SENTENZA DELLA CORTE (Grande
Sezione)
17
dicembre 2020 (*)
Indice
Contesto
normativo
Diritto dell ’Unione
Direttiva
2008/115
Direttiva
2013/32
Direttiva
2013/33
Diritto
ungherese
Legge
sul diritto di asilo
Legge
sulle frontiere dello Stato
Codice
di procedura giurisdizionale amministrativa
Decreto
governativo 301/2007
Procedimento
precontenzioso
Sul
ricorso
Osservazioni
preliminari
Sulla
prima censura, relativa all ’accesso alla procedura
di protezione internazionale
Argomenti
delle parti
Giudizio
della Corte
Sulla
seconda e sulla terza censura, relative al trattenimento dei richiedenti
protezione internazionale
Argomenti
delle parti
– Sulla
seconda censura
– Sulla
terza censura
Giudizio
della Corte
–
Sull’esistenza di un trattenimento nelle zone di transito di Röszke e di Tompa
– Sulla
compatibilità del trattenimento nelle zone di transito di Röszke
e di Tompa con gli obblighi previsti dalle direttive
2013/32 e 2013/33
–
Sull’articolo 72 TFUE
Sulla
quarta censura, relativa all ’allontanamento dei
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare
Argomenti
delle parti
Giudizio
della Corte
Sulla
quinta censura, relativa al diritto di rimanere nel territorio dello Stato
membro interessato
Argomenti
delle parti
Giudizio
della Corte
– Sulla
prima parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 5, della
direttiva 2013/32
– Sulla
seconda parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 6,
della direttiva 2013/32
– Sulla
terza parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 6,
lettere a) e b), della direttiva 2013/32
Sulle
spese
«Inadempimento
di uno Stato – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politiche
relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione –
Direttive 2008/115/CE, 2013/32/UE e 2013/33/UE – Procedura di
riconoscimento di una protezione internazionale – Accesso effettivo –
Procedura di frontiera – Garanzie procedurali – Soggiorno
obbligatorio in zone di transito – Trattenimento – Rimpatrio di
cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Ricorsi proposti
contro le decisioni amministrative che respingono la domanda di protezione
internazionale – Diritto di rimanere nel territorio»
Nella
causa C‑808/18,
avente
ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE,
proposto il 21 dicembre 2018,
Commissione
europea, rappresentata
da M. Condou-Durande, A. Tokár e J. Tomkin, in
qualità di agenti,
ricorrente,
contro
Ungheria, rappresentata da M.Z. Fehér e M.M. Tátrai, in
qualità di agenti,
convenuta,
LA CORTE
(Grande Sezione),
composta
da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev,
E. Regan, M. Ilešič e N. Wahl,
presidenti di sezione, E. Juhász, D. Šváby, S. Rodin, F. Biltgen,
K. Jürimäe, C. Lycourgos
(relatore), P.G. Xuereb e I. Jarukaitis, giudici,
avvocato
generale: P. Pikamäe
cancelliere:
R. Șereș, amministratrice
vista la
fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 10 febbraio 2020,
sentite
le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 25 giugno
2020,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con
il suo ricorso, la Commissione europea chiede alla Corte di dichiarare che
l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli
articoli 3 e 6, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e dell’articolo
46, paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU
2013, L 180, pag. 60, e rettifica in GU 2020, L 423,
pag. 68), dell’articolo 2, lettera h), e degli articoli 8, 9 e 11 della
direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno
2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione
internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96), nonché dell’articolo 5, dell’articolo
6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1,
della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri
al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU
2008, L 348, pag. 98), in combinato disposto con gli articoli 6, 18 e
47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la
«Carta»):
– prescrivendo
che la domanda di asilo debba essere introdotta personalmente dinanzi
all’autorità competente, ed esclusivamente nelle zone di transito, ad entrare
nelle quali essa autorizza solo un piccolo numero di persone;
– applicando
una procedura particolare a titolo di regola generale, durante la quale non
sono assicurate le garanzie previste dalla direttiva 2013/32;
– disponendo
che occorra applicare a tutti i richiedenti asilo, ad eccezione dei minori non
accompagnati di età inferiore a 14 anni, una procedura da cui consegue il loro
trattenimento, per l’intera durata della procedura di asilo, nelle strutture
delle zone di transito, che possono lasciare soltanto qualora si dirigano verso
la Serbia, e non corredando tale trattenimento delle garanzie previste dalla
direttiva 2013/33;
– riconducendo
dall’altro versante della barriera di frontiera i cittadini di paesi terzi il
cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare senza rispettare le
procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1,
all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva
2008/115;
– omettendo
di recepire nel proprio diritto nazionale l’articolo 46, paragrafo 5, della
direttiva 2013/32 e adottando disposizioni che derogano alla regola generale
dell’effetto sospensivo automatico del ricorso dei richiedenti protezione
internazionale in situazioni non rientranti nell’articolo 46, paragrafo 6,
della medesima direttiva.
Contesto
normativo
Diritto
dell’Unione
Direttiva
2008/115
2 L’articolo
2 della direttiva 2008/115 dispone quanto segue:
«1. La
presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel
territorio di uno Stato membro è irregolare.
2. Gli
Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai
cittadini di paesi terzi:
a) sottoposti a
respingimento alla frontiera conformemente all’articolo 13 del [regolamento
(CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo
2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di
attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere
Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1)] ovvero fermati o scoperti dalle
competenti autorità in occasione dell’attraversamento irregolare via terra,
mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno
successivamente ottenuto un’autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale
Stato membro;
(…)».
3 Ai
sensi dell’articolo 3 della direttiva succitata:
«Ai fini
della presente direttiva, si intende per:
(…)
2. “soggiorno
irregolare” la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di
un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di
cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso,
di soggiorno o di residenza in tale Stato membro;
(…)».
4 L’articolo
5 di detta direttiva così dispone:
«Nell’applicazione
della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:
a) l’interesse
superiore del bambino;
b) la
vita familiare;
c) le
condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;
e
rispettano il principio di non-refoulement».
5 L’articolo
6, paragrafi 1 e 2, della stessa direttiva prevede quanto segue:
«1. Gli
Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque
cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare,
fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5.
2. Un
cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro
è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di
un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da
un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di
quest’ultimo. In caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del
cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di ordine
pubblico o di sicurezza nazionale impongano la sua immediata partenza, si
applica il paragrafo 1».
6 L’articolo
12, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 enuncia quanto segue:
«Le
decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d’ingresso e le
decisioni di allontanamento sono adottate in forma scritta, sono motivate in
fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili.
Le
informazioni sui motivi in fatto possono essere ridotte laddove la legislazione
nazionale consenta che il diritto di informazione sia limitato, in particolare
per salvaguardare la sicurezza nazionale, la difesa, la pubblica sicurezza e
per la prevenzione, le indagini, l’accertamento e il perseguimento di reati».
7 A
norma dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva in parola:
«Al
cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso
effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12,
paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o
amministrativa competente o a un organo competente composto da membri
imparziali che offrono garanzie di indipendenza».
8 Ai
sensi dell’articolo 18 di detta direttiva:
«1. Nei
casi in cui un numero eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da
rimpatriare comporta un notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di
permanenza temporanea di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo
o giudiziario, sino a quando persiste la situazione anomala detto Stato membro
può decidere di accordare per il riesame giudiziario periodi superiori a quelli
previsti dall’articolo 15, paragrafo 2, terzo comma, e adottare misure urgenti
quanto alle condizioni di trattenimento in deroga a quelle previste
all’articolo 16, paragrafo 1, e all’articolo 17, paragrafo 2.
2. All’atto
di ricorrere a tali misure eccezionali, lo Stato membro in questione ne informa
la Commissione. Quest’ultima è informata anche non appena cessino di sussistere
i motivi che hanno determinato l’applicazione delle suddette misure
eccezionali.
3. Nulla
nel presente articolo può essere interpretato nel senso che gli Stati membri
siano autorizzati a derogare al loro obbligo generale di adottare tutte le
misure di carattere generale e particolare atte ad assicurare l’esecuzione
degli obblighi ad essi incombenti ai sensi della presente direttiva».
Direttiva
2013/32
9 Il
considerando 29 della direttiva 2013/32 è formulato come segue:
«Taluni
richiedenti possono necessitare di garanzie procedurali particolari, tra
l’altro, per motivi di età, genere, orientamento sessuale, identità di genere,
disabilità, grave malattia psichica o in conseguenza di torture, stupri o altre
forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale. Gli Stati membri
dovrebbero adoperarsi per individuare i richiedenti che necessitano di garanzie
procedurali particolari prima che sia presa una decisione in primo grado. A
tali richiedenti è opportuno fornire un sostegno adeguato, compreso tempo
sufficiente, così da creare i presupposti necessari affinché accedano
effettivamente alle procedure e presentino gli elementi richiesti per istruire
la loro domanda di protezione internazionale».
10 L’articolo
2 di tale direttiva così dispone:
«Ai fini
della presente direttiva, si intende per:
(…)
c) “richiedente”:
il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di
protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione
definitiva
d) “richiedente
che necessita di garanzie procedurali particolari”: il richiedente la cui
capacità di godere dei diritti e adempiere gli obblighi previsti dalla presente
direttiva è limitata a causa di circostanze individuali;
e) “decisione
definitiva”: una decisione che stabilisce se a un cittadino di un paese terzo o
a un apolide è concesso lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria a
norma della direttiva 2011/95/UE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del
13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno
status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione
riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9)] e che non è più impugnabile
nell’ambito del capo V della presente direttiva, indipendentemente dal fatto che
l’impugnazione produca l’effetto di autorizzare i richiedenti a rimanere negli
Stati membri interessati in attesa del relativo esito;
(…)
p) “rimanere
nello Stato membro”: il fatto di rimanere nel territorio, compreso alla
frontiera o in zone di transito, dello Stato membro in cui la domanda di
protezione internazionale è stata presentata o è oggetto d’esame;
(…)».
11 L’articolo
3, paragrafo 1, della suddetta direttiva prevede quanto segue:
«La
presente direttiva si applica a tutte le domande di protezione internazionale
presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o
nelle zone di transito degli Stati membri, nonché alla revoca della protezione
internazionale».
12 L’articolo
6 della medesima direttiva così dispone:
«1. Quando
chiunque presenti una domanda di protezione internazionale a un’autorità
competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, la
registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della
domanda.
Se la
domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a
ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del
diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia
effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.
Gli
Stati membri garantiscono che tali altre autorità preposte a ricevere le
domande di protezione internazionale quali la polizia, le guardie di frontiera,
le autorità competenti per l’immigrazione e il personale dei centri di
trattenimento abbiano le pertinenti informazioni e che il loro personale riceva
il livello necessario di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro
responsabilità e le istruzioni per informare i richiedenti dove e in che modo
possono essere inoltrate le domande di protezione internazionale.
2. Gli
Stati membri provvedono affinché chiunque abbia presentato una domanda di
protezione internazionale abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto
prima. Qualora il richiedente non [inoltri] la propria domanda, gli Stati
membri possono applicare di conseguenza l’articolo 28.
3. Fatto
salvo il paragrafo 2, gli Stati membri possono esigere che le domande di
protezione internazionale siano introdotte personalmente e/o in un luogo designato.
4. In
deroga al paragrafo 3, una domanda di protezione internazionale si considera
[inoltrata] quando un formulario sottoposto dal richiedente o, qualora sia
previsto nel diritto nazionale, una relazione ufficiale è pervenuta alle
autorità competenti dello Stato membro interessato.
5. Qualora
le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero
elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all’atto
pratico rispettare il termine di cui al paragrafo 1, gli Stati membri possono
stabilire che tale termine sia portato a dieci giorni lavorativi».
13 Secondo
l’articolo 7 della direttiva 2013/32:
«1. Gli
Stati membri provvedono affinché ciascun adulto con capacità di agire abbia il
diritto di presentare una domanda di protezione internazionale per proprio
conto.
(…)
3. Gli
Stati membri provvedono affinché il minore abbia il diritto di presentare domanda
di protezione internazionale per proprio conto, se ha la capacità di agire in
giudizio ai sensi del diritto dello Stato membro interessato, ovvero tramite i
genitori o altro familiare adulto, o un adulto responsabile per lui secondo la
legge o la prassi dello Stato membro interessato, o tramite un rappresentante».
14 L’articolo
8, paragrafo 1, di tale direttiva così prevede:
«Qualora
vi siano indicazioni che cittadini di paesi terzi o apolidi tenuti in centri di
trattenimento o presenti ai valichi di frontiera, comprese le zone di transito
alle frontiere esterne, desiderino presentare una domanda di protezione
internazionale, gli Stati membri forniscono loro informazioni sulla possibilità
di farlo. In tali centri di trattenimento e ai valichi di frontiera gli Stati
membri garantiscono servizi di interpretazione nella misura necessaria per
agevolare l’accesso alla procedura di asilo».
15 L’articolo
24, paragrafo 3, di detta direttiva stabilisce quanto segue:
«Gli
Stati membri provvedono affinché, qualora i richiedenti siano stati
identificati come richiedenti che necessitano di garanzie procedurali
particolari, essi siano forniti di sostegno adeguato per
consentire loro di godere dei diritti e di adempiere gli obblighi della
presente direttiva per tutta la durata della procedura d’asilo.
Qualora
tale sostegno adeguato non possa essere fornito nell’ambito delle procedure di
cui all’articolo 31, paragrafo 8, e all’articolo 43, in particolare qualora gli
Stati membri ritengano che il richiedente che necessita di garanzie procedurali
particolari abbia subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza
psicologica, fisica o sessuale, essi non applicano o cessano di applicare
l’articolo 31, paragrafo 8, e l’articolo 43. Qualora gli Stati membri
applichino l’articolo 46, paragrafo 6, ai richiedenti ai quali non possono
essere applicati l’articolo 31, paragrafo 8, e l’articolo 43 a norma del
presente comma, gli Stati membri forniscono almeno le garanzie previste
dall’articolo 46, paragrafo 7».
16 Ai
sensi dell’articolo 26 della medesima direttiva:
«1. Gli
Stati membri non trattengono una persona per il solo motivo che si tratta di un
richiedente. I motivi e le condizioni del trattenimento e le garanzie per i
richiedenti trattenuti sono conformi alla direttiva [2013/33].
2. Qualora
un richiedente sia trattenuto, gli Stati membri provvedono affinché sia
possibile un rapido controllo giurisdizionale a norma della direttiva
[2013/33]».
17 Ai
termini dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2013/32:
«Qualora
vi siano ragionevoli motivi per ritenere che il richiedente abbia
implicitamente ritirato la domanda o rinunciato ad essa, gli Stati membri
provvedono affinché l’autorità accertante prenda la decisione di sospendere
l’esame ovvero, se l’autorità accertante giudica la domanda infondata in base a
un adeguato esame del merito della stessa in linea con l’articolo 4 della
direttiva [2011/95], respingere la domanda».
18 A
norma dell’articolo 31, paragrafo 8, della direttiva in parola:
«Gli
Stati membri possono prevedere[, nel rispetto dei
principi di base e delle garanzie fondamentali di cui al capo II,] che una
procedura d’esame sia accelerata e/o svolta alla frontiera o in zone di
transito a norma dell’articolo 43 se:
a) nel
presentare domanda ed esporre i fatti il richiedente ha sollevato soltanto
questioni che non hanno alcuna pertinenza per esaminare se attribuirgli la
qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della direttiva
[2011/95]; oppure
b) il
richiedente proviene da un paese di origine sicuro a norma della presente
direttiva; o
c) il
richiedente ha indotto in errore le autorità presentando informazioni o documenti
falsi od omettendo informazioni pertinenti o documenti relativi alla sua
identità e/o alla sua cittadinanza che avrebbero potuto influenzare la
decisione negativamente; o
d) è probabile
che, in mala fede, il richiedente abbia distrutto o comunque fatto sparire un
documento d’identità o di viaggio che avrebbe permesso di accertarne l’identità
o la cittadinanza; o
e) il
richiedente ha rilasciato dichiarazioni palesemente incoerenti e
contraddittorie, palesemente false o evidentemente improbabili che
contraddicono informazioni sufficientemente verificate sul paese di origine,
rendendo così chiaramente non convincente la sua asserzione di avere diritto
alla qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della
direttiva [2011/95]; o
f) il
richiedente ha presentato una domanda reiterata di protezione internazionale
inammissibile ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5; o
g) il
richiedente presenta la domanda al solo scopo di ritardare o impedire
l’esecuzione di una decisione anteriore o imminente che ne comporterebbe
l’allontanamento; o
h) il
richiedente è entrato illegalmente nel territorio dello Stato membro o vi ha prolungato
illegalmente il soggiorno e, senza un valido motivo, non si è presentato alle
autorità o non ha presentato la domanda di protezione internazionale quanto
prima possibile rispetto alle circostanze del suo ingresso; o
i) il
richiedente rifiuta di adempiere all’obbligo del rilievo dattiloscopico (...);
o
j) il
richiedente può, per gravi ragioni, essere considerato un pericolo per la
sicurezza nazionale o l’ordine pubblico dello Stato membro o il richiedente è
stato espulso con efficacia esecutiva per gravi motivi di sicurezza o di ordine
pubblico a norma del diritto nazionale».
19 L’articolo
33, paragrafo 2, della direttiva succitata così dispone:
«Gli
Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale
inammissibile soltanto se:
a) un altro
Stato membro ha concesso la protezione internazionale;
b) un paese che
non è uno Stato membro è considerato paese di primo asilo del richiedente a
norma dell’articolo 35;
c) un paese che
non è uno Stato membro è considerato paese terzo sicuro per il richiedente a
norma dell’articolo 38;
d) la domanda è
una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati
dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad
accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di
beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva [2011/95]; o
e) una persona a
carico del richiedente presenta una domanda, dopo aver acconsentito, a norma
dell’articolo 7, paragrafo 2, a che il suo caso faccia parte di una domanda
presentata a suo nome e non vi siano elementi relativi alla situazione della
persona a carico che giustifichino una domanda separata».
20 Ai
sensi dell’articolo 39, paragrafo 1, della medesima direttiva:
«Gli
Stati membri possono prevedere che l’esame della domanda di protezione
internazionale e della sicurezza del richiedente stesso nel suo caso specifico,
secondo quanto prescritto al capo II, non abbia luogo o non sia condotto
esaurientemente nei casi in cui un’autorità competente abbia stabilito, in base
agli elementi disponibili, che il richiedente sta cercando di entrare o è
entrato illegalmente nel suo territorio da un paese terzo sicuro a norma del
paragrafo 2».
21 L’articolo
41, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 così dispone:
«Gli
Stati membri possono ammettere una deroga al diritto di rimanere nel territorio
qualora una persona:
a) abbia
presentato una prima domanda reiterata, che non è ulteriormente esaminata ai
sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, al solo scopo di ritardare o impedire
l’esecuzione di una decisione che ne comporterebbe l’imminente allontanamento
dallo Stato membro in questione; o
b) manifesti la
volontà di presentare un’altra domanda reiterata nello stesso Stato membro a
seguito di una decisione definitiva che considera inammissibile una prima
domanda reiterata ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 5, o dopo una decisione
definitiva che respinge tale domanda in quanto infondata.
