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SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

9 novembre 2021(*)

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale – Direttiva 2011/95/UE – Articoli 3 e 23 – Disposizioni più favorevoli che possono essere mantenute o adottate dagli Stati membri al fine di estendere il diritto di asilo o di protezione sussidiaria ai familiari del beneficiario di protezione internazionale – Riconoscimento dello status di rifugiato di un genitore al figlio minore a titolo derivato – Mantenimento dell’unità del nucleo familiare – Interesse superiore del bambino»

Nella causa C‑91/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania), con decisione del 18 dicembre 2019, pervenuta in cancelleria il 24 febbraio 2020, nel procedimento

LW

contro

Bundesrepublik Deutschland,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, K. Jürimäe, C. Lycourgos, E. Regan, N. Jääskinen e J. Passer, presidenti di sezione, M. Ilešič (relatore), J.‑C. Bonichot, A. Kumin e N. Wahl, giudici,

avvocato generale: J. Richard de la Tour

cancelliere: D. Dittert, capo unità

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 febbraio 2021,

considerate le osservazioni presentate:

–        per LW, da F. Schleicher, Rechtsanwalt;

–        per il governo tedesco, da J. Möller e R. Kanitz, in qualità di agenti;

–        per il governo belga, da M. Jacobs e M. Van Regemorter, in qualità di agenti;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per la Commissione europea, da G. Wils e A. Azema, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 12 maggio 2021,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3 e dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra LW e la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania) in merito a una decisione del Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, Germania) (in prosieguo: l’«Ufficio») che gli negava il riconoscimento del diritto d’asilo.

 Contesto normativo

 Diritto internazionale

3        L’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol.°189, pag. 150, n. 2545 (1954)] (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»), così recita:

«Ai fini della presente Convenzione, il termine “rifugiato” è applicabile:

(...)

2.      «a chiunque (...) nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.

Se una persona possiede più cittadinanze, l’espressione “Stato di cui possiede la cittadinanza” riguarda ogni Stato di cui questa persona possiede la cittadinanza. Non sono considerate private della protezione dello Stato di cui possiedono la cittadinanza le persone che, senza motivi validi fondati su un timore giustificato, rifiutano la protezione di uno Stato di cui posseggono la cittadinanza».

 Diritto dell’Unione

4        La direttiva 2011/95 ha provveduto alla «rifusione» della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12).

5        I considerando 4, 12, 14, 16, 18, 19, 36 e 38 della direttiva 2011/95 sono così formulati:

«(4)      La convenzione di Ginevra ed il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.

(...)

(12)      Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

(...)

(14)      Gli Stati membri dovrebbero avere facoltà di stabilire o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli delle norme stabilite nella presente direttiva per i cittadini di paesi terzi o per gli apolidi che chiedono protezione internazionale a uno Stato membro, qualora tale richiesta sia intesa come basata sul fatto che la persona interessata è o un rifugiato ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione di Ginevra o una persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria.

(...)

(16)      La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito e a promuovere l’applicazione degli articoli 1, 7, 11, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 34 e 35 di detta Carta, e dovrebbe pertanto essere attuata di conseguenza.

(...)

(18)      Nell’applicare la presente direttiva gli Stati membri dovrebbero attribuire fondamentale importanza all’“interesse superiore del minore”, in linea con la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo [conclusa a New York il 20 novembre 1989 (Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol.°1577, pag. 3)]. Nel valutare l’interesse superiore del minore gli Stati membri dovrebbero tenere debitamente present[e], in particolare, il principio dell’unità del nucleo familiare (...)

(19)      È necessario ampliare la nozione di “familiari” tenendo conto (…) della speciale attenzione da prestare all’interesse superiore del minore.

(...)

(36)      I familiari, semplicemente per la loro relazione con il rifugiato, sono di norma esposti ad atti di persecuzione al punto che tale circostanza potrebbe costituire la base per beneficiare dello status di rifugiato.

(...)

(38)      Nel decidere se concedere i diritti ai benefici previsti nella presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero tenere in debito conto l’interesse superiore del minore nonché [le] situazioni particolari di dipendenza dal beneficiario di protezione internazionale di congiunti che si trovano già nello Stato membro e che non sono suoi familiari. In casi eccezionali, in cui il congiunto del beneficiario di protezione internazionale è un minore coniugato ma non accompagnato dal coniuge, è possibile ritenere che l’interesse superiore del minore sia presso la sua famiglia d’origine».

