della Camera di appartenenza, per la sottoposizione
del parlamentare a perquisizioni personali e domiciliari, ad attività di
intercettazione e a sequestro di corrispondenza, a misure restrittive della
libertà personale. Nessuna autorizzazione è invece necessaria in caso di
esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna o
di arresto in flagranza per reato per il quale sia previsto l’arresto
obbligatorio ex art. 380 c.p.p.
L’articolo 90 della Carta costituzionale stabilisce l’irresponsabilità
del Capo dello Stato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni e
prevede al secondo comma la messa in stato di accusa del medesimo da parte del
Parlamento in seduta comune per i reati di alto tradimento e di attentato alla
Costituzione.
L’articolo 96 della Costituzione prevede che il Presidente del
Consiglio ed i ministri siano sottoposti per i reati c.d
funzionali alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione di una delle
Camere “secondo le norme stabilite con
legge costituzionale”. Questo articolo, sostituito
dalla legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1, prevede per tabulas la riserva di
costituzionalità non solo quanto alle condizioni di procedibilità ma anche
quanto ai modi dell’esercizio della giurisdizione nei confronti di tali
cariche.
Assume primaria rilevanza
il fatto che la deroga alla pari efficacia della legge penale prevista dalle
norme elencate riguardi la disciplina procedimentale e sostanziale dei reati
funzionali del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio e dei
ministri, ed anche dei reati c.d
extrafunzionali dei membri del Parlamento.
Ciò significa che il
vigente sistema delle guarentigie è disciplinato esclusivamente da norme di
rango costituzionale; esso naturalmente non costituisce un sistema chiuso,
astrattamente non modificabile nel tempo; è tuttavia di immediata
evidenza che ogni eventuale modifica può essere introdotta soltanto con norme
di pari forza adottate secondo la procedura prevista dall’art. 138 della
Costituzione.
Il principio è stato
espressamente affermato dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 24
del 2004 nella parte in cui statuisce che “all’origine
della formazione dello Stato di diritto sta il
principio della parità di trattamento rispetto alla giurisdizione, il cui
esercizio, nel nostro ordinamento, sotto più profili è regolato da precetti
costituzionali”.
Deve pertanto affermarsi
che le guarentigie concesse a chi riveste cariche istituzionali risultano funzionali alla protezione delle funzioni apicali
esercitate; ognuna di esse costituisce un munus publicum, del tutto svincolato dalla
persona fisica, come tale esclusivamente inerente alla funzione esercitata. Per
tale motivo appare irragionevole la possibilità di rinuncia, oltretutto non irretrattabile, come meglio si vedrà nel prosieguo,
esaminando i profili di incostituzionalità in relazione all’art. 3 della
Costituzione.
Tanto premesso, va sottolineato che ogni intervento legislativo che modifichi e
ridefinisca le funzioni pubbliche e le speciali garanzie delle maggiori cariche
istituzionali interferisce con l'architettura ad oggi delineata dalla
Costituzione e dalle leggi costituzionali successivamente emanate; esso deve
garantire il necessario rispetto dei principi fondamentali delineati dalla
Carta costituzionale, e in primo luogo quello, irrinunciabile, dell'uguaglianza
dei cittadini di fronte alla legge; comporta il necessario bilanciamento dei
molteplici interessi tutelati e il rispetto dei rapporti di equilibrio tra i
poteri dello Stato (fra essi l'esercizio dell'attività giurisdizionale e
l'esercizio delle funzioni legislative ed esecutive apicali).
Osservano le difese che
la natura temporanea della sospensione prevista dalla legge in esame ne fa un
mero istituto processuale, che non incide né sul promovimento dell’azione
penale né sull’esercizio della giurisdizione. Come già osservato dal Tribunale
di Milano (sezione I penale, ordinanza 26 settembre 2008), però, “la categoria giuridica prescelta per il
raggiungimento dello scopo perseguito è assolutamente irrilevante ai fini che
qui interessano”, non potendosi comunque sottrarre al bilanciamento di
valori fondamentali, proprio del legislatore costituzionale. Tale
considerazione è tanto più pregnante ove si consideri che la sospensione opera per tutti i reati comuni commessi prima
dell’assunzione della carica e durante il suo esercizio e che la sua durata
potrebbe in ipotesi, come previsto dal comma
5 dell’articolo unico della legge, protrarsi per un tempo così lungo da
vanificare nella sostanza il concetto stesso di “temporaneità”.