Gli
Stati membri possono ammettere tale deroga solo se l’autorità accertante
ritenga che la decisione di rimpatrio non comporti il “refoulement” diretto o
indiretto, in violazione degli obblighi incombenti allo Stato membro a livello
internazionale e dell’Unione».
22 L’articolo
43 della stessa direttiva, intitolato «Procedure di frontiera», così dispone:
«1. Gli
Stati membri possono prevedere procedure, conformemente ai principi
fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, per decidere alla frontiera o
nelle zone di transito dello Stato membro:
a) sull’ammissibilità
di una domanda, ai sensi dell’articolo 33, ivi presentata; e/o
b) sul merito di
una domanda nell’ambito di una procedura a norma dell’articolo 31, paragrafo 8.
2. Gli
Stati membri provvedono affinché la decisione nell’ambito delle procedure di
cui al paragrafo 1 sia presa entro un termine ragionevole. Se la decisione non
è stata presa entro un termine di quattro settimane, il richiedente è ammesso
nel territorio dello Stato membro, affinché la sua domanda sia esaminata
conformemente alle altre disposizioni della presente direttiva.
3. Nel
caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di paesi
terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla
frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile
applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono
applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di paesi terzi o
gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze
della frontiera o della zona di transito».
23 L’articolo
46 di detta direttiva così dispone:
«(…)
5. Fatto
salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel
loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono
esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è
stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.
6. Qualora
sia stata adottata una decisione:
a) di ritenere
una domanda manifestamente infondata conformemente all’articolo 32, paragrafo
2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, a
eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui
all’articolo 31, paragrafo 8, lettera h);
b) di ritenere
inammissibile una domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), b)
o d);
c) di respingere
la riapertura del caso del richiedente, sospeso ai sensi dell’articolo 28; o
d) di non
esaminare o di non esaminare esaurientemente la domanda ai sensi dell’articolo
39,
un
giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se
autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato
membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di
rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili
casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del
ricorso.
(…)
8. Gli
Stati membri autorizzano il richiedente a rimanere nel territorio in attesa
dell’esito della procedura volta a decidere se questi possa rimanere nel
territorio, di cui ai paragrafi 6 e 7.
(…)».
Direttiva
2013/33
24 Il
considerando 17 della direttiva 2013/33 enuncia quanto segue:
«I
motivi di trattenimento stabiliti nella presente direttiva lasciano
impregiudicati altri motivi di trattenimento, compresi quelli che rientrano
nell’ambito dei procedimenti penali, applicabili conformemente alla
legislazione nazionale, non correlati alla domanda di protezione internazionale
presentata dal cittadino di un paese terzo o dall’apolide».
25 L’articolo
2 di tale direttiva così dispone:
«Ai fini
della presente direttiva si intende per:
(…)
b) “richiedente”:
il cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di
protezione internazionale sulla quale non è stata ancora adottata una decisione
definitiva;
(…)
h) “trattenimento”:
il confinamento del richiedente, da parte di uno Stato membro, in un luogo
determinato, che lo priva della libertà di circolazione;
(…)».
26 L’articolo
3, paragrafo 1, della suddetta direttiva così dispone:
«La
presente direttiva si applica a tutti i cittadini di paesi terzi e agli apolidi
che manifestano la volontà di chiedere la protezione internazionale nel
territorio di uno Stato membro, comprese la frontiera, le acque territoriali o
le zone di transito, purché siano autorizzati a soggiornare in tale territorio
in qualità di richiedenti, nonché ai familiari, se inclusi nella domanda di
protezione internazionale ai sensi del diritto nazionale».
27 L’articolo
7 della medesima direttiva prevede quanto segue:
«1. I
richiedenti possono circolare liberamente nel territorio dello Stato membro
ospitante o nell’area loro assegnata da tale Stato membro. L’area assegnata non
pregiudica la sfera inalienabile della vita privata e permette un campo
d’azione sufficiente a garantire l’accesso a tutti i benefici della presente
direttiva.
2. Gli
Stati membri possono stabilire un luogo di residenza per il richiedente, per
motivi di pubblico interesse, ordine pubblico o, ove necessario, per il
trattamento rapido e il controllo efficace della domanda di protezione
internazionale.
3. Gli
Stati membri possono subordinare la concessione delle condizioni materiali
d’accoglienza all’effettiva residenza del richiedente in un determinato luogo,
da determinarsi dagli Stati membri. Tale decisione, che può essere di carattere
generale, è adottata caso per caso e definita [dal] diritto nazionale.
(…)».
28 Ai
sensi dell’articolo 8 della direttiva 2013/33:
«1. Gli
Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un
richiedente ai sensi della direttiva [2013/32].
2. Ove
necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri
possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente
misure alternative meno coercitive.
3. Un
richiedente può essere trattenuto soltanto:
a) per
determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza;
b) per
determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale
che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste
il rischio di fuga del richiedente;
c) per decidere,
nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel
territorio;
d) quando la
persona è trattenuta nell’ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della
direttiva [2008/115], al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare
l’allontanamento e lo Stato membro interessato può comprovare, in base a
criteri obiettivi, tra cui il fatto che la persona in questione abbia già avuto
l’opportunità di accedere alla procedura di asilo, che vi sono fondati motivi
per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la
domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire
l’esecuzione della decisione di rimpatrio;
e) quando lo
impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;
f) conformemente
all’articolo 28 del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di
determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di
protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino
di un paese terzo o da un apolide [(GU 2013, L 180, pag. 31)].
I motivi
di trattenimento sono specificati nel diritto nazionale.
4. Gli
Stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni
alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle
autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare
in un luogo assegnato».
29 A
norma dell’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva in parola:
«Il
trattenimento dei richiedenti è disposto per iscritto dall’autorità giurisdizionale
o amministrativa. Il provvedimento di trattenimento precisa le motivazioni di
fatto e di diritto sulle quasi si basa».
30 L’articolo
10, paragrafo 1, della citata direttiva stabilisce quanto segue:
«Il
trattenimento dei richiedenti ha luogo, di regola, in appositi centri di
trattenimento. Lo Stato membro che non possa ospitare il richiedente in un
apposito centro di trattenimento e sia obbligato a sistemarlo in un istituto
penitenziario, provvede affinché il richiedente trattenuto sia tenuto separato
dai detenuti ordinari e siano applicate le condizioni di trattenimento previste
dalla presente direttiva.
(…)».
31 L’articolo
11 della medesima direttiva prevede quanto segue:
«1. Lo
stato di salute, anche mentale, dei richiedenti trattenuti che sono persone
vulnerabili costituisce la preoccupazione principale delle autorità nazionali.
Alle
persone vulnerabili trattenute gli Stati membri assicurano controlli periodici
e sostegno adeguato tenendo conto della loro particolare situazione, anche dal
punto di vista sanitario.
2. I
minori sono trattenuti solo come ultima risorsa e dopo aver accertato che
misure alternative meno coercitive non possono essere applicate in maniera
efficace. A tale trattenimento deve farsi ricorso per un periodo di durata più
breve possibile ed è fatto il possibile perché siano rilasciati e ospitati in
alloggi idonei per i minori.
L’interesse
superiore del minore, come prescritto all’articolo 23, paragrafo 2, deve essere
una considerazione preminente per gli Stati membri.
I minori
trattenuti devono potere avere la possibilità di svolgere attività di tempo
libero, compresi il gioco e attività ricreative consone alla loro età.
3. I
minori non accompagnati sono trattenuti solo in circostanze eccezionali. È
fatto il possibile affinché i minori non accompagnati trattenuti siano
rilasciati il più rapidamente possibile.
I minori
non accompagnati non sono mai trattenuti in istituti penitenziari.
Per
quanto possibile, ai minori non accompagnati deve essere fornita una
sistemazione in istituti dotati di personale e strutture consoni a soddisfare
le esigenze di persone della loro età.
Ai
minori non accompagnati trattenuti gli Stati membri garantiscono una
sistemazione separata dagli adulti.
(…)».
32 L’articolo
18, paragrafo 9, della direttiva 2013/33 così dispone:
«In casi
debitamente giustificati gli Stati membri possono stabilire in via eccezionale
modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle
previste nel presente articolo, per un periodo ragionevole e di durata più
breve possibile, qualora:
a) sia richiesta
una valutazione delle esigenze specifiche del richiedente, ai sensi
dell’articolo 22,
b) le capacità
di alloggio normalmente disponibili siano temporaneamente esaurite.
Siffatte
diverse condizioni soddisfano comunque le esigenze essenziali».
33 Ai
sensi dell’articolo 21 di detta direttiva:
«Nelle
misure nazionali di attuazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono
conto della specifica situazione di persone vulnerabili quali i minori, i
minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in stato di
gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta degli
esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le
persone che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza
psicologica, fisica o sessuale, quali le vittime di mutilazioni genitali
femminili».
34 L’articolo
22, paragrafo 1, terzo comma, della suddetta direttiva così dispone:
«Gli
Stati membri assicurano che il sostegno fornito ai richiedenti con esigenze di
accoglienza particolari ai sensi della presente direttiva tenga conto delle
loro esigenze di accoglienza particolari durante l’intera procedura di asilo e
provvedono a un appropriato controllo della loro situazione».
Diritto
ungherese
Legge sul
diritto di asilo
35 L’articolo
4, paragrafo 3, della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge LXXX del 2007 sul diritto di asilo) (Magyar
Közlöny 2007/83; in
prosieguo: la «legge sul diritto di asilo») dispone quanto segue:
«Le
disposizioni della presente legge devono essere applicate, per quanto riguarda
le persone che necessitano di un trattamento particolare, tenendo conto delle
esigenze specifiche derivanti dalla loro situazione».
36 L’articolo
5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo prevede quanto segue:
«Il
richiedente asilo è legittimato:
a) in conformità
alle condizioni previste dalla presente legge, a soggiornare nel territorio
ungherese e, in conformità alla normativa specifica, a ottenere un permesso di
soggiorno nel territorio ungherese;
b) in conformità
alle condizioni previste dalla presente legge e alla normativa specifica, a
ricevere prestazioni, assistenza e alloggio;
c) a svolgere
un’attività lavorativa nel luogo in cui è situato il centro di accoglienza o in
un luogo di lavoro determinato dal datore di lavoro pubblico nei nove mesi
successivi all’inoltro della domanda di asilo o, dopo la scadenza di tale
termine, in conformità alle norme generali applicabili ai cittadini stranieri».
37 L’articolo
29 di tale legge così dispone:
«Occorre
garantire le condizioni di accoglienza tenendo conto delle esigenze specifiche
delle persone che necessitano di un trattamento particolare».
38 Secondo
l’articolo 30, paragrafo 3, di tale legge:
«Nell’adottare
una decisione che limiti o revochi il beneficio delle condizioni materiali di
accoglienza,
a) l’autorità
competente in materia di asilo deve prendere in considerazione la situazione
individuale del richiedente asilo, tenendo segnatamente conto delle persone che
necessitano di un trattamento particolare, e
b) la
restrizione o la revoca devono essere proporzionate alla violazione commessa».
39 L’articolo
31/A della medesima legge così recita:
«1. L’autorità
competente in materia di asilo può, al fine di svolgere la procedura in materia
di asilo o di assicurare un trasferimento ai sensi del regolamento
[n. 604/2013], e tenendo contestualmente conto dei limiti di cui
all’articolo 31/B, trattenere i richiedenti asilo il cui permesso di soggiorno
sia basato esclusivamente sull’inoltro di una domanda
a) quando ciò
consenta di determinare l’identità o la cittadinanza dell’interessato quando
essa è incerta;
b) quando
l’interessato sia sottoposto a una procedura di rimpatrio e sussistano elementi
obiettivi, tra cui il fatto che egli abbia già avuto l’opportunità di accedere
alla procedura di protezione internazionale, che consentano di dimostrare, o
altri validi motivi che consentano di supporre, che egli abbia manifestato la
volontà di presentare la propria domanda di protezione internazionale al solo
scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio;
c) per
determinare i fatti e le circostanze su cui si basa la domanda di asilo qualora
essi non possano essere ottenuti senza il trattenimento, in particolare se
sussiste un rischio di fuga dell’interessato;
d) quando lo
impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico;
e) quando la
domanda sia stata presentata nella zona internazionale di un aeroporto;
f) o quando il
trattenimento sia necessario per assicurare le procedure di trasferimento ai
sensi del regolamento [n. 604/2013], e sussista un serio rischio di fuga
dell’interessato.
(…)
2. Il
trattenimento dei richiedenti asilo può essere disposto al termine di una
valutazione caso per caso e solo se l’obiettivo perseguito non può essere
realizzato con una misura che garantisca che l’interessato resti a disposizione
delle autorità.
(…)
5. Il
trattenimento dei richiedenti asilo è disposto con una decisione esecutiva sin
dalla sua notifica.
(…)».
40 L’articolo
31/B della legge sul diritto di asilo enuncia quanto segue:
«1. Non
può essere disposto alcun trattenimento solo per il fatto che è stata inoltrata
una domanda di asilo.
2. Non
può essere disposto alcun trattenimento nei confronti di un richiedente asilo
minore non accompagnato.
3. Il
trattenimento può essere disposto nei confronti di famiglie con figli minori
solo come misura di ultima istanza, tenendo conto in primo luogo dell’interesse
superiore dei minori.
(…)».
41 L’articolo
32/D, paragrafo 1, di tale legge prevede quanto segue:
«La
domanda è una dichiarazione, presentata da una parte, in base alla quale
l’autorità competente in materia di asilo avvia un procedimento
amministrativo».
42 Secondo
l’articolo 35 di detta legge:
«1. La
procedura d’asilo inizia con l’inoltro della domanda di asilo all’autorità
competente in materia di asilo. Il richiedente asilo è sottoposto alla
procedura di asilo
a) a
decorrere dalla data in cui egli ha introdotto personalmente la propria domanda
di protezione internazionale all’autorità competente in materia di asilo, o,
b) qualora
egli abbia inoltrato la propria domanda di protezione internazionale a un’altra
autorità, a decorrere dalla data di registrazione di tale domanda da parte
dell’autorità competente in materia di asilo,
fino
alla notifica della decisione emessa in esito al procedimento, quando essa non
è più impugnabile.
(…)».
43 L’articolo
51 della medesima legge prevede quanto segue:
«1. Qualora
i presupposti per l’applicazione dei regolamenti [n. 604/2013 e
n. 118/2014] non siano soddisfatti, l’autorità competente in materia di
asilo si pronuncia sulla questione dell’ammissibilità della domanda, nonché
sulla sussistenza dei presupposti per una decisione sull’oggetto della domanda
con procedimento accelerato.
2. La
domanda è inammissibile
(…)
e) se esiste,
per quanto riguarda il richiedente, un paese terzo che possa per lui essere
considerato un paese terzo sicuro.
(…)
7. È
possibile decidere sulla domanda con procedimento accelerato se il richiedente
(…)
h) è
entrato illegalmente nel territorio ungherese, o ha prolungato illegalmente il
suo soggiorno e non ha presentato domanda di asilo entro un termine
ragionevole, pur avendo avuto la possibilità di inoltrarla in precedenza, e non
ha potuto fornire alcun motivo valido per giustificare tale ritardo;
(…)».
44 Ai
sensi dell’articolo 53 della legge sul diritto di asilo:
«1. L’autorità
competente in materia di asilo respinge la domanda con ordinanza qualora
ravvisi la sussistenza di uno dei presupposti di cui all’articolo 51, paragrafo
2.
2. Una
decisione di rigetto motivata dall’inammissibilità della domanda, oppure emessa
a seguito di procedimento accelerato, può essere contestata nell’ambito di un
procedimento giurisdizionale amministrativo.
(…)
6. Nell’ambito
del procedimento giurisdizionale amministrativo, il deposito di un ricorso non
ha l’effetto di sospendere l’esecuzione della decisione, ad eccezione delle
decisioni in materia di asilo adottate in applicazione dell’articolo 51,
paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h)».
45 Il
15 settembre 2015, è entrata in vigore la egyes törvényeknek a tömeges bevándorlás kezelésével összefüggő módosításáról szóló 2015. évi CXL. törvény (legge CXL del 2015 che modifica talune leggi in un
contesto di gestione dell’immigrazione di massa) (Magyar Közlöny 2015/124,
in prosieguo: la «legge sulla gestione
dell’immigrazione di massa»). La legge sulla gestione dell’immigrazione di
massa, che ha modificato, in particolare, la legge sul diritto di asilo,
introduce le nozioni di «situazione di crisi causata da un’immigrazione di
massa» e di «procedura di frontiera». Essa prevede inoltre la creazione di zone
di transito all’interno delle quali sono applicate le procedure di asilo.
46 In
forza della legge sulla gestione dell’immigrazione di massa, in una «situazione
di crisi causata da un’immigrazione di massa», le domande presentate nelle zone
di transito istituite alla frontiera sono esaminate secondo le norme della
procedura di frontiera.
47 A
tal riguardo, l’articolo 71/A della legge sul diritto di asilo, introdotto
dalla legge sulla gestione dell’immigrazione di massa, così dispone:
«1) Se
il cittadino straniero inoltra la propria domanda nella zona di transito:
a) prima di fare
ingresso nel territorio ungherese; oppure
b) dopo essere
stato fermato nel territorio ungherese all’interno di una striscia di 8 km
a partire dal tracciato della frontiera esterna, come definita all’articolo 2,
secondo comma, del regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 9 marzo 2016, che istituisce un codice unionale
relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone
(codice frontiere Schengen) [(GU 2016, L 77, pag. 1)] o dai segni di
demarcazione della frontiera, ed essere stato scortato al di là dell’ingresso
di una struttura per la protezione dell’ordine alla frontiera, come prevista
dall’az államhatárról szóló 2007. évi LXXXIX. törvény (legge LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello
Stato);
le
disposizioni del presente capo si applicano fatte salve le deroghe previste dal
presente articolo.
2) Nella
pendenza della procedura di frontiera, i richiedenti asilo non beneficiano dei
diritti di cui all’articolo 5, paragrafo 1, lettere a) e c).
3) L’autorità
competente in materia di asilo statuisce in via prioritaria sull’ammissibilità
della domanda di asilo, al più tardi entro gli 8 giorni successivi al suo inoltro.
Essa notifica senza indugio la propria decisione.
4) Se
sono decorse quattro settimane dalla data di inoltro della domanda, l’autorità
competente in materia di polizia degli stranieri autorizza l’ingresso nel
territorio ungherese, in conformità alla norma di diritto applicabile.
5) Se
la domanda non è inammissibile, l’autorità competente in materia di polizia degli
stranieri autorizza l’ingresso nel territorio ungherese, in conformità alla
norma di diritto applicabile.