6        L’articolo 2 di tale direttiva, rubricato «Definizioni», enuncia quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

d)      “rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

(...)

j)      “familiari”: i seguenti soggetti appartenenti al nucleo familiare, già costituito nel paese di origine, del beneficiario di protezione internazionale che si trovano nel medesimo Stato membro in connessione alla domanda di protezione internazionale:

–        il coniuge del beneficiario di protezione internazionale, o il suo partner non sposato, avente con questi una relazione stabile (...),

–        i figli minori delle coppie di cui al primo trattino o del beneficiario di protezione internazionale, a condizione che siano non sposati, indipendentemente dal fatto che siano legittimi, naturali o adottivi secondo le definizioni della normativa nazionale,

–        il padre, la madre o altro adulto che sia responsabile, in base alla normativa o alla prassi dello Stato membro interessato, del beneficiario di protezione internazionale (...);

k)      “minore”: il cittadino di un paese terzo o l’apolide di età inferiore agli anni diciotto;

(...)

n)      “paese di origine”: il paese o i paesi di cui il richiedente è cittadino o, per un apolide, in cui aveva precedentemente la dimora abituale».

7        L’articolo 3 della stessa direttiva, rubricato «Disposizioni più favorevoli», dispone quanto segue:

«Gli Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni della presente direttiva».

8        L’articolo 4 della direttiva 2011/95, rubricato «Esame dei fatti e delle circostanze», prevede al paragrafo 3, lettera e), quanto segue:

«L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

(...)

e)      dell’eventualità che ci si possa ragionevolmente attendere dal richiedente un ricorso alla protezione di un altro paese di cui potrebbe dichiararsi cittadino».

9        L’articolo 12 della succitata direttiva, rubricato «Esclusione», così recita:

«1.      Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato se:

a)      rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 1D della convenzione di Ginevra, relativo alla protezione o assistenza di un organo o di un’agenzia delle Nazioni Unite diversi dall’[Agenzia] delle Nazioni Unite per i rifugiati [(UNHCR)]. Quando siffatta protezione o assistenza cessi per qualsiasi motivo, senza che la posizione di tali persone sia stata definitivamente stabilita in conformità delle pertinenti risoluzioni adottate dall’assemblea generale delle Nazioni Unite, queste persone sono ipso facto ammesse ai benefici della presente direttiva;

b)      le autorità competenti del paese nel quale ha stabilito la sua residenza gli riconoscono i diritti e gli obblighi connessi al possesso della cittadinanza del paese stesso o diritti e obblighi equivalenti.

2.      Un cittadino di un paese terzo o un apolide è escluso dallo status di rifugiato ove sussistano fondati motivi per ritenere che:

a)      abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità quali definiti dagli strumenti internazionali relativi a tali crimini;

b)      abbia commesso al di fuori del paese di accoglienza un reato grave di diritto comune prima di essere ammesso come rifugiato, ossia prima del momento in cui gli è rilasciato un permesso di soggiorno basato sul riconoscimento dello status di rifugiato, abbia commesso atti particolarmente crudeli, anche se perpetrati con un dichiarato obiettivo politico, che possono essere classificati quali reati gravi di diritto comune;

c)      si sia reso colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite quali stabiliti nel preambolo e negli articoli 1 e 2 della carta delle Nazioni Unite.

3.      Il paragrafo 2 si applica alle persone che istigano o altrimenti concorrono alla commissione dei reati o atti in esso menzionati».

10      L’articolo 23 di detta direttiva, rubricato «Mantenimento dell’unità del nucleo familiare», dispone quanto segue:

«1.      Gli Stati membri provvedono a che possa essere preservata l’unità del nucleo familiare.

2.      Gli Stati membri provvedono a che i familiari del beneficiario di protezione internazionale, che individualmente non hanno diritto a tale protezione, siano ammessi ai benefici di cui agli articoli da 24 a 35, in conformità delle procedure nazionali e nella misura in cui ciò sia compatibile con lo status giuridico personale del familiare.

3.      I paragrafi 1 e 2 non si applicano quando il familiare è o sarebbe escluso dalla protezione internazionale in base ai capi III e V.

4.      Nonostante i paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono rifiutare, ridurre o revocare i benefici ivi menzionati, per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico.

5.      Gli Stati membri possono decidere che il presente articolo si applica anche agli altri congiunti che vivevano nel nucleo familiare al momento della partenza dal paese d’origine e che in quel momento erano completamente o principalmente a carico del beneficiario di protezione internazionale».

 Diritto tedesco

11      L’articolo 3, paragrafo 1, dell’Asylgesetz (legge relativa al diritto di asilo), del 26 giugno 1992 (BGBl.°1992 I, pag. 1126), nella versione pubblicata il 2 settembre 2008 (BGBl°2008 I, pag. 1798), come applicabile al procedimento principale (in prosieguo: l’«AsylG»), così dispone:

«Un cittadino straniero si considera rifugiato ai sensi della [Convenzione di Ginevra] (...) quando:

1.      nutre il fondato timore di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale e, per tale motivo,

2.      si trova fuori dal paese (paese d’origine),

a)      di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese.