In altri termini,
l’effetto giuridico della norma è quello di introdurre
un’esenzione dalla giurisdizione prolungata nel tempo, di fatto della stessa
natura delle immunità previste dalle norme costituzionali.
I principi enunciati
appartengono alla storia della Carta costituzionale, come si legge nei lavori dell’Assemblea
costituente.
Affermava la difesa che
anche l’art. 32 bis della legge n. 195 del 1958,
aggiunto dall’art.
È stato altresì affermato
dalle difese che sono in vigore immunità frutto di
previsioni normative attuate con leggi diverse da quelle costituzionali,
citando ad esempio quelle previste in favore degli appartenenti ai Corpi
diplomatici dei paesi esteri. Sul punto va affermata l'inconferenza
del richiamo operato, in ragione del rilievo costituzionale attribuito
dall’art. 10 della Costituzione alle norme del diritto
internazionale, anche consuetudinarie, generalmente riconosciute: la
compressione del principio di uguaglianza e del diritto alla tutela
giurisdizionale trova dunque fondamento nella natura primaria della norma di
adattamento ai Trattati internazionali cui aderisce l’Italia.
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La questione va poi
esaminata in relazione agli artt. 3, 68, 96, 111 e 112
della Costituzione
Anche per la presente
legge vale quanto già
Non v’è dubbio che la
sospensione prevista sia dalla precedente che dalla
attuale legge viene a incidere sul principio dell'uguaglianza dei cittadini
davanti alla giurisdizione penale. Non solo: mentre prevede un meccanismo
sospensivo del procedimento penale riguardante i reati extrafunzionali ascritti
alle alte cariche, la legge (ordinaria) lascia salvi i precetti
(costituzionali) degli articoli 90 e 96, così fin
dall'inizio affermando, espressamente, di voler incidere, con uno strumento
diverso, sugli stessi presupposti di cui trattano le fonti massime
dell’ordinamento, per le stesse finalità, e con la sola differenza che si
tratta di reati extrafunzionali e non di reati “commessi nell’esercizio delle funzioni”.
Ma la disuguaglianza che
così si crea è evidente: dato atto che il bene
giuridico considerato dalla legge ordinaria, e cioè il regolare svolgimento
delle funzioni apicali dello Stato, è lo stesso che
►che 1’art.68 della Costituzione non è
menzionato - diversamente dalla espressa previsione contenuta nel titolo della
legge n.140/2003 - fra le norme costituzionali fatte salve. Poiché nessuna
norma ordinaria può ovviamente prevalere su una norma di rango costituzionale,
ne discende, in astratto, nel caso in cui il soggetto che riveste la “alta carica”
sia membro del Parlamento, l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza nelle
ipotesi di cui all'art. 380 c.p.p., e 1’immediata successiva sospensione del procedimento;
► che il medesimo
bene giuridico viene tutelato con due tipologie
normative di grado diverso:
circostanza, questa, che come si è detto mina di
per sé la scala gerarchica delle fonti del diritto e quel primato della
Costituzione che costituisce il nucleo fondamentale dello Stato democratico;
► che la diversità
dello strumento adottato – l’autorizzazione del Senato della Repubblica o della
Camera dei deputati, “secondo le norme
stabilite con legge costituzionale”, per i reati funzionali dei Presidente
del Consiglio e dei ministri; la generale ed
automatica sospensione del procedimento penale per i reati extrafunzionali
ascritti al solo Presidente del Consiglio - comporta uno stridente ed
ineliminabile contrasto tra la norma in esame e l’art. 96 della Costituzione.