6) Se
il richiedente è autorizzato ad entrare nel territorio ungherese, l’autorità
competente in materia di asilo svolge la procedura di asilo in conformità alle
norme generali.
7) Le
norme che governano la procedura di frontiera non si applicano alle persone che
necessitano di un trattamento particolare.
(…)».
48 L’határőrizeti területen lefolytatott eljárás szigorításával kapcsolatos egyes törvények módosításáról szóló 2017. évi XX. törvény (legge XX del
2017, recante modifica di talune leggi relative al rafforzamento della
procedura applicata nella zona di frontiera sorvegliata) (Magyar Közlöny 2017/39; in prosieguo: la «legge XX del
2017») ha ampliato i casi in cui il governo può dichiarare una «situazione di
crisi causata da un’immigrazione di massa», ai sensi della la legge sul diritto
di asilo, e ha modificato le disposizioni che consentono di derogare alle
disposizioni generali di tale legge in una situazione del genere.
49 A
seguito dell’entrata in vigore della legge XX del 2017, l’articolo 80/A della
legge sul diritto di asilo prevede quanto segue:
«1. Una
situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa può essere dichiarata:
a) se il numero
di richiedenti asilo che arrivano in Ungheria supera in media:
aa) 500 persone al
giorno nell’arco di un mese;
ab) 750 persone al
giorno nell’arco di due settimane consecutive; oppure
ac) 800 persone al
giorno nell’arco di una settimana;
b) se il numero
di persone che si trovano nelle zone di transito in Ungheria, ad eccezione di
quelle che prestano assistenza ai cittadini stranieri, supera in media:
ba) 1 000
persone al giorno nell’arco di un mese;
bb) 1 500
persone al giorno nell’arco di due settimane consecutive; oppure
bc) 1 600
persone al giorno nell’arco di una settimana;
c) se, oltre ai
casi di cui alle lettere a) e b), si verifica una circostanza connessa a tale
situazione migratoria che:
ca) minaccia
direttamente la sicurezza della frontiera esterna ungherese, come definita
all’articolo 2, paragrafo 2, del codice frontiere Schengen;
cb) minaccia
direttamente la sicurezza pubblica, l’ordine pubblico o la salute pubblica
all’interno di una striscia di territorio ungherese di 60 metri a partire dal
tracciato della frontiera esterna ungherese, quale definita all’articolo 2,
paragrafo 2, del codice frontiere Schengen, o dai segni di demarcazione della
frontiera, o in qualsiasi località situata nel territorio ungherese, in
particolare se si verificano conflitti o se sono commessi atti di violenza in
un centro di accoglienza o in una struttura abitativa per stranieri che si
trovano nella zona così delimitata o nella suddetta località e nei suoi
dintorni.
2. Su
iniziativa del capo della polizia nazionale e del capo dell’autorità competente
in materia di asilo e su proposta del ministro competente, il governo può
dichiarare con decreto una situazione di crisi causata da un’immigrazione di
massa. Tale situazione può riferirsi all’intero territorio ungherese o a una
parte determinata di esso.
(…)
4. Il
decreto governativo di cui al paragrafo 2 resta in vigore per un periodo
massimo di sei mesi, salvo che il governo ne proroghi la validità. Il governo
può prorogare la validità del decreto di cui al paragrafo 2 se, al momento
della proroga, i presupposti applicabili alla dichiarazione di una situazione
di crisi causata da un’immigrazione di massa sono soddisfatti.
(…)
6. In
una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, occorre applicare
le disposizioni degli articoli da 80/B a 80/G unicamente nel territorio
definito nel decreto governativo di cui al paragrafo 2, e unicamente nella
misura necessaria per trattare le cause profonde di una simile situazione e per
gestirla».
50 Ai
sensi dell’articolo 80/H della legge sul diritto di asilo:
«In caso
di situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, le disposizioni dei
capi da I a IV e da V/A a VIII devono essere
applicate fatte salve le deroghe previste dagli articoli da 80/I a 80/K».
51 L’articolo
80/I di detta legge prevede quanto segue:
«Non
devono essere applicate le seguenti disposizioni:
(…)
b) articolo 35,
paragrafi 1 e 6;
(…)
i) articoli da
71/A a 72».
52 Secondo
l’articolo 80/J di detta legge:
«1. La
domanda di asilo deve essere introdotta personalmente dinanzi l’autorità
competente ed esclusivamente nella zona di transito, a meno che il richiedente
asilo:
a) sia oggetto
di una misura coercitiva, di una misura o di una condanna che limita la libertà
personale;
b) sia oggetto
di un provvedimento di trattenimento disposto dall’autorità competente in
materia di asilo;
c) soggiorni
legalmente nel territorio ungherese e non chieda di essere alloggiato in un
centro di accoglienza.
2. Il
richiedente asilo è soggetto alla procedura di asilo a partire dalla data in
cui la domanda di protezione internazionale viene introdotta dinanzi
all’autorità competente e fino alla notifica della decisione adottata al
termine della procedura, quando questa non è più impugnabile.
3. La
polizia scorta il cittadino straniero il cui soggiorno nel territorio ungherese
è irregolare, e che manifesti la propria intenzione di introdurre una domanda
di asilo, al di là dell’ingresso di una struttura per la protezione dell’ordine
alla frontiera, come prevista dall’az államhatárról szóló 2007. évi LXXXIX. törvény (legge LXXXIX
del 2007 sulle frontiere dello Stato). L’interessato può introdurre la propria
domanda di asilo in conformità alle disposizioni del paragrafo 1.
4. Nella
pendenza della procedura, i richiedenti asilo che soggiornano nella zona di
transito non beneficiano dei diritti di cui all’articolo 5, paragrafo 1,
lettere a) e c).
5. L’autorità
competente in materia di asilo assegna al richiedente asilo la zona di transito
come luogo di soggiorno fino a quando l’ordinanza di trasferimento ai sensi del
regolamento [n. 604/2013] o la decisione non più impugnabile sia divenuta
esecutiva. Il richiedente asilo può lasciare la zona di transito attraversando
il portale di uscita.
6. Se
il richiedente asilo è un minore non accompagnato di età inferiore a 14 anni,
l’autorità competente in materia di asilo conduce la procedura di asilo secondo
le norme generali dopo l’ingresso del minore nel territorio ungherese. Essa
deve trovare immediatamente una sistemazione temporanea per il minore e
contemporaneamente chiedere all’autorità competente in materia di tutela di
nominare un tutore che lo protegga e lo rappresenti. Il tutore deve essere
nominato entro otto giorni dal ricevimento della domanda dell’autorità
competente in materia di asilo. L’autorità competente in materia di tutela
comunica senza indugio al minore non accompagnato e all’autorità competente in
materia di asilo il nome del tutore nominato».
53 Ai
sensi dell’articolo 80/K della medesima legge:
«1. Una
decisione di rigetto motivata dall’inammissibilità della domanda, oppure emessa
a seguito di un procedimento accelerato, può essere contestata entro un termine
di tre giorni. L’autorità competente in materia di asilo trasmette al giudice,
entro i tre giorni, il ricorso, accompagnato dai documenti relativi alla causa
e dalla comparsa di risposta.
2. L’autorità
competente in materia di asilo adotta una decisione sulla base delle
informazioni di cui dispone, o chiude la procedura, se il richiedente asilo:
(…)
d) lascia
la zona di transito.
(…)
4. La
decisione che pone fine alla procedura in applicazione del paragrafo 2 non può
essere contestata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale
amministrativo.
(…)
7. Le
decisioni indirizzate ai richiedenti asilo che hanno lasciato la zona di
transito sono notificate loro mediante avviso. (…)
(…)
10. Dopo
la notifica di una decisione non più impugnabile, il richiedente asilo lascia
la zona di transito.
11. Se
il richiedente asilo presenta nuovamente una domanda quando è stata emessa una
decisione definitiva di chiusura o di rigetto sulla sua domanda precedente,
egli perde il beneficio dei diritti di cui all’articolo 5, paragrafo 1),
lettere da a) a c)».
Legge sulle
frontiere dello Stato
54 L’articolo
5/A dell’államhatárról szóló,
2007. évi LXXXIX (legge LXXXIX del 2007 sulle
frontiere dello Stato (Magyar Közlöny 2007/88;
in prosieguo: la «legge sulle frontiere dello Stato»)
dispone quanto segue:
«1. Conformemente
alla presente legge, è possibile utilizzare, nel territorio ungherese, una
striscia di 60 metri a partire dal tracciato della frontiera esterna quale
definita all’articolo 2, paragrafo 2, del codice frontiere Schengen, o dai
segni di demarcazione della frontiera, al fine di costruire, impiantare e
gestire strutture per la protezione dell’ordine alla frontiera – comprese
quelle di cui all’articolo 15/A –, e di svolgere i compiti riguardanti la
difesa e la sicurezza nazionali, la gestione delle catastrofi, la sorveglianza
delle frontiere, l’asilo e la polizia degli stranieri.
1 bis La
polizia può, nel territorio ungherese, fermare i cittadini stranieri il cui
soggiorno nel territorio ungherese è irregolare, all’interno di una striscia di
8 km a partire dal tracciato della frontiera esterna quale definita
all’articolo 2, paragrafo 2, del codice frontiere Schengen o dai segni di
demarcazione della frontiera, e scortarli al di là dell’ingresso della
struttura più vicina di cui al paragrafo 1, salvo in caso di sospetto di reato.
1
ter. In una situazione di crisi causata da un’immigrazione
di massa, la polizia può, nel territorio ungherese, fermare i cittadini
stranieri il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare e scortarli al
di là dell’ingresso della struttura più vicina di cui al paragrafo 1, salvo in
caso di sospetto di reato.
(…)».
55 L’articolo
15/A di tale legge enuncia quanto segue:
«1. Nella
zona cui all’articolo 5, paragrafo 1, può essere istituita una zona di transito
che funga da luogo di soggiorno temporaneo per i richiedenti asilo o protezione
sussidiaria (...) e da luogo in cui si svolgono le procedure in materia di
asilo e di polizia degli stranieri e che ospiti le strutture necessarie a tal
fine.
2. Il
richiedente protezione internazionale che si trovi nella zona di transito può
entrare nel territorio ungherese:
a) se l’autorità
competente in materia di asilo adotta una decisione di riconoscimento della
protezione internazionale;
b) se sono
soddisfatte le condizioni per lo svolgimento di una procedura di asilo, in
conformità alle norme generali, o
c) se occorre
applicare le disposizioni di cui all’articolo 71/A, paragrafi 4 e 5, della
legge sul diritto di asilo.
2 bis. In
una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’ingresso nel
territorio ungherese di un richiedente protezione internazionale che si trovi
in una zona di transito può essere autorizzato nei casi di cui al paragrafo 2,
lettere a) e b).
3. Nella
zona di transito, gli organismi pubblici assolvono le proprie funzioni ed
esercitano i propri poteri conformemente alle disposizioni legislative ad essi
applicabili.
4. Contrariamente
alle disposizioni di cui al paragrafo 1, in una situazione di crisi causata da
un’immigrazione di massa, anche una struttura situata in un luogo diverso da
quello indicato all’articolo 5, paragrafo 1, può essere designata come zona di
transito».
Codice di
procedura giurisdizionale amministrativa
56 L’articolo
39, paragrafo 6, della közigazgatási perrendtartásról szóló 2017. évi I. törvény (legge I del 2017,
recante codice di procedura giurisdizionale amministrativa) (Magyar Közlöny 2017/30; in prosieguo:
il «codice di procedura giurisdizionale amministrativa») così recita:
«Salvo
disposizioni contrarie previste dalla presente legge, il ricorso non ha
l’effetto di sospendere l’entrata in vigore dell’atto amministrativo».
57 L’articolo
50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa prevede quanto segue:
«1. Qualsiasi
persona il cui diritto o interesse legittimo sia stato violato da un’azione
dell’amministrazione o dal mantenimento di una situazione risultante da tale
azione può presentare, in qualsiasi fase del procedimento, una domanda di
tutela giurisdizionale immediata dinanzi al giudice competente adito, al fine
di evitare il verificarsi di un rischio imminente di danno, di ottenere una
decisione provvisoria relativa al rapporto giuridico contestato o il
mantenimento della situazione che ha dato luogo alla controversia.
2. Nell’ambito
di una domanda di tutela immediata, è possibile chiedere:
a) l’effetto
sospensivo,
(…)».
Decreto
governativo 301/2007
58 L’articolo
33 dell’a menedékjogról szóló
2007. évi LXXX. törvény végrehajtásáról szóló, 301/2007.
(XI. 9.) Korm. rendelet
[decreto governativo 301/2007. (XI. 9.), relativo all’attuazione della legge
sul diritto d’asilo (Magyar Közlöny 2007/151],
prevede quanto segue:
«1. Se
la situazione individuale del richiedente asilo che necessita di un trattamento
particolare lo giustifica, l’autorità competente in materia di asilo è tenuta a
provvedere affinché quest’ultimo benefici di un alloggio separato presso il
centro di accoglienza.
2. Occorre,
per quanto possibile, garantire che l’unità familiare sia preservata anche nel
caso in cui una persona che necessita di un trattamento particolare benefici di
un alloggio separato».
59 L’articolo
34, comma 1, di tale decreto prevede quanto segue:
«Oltre
alle disposizioni degli articoli 26 e 27, i richiedenti asilo che necessitano
di un trattamento particolare – nella misura in cui ciò sia necessario
alla luce della loro situazione individuale e sulla base, inoltre, di una
perizia medica – hanno il diritto di accedere gratuitamente a prestazioni
sanitarie giustificate in considerazione del loro stato di salute, a misure di
riabilitazione, a un’assistenza psicologica, comprese cure di psicologia
clinica, nonché a un trattamento psicoterapeutico».
Procedimento
precontenzioso
60 L’11
dicembre 2015 la Commissione ha inviato all’Ungheria una lettera di diffida
contestando a tale Stato membro di aver violato, in particolare, l’articolo 46,
paragrafi 1, 3, 5 e 6, della direttiva 2013/32.
61 L’Ungheria
ha risposto a tale lettera di diffida sostenendo che la sua normativa era
compatibile con il diritto dell’Unione.
62 Il
7 marzo 2017 l’Ungheria ha adottato la legge XX del 2017. La Commissione ha
ritenuto che tale legge fosse tale da destare preoccupazioni ulteriori rispetto
a quelle già esposte nella suddetta lettera di diffida.
63 Il
18 maggio 2017 la Commissione ha quindi inviato all’Ungheria una lettera di
diffida complementare, con la quale contestava a tale Stato membro di non aver
adempiuto agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 5,
dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo
13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, degli articoli 3, 6 e 7,
dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 31, paragrafo 8, degli articoli
33, 38, 43 e dell’articolo 46, paragrafi 1, 3, 5 e 6, della direttiva 2013/32,
nonché degli articoli 2, 8, 9, 11 e dell’articolo 17, paragrafo 2, della
direttiva 2013/33, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera g), e con
l’articolo 17, paragrafi 3 e 4, di tale direttiva e, infine, degli articoli 6,
18 e 47 della Carta.
64 Con
lettera del 18 luglio 2017, l’Ungheria ha risposto a tale lettera di diffida
complementare, integrando poi la propria risposta il 2 ottobre e il 20 novembre
2017. Pur dichiarando che la sua normativa era compatibile con il diritto
dell’Unione, tale Stato membro l’ha tuttavia modificata su taluni punti
particolari.
65 L’8
dicembre 2017 la Commissione ha inviato all’Ungheria un parere motivato,
notificatole lo stesso giorno, in cui essa ha dichiarato che tale Stato membro
non aveva osservato gli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5,
dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo
13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, degli articoli 3 e 6, dell’articolo
24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e dell’articolo 46, paragrafi 3, 5 e 6, della
direttiva 2013/32, nonché dell’articolo 2, lettera h), e degli articoli 8, 9 e
11 della direttiva 2013/33, in combinato disposto con gli articoli 6, 18 e 47
della Carta:
– limitando,
nell’ambito del procedimento di ricorso contro una decisione di rigetto della
domanda di protezione internazionale, l’esame di cui all’articolo 46, paragrafo
3, della direttiva 2013/32 ai fatti e alle questioni giuridiche esaminate in
sede di adozione della decisione;
– omettendo
di recepire nel proprio diritto nazionale l’articolo 46, paragrafo 5, della
direttiva 2013/32 e adottando disposizioni che derogano alla regola generale
dell’«effetto sospensivo automatico» del ricorso dei richiedenti protezione
internazionale in situazioni non rientranti nell’articolo 46, paragrafo 6,
della medesima direttiva;
– riconducendo
forzatamente dall’altro versante della barriera di frontiera i cittadini di
paesi terzi il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare senza
rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6,
paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1,
della direttiva 2008/115;
– prevedendo
che la domanda di asilo debba essere introdotta personalmente dinanzi
all’autorità competente ed esclusivamente nella zona di transito;
– disponendo
che occorra applicare a tutti i richiedenti asilo (ad eccezione dei minori non
accompagnati di età inferiore a 14 anni) una procedura da cui consegue il loro
trattenimento, per l’intera durata della procedura di asilo, nelle strutture di
una zona di transito, che essi possono lasciare soltanto qualora si dirigano
verso la Serbia, e non corredando tale trattenimento delle garanzie adeguate;
– riducendo
da otto a tre giorni il termine per la presentazione di una domanda di
controllo avente ad oggetto le decisioni di primo livello recanti rigetto di
una domanda di asilo.
66 L’8
febbraio 2018 l’Ungheria ha risposto al parere motivato della Commissione,
ribadendo che, a suo avviso, la sua normativa era conforme al diritto
dell’Unione.
67 Il
21 dicembre 2018, non essendo persuasa dalle osservazioni formulate
dall’Ungheria, la Commissione ha deciso di proporre il presente ricorso.
Sul
ricorso
Osservazioni
preliminari
68 Per
costante giurisprudenza della Corte, l’esistenza di un inadempimento dev’essere
valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava
alla scadenza di tale termine [sentenza del 28 gennaio 2020, Commissione/Italia
(Direttiva lotta contro i ritardi di pagamento), C‑122/18, EU:C:2020:41,
punto 58 e giurisprudenza ivi citata]. Pertanto, l’esistenza o meno dell’inadempimento
va valutata alla luce dello stato della normativa interna vigente in tale data
[v., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2019, Commissione/Belgio (articolo
260, paragrafo 3, TFUE – Reti ad alta velocità), C‑543/17,
EU:C:2019:573, punti 23 e 24].
69 In
udienza, l’Ungheria ha confermato che, alla scadenza del termine fissato nel
parere motivato inviatole dalla Commissione, ossia l’8 febbraio 2018, le
disposizioni della legge XX del 2017 erano applicabili in tutto il territorio
ungherese, poiché l’applicazione del decreto governativo che aveva dichiarato,
in tutto il suo territorio, una «situazione di crisi causata da un’immigrazione
di massa», ai sensi della legge sul diritto di asilo, era stata prorogata
almeno fino a tale data.