(...)».

12      L’articolo 26, paragrafo 2, dell’AsylG prevede quanto segue:

«Su richiesta, viene riconosciuto il diritto di asilo a un soggetto che, alla data della presentazione della sua domanda d’asilo, sia figlio minore non coniugato di un beneficiario del diritto di asilo, se il riconoscimento dello straniero come beneficiario del diritto di asilo è definitivo e non può più essere revocato né ritirato».

13      L’articolo 26, paragrafo 4, dell’AsylG esclude dal beneficio previsto da tale articolo, tra l’altro, le persone che rientrano in un motivo di esclusione previsto dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95.

14      L’articolo 26, paragrafo 5, dell’AsylG così dispone:

«Ai familiari, ai sensi dei paragrafi da 1 a 3, dei beneficiari di protezione internazionale si applicano per analogia i paragrafi da 1 a 4. In luogo del diritto di asilo subentra lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria (...)».

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

15      La ricorrente nel procedimento principale è nata in Germania nel 2017 da madre tunisina e padre siriano.

16      La ricorrente nel procedimento principale possiede la cittadinanza tunisina. Non è stato accertato se possegga anche la cittadinanza siriana.

17      Nell’ottobre del 2015 l’Ufficio ha riconosciuto lo status di rifugiato al padre della ricorrente. La domanda di protezione internazionale presentata dalla madre della ricorrente nel procedimento principale, che è nata in Libia e che aveva dichiarato di avervi risieduto abitualmente fino alla sua partenza da tale Stato, ha avuto esito negativo.

18      Con decisione del 15 settembre 2017, l’Ufficio ha respinto la domanda di asilo presentata a nome della ricorrente nel procedimento principale dopo la sua nascita in quanto «manifestamente infondata».

19      Con sentenza del 17 gennaio 2019, il Verwaltungsgericht Cottbus (Tribunale amministrativo di Cottbus, Germania) ha annullato tale decisione nella parte in cui aveva respinto la domanda di asilo della ricorrente nel procedimento principale in quanto «manifestamente infondata», anziché «infondata», e ha respinto il ricorso quanto al resto. Tale giudice ha ritenuto che la ricorrente nel procedimento principale non avesse diritto al riconoscimento dello status di rifugiato, poiché non aveva alcun motivo di temere persecuzioni in Tunisia, il paese o uno dei paesi di cui è cittadina. Inoltre, il suddetto giudice ha dichiarato che la ricorrente non poteva neppure far discendere, in base all’articolo 26, paragrafi 2 e 5, dell’AsylG, un diritto a titolo di protezione dei familiari dallo status di rifugiato riconosciuto a suo padre in Germania. Infatti, lo stesso giudice ha ritenuto che sarebbe stato contrario al principio di sussidiarietà della protezione internazionale estendere il beneficio della protezione internazionale a soggetti che, in quanto cittadini di uno Stato idoneo ad offrire loro protezione, sono esclusi dalla categoria delle persone bisognose di protezione.

20      La ricorrente nel procedimento principale ha proposto ricorso in cassazione («Revision») contro tale sentenza dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania).

21      Nell’ambito di tale ricorso, la ricorrente nel procedimento principale sostiene che ai figli minori di genitori di diversa nazionalità deve essere riconosciuto lo status di rifugiato a titolo di protezione dei familiari ai sensi del combinato disposto del paragrafo 2 e del paragrafo 5, prima frase, dell’articolo 26 dell’AsylG, anche nel caso in cui tale status sia stato riconosciuto soltanto ad uno dei suddetti genitori. Il principio di sussidiarietà della protezione internazionale dei rifugiati non osterebbe a tale conclusione. L’articolo 3 della direttiva 2011/95 consentirebbe a uno Stato membro, in caso di riconoscimento della protezione internazionale a un membro del nucleo familiare, di prevedere l’estensione del beneficio di tale protezione ad altri suoi familiari, purché questi ultimi non rientrino in uno dei motivi di esclusione di cui all’articolo 12 della suddetta direttiva e la loro situazione presenti, a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare, un nesso con la finalità della protezione internazionale. Nel contesto di tale normativa, si dovrebbe prestare particolare attenzione alla protezione dei minori e all’interesse del bambino.