Ne deriva l'assoluta irragionevolezza di una norma ordinaria che, a parità di
bene tutelato, formula per i reati extrafunzionali una disciplina ordinaria
diversa da quella voluta dalla Costituzione per i reati funzionali. Ma se
l’antico brocardo, fondamento del principio di
uguaglianza, esige che “ubi eadem” sia la
“ratio”, “ibi eadem” sia la
“dispositio”,
davvero non si vede come una disposizione ordinaria diversa da quella
costituzionale possa essere introdotta quando
Se così è, non si può
fare a meno di osservare che la nuova norma non sana quei connotati di
generalità ed automatismo che, nella precedente sentenza,
il giudice delle leggi riteneva tali da violare
Ed infatti, la novella introduce bensì
la facoltà di rinunciare alla sospensione da parte dell’alta carica cui questa
è riservata, ma nulla dice rispetto a quella necessità di filtri e di
valutazione della peculiarità dei casi concreti che la stessa Corte reputava
essenziali per il meccanismo introdotto. Ancora una volta, non si può fare a
meno di considerare che mentre per i reati funzionali è
previsto il filtro dell’autorizzazione di una delle Camere, nel rispetto
di quell’equilibrio dei poteri che sta alla base di una Repubblica parlamentare
quale la nostra, per i reati non funzionali del solo Presidente del Consiglio
si prevede una generale sospensione, temperata da una facoltà di rinuncia - non
necessariamente motivata - che non lascia alcuno spazio a valutazioni degli
altri organi statali. Quella discrezionalità motivata, che viene
giustamente richiesta a chiunque eserciti un munus publicum, nel caso di specie viene
dunque meno, fino a divenire meramente potestativa; una scelta così sconfinata
risulta contraria al principio di ragionevolezza, avuta riguarda
all’universalità dei reati per i quali la sospensione è prevista, senza alcun
filtro. La previsione di demandare allo stesso soggetto che beneficia della
sospensione ogni potestà relativa al prosieguo o meno
del processo non rimedia al generalizzato automatismo stigmatizzato dalla
Corte, né al vulnus al diritto di
azione che
Non è condivisibile
l’obiezione secondo cui i reati funzionali provocherebbero maggiore allarme
rispetto a quelli extrafunzionali, in quanto commessi
dal titolare della carica o della funzione nel distorto uso del proprio potere:
oltre al fatto che possono essere portati innumerevoli esempi di delitti
extrafunzionali per i quali è prevista una pena edittale più grave di quella
stabilita per reati funzionali, non si vede perché, ove il reato extrafunzionale
fosse più lieve, dovrebbero ad esso venire connesse guarentigie e garanzie
maggiori.
Ed ancora: non meno rilevante è la
fondatezza della questione posta in riferimento al principio della
ragionevole durata del processo. Se è vero che
l'art. 111 della Costituzione mira per prima cosa alla tutela del diritto di
difesa dell’imputato ed al rispetto del diritto di
ogni persona “che la sua causa sia
esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole” (così
l'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo), non è men vero che
Per di più, una
sospensione così formulata, bloccando il processo in ogni stato e grado per un
periodo potenzialmente molto lungo, provoca un evidente spreco di attività
processuale.
Basti pensare che mentre
la norma, riferendosi agli articoli 392 e 467 c.p.p.,
consente al giudice di provvedere all’assunzione delle
prove non rinviabili, ove ne ricorrano i presupposti (con un richiamo di
difficile applicazione in concreto), nulla dice sull’utilizzabilità delle prove
già assunte, che potrebbero venire del tutto disperse qualora, al termine
dell’eventualmente lungo periodo di operatività della sospensione (di per sé
inevitabile causa dell’affievolirsi se non addirittura del venir meno delle
fonti di prova), divenisse impossibile la ricostituzione del medesimo collegio.
Ciò assume speciale
rilievo ove si tratti, come nel presente procedimento, di dibattimenti
particolarmente complessi, caratterizzati anche dall’effettuazione di plurime
rogatorie, sui cui tempi di effettuazione e sui cui sviluppi e condizioni di
utilizzabilità l’Autorità rogante non ha alcun potere di interloquire.
L’utilizzabilità delle
prove già assunte, infine, non è prevista neppure in
relazione alla facoltà della parte civile di trasferire l’azione in
diversa sede con tempi accelerati, dal che consegue per la stessa parte la
necessità di sostenere ex novo
l’onere probatorio in tutta la sua ampiezza.
P. Q M.
visti gli artt. 23 e seguenti legge 11
marzo 1953, n. 87,
dichiara
rilevante e non manifestamente infondata, con
riferimento agli artt. 3, 68, 96, 111 e 112 e 138 della Costituzione, la
questione di costituzionalità dell’art. 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124;
dispone
con diversa ordinanza la separazione
degli atti a carico di Mills Mackenzie Donald David;
dispone
l’immediata trasmissione degli atti
alla Corte Costituzionale;
sospende
ai sensi dell’art.159
c.p. il procedimento in corso a carico di Berlusconi Silvio e per l’effetto
dichiara sospeso il corso della prescrizione;
ordina
che a cura della cancelleria la presente
ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Milano, 4 ottobre 2008
Nicoletta Gandus - Presidente
Pietro Caccialanza –Giudice
Loretta Dorigo – Giudice.