70 Ne
consegue che, nell’ambito dell’esame della compatibilità della normativa
ungherese con le disposizioni del diritto dell’Unione che la Commissione
ritiene essere state violate dall’Ungheria, la Corte deve prendere in
considerazione le modifiche apportate a tale normativa dalla legge XX del 2017.
Sulla
prima censura, relativa all’accesso alla procedura di protezione internazionale
Argomenti
delle parti
71 La
Commissione ritiene che l’Ungheria abbia violato gli articoli 3 e 6 della
direttiva 2013/32 esigendo che la domanda di asilo sia introdotta personalmente
ed esclusivamente nelle zone di transito di Röszke
(Ungheria) e di Tompa (Ungheria), l’accesso alle
quali è stato fortemente limitato dalle autorità ungheresi.
72 A
tale riguardo, in primo luogo, la Commissione osserva che, qualora sia stata
dichiarata una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa,
l’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul diritto d’asilo, introdotto dalla
legge XX del 2017, impone, in linea di principio, che qualsiasi domanda di
asilo sia introdotta personalmente nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, alla frontiera
serbo-ungherese.
73 La
Commissione sostiene, inoltre, che le autorità ungheresi autorizzano solo un
numero molto limitato di ingressi quotidiani in ciascuna di tali zone di
transito. In tal senso, sarebbe assodato che, dal 23 gennaio 2018, una sola
persona al giorno può entrare in ciascuna delle suddette zone di transito, il
che creerebbe tempi di attesa di diversi mesi prima di poter entrare in una di
esse per presentarvi una domanda di protezione internazionale.
74 L’ammissione
in ciascuna delle zone di transito di Röszke e di Tompa avverrebbe in base a una lista di attesa informale,
che sarebbe trasmessa da «capi comunità» alle autorità ungheresi. Poiché non
esiste alcuna infrastruttura sulla striscia di terra che separa la frontiera
serbo‑ungherese da tali zone di transito, poche persone pazienterebbero
davanti all’ingresso di queste ultime, mentre la maggior parte di esse
soggiornerebbe nei villaggi serbi dei dintorni.
75 In
secondo luogo, la Commissione osserva che dagli articoli 3 e 6 della direttiva
2013/32 risulta che gli Stati membri sono tenuti a garantire che chiunque
intenda ottenere protezione internazionale possa presentare una domanda in tal
senso nel loro territorio e abbia accesso, dopo l’arrivo nel loro territorio,
alla procedura per il riconoscimento di tale protezione. Tale obbligo varrebbe
indipendentemente dal paese terzo attraverso il cui territorio il richiedente
giunge alla frontiera di uno Stato membro.
76 Ebbene,
autorizzando solo le persone che si trovano nelle zone di transito di Röszke e di Tompa a presentare e
a far registrare una domanda di protezione internazionale e limitando in modo
estremamente restrittivo l’accesso a tali zone, l’Ungheria non darebbe alle
persone che si trovano alle sue frontiere la possibilità di presentare una
domanda di protezione internazionale e di farla registrare entro il termine
previsto dalla direttiva 2013/32.
77 Secondo
la Commissione, a prescindere dal numero esatto di persone in attesa, un
sistema che subordini il diritto di registrazione conferito dall’articolo 6
della direttiva 2013/32 alla condizione che la domanda sia presentata in un
luogo preciso, al quale l’accesso è limitato su un lungo periodo, non è
conforme all’obbligo, previsto in tale articolo, secondo cui l’accesso alla
procedura deve essere garantito in tempo utile.
78 L’Ungheria
replica, in primo luogo, che i richiedenti protezione internazionale non hanno
il diritto di scegliere il loro paese di asilo e che una parte delle persone
che si presentano alle sue frontiere non fugge da persecuzioni che le minaccia
direttamente.
79 Occorrerebbe,
inoltre, prendere in considerazione non solo l’articolo 6, paragrafo 1, della
direttiva 2013/32, ma anche i paragrafi 2 e 3 di tale articolo, dai quali
emergerebbe che il legislatore dell’Unione autorizza gli Stati membri ad esigere
che il richiedente protezione internazionale introduca la propria domanda
personalmente in un luogo designato, il che implicherebbe necessariamente che
può essere impossibile introdurre contemporaneamente un numero molto elevato di
domande.
80 Inoltre,
la direttiva 2013/32 non determinerebbe il numero di luoghi in cui ciascuno
Stato membro deve assicurare la possibilità di introdurre domande d’asilo.
Secondo l’Ungheria, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, nel
suo territorio esistevano due zone di transito, rispettivamente situate a Röszke e a Tompa, lungo il
percorso dei richiedenti protezione internazionale e nelle quali era possibile
introdurre simili domande. Inoltre, la maggior parte delle persone che entrano
illegalmente in Ungheria tenterebbe di attraversare la frontiera
serbo-ungherese in prossimità di tali zone di transito, cosicché ci si poteva
ragionevolmente attendere da tali persone che esse introducessero la propria
domanda in dette zone di transito.
81 Il
diritto dell’Unione non osterebbe pertanto all’articolo 80/J, paragrafo 1,
della legge sul diritto d’asilo, il quale si applicherebbe, del resto, solo in
caso di dichiarazione di «situazione di crisi causata da un’immigrazione di
massa».
82 L’Ungheria
osserva, peraltro, che una siffatta situazione di crisi può essere dichiarata,
in particolare, perché lo giustificano esigenze nazionali in materia di ordine
pubblico e di sicurezza interna. Orbene, nella fattispecie, nel 2018 sarebbero
stati commessi in Ungheria più di 17 000 reati connessi all’immigrazione
clandestina. L’obbligo di introdurre una domanda di protezione internazionale
nelle zone di transito rafforzerebbe così l’efficacia della lotta contro il
traffico di esseri umani e risponderebbe all’esigenza di protezione delle
frontiere dello spazio Schengen.
83 Inoltre,
l’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo prevederebbe
deroghe all’obbligo di presentare la domanda di asilo in tali zone di transito.
Le persone che soggiornano legalmente nel territorio ungherese potrebbero
quindi introdurre la loro domanda in qualsiasi luogo in tale territorio.
84 Peraltro,
una volta introdotta la domanda nella zona di transito interessata, il
procedimento sarebbe avviato conformemente alle norme generali. L’articolo 32/D
della legge sul diritto d’asilo garantirebbe quindi che, dopo la presentazione
della domanda, l’autorità competente in materia di asilo avvii immediatamente
tale procedura. La registrazione di detta domanda sarebbe quindi effettuata
immediatamente dopo la sua presentazione nella zona di transito interessata, o
comunque, al più tardi, entro le 24 ore, conformemente all’articolo 6,
paragrafo 1, della direttiva 2013/32.
85 L’Ungheria
nega, in secondo luogo, che l’accesso alle zone di transito sia stato limitato.
Peraltro, sebbene le autorità ungheresi siano a conoscenza della prassi
consistente nel fatto che i richiedenti asilo che accedono alla procedura di
asilo in Serbia o che beneficiano di un’assistenza in tale Stato terzo si
presentano davanti alle suddette zone di transito in un ordine determinato,
stabilito secondo liste elaborate da loro stessi, dalle autorità serbe o da
determinate organizzazioni, le autorità ungheresi non avrebbero alcuna
influenza sull’ordine così stabilito e non parteciperebbero all’elaborazione di
simili liste, e neppure le utilizzerebbero.
86 Infine,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, l’assenza di lunghe file
di attesa davanti all’ingresso delle zone di transito di Röszke
e di Tompa si spiegherebbe con il fatto che le
persone interessate sono o erano già sottoposte a una procedura di asilo in
corso in Serbia e beneficerebbero dell’assistenza in tale Stato terzo.
Giudizio
della Corte
87 Con
la sua prima censura, la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di
aver violato gli articoli 3 e 6 della direttiva 2013/32, autorizzando solo un
numero molto ridotto di persone ad accedere quotidianamente, a partire dalla
Serbia, alle zone di transito di Röszke e di Tompa, situate nelle immediate vicinanze della frontiera
serbo-ungherese, e ciò sebbene le domande di protezione internazionale possano
essere presentate solo personalmente e in tali zone di transito.
88 In
primo luogo, occorre ricordare che, sotto un primo profilo, l’articolo 3,
paragrafo 1, della direttiva 2013/32 prevede che tale direttiva si applichi a
tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio,
compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito
degli Stati membri.
89 Sotto
un secondo profilo, l’articolo 6 di tale direttiva, rubricato «Accesso alla
procedura», prevede, al paragrafo 1, primo comma, che, quando chiunque presenti
una domanda di protezione internazionale a un’autorità competente a norma del
diritto nazionale a registrare tali domande, detta registrazione è effettuata
entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda. L’articolo 6,
paragrafo 1, secondo comma, della medesima direttiva precisa che, se la domanda
di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a ricevere
tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto
nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia effettuata
entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.
90 Così
facendo, il legislatore dell’Unione ha accolto una concezione ampia delle
autorità che, senza essere competenti a registrare domande di protezione
internazionale, possono tuttavia ricevere simili domande, ai sensi
dell’articolo 6, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2013/32. Così,
un’autorità nazionale deve, in linea di principio, essere considerata tale se è
plausibile che una domanda di protezione internazionale le venga presentata da
un cittadino di paese terzo o da un apolide [v., in tal senso, sentenza del 25
giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità che può ricevere una domanda di
protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495, punti da 57
a 59]. Del resto, l’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, di tale direttiva
menziona espressamente che costituiscono autorità siffatte la polizia, le
guardie di frontiera, le autorità competenti per l’immigrazione e il personale
dei centri di trattenimento.
91 Sotto
un terzo profilo, qualora le domande simultanee di protezione internazionale da
parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto
difficile all’atto pratico rispettare i termini di cui all’articolo 6,
paragrafo 1, di detta direttiva, l’articolo 6, paragrafo 5, della medesima
direttiva consente, a titolo di deroga, agli Stati membri di registrare le
domande di protezione internazionale entro un termine di dieci giorni lavorativi
dalla loro presentazione.
92 Sotto
un quarto profilo, occorre aggiungere che, conformemente all’articolo 6,
paragrafi 2 e 3, della direttiva 2013/32, chiunque abbia presentato una domanda
di protezione internazionale deve avere un’effettiva possibilità di inoltrarla
quanto prima, fermo restando che, fatto salvo tale diritto, gli Stati membri
possono esigere che tale domanda sia introdotta personalmente e/o in un luogo
designato a tal fine.
93 Da
quanto sopra deriva che gli Stati membri sono, in linea generale, tenuti a
registrare, entro un termine fissato all’articolo 6 della direttiva 2013/32,
ogni domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un
paese terzo alle autorità nazionali rientrante nell’ambito di applicazione di
tale direttiva, e che essi devono poi garantire che gli interessati abbiano
un’effettiva possibilità di inoltrare la loro domanda quanto prima (v., in tal
senso, sentenza del 25 gennaio 2018, Hasan, C‑360/16, EU:C:2018:35, punto
76).
94 Ciò
premesso, occorre sottolineare, in secondo luogo, che, come confermato dalla
Commissione in udienza, la sua prima censura verte non già sulla procedura di
registrazione o di inoltro della domanda di protezione internazionale in quanto
tale, bensì sulle modalità secondo le quali una siffatta domanda deve,
preliminarmente, poter essere presentata alle autorità ungheresi.
95 A
tal riguardo, occorre rilevare che, sotto un primo aspetto, dall’articolo 7
della direttiva 2013/32 risulta che gli Stati membri sono tenuti a garantire il
diritto, per il cittadino di un paese terzo o per un apolide, di presentare,
per proprio conto o per il tramite di un terzo, una domanda di protezione
internazionale.
96 Detto
articolo 7, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 1, di tale
direttiva, conferisce pertanto al cittadino di un paese terzo o all’apolide il
diritto di presentare una domanda di protezione internazionale, compreso alle
frontiere di uno Stato membro o nelle zone di transito di quest’ultimo. A tal
riguardo, se è vero che, come osserva l’Ungheria, l’articolo 6, paragrafo 3, di
detta direttiva autorizza gli Stati membri a imporre che le domande di
protezione internazionale siano introdotte in un luogo designato, occorre
rilevare che nessuna disposizione della medesima direttiva introduce una norma
analoga per quanto riguarda la presentazione delle domande di protezione
internazionale.
97 Una
siffatta domanda si considera, peraltro, presentata non appena la persona
interessata abbia manifestato, presso una delle autorità di cui all’articolo 6,
paragrafo 1, della direttiva 2013/32, la propria volontà di beneficiare della
protezione internazionale, senza che la manifestazione di tale volontà possa
essere sottoposta a una qualche formalità amministrativa [v., in tal senso,
sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità che può ricevere una
domanda di protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495,
punti 93 e 94].
98 Discende
pertanto dall’articolo 6 della direttiva 2013/32 che ogni cittadino di un paese
terzo o apolide ha il diritto di presentare una domanda di protezione
internazionale a una delle autorità di cui a detto articolo,
manifestando, presso una di esse, la propria volontà di beneficiare di una
protezione internazionale.
99 Sotto
un secondo aspetto, occorre sottolineare che la presentazione della domanda di
protezione internazionale a una delle autorità di cui all’articolo 6 della
direttiva 2013/33 costituisce una tappa essenziale nella procedura di
riconoscimento della protezione internazionale.
100 Infatti,
il cittadino di un paese terzo o l’apolide acquisisce la qualità di richiedente
protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della
direttiva 2013/32, a partire dal momento in cui presenta una simile domanda
[sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità che può ricevere una
domanda di protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495,
punto 92].
101 Inoltre,
è a partire dalla data di presentazione della domanda di protezione
internazionale che inizia a decorrere il termine entro il quale tale domanda
deve essere registrata, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, di tale
direttiva, e che il richiedente deve essere messo in condizione di inoltrare la
propria domanda di protezione internazionale quanto prima, come richiesto
dall’articolo 6, paragrafo 2, di detta direttiva. Occorre inoltre sottolineare
che l’inoltro di tale domanda fa decorrere il termine entro il quale,
conformemente all’articolo 31 della medesima direttiva, l’autorità accertante
deve, in linea di principio, statuire sulla domanda di protezione
internazionale.
102 Il
diritto di presentare una siffatta domanda condiziona pertanto il rispetto
effettivo dei diritti a che tale domanda sia registrata e possa essere
inoltrata ed esaminata entro i termini fissati dalla direttiva 2013/32 e, in
definitiva, l’effettività del diritto di asilo, quale garantito dall’articolo
18 della Carta.
103 Pertanto,
uno Stato membro non può, salvo compromettere l’effetto utile dell’articolo 6
di tale direttiva, ritardare, in modo ingiustificato, il momento in cui la
persona interessata è messa in condizione di presentare la propria domanda di
protezione internazionale.
104 Sotto un
terzo aspetto, occorre ricordare che l’obiettivo stesso di detta direttiva, in
particolare quello del suo articolo 6, paragrafo 1, consiste nel garantire un
accesso effettivo, facile e rapido alla procedura di protezione internazionale
[sentenza del 25 giugno 2020, Ministerio Fiscal (Autorità che può ricevere una
domanda di protezione internazionale), C‑36/20 PPU, EU:C:2020:495,
punto 82].
105 L’articolo
8, paragrafo 1, della medesima direttiva conferma, del resto, un obiettivo del
genere. Infatti, tale disposizione ha lo scopo di facilitare la presentazione
delle domande di protezione internazionale imponendo, in particolare, agli
Stati membri di fornire informazioni in merito alla possibilità di presentare
una siffatta domanda a qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide presente
a un valico di frontiera, compresa una zona di transito alle frontiere esterne,
qualora vi siano indicazioni che tale persona desideri presentare una simile
domanda.
106 Dall’insieme
delle considerazioni che precedono risulta che l’articolo 6 della direttiva
2013/32 impone agli Stati membri di garantire che le persone interessate
possano essere in grado di esercitare in modo effettivo il diritto di presentare
una domanda di protezione internazionale, anche alle loro frontiere, non appena
ne manifestino la volontà, affinché tale domanda sia registrata e possa essere
inoltrata ed esaminata nel rispetto effettivo dei termini fissati da tale
direttiva.
107 Occorre
esaminare se, nel caso di specie, l’Ungheria si sia conformata a un simile
obbligo.
108 A tale
riguardo, detto Stato membro conferma che l’articolo 80/J della legge sul
diritto di asilo impone ai cittadini di paesi terzi o agli apolidi che, giungendo
dalla Serbia, intendano accedere, in Ungheria, alla procedura di protezione
internazionale, non solo di inoltrare, ma anche di presentare le proprie
domande di protezione internazionale in una delle due zone di transito di Röszke e di Tompa.
109 In tal
senso, nelle sue osservazioni, l’Ungheria ha precisato che il termine fissato
all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 per la registrazione di
una domanda di protezione internazionale non può iniziare a decorrere fintanto
che i richiedenti protezione internazionale non abbiano raggiunto una di tali
zone di transito. Ne consegue che la presentazione delle loro domande può aver
luogo solo in dette zone, circostanza che l’Ungheria ha del resto confermato in
udienza.
110 Tenendo
a mente tale precisazione preliminare, occorre esaminare se, come sostiene la
Commissione, le autorità ungheresi abbiano proceduto a una drastica limitazione
del numero di persone che, di fatto, sono autorizzate ad entrare
quotidianamente in ciascuna delle stesse zone di transito al fine di
presentarvi una domanda di protezione internazionale.
111 A tale
riguardo, occorre ricordare, anzitutto, che una prassi amministrativa può
costituire oggetto di ricorso per inadempimento qualora risulti in una certa
misura costante e generale [v., in particolare, sentenze del 9 maggio 1985,
Commissione/Francia, 21/84, EU:C:1985:184, punto 13, e del 5 settembre 2019,
Commissione/Italia (batterio Xylella fastidiosa), C‑443/18,
EU:C:2019:676, punto 74].
112 Inoltre,
la Commissione ha l’obbligo di dimostrare l’esistenza dell’inadempimento
contestato e di fornire alla Corte gli elementi necessari alla verifica, da
parte di quest’ultima, della sussistenza di tale inadempimento, senza potersi
basare su una qualche presunzione [v., in particolare, sentenze del 27 aprile
2006, Commissione/Germania, C‑441/02, EU:C:2006:253, punto 48, e del 2
maggio 2019, Commissione/Croazia (Discarica di Biljane
Donje), C‑250/18, non pubblicata,
EU:C:2019:343, punto 33]. È solamente quando la Commissione fornisca elementi
sufficienti a dimostrare che determinati fatti si sono verificati sul
territorio dello Stato membro convenuto che spetta a quest’ultimo contestare in
modo sostanziale e dettagliato i dati forniti dalla Commissione e le
conseguenze che ne derivano [v., in particolare, sentenze del 26 aprile 2005,
Commissione/Irlanda, C‑494/01, EU:C:2005:250, punto 44, e del 28 marzo
2019, Commissione/Irlanda (Sistema di raccolta e di trattamento delle acque
reflue), C‑427/17, non pubblicata, EU:C:2019:269, punto 39].