22      Il giudice del rinvio afferma che la ricorrente nel procedimento principale non ha diritto al riconoscimento dello status di rifugiato in base ad un diritto a lei proprio. Infatti, dall’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, secondo comma, della Convenzione di Ginevra, che esprime il principio di sussidiarietà della protezione internazionale dei rifugiati, risulterebbe che le persone che posseggono due o più cittadinanze non possono ottenere lo status di rifugiato nel caso in cui possano domandare la protezione di uno degli Stati di cui sono cittadini. Nel senso suddetto occorrerebbe interpretare anche l’articolo 2, lettere d) e n), della direttiva 2011/95. Soltanto la persona che è priva di protezione, in quanto non beneficia di una protezione effettiva da parte del paese di origine, ai sensi dell’articolo 2, lettera n), di tale direttiva, sarebbe considerata rifugiata ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della medesima direttiva. Orbene, la ricorrente nel procedimento principale potrebbe beneficiare di una protezione effettiva in Tunisia, paese di cui è cittadina.

23      Cionondimeno, la ricorrente nel procedimento principale soddisferebbe i requisiti previsti dal diritto tedesco per ottenere lo status di rifugiato in quanto figlia minore non coniugata di un genitore a cui è stato riconosciuto tale status. Infatti, ai sensi del combinato disposto del paragrafo 2 e del paragrafo 5, prima e seconda frase dell’articolo 26, dell’AsylG, lo status di rifugiato dovrebbe essere concesso, a titolo derivato e ai fini della protezione dei familiari del rifugiato, anche al figlio che è nato in Germania e che, tramite l’altro genitore, possiede la cittadinanza di un paese terzo, in cui non subirebbe persecuzioni.

24      Tuttavia, il giudice del rinvio si chiede se un’interpretazione siffatta del diritto tedesco sia conforme alla direttiva 2011/95.

25      Ciò considerato, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’articolo 3 della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che osti ad una disposizione di uno Stato membro per effetto della quale al figlio minore non coniugato di una persona cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato debba essere riconosciuto lo status di rifugiato a titolo derivato (cosiddetta protezione dei familiari del rifugiato) anche qualora il figlio medesimo possieda parimenti in ogni caso, tramite l’altro genitore, la cittadinanza di un altro paese, diverso dal paese di origine del rifugiato e della cui protezione ha il diritto di avvalersi.

2)      Se l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che la restrizione secondo cui il diritto dei familiari alle prestazioni di cui agli articoli da 24 a 35 di tale direttiva dev’essere riconosciuto solo nella misura in cui sia compatibile con lo status giuridico personale del familiare osti, nelle circostanze descritte nella prima questione, al riconoscimento al figlio minore dello status di rifugiato al medesimo derivante dallo status del rifugiato riconosciuto.

3)      Se, ai fini delle risposte alla prima e alla seconda questione, rilevi la questione se sia possibile e ragionevole che il figlio minore ed i suoi genitori si stabiliscano nel paese di cittadinanza del minore medesimo e della madre – paese della cui protezione possono beneficiare, distinto dal paese di origine del rifugiato (padre) – o se sia sufficiente che l’unità del nucleo familiare possa essere mantenuta nel territorio federale sulla base delle disposizioni del diritto di soggiorno».

 Sulle questioni pregiudiziali

26      Con le sue questioni, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3 e l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 debbano essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro, in base a disposizioni nazionali più favorevoli, riconosca, a titolo derivato e ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare, lo status di rifugiato al figlio minore non coniugato di un cittadino di un paese terzo al quale tale status è stato riconosciuto ai sensi della disciplina stabilita da tale direttiva, anche nel caso in cui tale figlio sia nato nel territorio del suddetto Stato membro e possegga, tramite l’altro genitore, la cittadinanza di un altro paese terzo, nel cui territorio non rischierebbe di subire persecuzioni. In questo contesto il succitato giudice chiede inoltre se, per rispondere a tale questione, sia rilevante sapere se sia possibile e ragionevole che il figlio e i suoi genitori si stabiliscano nel territorio di quest’ultimo paese terzo.

27      In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2011/95 deve essere effettuata alla luce dell’impianto sistematico e della finalità della medesima, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE. Tale interpretazione deve altresì essere effettuata, come emerge dal considerando 16 della direttiva in questione, nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») [v., in tal senso, sentenza del 13 gennaio 2021, Bundesrepublik Deutschland (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese), C‑507/19, EU:C:2021:3, punto 39].

28      Per rispondere alle questioni sollevate, in primo luogo occorre precisare che un figlio, che si trovi in una situazione come quella menzionata al punto 26 della presente sentenza, non ha diritto ad ottenere lo status di rifugiato su base individuale ai sensi della disciplina prevista dalla direttiva 2011/95.

29      A questo proposito, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95, il «rifugiato», in particolare, è il «cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese».

30      Da tale definizione risulta che lo status di rifugiato richiede che siano soddisfatti due requisiti, che sono intrinsecamente connessi e riguardano, da un lato, il timore di essere perseguitato e dall’altro, l’assenza di protezione contro atti di persecuzione da parte del paese terzo di cui l’interessato ha la cittadinanza (v., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2021, Secretary of State for the Home Department, C‑255/19, EU:C:2021:36, punto 56).