113 Per
quanto riguarda, in particolare, una censura avente ad oggetto l’attuazione di
una disposizione nazionale, la Corte ha statuito che la dimostrazione di un
inadempimento di Stato richiede la produzione di elementi di prova di natura
specifica rispetto a quelli abitualmente presi in considerazione nell’ambito di
un ricorso per inadempimento avente unicamente ad oggetto il contenuto di una
disposizione nazionale e che, ciò considerato, l’inadempimento può essere
provato soltanto mediante una dimostrazione sufficientemente documentata e
circostanziata della prassi rimproverata alle autorità amministrative e/o ai
giudici nazionali e attribuibile allo Stato membro di cui trattasi (sentenze
del 27 aprile 2006, Commissione/Germania, C‑441/02, EU:C:2006:253, punto
49, e del 9 luglio 2015, Commissione/Irlanda, C‑87/14, EU:C:2015:449,
punto 23).
114 Nel caso
di specie, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle sue
conclusioni, la Commissione ha allegato al suo ricorso varie relazioni a
sostegno della sua affermazione secondo cui i cittadini di paesi terzi o gli
apolidi che desideravano presentare una domanda di protezione internazionale
presso autorità operanti nelle zone di transito di Röszke
e di Tompa subivano tempi di attesa di diversi mesi,
causati da una prassi costante e generalizzata delle autorità ungheresi, la
quale era ancora applicata alla scadenza del termine fissato nel parere
motivato, vale a dire l’8 febbraio 2018, consistente nel limitare l’ingresso
autorizzato in queste due zone di transito a un numero significativamente
ridotto di persone al giorno.
115 Così,
secondo una delle tre relazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per
i rifugiati (HCR), allegate al ricorso della Commissione, sin dall’ottobre
2015, le autorità ungheresi hanno deciso di limitare il numero di ingressi
quotidiani autorizzati in ciascuna delle zone di transito di Röszke e di Tompa. Da queste tre
relazioni risulta altresì che il numero di ingressi quotidiani autorizzati in
tali zone di transito è diminuito in modo progressivo e costante, di modo che,
nel corso del 2018, solo due persone al giorno erano autorizzate ad entrare in
ciascuna di tali zone di transito. Occorre aggiungere, al riguardo, che dette
relazioni godono di particolare rilevanza in considerazione del ruolo affidato
all’HCR dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra
il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des
Nations unies, vol. 189, pag. 137,
n. 2545 (1954)], nel rispetto della quale devono essere interpretate le
norme del diritto dell’Unione in materia di asilo (v., in tal senso, sentenza
del 23 maggio 2019, Bilali, C‑720/17,
EU:C:2019:448, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).
116 Peraltro,
i dati contenuti nelle stesse relazioni coincidono, in larga misura, con le
osservazioni riportate in due relazioni del 2017, provenienti, da un lato, dal
rappresentante speciale del Segretario generale del Consiglio d’Europa per le
migrazioni e i rifugiati e, dall’altro, dal Comitato europeo per la prevenzione
della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, allegati al
ricorso e anch’essi richiamati dalla Commissione.
117 Risulta,
inoltre, dalle relazioni dell’HCR, allegate al ricorso, che la fissazione, da
parte delle autorità ungheresi, di un numero massimo di ingressi quotidiani
autorizzati in ciascuna delle zone di transito di Röszke
e di Tompa ha avuto come conseguenza che i cittadini
di paesi terzi o gli apolidi che si trovavano in Serbia nelle immediate
vicinanze della frontiera serbo-ungherese, e che desideravano presentare una
domanda di protezione internazionale in Ungheria, hanno dovuto far fronte a
tempi di attesa che non hanno cessato di aumentare e che, nel febbraio 2018,
ammontavano a più di 11 mesi.
118 Ne
consegue che la Commissione ha dimostrato, in modo sufficientemente documentato
e circostanziato, l’esistenza, alla scadenza del termine fissato nel parere
motivato, vale a dire l’8 febbraio 2018, di una prassi amministrativa costante
e generalizzata delle autorità ungheresi volta a limitare l’accesso alle zone
di transito di Röszke e di Tompa
in modo sistematico e talmente drastico che i cittadini di paesi terzi o gli
apolidi che, arrivando dalla Serbia, desideravano accedere, in Ungheria, alla
procedura di protezione internazionale si sono trovati di fronte alla quasi
impossibilità pratica di presentare una domanda di protezione internazionale in
Ungheria.
119 Ebbene,
una prassi amministrativa del genere è incompatibile con gli obblighi derivanti
dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2013/32.
120 Nessuno
degli argomenti dedotti dall’Ungheria è in grado di rimettere in discussione
tale conclusione.
121 A tal
riguardo, occorre anzitutto rilevare che tale Stato membro nega, certamente, il
fatto che istruzioni amministrative abbiano avuto lo scopo di limitare il
numero quotidiano di domande di protezione internazionale che possono essere
presentate in ciascuna delle zone di transito di Röszke
e di Tompa.
122 Tuttavia,
oltre al fatto che tale affermazione è formalmente contraddetta dalle relazioni
menzionate ai punti 115 e 116 della presente sentenza, l’Ungheria non ha
spiegato, in modo giuridicamente adeguato, la ragione per la quale,
nell’asserita assenza di istruzioni del genere, erano state elaborate liste
d’attesa, di cui essa ha ammesso l’esistenza, al fine di fissare l’ordine in
cui le persone che si trovavano in Serbia, nelle immediate vicinanze delle zone
di transito di Röszke e di Tompa,
e che desideravano presentare una domanda di protezione internazionale in una
di tali zone di transito, avrebbero potuto entrarvi.
123 A tal
riguardo, e quand’anche, come sostenuto dall’Ungheria, le autorità ungheresi
non abbiano partecipato all’elaborazione di tali liste né influito sull’ordine
di accesso alle zone di transito così stabilito dalle suddette liste, resta il
fatto che l’esistenza stessa di queste ultime deve essere considerata
l’inevitabile conseguenza della prassi rilevata al punto 118 della presente sentenza.
124 Peraltro,
non può essere accolto neppure l’argomento dell’Ungheria secondo cui la
progressiva scomparsa delle importanti file d’attesa davanti all’ingresso di
dette zone di transito dimostrerebbe che non esiste alcuna restrizione d’ingresso
in tali zone di transito.
125 Infatti,
è pacifico che non è disponibile alcuna infrastruttura nella striscia di terra
che separa la frontiera serbo-ungherese dal portale d’ingresso delle zone di
transito di Röszke e Tompa,
ragion per cui è estremamente difficile restarvi per un lungo periodo. Inoltre,
come giustamente sottolineato dalla Commissione, dalle relazioni depositate in
allegato al suo ricorso si può dedurre che l’importanza delle file d’attesa
davanti all’ingresso di ciascuna delle zone di transito è diminuita a partire
dalla data in cui sono apparse le liste d’attesa menzionate al punto 122 della
presente sentenza, in quanto solo le persone situate in una posizione utile in
tali liste sono condotte, dalle autorità serbe, nella striscia di terra che
separa la frontiera serbo‑ungherese dal portale d’ingresso della zona di
transito interessata, il giorno prima della data in cui è previsto che tali
persone possano entrare in detta zona di transito.
126 Ne
consegue che la scomparsa delle importanti file d’attesa davanti all’ingresso
delle zone di transito di Röszke e di Tompa non può rimettere in discussione il rilievo secondo
cui le autorità ungheresi hanno deciso di limitare drasticamente l’accesso a
tali zone.
127 Infine,
sebbene, come ricorda l’Ungheria, spetti certamente agli Stati membri
assicurarsi, in particolare, dell’attraversamento regolare delle frontiere
esterne, conformemente al regolamento 2016/399, il rispetto di un simile
obbligo non può tuttavia giustificare la violazione dell’articolo 6 della
direttiva 2013/32 da parte degli Stati membri.
128 Dall’insieme
delle considerazioni che precedono risulta che l’Ungheria è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 6 della direttiva 2013/32,
in combinato disposto con l’articolo 3 della stessa, prevedendo che le domande
di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi terzi o da
apolidi che, arrivando dalla Serbia, desiderano accedere, nel suo territorio,
alla procedura di protezione internazionale possano essere presentate solo
nelle zone di transito di Röszke e Tompa, e adottando nel contempo una prassi amministrativa
costante e generalizzata che limita drasticamente il numero di richiedenti
autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di transito.
Sulla
seconda e sulla terza censura, relative al trattenimento dei richiedenti
protezione internazionale
Argomenti
delle parti
– Sulla
seconda censura
129 Con la
sua seconda censura, la Commissione contesta all’Ungheria di aver violato
l’articolo 24, paragrafo 3, e l’articolo 43 della direttiva 2013/32.
130 In primo
luogo, la Commissione sottolinea, sotto un primo profilo, che l’articolo 26
della direttiva 2013/32 enuncia la regola di principio secondo cui un
richiedente protezione internazionale non può essere trattenuto per il solo
fatto di aver presentato una domanda di protezione internazionale. Se è vero
che l’articolo 43 di tale direttiva autorizza gli Stati membri ad applicare
norme particolari al riguardo, quando istituiscono procedure di confine, essi
sarebbero tuttavia tenuti, in una simile ipotesi, a rispettare gli obblighi
previsti da detto articolo 43. Orbene, la legge XX del 2017 avrebbe introdotto
nuove disposizioni incompatibili con detto articolo 43.
131 In tal
senso, secondo l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo,
l’intera procedura di esame della domanda di protezione internazionale dovrebbe
svolgersi nella zona di transito, contrariamente a quanto sarebbe previsto dal
medesimo articolo 43.
132 Inoltre,
tale articolo 80/J, paragrafo 5, non limiterebbe la durata della procedura di
frontiera a quattro settimane, come sarebbe richiesto dall’articolo 43 della
direttiva 2013/32.
133 La
Commissione ritiene, sotto un secondo profilo, che neppure le garanzie
procedurali particolari di cui al capo II della direttiva 2013/32 siano
rispettate. Così, il «sostegno adeguato» di cui le persone che necessitano di
tali garanzie procedurali particolari devono beneficiare, conformemente
all’articolo 24, paragrafo 3, di tale direttiva, non sarebbe garantito nel
corso della procedura prevista all’articolo 80/J della legge sul diritto di
asilo, poiché la legge XX del 2017 ha sospeso, in caso di situazione di crisi
causata da un’immigrazione di massa, l’applicazione delle disposizioni della
legge sul diritto di asilo in forza delle quali le procedure di frontiera non
sono applicabili ai richiedenti che necessitano di siffatte garanzie procedurali
particolari.
134 Secondo
la Commissione, l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo
obbliga pertanto, in violazione dell’articolo 24, paragrafo 3, e dell’articolo
43 della direttiva 2013/32, i richiedenti a rimanere nella zona di transito
interessata al di là di un termine di quattro settimane affinché la loro
domanda sia pienamente esaminata, senza che tale esame sia limitato ai casi di
inammissibilità previsti all’articolo 33 di tale direttiva o a un esame nel
merito nei casi previsti all’articolo 31, paragrafo 8, di quest’ultima, e senza
che sia concesso un «sostegno adeguato» alle persone che necessitano delle
garanzie procedurali particolari di cui al capo II della direttiva 2013/32.
135 In
secondo luogo, la Commissione ritiene che l’articolo 72 TFUE non consenta
agli Stati membri di rifiutare l’applicazione del diritto dell’Unione invocando
genericamente il mantenimento dell’ordine pubblico e della sicurezza interna.
136 A tal
riguardo, la Commissione osserva come non sembri che la situazione di crisi
causata da un’immigrazione di massa sia stata dichiarata nel territorio
ungherese per un periodo transitorio.
137 Peraltro,
l’ipotesi in cui un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi chieda
simultaneamente una protezione internazionale sarebbe stata presa in
considerazione dal legislatore dell’Unione, in particolare all’articolo 6,
paragrafo 5, all’articolo 14, paragrafo 1, all’articolo 31, paragrafo 3,
lettera b), e all’articolo 43, paragrafo 3, della direttiva 2013/32,
all’articolo 10, paragrafo 1, e all’articolo 18, paragrafo 9, della direttiva
2013/33 nonché all’articolo 18 della direttiva 2008/115. Tali norme sarebbero
dirette a consentire agli Stati membri di optare per soluzioni flessibili in caso
di emergenza e di discostarsi, in una certa misura, dalle norme generalmente
applicabili. Di conseguenza, la situazione di crisi causata da un’immigrazione
di massa invocata dall’Ungheria potrebbe e dovrebbe essere risolta nell’ambito
del diritto dell’Unione.
138 L’Ungheria
replica, in primo luogo, che le procedure svolte nelle zone di transito sono
condotte in applicazione delle norme generali previste dalla direttiva 2013/32,
cosicché non è necessario che tali procedure siano conformi all’articolo 43 di
tale direttiva, riguardante le procedure di frontiera.
139 Sulla
base della normativa in vigore alla scadenza del termine fissato nel parere
motivato, le zone di transito di Röszke e di Tompa sarebbero, in sostanza, centri di accoglienza aperti,
situati in prossimità della frontiera serbo-ungherese, dove sarebbe svolta
l’intera procedura di esame delle domande di asilo.
140 Per
quanto riguarda, in secondo luogo, il rispetto dell’articolo 24, paragrafo 3,
della direttiva 2013/32, l’Ungheria sostiene che l’articolo 4, paragrafo 3,
della legge sul diritto di asilo sancisce il principio secondo cui le
disposizioni di tale legge devono essere applicate tenendo conto delle esigenze
specifiche dei richiedenti che necessitano di un trattamento procedurale particolare.
Di conseguenza, l’autorità competente in materia di asilo sarebbe costantemente
attenta alle particolari esigenze di tali richiedenti, durante l’intero
svolgimento della procedura. Le particolari esigenze di detti richiedenti
sarebbero altresì prese in considerazione, in modo più specifico, in altre
disposizioni.
141 In terzo
luogo, l’articolo 72 TFUE autorizzerebbe, in ogni caso, l’Ungheria a
dichiarare una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa e ad
applicare, in una situazione del genere, norme procedurali derogatorie. A tal
riguardo, detto Stato membro ritiene che le disposizioni di diritto derivato
invocate dalla Commissione si siano rivelate insufficienti per consentire di
gestire in modo adeguato la situazione esistente a partire dalla crisi del
2015.
– Sulla
terza censura
142 La
Commissione contesta all’Ungheria di essere venuta meno agli obblighi ad essa
incombenti in forza dell’articolo 2, lettera h), nonché degli articoli 8, 9 e
11 della direttiva 2013/33, avendo trattenuto tutti i richiedenti protezione
internazionale, ad eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14
anni, per tutta la durata della procedura di esame della loro domanda, senza
rispettare le garanzie previste al riguardo.
143 La
Commissione osserva, in primo luogo, che il soggiorno obbligatorio dei
richiedenti in una delle zone di transito di Röszke o
di Tompa comporta una restrizione della loro libertà
individuale di portata tale da dover essere assimilata al trattenimento ai
sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33.
144 Infatti,
tali zone di transito sarebbero luoghi chiusi che i richiedenti potrebbero
lasciare solo in direzione della Serbia. Inoltre, conformemente all’articolo
80/K, paragrafo 2, lettera d), della legge sul diritto di asilo, l’autorità
competente in materia di asilo potrebbe chiudere la procedura se il richiedente
lasciasse la zona di transito interessata. Detto richiedente non sarebbe quindi
realmente libero di lasciare tale zona, poiché, così facendo, si esporrebbe al
rischio di vedere chiuso l’esame della propria domanda e di perdere così la
possibilità di ottenere una protezione internazionale.
145 La
Commissione rileva altresì che il tempo trascorso dal richiedente protezione
internazionale nelle zone di transito costituisce un fattore importante per
determinare se il soggiorno in tali zone possa essere considerato un
trattenimento. Orbene, i rappresentanti della Commissione avrebbero constatato
in loco che taluni richiedenti vi soggiornavano da più di quattordici mesi.
146 In
secondo luogo, la Commissione sostiene che un simile trattenimento è
incompatibile con l’articolo 26 della direttiva 2013/32 nonché con l’articolo
8, paragrafi 2 e 3, l’articolo 9 e l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva
2013/33, in quanto sarebbe applicato a titolo di regola generale, in modo
sistematico, senza valutazione individuale né adozione di una decisione scritta,
e in quanto riguarderebbe anche i minori, ad eccezione dei minori non
accompagnati di età inferiore a 14 anni.
147 Sebbene
l’articolo 80/I della legge sul diritto di asilo non escluda, in caso di
situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’applicazione delle
disposizioni nazionali che recepiscono le disposizioni del diritto dell’Unione
relative al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale, la
Commissione ritiene tuttavia che dette disposizioni non siano rilevanti in una
situazione del genere, dal momento che, in tale situazione, tutti i richiedenti
sarebbero tenuti a soggiornare in una delle due zone di transito, conformemente
all’articolo 80/J, paragrafo 5, di detta legge.
148 L’Ungheria
replica che tali zone di transito non sono luoghi di trattenimento, ma, in
sostanza, centri di accoglienza, situati nel suo territorio alla frontiera
esterna dello spazio Schengen, designati come luogo di svolgimento della
procedura di asilo conformemente al diritto dell’Unione.
149 Tale
Stato membro fa valere che una persona che intenda recarsi nel suo territorio
può utilizzare un valico di frontiera, senza entrare in una delle suddette zone
di transito, se è in possesso di documenti in corso di validità. Peraltro, le
stesse zone di transito sarebbero chiuse unicamente in direzione dell’Ungheria,
al fine di proteggere la frontiera esterna dello spazio Schengen, ma i loro
occupanti sarebbero liberi di lasciarle per la Serbia. Inoltre, né la durata
del soggiorno in un centro di accoglienza, né la qualità delle condizioni ivi
esistenti, dovrebbero essere prese in considerazione al fine di stabilire se il
soggiorno in quest’ultimo possa essere assimilato a un trattenimento.
150 Per
giunta, il richiedente che lascia una zona di transito non sarebbe esposto
necessariamente a conseguenze sfavorevoli. Infatti, l’articolo 80/K, paragrafo
2, lettera d), della legge sul diritto di asilo prevederebbe che, in una simile
ipotesi, l’autorità competente in materia di asilo adotti una decisione sulla base
delle informazioni a sua disposizione o chiuda la procedura. Pertanto, anche in
assenza del richiedente, tale autorità potrebbe pronunciarsi sulla domanda di
protezione internazionale e, se del caso, accoglierla.
151 Del
resto, l’inoltro di una domanda di asilo non porterebbe automaticamente a una
privazione sistematica della libertà, poiché, ai sensi dell’articolo 80/J,
paragrafo 1, lettera c), della legge sul diritto di asilo, una persona che
soggiorna legalmente nel territorio ungherese potrebbe presentare la sua
domanda senza doversi recare né dover rimanere in una delle zone di transito.
152 Occorrerebbe
inoltre prendere in considerazione l’articolo 80/J, paragrafo 1, lettera b),
della legge sul diritto d’asilo, che riguarderebbe in modo specifico l’inoltro
delle domande di asilo inoltrate da persone trattenute. Le norme specifiche
riguardanti il trattenimento o il mantenimento del medesimo sarebbero previste,
a loro volta, agli articoli da 31/A a 31/I di detta
legge e garantirebbero il pieno rispetto delle disposizioni della direttiva
2013/33 relative al trattenimento.
153 Per
quanto riguarda la visita effettuata da rappresentanti della Commissione,
l’Ungheria sottolinea, inoltre, che essa riguardava soltanto la zona di
transito di Röszke e che non si può escludere che le
persone interrogate dai rappresentanti della Commissione in tale occasione non
siano state richiedenti protezione internazionale, bensì persone sottoposte a
una procedura di competenza della polizia per gli stranieri.
154 L’Ungheria
deduce, infine, che l’autorità competente in materia di asilo adotta in ogni
caso una decisione relativa alla sistemazione nella zona di transito, quale
luogo di soggiorno assegnato all’interessato nel corso della procedura di
asilo, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2013/33,
decisione che è impugnabile. Peraltro, il carattere personalizzato della
sistemazione e della presa in carico dell’interessato si tradurrebbe, in
particolare, nel raggruppamento dei richiedenti per nazionalità negli alloggi,
nella proposta di un regime alimentare specifico, nonché nella fornitura di
mobili e cure sanitarie, in particolare di cure psicologiche.
Giudizio
della Corte
155 Con la
seconda e la terza censura, che occorre esaminare congiuntamente, la
Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di aver violato l’articolo 24,
paragrafo 3, e l’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché l’articolo 2,
lettera h), e gli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33, avendo istituito
un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione
internazionale, nelle zone di transito di Röszke e di
Tompa, senza rispettare le condizioni e le garanzie
derivanti da tali disposizioni.
156 Occorre
osservare, in via preliminare, che, contrariamente a quanto sostenuto
dall’Ungheria, la chiusura di queste due zone di transito a seguito della
sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság
Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU,
EU:C:2020:367), è irrilevante nell’ambito dell’esame del presente ricorso.
Infatti, come ricordato al punto 68 della presente sentenza, l’esistenza di un
inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato
membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere
motivato, ossia, nel caso di specie, l’8 febbraio 2018.
– Sull’esistenza
di un trattenimento nelle zone di transito di Röszke
e di Tompa
157 Dall’articolo
80/J, paragrafi 1, 5 e 6, della legge sul diritto di asilo risulta che ogni
richiedente protezione internazionale che non disponga già di un titolo di
soggiorno nel territorio ungherese deve rimanere in una delle due zone di
transito di Röszke e di Tompa
durante l’esame della sua domanda, ovvero, se del caso, nel corso del procedimento
giurisdizionale avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto a contestare
un’eventuale decisione di rigetto di quest’ultima, a meno che l’interessato sia
un minore non accompagnato di età inferiore a 14 anni o sia già oggetto di una
misura di trattenimento o di restrizione della libertà individuale, ai sensi
dell’articolo 80/J, paragrafo 1, di detta legge.
158 L’Ungheria
contesta tuttavia l’affermazione della Commissione secondo cui un simile
obbligo di rimanere in una di queste due zone di transito costituisce un
trattenimento ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33.
159 A tale
riguardo, occorre rilevare che il trattenimento di un richiedente protezione
internazionale, ai sensi di tale disposizione, è una nozione autonoma del
diritto dell’Unione da intendersi come una misura coercitiva che priva tale
richiedente della sua libertà di circolazione e lo isola dal resto della
popolazione, imponendogli di soggiornare in modo permanente in un perimetro
circoscritto e ristretto (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU
e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punto 223).
160 Nel caso
di specie, dal ricorso nonché dai documenti ad esso allegati risulta che i
richiedenti protezione internazionale il cui luogo di soggiorno è la zona di
transito di Röszke o quella di Tompa
sono tenuti a soggiornare in modo permanente nella zona di transito
interessata, la quale è recintata e sormontata da filo spinato. Tali
richiedenti sono alloggiati in container la cui superficie non è superiore a
13 m². Essi non possono entrare in contatto con persone esterne alla zona
di transito interessata, ad eccezione del loro legale rappresentante, e i loro
movimenti all’interno della stessa sono limitati e sorvegliati dai membri dei
servizi d’ordine permanentemente presenti in detta zona di transito e nelle
immediate vicinanze della medesima.
161 L’Ungheria
non contesta tali elementi.
162 Ne
consegue che, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale al paragrafo 134
delle sue conclusioni, il collocamento dei richiedenti protezione
internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa non si distingue da un regime di trattenimento.
163 L’argomento
dedotto dall’Ungheria, secondo cui tali richiedenti sono liberi di lasciare la
zona di transito interessata in direzione della Serbia, non può rimettere in
discussione una simile valutazione.
164 Infatti,
da un lato, e senza che spetti alla Corte, nell’ambito della presente causa,
pronunciarsi sulla conformità del comportamento delle autorità serbe
all’accordo di riammissione delle persone in posizione irregolare fra la
Comunità europea e la Repubblica di Serbia, allegato alla decisione 2007/819/CE
del Consiglio, dell’8 novembre 2007 (GU 2007, L 334, pag. 45),
occorre rilevare che un eventuale ingresso dei richiedenti protezione
internazionale in Serbia sarebbe, con ogni verosimiglianza, considerato
illegale da tale Stato terzo e che, di conseguenza, essi sarebbero ivi esposti
a sanzioni. Pertanto, segnatamente per tale ragione, non si può ritenere che i
richiedenti protezione internazionale posti nelle zone di transito di Röszke e di Tompa abbiano una
possibilità effettiva di lasciare tali zone di transito (v., in tal senso,
sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság
Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU,
EU:C:2020:367, punto 229).
165 Dall’altro
lato, lasciando il territorio ungherese, tali ricorrenti richiedenti rischiano
di perdere qualsiasi possibilità di ottenere lo status di rifugiato in
Ungheria. Infatti, secondo l’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul
diritto di asilo, essi possono depositare una nuova domanda di asilo solo in
una di queste due zone di transito. Inoltre, dall’articolo 80/K, paragrafi 2 e
4, di tale legge discende che l’autorità competente in materia di asilo può
decidere di chiudere la procedura di protezione internazionale qualora il
richiedente lasci una di queste due zone, senza che tale decisione possa essere
contestata nell’ambito di un procedimento giurisdizionale amministrativo
(sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság
Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU,
EU:C:2020:367, punto 230).
166 Ne
consegue che l’obbligo per i richiedenti protezione internazionale di
soggiornare nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, quale discende dall’articolo 80/J, paragrafo 5,
della legge sul diritto di asilo, deve essere considerato un trattenimento ai
sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33.
– Sulla
compatibilità del trattenimento nelle zone di transito di Röszke
e di Tompa con gli obblighi previsti dalle direttive
2013/32 e 2013/33
167 In primo
luogo, la Commissione contesta all’Ungheria di aver istituito un sistema di
trattenimento dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito
di Röszke e di Tompa che
non rispetta le condizioni previste all’articolo 43 della direttiva 2013/32 e
che non è giustificato da alcuno dei motivi menzionati all’articolo 8,
paragrafo 3, primo comma, della direttiva 2013/33.
168 Secondo
giurisprudenza costante, l’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della
direttiva 2013/33 elenca in modo esaustivo i vari motivi che possono
giustificare il trattenimento di un richiedente protezione internazionale.
Ciascuno di tali motivi risponde a una necessità specifica e ha carattere
autonomo (sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság
Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU,
EU:C:2020:367, punto 250 e giurisprudenza ivi citata).
169 Se è
vero che, come enunciato dal considerando 17 di tale direttiva, quest’ultima
non osta a che gli Stati membri stabiliscano altri motivi di trattenimento,
compresi quelli che rientrano nell’ambito dei procedimenti penali, qualora essi
non siano correlati allo status di richiedente protezione internazionale,
occorre rilevare, nel caso di specie, che il sistema di trattenimento dei
richiedenti protezione internazionale, istituito all’articolo 80/J, paragrafo
5, della legge sul diritto di asilo, non si fonda su un motivo indipendente
dallo status di questi ultimi.
170 Occorre
pertanto esaminare se il trattenimento dei richiedenti protezione
internazionale indicati al punto 157 della presente sentenza nelle zone di
transito di Röszke e di Tompa,
sin dal loro arrivo nel territorio ungherese, rientri in almeno una delle
ipotesi elencate all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della direttiva
2013/33.
171 A tale
riguardo, sotto un primo profilo, si deve escludere che un simile trattenimento
possa essere giustificato da uno dei motivi di cui alle lettere da d) a f) di
detto articolo 8, paragrafo 3, primo comma.
172 Infatti,
per quanto riguarda, da un lato, il motivo di trattenimento menzionato
all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della direttiva 2013/33,
è pacifico che i richiedenti protezione internazionale di cui al punto 157
della presente sentenza sono trattenuti nelle zone di transito di Röszke e di Tompa senza che sia
stato previamente dimostrato che il loro comportamento individuale costituisca
una minaccia reale, attuale e sufficientemente grave nei confronti di un
interesse fondamentale della società o della sicurezza interna o esterna
dell’Ungheria (v., a tal riguardo, sentenza del 15 febbraio 2016, N., C‑601/15 PPU,
EU:C:2016:84, punto 67).
173 Per
quanto riguarda, dall’altro lato, i motivi di trattenimento elencati
all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettere d) e f), della direttiva
2013/33, è altrettanto pacifico che tali richiedenti sono tenuti a rimanere
nelle zone di transito di Röszke o di Tompa, quand’anche essi non siano già oggetto di una misura
di trattenimento nell’ambito di una procedura di rimpatrio, ai sensi
dell’articolo 15 della direttiva 2008/115, e nonostante l’assenza di una
decisione adottata ai sensi dell’articolo 28 del regolamento n. 604/2013.
174 Sotto un
secondo profilo, è vero che un richiedente protezione internazionale può, in
forza dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettere a) e b), della
direttiva 2013/33, essere trattenuto, in particolare, nelle immediate vicinanze
delle frontiere di uno Stato membro, al fine di determinarne o verificarne
l’identità o la cittadinanza o per determinare gli elementi su cui si basa la
sua domanda di protezione internazionale e che non potrebbero ottenersi senza
il trattenimento.
175 Ciò
detto, se è vero che il corretto funzionamento del sistema europeo comune di
asilo richiede che le autorità nazionali competenti dispongano di informazioni
affidabili relative all’identità o alla cittadinanza del richiedente protezione
internazionale e agli elementi sui quali si basa la sua domanda, un simile
obiettivo non può tuttavia giustificare che siano adottate misure di
trattenimento senza che tali autorità nazionali abbiano preventivamente
verificato, caso per caso, se queste ultime siano proporzionate ai fini
perseguiti, verifica che comporta la necessità di assicurarsi, in particolare,
che il ricorso al trattenimento sia utilizzato esclusivamente in ultima istanza
(v., in tal senso, sentenza del 14 settembre 2017, K., C‑18/16,
EU:C:2017:680, punto 48).
176 Orbene,
l’Ungheria non nega che il sistema di trattenimento dei richiedenti protezione
internazionale, istituito dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul
diritto di asilo, non prevede alcun esame individualizzato della
proporzionalità del trattenimento di tali richiedenti alla luce dell’obiettivo
perseguito, consistente nel verificare l’identità o la cittadinanza di questi
ultimi o gli elementi sui quali si basa la loro domanda.
177 Resta
pertanto da esaminare, sotto un terzo profilo, se il regime di trattenimento istituito
dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo possa essere
giustificato ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c),
della direttiva 2013/33, in forza del quale uno Stato membro può trattenere un
richiedente protezione internazionale per decidere, nel contesto di un
procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel suo territorio.
178 A tale
riguardo, occorre anzitutto rilevare che la situazione di cui al citato
articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), include il regime di
trattenimento che può essere istituito dagli Stati membri quando essi decidono
di attuare procedure di frontiera, ai sensi dell’articolo 43 della direttiva
2013/32 (v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos
Idegenrendészeti Főigazgatóság
Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU,
EU:C:2020:367, punti 237 e 238).
179 Ai sensi
di detto articolo 43, gli Stati membri sono infatti autorizzati a «trattenere»,
ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33, i richiedenti
protezione internazionale che si presentano alle loro frontiere, prima di
riconoscere ai medesimi un diritto di ingresso nel loro territorio, alle
condizioni enunciate da tale articolo 43 e al fine di garantire l’effettività
delle procedure previste dal medesimo articolo 43 (v., in tal senso, sentenza
del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti
Főigazgatóság Dél-alföldi
Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU
e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367, punti 237 e 239).
180 Pertanto,
sebbene l’Ungheria neghi formalmente che le procedure di esame delle domande di
protezione internazionale condotte nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, conformemente
all’articolo 80/J della legge sul diritto di asilo, siano procedure di frontiera,
ai sensi dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, tale circostanza non può
dispensare la Corte dal prendere in considerazione il rispetto di quest’ultimo
articolo nell’ambito del suo esame della conformità della normativa ungherese
all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), della direttiva 2013/33,
dato che nessun altro motivo elencato in tale disposizione può giustificare il
sistema di trattenimento istituito all’articolo 80/J, paragrafo 5, di tale
legge.
181 Occorre
poi sottolineare che l’articolo 43, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 impone
che la durata del trattenimento di un richiedente protezione internazionale, ai
sensi di tale articolo, non possa mai superare quattro settimane a decorrere
dalla data di inoltro della domanda di protezione internazionale, ai sensi
dell’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, mentre il paragrafo 3 di
tale articolo 43 si limita ad autorizzare gli Stati membri, nelle circostanze
da esso previste, a proseguire le procedure di frontiera al di là di tale
termine di quattro settimane, purché i richiedenti siano, allo scadere di tale
termine, normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della
zona di transito, il che esclude che essi possano rimanere in stato di trattenimento
(v., in tal senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos
Idegenrendészeti Főigazgatóság
Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU,
EU:C:2020:367, punti da 241 a 245).
182 Orbene, non risulta da alcuna
disposizione della normativa ungherese pertinente che il trattenimento dei
richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa sia limitato a una
durata di quattro settimane a decorrere dalla data di inoltro della loro
domanda.
183 Inoltre,
dall’articolo 43, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 risulta che un
trattenimento fondato su tale disposizione è giustificato soltanto al fine di
consentire allo Stato membro interessato di esaminare, prima di riconoscere al
richiedente protezione internazionale il diritto di entrare nel suo territorio,
se la sua domanda non sia inammissibile, ai sensi dell’articolo 33 della
direttiva 2013/32, o se essa non debba essere respinta in quanto infondata per
uno dei motivi elencati all’articolo 31, paragrafo 8, di tale direttiva.
184 Orbene,
come rilevato al punto 157 della presente sentenza, i richiedenti protezione
internazionale sono tenuti a rimanere nelle zone di transito di Röszke e di Tompa durante
l’intero esame della loro domanda, o anche nel corso del procedimento
giurisdizionale avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto a contestare
un’eventuale decisione di rigetto di quest’ultima, e non unicamente al fine di
verificare se le loro domande possano essere respinte per uno dei motivi
indicati al punto precedente.
185 Ne
consegue che il sistema di trattenimento dei richiedenti protezione
internazionale, istituito dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul
diritto di asilo, non rispetta le condizioni previste all’articolo 43 della
direttiva 2013/32 e non può pertanto, nel caso di specie, essere giustificato
sulla base dell’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera c), della
direttiva 2013/33.
186 Da
quanto precede risulta che l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul
diritto di asilo prevede il trattenimento di richiedenti protezione
internazionale al di fuori delle condizioni previste dall’articolo 43 della
direttiva 2013/32 e dei casi, tassativamente elencati, nei quali tale
trattenimento è autorizzato ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2013/33.
187 In
secondo luogo, la Commissione contesta all’Ungheria di aver violato l’articolo
24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, in quanto il «sostegno adeguato», ai
sensi di tale disposizione, di cui devono beneficiare i richiedenti protezione
internazionale che necessitano di garanzie procedurali particolari non è
garantito nel corso del procedimento condotto nelle zone di transito di Röszke e di Tompa.
188 A tale
riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della
direttiva 2013/32, un «richiedente che necessita di garanzie procedurali
particolari» è un richiedente la cui capacità di godere dei diritti e adempiere
gli obblighi previsti da tale direttiva è limitata a causa di circostanze
individuali. Dal considerando 29 di detta direttiva emerge che tra tali
circostanze rientrano l’età dell’interessato, il suo genere, il suo orientamento
sessuale, la sua identità di genere, l’esistenza di una disabilità, di una
grave malattia psichica o le conseguenze di torture, stupri o altre forme gravi
di violenza psicologica, fisica o sessuale.
189 Come
risulta dagli articoli 21 e 22 della direttiva 2013/33, tenuto conto della loro
vulnerabilità, tali richiedenti devono essere oggetto di una particolare
attenzione da parte degli Stati membri, durante tutta la procedura di asilo, in
particolare per quanto riguarda le condizioni in cui essi vengono accolti nel
territorio dello Stato membro interessato nel corso di tale procedura.
190 Risulta,
più in particolare, dall’articolo 11 di tale direttiva che, se il trattenimento
dei richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari non è escluso
per principio, il loro stato di salute, anche mentale, deve, quando sono
trattenuti, costituire la preoccupazione principale degli Stati membri, i quali
devono assicurare controlli periodici e «sostegno adeguato» tenendo conto della
loro particolare situazione.
191 In tale
ottica, l’articolo 24, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2013/32
prevede che, qualora il sostegno adeguato di cui devono beneficiare i
richiedenti che necessitano di garanzie procedurali speciali non possa essere
loro fornito nell’ambito di una procedura di frontiera, ai sensi dell’articolo
43 di tale direttiva, gli Stati membri non applicano o cessano di applicare
tale procedura.
192 Pertanto,
le autorità nazionali sono tenute a garantire, al termine di un esame individualizzato,
che un trattenimento, sulla base dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, di
un richiedente protezione internazionale che necessita di garanzie procedurali
particolari non lo privi del «sostegno adeguato» di cui egli può avvalersi
nell’ambito dell’esame della sua domanda.
193 Nel caso
di specie, occorre rilevare che, come sostenuto dall’Ungheria, diverse
disposizioni della normativa ungherese pertinente hanno lo scopo di tener conto
delle esigenze specifiche di tutti i richiedenti protezione internazionale che
necessitano di garanzie procedurali particolari, ai sensi dell’articolo 24,
paragrafo 3, della direttiva 2013/32.
194 In tal
senso, l’articolo 4, paragrafo 3, della legge sul diritto d’asilo dispone che
le autorità siano tenute ad applicare le disposizioni di tale legge ai
richiedenti che necessitano di un trattamento particolare tenendo conto delle
loro esigenze specifiche. Parimenti, gli articoli 29 e 30 di detta legge
prevedono che le condizioni di accoglienza di tali richiedenti debbano essere
garantite prendendo in considerazione le esigenze specifiche di questi ultimi,
esigenze che devono essere prese in considerazione anche qualora l’autorità
competente limiti o revochi il beneficio delle condizioni materiali di
accoglienza.