31      La suddetta definizione riprende, in sostanza, quella contenuta nell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra. Orbene, quest’ultima precisa che, «[s]e una persona possiede più cittadinanze, l’espressione “Stato di cui possiede la cittadinanza” riguarda ogni Stato di cui questa persona possiede la cittadinanza» e che «[n]on sono considerate private della protezione dello Stato di cui possiedono la cittadinanza le persone che, senza motivi validi fondati su un timore giustificato, rifiutano la protezione di uno Stato di cui posseggono la cittadinanza».

32      Sebbene tale precisazione, che costituisce un’espressione del principio di sussidiarietà della protezione internazionale, non sia espressamente inserita nella direttiva 2011/95, tuttavia dall’articolo 2, lettera n), di quest’ultima risulta che ciascuno dei paesi, di cui un richiedente abbia eventualmente la cittadinanza, deve essere considerato come il suo «paese d’origine» ai sensi di tale direttiva.

33      Da una lettura combinata delle lettere d) e n) dell’articolo 2 della direttiva 2011/95 discende che un richiedente provvisto della cittadinanza di più paesi terzi deve essere considerato privo della protezione solo se non può o, per timore di essere perseguitato, non vuole avvalersi della protezione di nessuno di tali paesi. D’altronde, tale lettura è confermata dall’articolo 4, paragrafo 3, lettera e), della stessa direttiva, ai sensi del quale tra gli elementi di cui si prevede la valutazione nell’esame di una domanda di protezione internazionale su base individuale figura l’eventualità che ci si possa ragionevolmente attendere che il richiedente si avvalga della protezione di un altro Stato, di cui potrebbe rivendicare la cittadinanza.

34      Orbene, il giudice del rinvio rileva che la ricorrente nel procedimento principale potrebbe beneficiare di una protezione effettiva in Tunisia, paese terzo di cui ha la cittadinanza tramite la madre. A questo proposito, tale giudice sottolinea che nulla fa pensare che la Repubblica tunisina non sia disposta o non sia in grado di offrire alla ricorrente nel procedimento principale la protezione necessaria contro le persecuzioni e contro il respingimento verso la Siria, paese d’origine del padre della ricorrente, al quale le autorità tedesche hanno riconosciuto lo status di rifugiato, o verso un altro paese terzo.

35      In questo contesto, è necessario ricordare che, secondo la disciplina prevista dalla direttiva 2011/95, una domanda di protezione internazionale non può essere accolta, su base individuale, per il solo motivo che un familiare del richiedente nutre un timore fondato di persecuzione o corre un rischio effettivo di danni gravi, nel caso in cui sia accertato che, nonostante il suo legame con tale familiare e la particolare vulnerabilità che generalmente ne deriva, come sottolineato nel considerando 36 della suddetta direttiva, il richiedente non è anch’egli esposto a minacce di persecuzione o di danno grave (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C 652/16, EU:C:2018:801, punto 50).

36      In secondo luogo, si deve rilevare che la direttiva 2011/95 non prevede l’estensione, a titolo derivato, dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria ai familiari di una persona che gode di tale status, i quali non hanno individualmente diritto al riconoscimento di detto status. Infatti, dall’articolo 23 di tale direttiva deriva che quest’ultima si limita a imporre agli Stati membri di adattare il loro diritto nazionale in modo tale che siffatti familiari, in conformità ai procedimenti nazionali e nei limiti in cui ciò sia compatibile con lo status giuridico personale dei suddetti familiari, possano aver diritto a taluni vantaggi, che comprendono in particolare il rilascio di un titolo di soggiorno, l’accesso al lavoro o all’istruzione e che hanno ad oggetto il mantenimento dell’unità del nucleo familiare (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 68).

37      Inoltre, da una lettura combinata dell’articolo 2, lettera j), della direttiva 2011/95, che definisce la nozione di «familiari» ai fini di tale direttiva, e dell’articolo 23, paragrafo 2 di quest’ultima, risulta che l’obbligo degli Stati membri di prevedere l’accesso ai suddetti vantaggi non si estende ai figli del beneficiario di protezione internazionale nati nello Stato membro ospitante da un nucleo familiare ivi costituito.

38      In terzo luogo, per stabilire se uno Stato membro possa nondimeno riconoscere, a titolo derivato e ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare, lo status di rifugiato a un figlio che si trovi in una situazione come quella oggetto del procedimento principale, si deve ricordare che l’articolo 3 della direttiva 2011/95 consente agli Stati membri di introdurre o mantenere in vigore «disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni della [suddetta] direttiva».