195 Risulta
inoltre dall’articolo 33, paragrafi 1 e 2, del decreto governativo 301/2007 che
l’autorità competente in materia di asilo deve garantire che il richiedente che
necessita di garanzie procedurali particolari benefici di un alloggio separato
nel centro di accoglienza il quale preservi, per quanto possibile, la sua unità
familiare. Dall’articolo 34 di tale decreto discende altresì che detto
richiedente ha il diritto di ricorrere gratuitamente a prestazioni sanitarie,
comprese cure psicologiche, ove necessario.
196 Ciò
premesso, resta il fatto che l’Ungheria riconosce che, a partire dall’entrata
in vigore dell’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge in materia di asilo,
tutti i richiedenti protezione internazionale che necessitano di garanzie procedurali
particolari, tranne i minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni e
quelli che già dispongono di un titolo di soggiorno nel territorio ungherese o
che sono oggetto di un’altra misura di trattenimento o di restrizione della
loro libertà individuale, sono tenuti a soggiornare nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, per l’intera
durata della procedura di esame della loro domanda di protezione
internazionale, ovvero, eventualmente, nel corso del procedimento
giurisdizionale avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto a contestare una
decisione di rigetto di tale domanda.
197 Inoltre,
non risulta da alcuna delle disposizioni nazionali invocate da tale Stato
membro che le autorità ungheresi competenti debbano esaminare se un simile
trattenimento sia compatibile con la necessità di concedere un «sostegno
adeguato», ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, a
tali richiedenti vulnerabili nel corso di tale periodo.
198 Un
regime di trattenimento del genere è incompatibile con l’obbligo di tener conto
delle esigenze specifiche di tali categorie di richiedenti, quale risulta
dall’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva 2013/32.
199 Infatti,
come sottolineato ai punti 191 e 192 della presente sentenza, l’articolo 24, paragrafo
3, secondo comma, della direttiva 2013/32 osta a che un richiedente protezione
internazionale che necessita di garanzie procedurali particolari sia
trattenuto, in forza dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, in modo
automatico, senza che sia stato previamente verificato se tale trattenimento lo
privi del «sostegno adeguato» cui ha diritto. Ciò considerato, dal momento che,
come rilevato ai punti da 181 a 185 della presente sentenza, il regime di
trattenimento istituito dall’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul
diritto di asilo eccede i limiti entro i quali l’articolo 43 della direttiva
2013/32 autorizza il trattenimento dei richiedenti protezione internazionale,
ne consegue, a maggior ragione, che l’applicazione di un simile regime di trattenimento
a tutti i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari, ad
eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni e dei
richiedenti che già dispongono di un titolo di soggiorno nel territorio
ungherese o che sono oggetto di un’altra misura di trattenimento o di
restrizione della loro libertà individuale, senza verifica della compatibilità
del trattenimento di tali richiedenti con le loro esigenze specifiche, non può
essere giudicato conforme all’articolo 24, paragrafo 3, della direttiva
2013/32.
200 In terzo
luogo, la Commissione contesta all’Ungheria di aver violato l’articolo 11 della
direttiva 2013/33 imponendo che tutti i richiedenti protezione internazionale
minorenni, diversi dai minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni,
siano trattenuti nelle zone di transito di Röszke e
di Tompa per l’intera durata della procedura di esame
della loro domanda.
201 L’articolo
11, paragrafo 2 della direttiva 2013/33 dispone segnatamente che i minori sono
trattenuti solo come ultima risorsa e dopo aver accertato che misure
alternative meno coercitive non possono essere applicate in maniera efficace.
202 La
protezione in tal modo specificamente accordata ai minori completa le garanzie
riconosciute in modo più generale da tale articolo 11 a tutti i richiedenti che
necessitano di condizioni di accoglienza particolari.
203 Orbene,
l’Ungheria non nega che tutti i richiedenti protezione internazionale
minorenni, ad eccezione dei minori non accompagnati di età inferiore a 14 anni,
sono costretti a rimanere in una delle due zone di transito di Röszke o di Tompa fino all’esito
della procedura di esame della loro domanda, o anche, eventualmente, fino
all’esito del procedimento giurisdizionale avente ad oggetto l’esame del ricorso
diretto a contestare una decisione di rigetto di tale domanda, a meno che tali
persone siano già oggetto di un’altra misura di trattenimento o di restrizione
della loro libertà individuale o dispongano già di un altro titolo di soggiorno
sul territorio ungherese, il che è incompatibile con le garanzie specifiche
derivanti dall’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2013/33.
204 In
quarto luogo, la Commissione contesta all’Ungheria di aver violato l’articolo 9
della direttiva 2013/33 in quanto il trattenimento dei richiedenti protezione
internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa non sarebbe stato disposto per iscritto e non
consentirebbe al richiedente di conoscere i motivi di fatto e di diritto sui
quali tale trattenimento si basa.
205 In
conformità all’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2013/33, il
trattenimento di un richiedente protezione internazionale è disposto per
iscritto dall’autorità giurisdizionale o amministrativa, e il provvedimento di
trattenimento deve inoltre precisare i motivi di fatto e di diritto sui quali
si basa.
206 L’Ungheria
sostiene che l’autorità competente in materia di asilo adotta, in ogni singolo
caso, una decisione relativa alla sistemazione nella zona di transito
interessata, in quanto luogo di soggiorno attribuito al richiedente protezione
internazionale nel corso della procedura di esame della sua domanda.
207 Tale
affermazione non è tuttavia supportata da alcun rinvio ad una disposizione
della normativa nazionale pertinente. Del resto, se è vero che, ai sensi
dell’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto d’asilo, l’autorità
competente in materia di asilo assegna al richiedente la zona di transito
interessata come suo luogo di soggiorno, da tale disposizione non risulta, tuttavia,
che un provvedimento del genere debba rivestire la forma di un atto scritto la
cui motivazione soddisfi i requisiti enunciati all’articolo 9, paragrafo 2,
della direttiva 2013/33.
208 Ne
consegue che la Commissione ha dimostrato in modo giuridicamente adeguato che
l’Ungheria non si era conformata agli obblighi di cui all’articolo 9 della
direttiva 2013/33.
209 Dall’insieme
delle considerazioni che precedono risulta che l’Ungheria non ha rispettato gli
obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 24, paragrafo 3, e
dell’articolo 43 della direttiva 2013/32, nonché degli articoli 8, 9 e 11 della
direttiva 2013/33.
210 Per
contro, la Commissione non ha esposto le ragioni per le quali l’Ungheria
avrebbe violato l’articolo 2, lettera h), della direttiva 2013/33, disposizione
che si limita a definire la nozione di «trattenimento» ai sensi di tale
direttiva.
211 A tale
riguardo, occorre precisare che la circostanza che l’Ungheria abbia istituito
un sistema di trattenimento, nelle zone di transito di Röszke
e Tompa, al di fuori dei casi in cui il diritto
dell’Unione autorizza il trattenimento di un richiedente protezione
internazionale e senza rispettare le garanzie che, in forza di tale diritto,
devono circondare un tale trattenimento non può essere sufficiente a dimostrare
un mancato o errato recepimento, da parte di tale Stato membro, della
definizione stessa della nozione di «trattenimento» di cui all’articolo 2,
lettera h), della direttiva 2013/33.
– Sull’articolo
72 TFUE
212 Ai sensi
dell’articolo 72 TFUE, le disposizioni contenute nel titolo V del Trattato
FUE, relativo allo spazio di sicurezza, di libertà e di giustizia, non ostano
all’esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il
mantenimento dell’ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna.
213 Come
esposto al punto 141 della presente sentenza, l’Ungheria sostiene che tale
articolo 72 autorizza gli Stati membri a derogare alle norme dell’Unione
adottate, conformemente all’articolo 78 TFUE, in materia di asilo, di
protezione sussidiaria e di protezione temporanea, qualora il rispetto di tali
norme osti a una gestione adeguata da parte degli Stati membri di una
situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso in massa di richiedenti
protezione internazionale. Ne conseguirebbe, più in particolare, nel caso di
specie, che le norme nazionali che disciplinano le procedure condotte nelle
zone di transito di Röszke e Tompa
potrebbero derogare all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della
direttiva 2013/32.
214 A tale
riguardo, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante della Corte,
anche se spetta agli Stati membri stabilire le misure adeguate per garantire l’ordine pubblico nel loro territorio nonché
la loro sicurezza interna ed esterna, da ciò non deriva tuttavia che simili
misure esulino del tutto dall’applicazione del diritto dell’Unione. Infatti,
come la Corte ha dichiarato, il Trattato FUE prevede deroghe espresse da
applicare in situazioni che possono compromettere l’ordine pubblico o la pubblica
sicurezza soltanto nei suoi articoli 36, 45, 52, 65, 72, 346 e 347, che
riguardano ipotesi eccezionali chiaramente delimitate. Non è lecito dedurne una
riserva generale, inerente al Trattato FUE, che escluda dall’ambito
d’applicazione del diritto dell’Unione qualsiasi provvedimento adottato per
motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Ammettere l’esistenza di una
riserva del genere, prescindendo dai presupposti specifici stabiliti dal
Trattato, rischierebbe di compromettere la forza cogente e l’applicazione
uniforme del diritto dell’Unione [sentenza del 2 aprile 2020,
Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di
ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17
e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 143 e giurisprudenza ivi citata].
215 Inoltre,
la deroga prevista all’articolo 72 TFUE, per costante giurisprudenza, in
particolare, in materia di deroghe previste agli articoli 346 e 347 TFUE,
deve essere interpretata restrittivamente. Ne consegue che tale articolo 72 non
può essere interpretato nel senso che conferisce agli Stati membri il potere di
derogare alle disposizioni del diritto dell’Unione mediante un mero richiamo a
responsabilità che incombono sui medesimi per il mantenimento dell’ordine
pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna [v., in tal senso, sentenza
del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo
temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17,
C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punti 144 e 145 e
giurisprudenza ivi citata].
216 La
portata delle esigenze relative al mantenimento dell’ordine pubblico o della
sicurezza nazionale non può quindi essere determinata unilateralmente da ogni
Stato membro, senza il controllo delle istituzioni dell’Unione. È pertanto
onere dello Stato membro che invoca il beneficio dell’articolo 72 TFUE
dimostrare la necessità di avvalersi della deroga prevista da tale articolo al
fine di esercitare le proprie responsabilità in materia di mantenimento
dell’ordine pubblico e della salvaguardia della sicurezza interna [sentenza del
2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo
temporaneo di ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17,
C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punti 146 e 147].
217 Orbene,
occorre rilevare, in primo luogo, che, nell’ambito del presente ricorso,
l’Ungheria si è limitata a invocare, in maniera generale, i rischi di turbative
dell’ordine pubblico e della sicurezza interna che un afflusso in massa di
richiedenti protezione internazionale potrebbe causare, senza dimostrare in
modo giuridicamente adeguato la necessità in cui essa versava di derogare
specificamente all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva
2013/32, tenuto conto della situazione esistente nel suo territorio alla
scadenza del termine impartito nel parere motivato, ossia all’8 febbraio 2018.
218 Pertanto,
se è vero che tale Stato membro menziona, a sostegno della propria linea
difensiva relativa alla prima censura, un numero rilevante di reati, commessi
nel corso del 2018, che esso ha considerato connessi all’immigrazione
clandestina, ciò non toglie che esso non precisa l’impatto che detti reati
hanno potuto avere sul mantenimento dell’ordine pubblico e sulla salvaguardia
della sicurezza interna nel suo territorio fino all’8 febbraio 2018. L’Ungheria
non precisa neppure sotto quale profilo si imponesse una deroga all’articolo
24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32, tenuto conto di un
simile numero di reati, al fine di garantire il mantenimento dell’ordine
pubblico e della sicurezza interna.
219 In senso
esattamente contrario, occorre rilevare che, secondo le affermazioni dello
stesso Stato membro, la maggior parte dei reati richiamati da quest’ultimo era
legata all’ingresso e al soggiorno irregolari nel suo territorio. Orbene,
l’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo impone il
trattenimento di richiedenti protezione internazionale che non hanno cercato di
entrare illegalmente in Ungheria e che, tenuto conto di tale qualità di
richiedente protezione internazionale, non possono essere considerati in
situazione di soggiorno irregolare nel territorio di tale Stato membro.
220 Ne
consegue che l’Ungheria non dimostra in che modo i reati da essa richiamati
richiedessero, al fine di garantire il mantenimento dell’ordine pubblico e
della sicurezza interna, di derogare, nel modo previsto da tale articolo 80/J,
paragrafo 5, alle garanzie che circondano il trattenimento dei richiedenti
protezione internazionale, imposte all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo
43 della direttiva 2013/32.
221 In
secondo luogo, occorre sottolineare che il legislatore dell’Unione ha
debitamente tenuto conto dell’esercizio delle responsabilità incombenti agli
Stati membri in forza dell’articolo 72 TFUE consentendo a questi ultimi,
conformemente all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, lettera e), della
direttiva 2013/33, di trattenere ogni richiedente protezione internazionale
qualora lo richieda la protezione della sicurezza nazionale o dell’ordine
pubblico, il che, come ricordato al punto 172 della presente sentenza,
presuppone tuttavia che sia dimostrato che il comportamento individuale del
richiedente protezione internazionale costituisca una minaccia reale, attuale e
sufficientemente grave nei confronti di un interesse fondamentale della società
o della sicurezza interna o esterna dello Stato membro interessato.
222 Peraltro,
come sottolineato dalla Commissione, adottando le direttive 2013/32 e 2013/33,
il legislatore dell’Unione ha altresì provveduto a prendere in considerazione
la situazione in cui uno Stato membro debba far fronte a un aumento molto
significativo del numero di domande di protezione internazionale.
223 In tal
senso, in particolare, l’articolo 10, paragrafo 1, e l’articolo 18, paragrafo
9, della direttiva 2013/33 consentono di derogare parzialmente alle
disposizioni di tale direttiva qualora le capacità di collocamento in centri di
permanenza temporanea o le capacità di alloggio in centri di accoglienza siano
esaurite.
224 Occorre
inoltre rilevare che l’articolo 43, paragrafo 3, della direttiva 2013/32
consente, in caso di afflusso in massa di richiedenti protezione internazionale
alle frontiere di uno Stato membro o nelle zone di transito di quest’ultimo, di
proseguire le procedure di frontiera previste da tale articolo 43 al di là del
termine di quattro settimane previsto al paragrafo 2 di quest’ultimo, limitando
al contempo la libertà di movimento di tali richiedenti a una zona situata
nelle immediate vicinanze delle frontiere o delle zone di transito di tale
Stato membro, conformemente all’articolo 7 della direttiva 2013/33 (v., in tal
senso, sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság
Dél-alföldi Regionális Igazgatóság, C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU,
EU:C:2020:367, punto 247).
225 Ne
consegue che, nell’ambito del presente ricorso, l’Ungheria non può
legittimamente invocare l’articolo 72 TFUE per giustificare l’inosservanza
degli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 24, paragrafo 3, e
dell’articolo 43 della direttiva 2013/32.
226 Dall’insieme
delle considerazioni che precedono risulta che l’Ungheria è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 24, paragrafo 3, e
dell’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché degli articoli 8, 9 e 11 della
direttiva 2013/33, istituendo un sistema di trattenimento generalizzato dei
richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, senza
rispettare le garanzie previste da tali disposizioni.
Sulla
quarta censura, relativa all’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui
soggiorno è irregolare
Argomenti
delle parti
227 La
Commissione contesta all’Ungheria di aver permesso, in forza dell’articolo 5,
paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato, che, in una
situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, i cittadini di paesi
terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare siano ricondotti
forzatamente su una striscia di terra priva di qualsiasi infrastruttura, tra
una barriera di frontiera, situata nel territorio ungherese, e la frontiera
serbo-ungherese propriamente detta, senza che le procedure e le garanzie
definite all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12,
paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1 della direttiva 2008/115 siano
rispettate.
228 In primo
luogo, la Commissione rileva che l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della
legge sulle frontiere dello Stato si sostituisce all’articolo 5, paragrafo
1 bis, di tale legge, quando viene dichiarata una situazione di crisi
causata da un’immigrazione di massa, e riguarda tutti i cittadini di paesi
terzi il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare. L’Ungheria non
potrebbe pertanto fondarsi sull’eccezione all’ambito di applicazione della
direttiva 2008/115, prevista all’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di
quest’ultima.
229 In
secondo luogo, anche se non è ricondotto fino alla frontiera propriamente
detta, il cittadino di un paese terzo, scortato fino a una stretta striscia
frontaliera del territorio ungherese, in cui non è disponibile alcuna
infrastruttura e dalla quale non vi è modo di recarsi nel resto del territorio
ungherese, ad eccezione delle zone di transito di Röszke
e di Tompa, non avrebbe, in pratica, altra scelta se
non quella di lasciare detto territorio, tenuto conto della lunga attesa
esistente per entrare in una di tali zone di transito.
230 La
misura prevista all’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle
frontiere dello Stato corrisponderebbe pertanto alla nozione di
«allontanamento» quale definita all’articolo 3, punto 5, della direttiva
2008/115, anche se l’operazione di trasporto fisico potrebbe non concludersi al
di fuori del territorio dello Stato membro interessato.
231 L’allontanamento
dei cittadini di paesi terzi in situazione di soggiorno irregolare avverrebbe
tuttavia senza l’adozione di una decisione di rimpatrio nei loro confronti, in
modo indiscriminato, senza tener conto dell’interesse superiore del minore,
della vita familiare e dello stato di salute dell’interessato e senza
rispettare il principio di non respingimento. Non sarebbe fornita alcuna
giustificazione scritta e, in mancanza di una decisione di rimpatrio,
l’interessato non disporrebbe di alcun mezzo di ricorso.
232 In terzo
luogo, la Commissione ritiene che una siffatta deroga sostanziale, generale e
prolungata alle disposizioni della direttiva 2008/115 non possa essere
giustificata ai sensi dell’articolo 72 TFUE. Il legislatore dell’Unione
avrebbe, del resto, rispettato tale disposizione di diritto primario
prevedendo, all’articolo 18 della direttiva 2008/115, norme specifiche
destinate ad essere applicate alle situazioni di emergenza causate dal numero
eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi soggetti a un obbligo di
rimpatrio.
233 In primo
luogo, l’Ungheria deduce che l’articolo 5, paragrafo 1 bis, della legge
sulle frontiere dello Stato ricade nella deroga di cui all’articolo 2,
paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2008/115. Quanto all’articolo 5,
paragrafo 1 ter, di detta legge, tale Stato membro sostiene che esso può
essere applicato solo in caso di situazione di crisi causata da un’immigrazione
di massa, e ciò al fine di preservare l’ordine pubblico e la sicurezza interna.