39      La Corte ha constatato che da tale testo, letto in combinato disposto con il considerando 14 della direttiva 2011/95, risulta che le disposizioni più favorevoli contemplate all’articolo 3 di tale direttiva possono, in particolare, consistere in un’attenuazione delle condizioni previste per il riconoscimento a un cittadino di un paese terzo o un apolide dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 70).

40      Per quanto riguarda la precisazione contenuta in detto articolo 3, secondo cui una disposizione più favorevole deve essere compatibile con la direttiva 2011/95, la Corte ha dichiarato che essa significa che tale disposizione non deve compromettere l’economia generale o gli obiettivi di detta direttiva. Sono, in particolare, vietate, norme dirette a riconoscere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria a cittadini di paesi terzi o apolidi che si trovino in situazioni prive di qualsiasi nesso con la logica della protezione internazionale (sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

41      Orbene, il riconoscimento automatico, in forza del diritto nazionale, dello status di rifugiato a familiari di una persona alla quale tale status è stato conferito in forza del sistema istituito dalla direttiva 2011/95, non è, a priori, privo di qualsiasi nesso con la logica della protezione internazionale (sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 72).

42      Infatti, da un lato, sottolineando nell’atto finale della Conferenza dei plenipotenziari della Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degli apolidi, del 25 luglio 1951, la quale ha elaborato il testo della Convenzione di Ginevra, che «l’unità della famiglia (…) è un diritto essenziale del rifugiato» e raccomandando agli Stati firmatari di «disporre i provvedimenti necessari per la protezione della famiglia del rifugiato e, in particolare, per (...) [g]arantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare del rifugiato» i redattori della Convenzione hanno stabilito un legame stretto tra siffatti provvedimenti e la logica della protezione internazionale. L’esistenza di questo legame è stata altresì confermata in numerose occasioni dagli organi dell’UNHCR.

43      Dall’altro lato, la direttiva 2011/95 riconosce anch’essa l’esistenza di tale legame prevedendo, in termini generali, all’articolo 23, paragrafo 1, l’obbligo per gli Stati membri di provvedere al mantenimento dell’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale.

44      Pertanto si deve constatare che l’estensione automatica, a titolo derivato, dello status di rifugiato al figlio minore di una persona, alla quale è stato riconosciuto tale status, indipendentemente dal fatto che tale figlio abbia o meno individualmente diritto al riconoscimento del suddetto status e anche nel caso in cui lo stesso figlio sia nato nello Stato membro ospitante, prevista dalla disposizione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, la quale, come afferma il giudice del rinvio, persegue l’obiettivo di proteggere il nucleo familiare dei beneficiari di protezione internazionale e di mantenerne l’unità, è connessa alla logica della protezione internazionale.

45      Tuttavia, è necessario notare che possono esserci situazioni in cui una siffatta estensione automatica, a titolo derivato e ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare, dello status di rifugiato al figlio minore di una persona, a cui è stato concesso tale status, non sarebbe, malgrado l’esistenza di tale legame, conforme alla direttiva 2011/95.

46      Infatti, da un lato, in considerazione dello scopo delle cause di esclusione previste dalla direttiva 2011/95, che è quello di preservare la credibilità del sistema di protezione da essa istituito, nel rispetto della Convenzione di Ginevra, la riserva che compare all’articolo 3 di tale direttiva osta a che uno Stato membro adotti o mantenga in vigore disposizioni che concedono lo status di rifugiato previsto da quest’ultima ad una persona che ne è esclusa a norma dell’articolo 12, paragrafo 2, di detta direttiva (sentenza del 9 novembre 2010, B e D, C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punto 115).

47      Orbene, come sottolinea il giudice del rinvio, l’articolo 26, paragrafo 4, dell’AsylG esclude persone siffatte dal beneficio dell’estensione dello status di rifugiato derivante dall’applicazione del combinato disposto dei paragrafi 2 e 5 dell’articolo 26.

48      Dall’altro lato, dall’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 risulta che il legislatore dell’Unione ha inteso escludere l’estensione dei vantaggi accordati al beneficiario della protezione internazionale a un familiare di tale beneficiario quando ciò sia incompatibile con lo status giuridico personale del familiare interessato.

49      Dalla genesi di tale disposizione e dalla portata della riserva da essa prevista discende che quest’ultima si applica anche nell’ipotesi in cui uno Stato membro decida di non limitarsi all’estensione dei vantaggi, ma intenda adottare, ai sensi dell’articolo 3 di tale direttiva, norme più favorevoli, in forza delle quali lo status riconosciuto al beneficiario di protezione internazionale sia automaticamente esteso ai suoi familiari, indipendentemente dal fatto che essi abbiano o meno individualmente diritto al riconoscimento di tale status.

50      Infatti, è necessario notare che la riserva attualmente contenuta nell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 era stata proposta dal Parlamento europeo nel corso del procedimento legislativo che ha portato all’adozione della direttiva 2004/83, della quale la direttiva 2011/95 costituisce la «rifusione» e il cui articolo 23 corrisponde ampiamente allo stesso articolo della direttiva anzidetta. Tale proposta faceva riferimento alla proposta della Commissione delle Comunità europee, che prevedeva l’obbligo per gli Stati membri di provvedere «a che i familiari al seguito siano ammessi a godere del medesimo status del richiedente la protezione internazionale». Pur proponendo l’estensione di tale obbligo al fine di includere i familiari che raggiungono successivamente i richiedenti, il Parlamento aveva ritenuto opportuno introdurre tale riserva per tener conto del fatto che i familiari «possono possedere uno status giuridico diverso [da quello del richiedente], che può non essere compatibile con quello della protezione internazionale» [v. la relazione del Parlamento europeo, dell’8 ottobre 2002, sulla proposta di direttiva del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione, COM(2001)510, A°5-0333/2002 definitivo, emendamento 22 (GU 2002, C 51°E, pag. 325)].

51      Alla fine il legislatore dell’Unione non ha adottato l’obbligo suddetto. Tuttavia, ha mantenuto la riserva di compatibilità e si è limitato a richiedere, all’articolo 23, paragrafi 1 e 2, delle direttive 2004/83 e 2011/95, che gli Stati membri provvedano a che possa essere preservata l’unità del nucleo familiare e a che i familiari del beneficiario di protezione internazionale, che individualmente non hanno diritto a tale protezione, siano ammessi a taluni benefici, in conformità delle procedure nazionali.

52      Dalla genesi dell’articolo 23 risulta quindi che uno Stato membro che, nell’esercizio della facoltà prevista dall’articolo 3 delle suddette direttive, intenda introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli, in forza delle quali lo status riconosciuto a un siffatto beneficiario è automaticamente esteso ai suoi familiari, indipendentemente dal fatto che essi abbiano o meno individualmente diritto al riconoscimento di tale status, deve, nell’applicazione di tali norme, garantire il rispetto della riserva di cui all’articolo 23, paragrafo 2.

53      Per quanto riguarda la portata di tale riserva, essa deve essere determinata alla luce della finalità dell’articolo 23 della direttiva 2011/95 di garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare dei beneficiari di protezione internazionale e del contesto specifico in cui si inserisce una riserva siffatta.

54      A questo proposito, si deve ritenere che sarebbe incompatibile, in particolare, con lo status giuridico personale del figlio del beneficiario di protezione internazionale che, individualmente, non ha diritto ad ottenere tale protezione, estendergli i benefici di cui all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 o lo status riconosciuto al suddetto beneficiario, qualora tale figlio abbia la cittadinanza dello Stato membro ospitante o un’altra cittadinanza che, tenuto conto di tutti gli elementi che caratterizzano il suo status giuridico personale, gli dia diritto ad un trattamento migliore in tale Stato membro rispetto a quello risultante da un’estensione siffatta.

55      Questa interpretazione della riserva contenuta nell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 tiene pienamente conto dell’interesse superiore del bambino, alla luce del quale tale disposizione deve essere interpretata e applicata. Il considerando 16 della suddetta direttiva sottolinea espressamente che essa rispetta i diritti fondamentali sanciti nella Carta e che mira a promuovere l’applicazione, in particolare, del diritto al rispetto della vita familiare, garantito dall’articolo 7 della Carta, e i diritti del bambino, riconosciuti dall’articolo 24 della Carta, tra i quali figura, al paragrafo 2 di quest’ultima disposizione, l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del bambino [v., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2021, Bundesrepublik Deutschland (Familiare), C‑768/19, EU:C:2021:709, punti da 36 a 38].

56      Tale interpretazione corrisponde inoltre a quella proposta dall’UNHCR, i cui documenti godono di una pertinenza particolare, considerato il ruolo affidatogli dalla Convenzione di Ginevra (sentenza del 23 maggio 2019, Bilali, C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 57).

57      Nelle sue note a commento della direttiva 2004/83 relative all’articolo 23, paragrafi 1 e 2, della stessa, «[l’UNHCR] ritiene che ai membri dello stesso nucleo familiare debba essere riconosciuto lo stesso status del richiedente principale (status derivato)» e rileva quanto segue: «[I]l principio dell’unità del nucleo familiare deriva dall’atto finale della Conferenza del 1951 dei plenipotenziari delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degli apolidi, nonché dalla legislazione in materia di diritti umani. La maggior parte degli Stati membri [dell’Unione europea] prevede uno status derivato per i familiari dei rifugiati. Anche l’esperienza [dell’UNHCR] mostra che questo è generalmente il modo più pratico di procedere. Esistono, tuttavia, situazioni in cui il principio dello status derivato non deve essere applicato, vale a dire allorché i familiari intendono chiedere asilo su base individuale oppure quando il riconoscimento dello status derivato sarebbe incompatibile con il loro status personale, ad esempio perché sono cittadini del paese ospitante o perché la loro cittadinanza dà loro diritto a un trattamento migliore».

58      Orbene, fatte salve le verifiche che dovrà effettuare il giudice del rinvio, non risulta che la ricorrente nel procedimento principale abbia diritto, a motivo della sua cittadinanza tunisina o di un altro elemento che caratterizza il suo status giuridico personale, a un trattamento migliore in Germania rispetto a quello risultante dall’estensione, a titolo derivato, dello status di rifugiato riconosciuto a suo padre, prevista dalla disposizione di cui trattasi nel procedimento principale.

59      Infine, si deve constatare che la conformità alla direttiva 2011/95, e in particolare alla riserva di cui al suo articolo 23, paragrafo 2, di una disposizione nazionale più favorevole, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, o della sua applicazione a una situazione come quella della ricorrente nel procedimento principale, non dipende dalla questione se sia possibile e ragionevole un reinsediamento in Tunisia per lei e i suoi genitori.

60      Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 93 delle sue conclusioni, la ragion d’essere dell’articolo 23 di tale direttiva è quella di permettere al beneficiario di protezione internazionale di godere dei diritti a lui conferiti da tale protezione mantenendo nel contempo l’unità del nucleo familiare nel territorio dello Stato membro ospitante. L’esistenza di una possibilità per la famiglia della ricorrente nel procedimento principale di reinsediarsi in Tunisia non può, di conseguenza, giustificare che la riserva contenuta nel paragrafo 2 di tale disposizione sia intesa come preclusiva del riconoscimento dello status di rifugiato alla ricorrente, poiché una tale interpretazione implicherebbe che suo padre rinunci al diritto d’asilo conferitogli in Germania.

61      Inoltre, in tali circostanze, l’applicazione di una normativa che consente di riconoscere lo status di rifugiato ai familiari di una persona che gode di tale status, ancorché esista una siffatta possibilità di reinsediamento di tale nucleo familiare in un paese terzo, non è tale da rimettere in discussione la constatazione effettuata al punto 41 della presente sentenza, secondo la quale una siffatta normativa non è priva di qualsiasi nesso con la logica della protezione internazionale.

62      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 3 e l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 devono essere interpretati nel senso che non ostano a che uno Stato membro, in base a disposizioni nazionali più favorevoli, riconosca, a titolo derivato e ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare, lo status di rifugiato al figlio minore di un cittadino di un paese terzo al quale tale status è stato riconosciuto ai sensi della disciplina stabilita dalla succitata direttiva, anche nel caso in cui detto figlio sia nato nel territorio di detto Stato membro e possegga, tramite l’altro genitore, la cittadinanza di un altro paese terzo nel quale non sarebbe esposto al rischio di persecuzioni, purché al suddetto figlio non sia applicabile un motivo di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, della succitata direttiva e questi non abbia diritto, a motivo della sua cittadinanza o di altri elementi che caratterizzano il suo status giuridico personale, in detto Stato membro a un trattamento migliore rispetto a quello derivante dal riconoscimento dello status di rifugiato. Non è rilevante a questo proposito se sia possibile e ragionevolmente accettabile per tale minore e i suoi genitori stabilirsi nell’ anzidetto altro paese terzo.

 Sulle spese

63      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

L’articolo 3 e l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, devono essere interpretati nel senso che non ostano a che uno Stato membro, in base a disposizioni nazionali più favorevoli, riconosca, a titolo derivato e ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare, lo status di rifugiato al figlio minore di un cittadino di un paese terzo al quale tale status è stato riconosciuto ai sensi della disciplina stabilita dalla succitata direttiva, anche nel caso in cui detto figlio sia nato nel territorio di detto Stato membro e possegga, tramite l’altro genitore, la cittadinanza di un altro paese terzo nel quale non sarebbe esposto al rischio di persecuzioni, purché al suddetto figlio non sia applicabile un motivo di esclusione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, della succitata direttiva e questi non abbia diritto, a motivo della sua cittadinanza o di altri elementi che caratterizzano il suo status giuridico personale, in detto Stato membro a un trattamento migliore rispetto a quello derivante dal riconoscimento dello status di rifugiato. Non è rilevante a questo proposito se sia possibile e ragionevolmente accettabile per tale minore e i suoi genitori stabilirsi nell’anzidetto altro paese terzo.

Firme


*      Lingua processuale: il tedesco.