234 Orbene,
l’articolo 72 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2,
TUE, consentirebbe agli Stati membri di adottare e di applicare norme relative
al mantenimento dell’ordine pubblico e alla salvaguardia della sicurezza
interna derogatorie rispetto alle disposizioni del diritto dell’Unione. A tale
riguardo, il quadro normativo, previsto dal diritto derivato ai fini della
gestione delle situazioni di crisi causate da un’immigrazione di massa, si
sarebbe rivelato insufficiente a parere stesso della Commissione, che ne
avrebbe tratto le conseguenze presentando, nel 2016, una riforma importante per
quanto riguarda le direttive 2013/32 e 2008/115.
235 In una
situazione di crisi come quella esistente in Ungheria, l’articolo 5,
paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato potrebbe
pertanto derogare alle disposizioni della direttiva 2008/115 che la Commissione
ritiene essere state violate da tale Stato membro.
236 In
secondo luogo, l’Ungheria sostiene che, in ogni caso, in forza di detto
articolo 5, paragrafo 1 ter, i servizi di polizia sono autorizzati a far
attraversare, ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio
ungherese è irregolare, non la frontiera serbo-ungherese, ma unicamente la
barriera di frontiera, che sarebbe situata in Ungheria, a poca distanza da tale
frontiera, anche se non esiste alcuna infrastruttura sulla striscia di terra
che separa tale barriera dalla suddetta frontiera propriamente detta. I
cittadini di paesi terzi non sarebbero di conseguenza allontanati verso la
Serbia. In mancanza di un rimpatrio effettivo, l’applicazione delle norme della
direttiva 2008/115 sarebbe per definizione esclusa, in quanto uno Stato membro
non può eseguire un provvedimento di allontanamento sul proprio territorio.
237 Il
trasferimento effettuato ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della
legge sulle frontiere dello Stato avrebbe, in realtà, lo scopo di consentire a
tali cittadini di presentare, quanto prima, una domanda di protezione
internazionale nelle zone di transito di Röszke e di Tompa.
238 Il
diritto dell’Unione non indicherebbe, del resto, il luogo in cui occorrerebbe
condurre le persone il cui soggiorno è irregolare, né imporrebbe di offrire a
questi ultimi una qualche assistenza.
239 In terzo
luogo, l’Ungheria sottolinea che, in sede di applicazione pratica delle misure
di polizia adottate sul fondamento dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della
legge sulle frontiere dello Stato, il modo in cui sono trattati i cittadini di
paesi terzi sarebbe conforme ai requisiti di cui all’articolo 3, punto 5, della
direttiva 2008/115.
240 Le
garanzie generali riguardanti le misure di polizia, in particolare il requisito
di proporzionalità, sarebbero fissate nella Rendőrségről
szóló 1994. évi XXXIV. törvény (legge XXXIV del 1994 relativa alla polizia) (Magyar
Közlöny 1994/41). Inoltre, chiunque sia
stato oggetto di misure coercitive disporrebbe della facoltà di proporre
ricorso ai sensi dell’articolo 92 di tale legge. Infine, l’articolo 33 di detta
legge definirebbe, nei dettagli, gli obblighi che devono essere rispettati
nell’ambito di un provvedimento di polizia adottato in forza dell’articolo 5,
paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato.
Giudizio
della Corte
241 Con la
sua quarta censura, la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di
essere venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5,
dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo
13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, consentendo che i cittadini di paesi
terzi il cui soggiorno è irregolare e che sono fermati sul territorio ungherese
siano ricondotti forzatamente al di là di una barriera di frontiera eretta in
tale territorio, ad alcuni metri dalla frontiera serbo-ungherese, senza che le
procedure e le garanzie previste da tali disposizioni siano rispettate.
242 A tale
riguardo, in primo luogo, occorre sottolineare che, secondo l’articolo 2,
paragrafo 1, della direttiva 2008/115, quest’ultima si applica, in linea di
principio, a tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio
di uno Stato membro sia irregolare.
243 La nozione
di «soggiorno irregolare» è definita all’articolo 3, punto 2, di tale direttiva
come presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese
terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui
all’articolo 6 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso, di
soggiorno o di residenza in tale Stato membro. Da tale definizione risulta che
qualunque cittadino di un paese terzo che sia presente sul territorio di uno
Stato membro senza ivi soddisfare le condizioni d’ingresso, di soggiorno o di
residenza soggiorna, per effetto di detta sola circostanza, in modo irregolare
senza che tale presenza sia subordinata alla condizione di una durata minima o
dell’intenzione di restare in tale territorio (sentenza del 7 giugno 2016, Affum, C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 48).
244 Nel caso
di specie, è pacifico che l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle
frontiere dello Stato consente di adottare una misura di riconduzione forzata
al di là della barriera di frontiera nei confronti dei cittadini di paesi terzi
soggiornanti irregolarmente nel territorio ungherese, ai sensi dell’articolo 3,
punto 2, della direttiva 2008/115, a meno che tali cittadini non siano
sospettati di aver commesso un reato.
245 In
secondo luogo, occorre rilevare che l’articolo 2, paragrafo 2, di tale
direttiva elenca i motivi per i quali gli Stati membri possono decidere di
sottrarre dall’ambito di applicazione di detta direttiva un cittadino di un
paese terzo il cui soggiorno sia irregolare, ai sensi di detto articolo 3,
punto 2.
246 Ciò
premesso, è pacifico che l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle
frontiere dello Stato non limita il suo ambito di applicazione alle categorie
di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare nei confronti dei
quali l’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 autorizza gli Stati
membri a derogare a tale direttiva. Del resto, l’Ungheria non sostiene che tale
articolo 5, paragrafo 1 ter rientri in una delle deroghe previste da detto
articolo 2, paragrafo 2.
247 In terzo
luogo, qualora un cittadino di un paese terzo rientri nell’ambito di
applicazione della direttiva 2008/115, egli deve, in linea di principio, essere
assoggettato alle norme e alle procedure comuni previste da quest’ultima al
fine del suo allontanamento, e ciò fintantoché il soggiorno non sia stato,
eventualmente, regolarizzato (v., in tal senso, sentenze del 7 giugno 2016, Affum, C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 61, nonché del
19 marzo 2019, Arib e a., C‑444/17, EU:C:2019:220,
punto 39).
248 In forza
di tali norme e procedure, il cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è
irregolare dev’essere oggetto di una procedura di rimpatrio, la cui successione
delle fasi corrisponde ad una gradazione delle misure da adottare ai fini
dell’esecuzione della decisione di rimpatrio, che deve, in linea di principio,
essere stata adottata nei suoi confronti, affinché sia rimpatriato in maniera
umana e nel pieno rispetto dei suoi diritti fondamentali nonché della sua
dignità [v., in tal senso, sentenze del 7 giugno 2016, Affum,
C‑47/15, EU:C:2016:408, punto 62, nonché dell’8 maggio 2018, K.A.
e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16, EU:C:2018:308,
punto 100 e giurisprudenza ivi citata].
249 Così,
una volta constatata l’irregolarità del soggiorno, le autorità nazionali
competenti devono, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva
2008/115 e fatte salve le eccezioni previste dall’articolo 6, paragrafi da 2 a
5, della stessa, emanare una decisione di rimpatrio (sentenza dell’11 dicembre
2014, Boudjlida, C‑249/13, EU:C:2014:2431,
punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
250 Dal
considerando 6 della direttiva 2008/115 risulta inoltre che tale decisione di
rimpatrio deve essere adottata al termine di una procedura equa e trasparente.
Più in particolare, in applicazione dell’articolo 5 di tale direttiva, quando
l’autorità nazionale competente prevede di adottare una decisione di rimpatrio,
essa deve, da un lato, rispettare il principio di non-refoulement e tenere
nella debita considerazione l’interesse superiore del bambino, la vita
familiare e le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato
e, dall’altro, sentire l’interessato al riguardo [v., in tal senso, sentenza
dell’8 maggio 2018, K.A. e a. (Ricongiungimento familiare in Belgio), C‑82/16,
EU:C:2018:308, punti da 101 a 103].
251 La
direttiva 2008/115 fissa inoltre i requisiti formali
cui sono soggette le decisioni di rimpatrio. Conformemente al suo articolo 12,
paragrafo 1, tali decisioni devono essere adottate in forma scritta e devono
essere motivate. Il suo articolo 13, paragrafo 1, obbliga peraltro gli Stati
membri a predisporre mezzi di ricorso effettivi contro tali decisioni (v., in
tal senso, sentenza del 5 novembre 2014, Mukarubega,
C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 40).
252 Una
volta adottata la decisione di rimpatrio, il cittadino di un paese terzo che ne
è oggetto deve ancora, in linea di principio, beneficiare, in forza
dell’articolo 7 di detta direttiva, di un certo termine per lasciare
volontariamente il territorio dello Stato membro interessato. L’allontanamento
forzato avviene solo in ultima istanza, conformemente all’articolo 8 della
medesima direttiva, e fatto salvo l’articolo 9 della stessa, che impone agli
Stati membri di rinviare l’allontanamento nei casi da esso previsti.
253 Ne
consegue che, fatte salve le eccezioni previste all’articolo 6, paragrafi da 2
a 5, della direttiva 2008/115, gli Stati membri devono adottare una decisione
di rimpatrio nei confronti dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel
loro territorio è irregolare e che rientrano nell’ambito di applicazione di
tale direttiva, nel rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali che
quest’ultima istituisce, prima di procedere, se del caso, al loro
allontanamento.
254 Nel caso
di specie, in primo luogo, occorre rilevare che l’Ungheria non nega che, in
forza dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello
Stato, i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è
irregolare possano essere oggetto di una riconduzione forzata al di là della
barriera di frontiera, senza rispettare, in via preliminare, le procedure e le
garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12,
paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115. A tal
riguardo, occorre sottolineare che le garanzie che circondano l’intervento dei
servizi di polizia, fatte valere dall’Ungheria e riassunte al punto 240 della
presente sentenza, non possono, evidentemente, essere considerate
corrispondenti alle garanzie previste dalla direttiva 2008/115.
255 In
secondo luogo, contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, occorre assimilare
la riconduzione forzata di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è
irregolare al di là della barriera di frontiera eretta sul suo territorio a un
allontanamento da tale territorio.
256 Infatti,
se è vero che, ai sensi dell’articolo 3, punto 5, della direttiva 2008/115, per
allontanamento si intende il trasporto fisico fuori dallo Stato membro in
esecuzione di un obbligo di rimpatrio, resta il fatto che le garanzie che
circondano le procedure di rimpatrio e di allontanamento previste da tale
direttiva sarebbero private del loro effetto utile se uno Stato membro potesse
dispensarsene, anche quando esso proceda ad uno spostamento forzato di un
cittadino di un paese terzo, il quale equivale, in pratica, al suo trasporto
fisico al di fuori del suo territorio.
257 Orbene,
l’Ungheria ammette che lo spazio che si situa tra la barriera di frontiera, al
di là della quale i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare
possono essere ricondotti forzatamente, e la frontiera serbo-ungherese si
limita a una stretta striscia di terra priva di qualsiasi infrastruttura. Dopo
essere stato ricondotto forzatamente dalle autorità di polizia ungheresi in
tale stretta striscia di terra, il cittadino di un paese terzo non ha quindi
altra scelta se non quella di lasciare il territorio ungherese e di recarsi in
Serbia per poter alloggiarsi e nutrirsi.
258 A tal
riguardo, occorre rilevare che, contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria,
tale cittadino non dispone della possibilità effettiva di entrare, a partire da
tale striscia di terra, in una delle due zone di transito di Röszke e di Tompa per presentarvi
una domanda di protezione internazionale.
259 Come
rilevato al punto 128 della presente sentenza, esisteva infatti, almeno fino
alla scadenza del termine fissato nel parere motivato inviato dalla Commissione
all’Ungheria, una prassi costante e generalizzata delle autorità ungheresi
consistente nel ridurre drasticamente l’accesso a tali zone di transito, che
rendeva del tutto illusoria la possibilità, per un cittadino di un paese terzo
il cui soggiorno era irregolare ricondotto forzatamente al di là della barriera
di frontiera, di entrare, in tempi brevi, in una delle suddette zone di
transito.
260 Del
resto, il rappresentante speciale del Segretario generale del Consiglio
d’Europa per le migrazioni e i rifugiati e il Comitato europeo per la
prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti sono
giunti, in sostanza, alla stessa conclusione nelle loro relazioni allegate al
ricorso della Commissione.
261 Infine,
occorre respingere l’argomento dell’Ungheria secondo il quale l’articolo 5,
paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato sarebbe
giustificato in forza dell’articolo 72 TFUE, in combinato disposto con
l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, per motivi analoghi a quelli esposti ai punti
216 e 217 della presente sentenza, dal momento che tale Stato membro si limita,
a tal riguardo, a invocare, in maniera generale, un rischio di turbativa
dell’ordine pubblico e della sicurezza nazionale, senza dimostrare in modo
giuridicamente adeguato la necessità in cui esso versava di derogare
specificamente alla direttiva 2008/115, in considerazione della situazione
esistente nel suo territorio alla data dell’8 febbraio 2018 (v., per analogia,
sentenza del 2 luglio 2020, Stadt Frankfurt am Main, C‑18/19,
EU:C:2020:511, punti da 27 a 29 e giurisprudenza ivi citata).
262 Per
quanto riguarda, più specificamente, l’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’Ungheria
non dimostra che, alla luce di tale situazione, l’effettiva preservazione delle
funzioni statali essenziali contemplate da tale disposizione, come quella di
tutelare la sicurezza nazionale, poteva essere garantita solo derogando alla
direttiva 2008/115 [v., per analogia, sentenza del 2 aprile 2020,
Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di
ricollocazione di richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17
e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 170].
263 Occorre
altresì rilevare che il legislatore dell’Unione, adottando, in particolare,
l’articolo 6, paragrafo 2, l’articolo 7, paragrafo 4, l’articolo 11, paragrafi
2 e 3, nonché l’articolo 12, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva
2008/115, ha tenuto in debito conto l’esercizio delle responsabilità incombenti
agli Stati membri in forza dell’articolo 72 TFUE. Infatti, tali
disposizioni consentono a detti Stati di derogare a diverse norme imposte da
tale direttiva quando ciò sia necessario ai fini della tutela dell’ordine
pubblico o della sicurezza pubblica o nazionale.
264 Inoltre,
come fatto valere dalla Commissione, l’articolo 18 della direttiva 2008/115,
che l’Ungheria non ha richiamato, è espressamente dedicato alle situazioni di
emergenza che uno Stato membro può dover affrontare nei casi in cui numero
eccezionalmente elevato di cittadini di paesi terzi da rimpatriare comporti un
notevole onere imprevisto per la capacità dei centri di permanenza temporanea
di uno Stato membro o per il suo personale amministrativo o giudiziario. In
forza di detto articolo 18, gli Stati membri che devono affrontare una siffatta
situazione possono derogare a talune norme relative al trattenimento e al
mantenimento in stato di trattenimento dei cittadini di paesi terzi il cui
soggiorno è irregolare, senza con ciò violare il proprio obbligo generale di
adottare tutte le misure appropriate per assicurare il rispetto degli obblighi
ad essi incombenti in forza della direttiva 2008/115.
265 Infine,
contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, la mera circostanza che sia
prevista una revisione della direttiva 2008/115 non è sufficiente a dimostrare
che le disposizioni attualmente in vigore di tale direttiva non abbiano tenuto
in debito conto le responsabilità incombenti agli Stati membri nelle materie di
cui all’articolo 72 TFUE.
266 Dall’insieme
delle considerazioni che precedono risulta che, consentendo l’allontanamento di
tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio nazionale è
irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver commesso un
reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5,
all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13,
paragrafo 1, della direttiva 2008/115, l’Ungheria è venuta meno agli obblighi
ad essa incombenti in forza di tali disposizioni.
Sulla
quinta censura, relativa al diritto di rimanere nel territorio dello Stato
membro interessato
Argomenti
delle parti
267 La
Commissione ritiene, in primo luogo, che l’Ungheria non abbia correttamente
recepito l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, che garantisce il
diritto del richiedente protezione internazionale di rimanere nel territorio
dello Stato membro interessato in attesa dell’esito del procedimento avente ad
oggetto l’esame del ricorso giurisdizionale diretto contro la decisione che ha
respinto in prime cure la sua domanda.
268 Essa
rileva al riguardo che, secondo il diritto ungherese, la proposizione di un
ricorso avverso una decisione amministrativa non ha, in linea di principio,
effetto sospensivo, in quanto l’articolo 50 del codice di procedura
giurisdizionale amministrativa prevede unicamente la possibilità per un giudice
di disporre un simile effetto a determinate condizioni.
269 La legge
sul diritto di asilo, in quanto lex specialis, stabilirebbe, a sua volta, le norme in materia
di procedura giurisdizionale amministrativa applicabili al controllo delle
decisioni in materia di asilo. Orbene, la legge sulla gestione dell’immigrazione
di massa, entrata in vigore il 1° agosto 2015, avrebbe abrogato le
disposizioni della legge sul diritto di asilo che garantiscono espressamente
l’effetto sospensivo dei ricorsi proposti contro le decisioni di rigetto di una
domanda di protezione internazionale. Tale abrogazione varrebbe anche in
assenza di una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa.
270 È pur
vero che l’articolo 5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo
riconoscerebbe un diritto di soggiorno al richiedente. Tuttavia, tale
disposizione subordinerebbe tale diritto a condizioni supplementari che non
sono esposte precisamente. Peraltro, neppure l’articolo 80/J, paragrafo 5,
della legge sul diritto di asilo, applicabile in una situazione di crisi
causata da un’immigrazione di massa, garantirebbe un adeguato recepimento
dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32. Infatti, il soggiorno
nella zona di transito, imposto da detto articolo 80/J, paragrafo 5, dovrebbe
essere qualificato come trattenimento e non corrisponderebbe ai requisiti di
cui all’articolo 46 di tale direttiva.
271 Per
quanto riguarda, in secondo luogo, il controllo giurisdizionale delle decisioni
che respingono in quanto inammissibile una domanda di asilo, previsto
all’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32, l’articolo 53, paragrafo
6, della legge sul diritto di asilo prevederebbe che la presentazione del
ricorso a tal fine non abbia, in linea di principio, effetto sospensivo, il che
non sarebbe conforme a detto articolo 46, paragrafo 6, in forza del quale gli
Stati membri dovrebbero garantire l’effetto sospensivo automatico dei ricorsi
contro decisioni di inammissibilità, o garantire che un giudice adotti una
decisione relativa a tale effetto sospensivo.
272 Inoltre,
la legge sul diritto d’asilo non preciserebbe chiaramente se l’articolo 50 del
codice di procedura giurisdizionale amministrativa sia applicabile ai
procedimenti giudiziari rientranti nell’ambito di applicazione della legge sul
diritto di asilo.
273 In terzo
luogo, per quanto riguarda le ipotesi di cui all’articolo 46, paragrafo 6,
lettere a) e b), della direttiva 2013/32, per le quali si applica la norma di
cui all’articolo 46, paragrafo 5, di tale direttiva, la Commissione ammette che
esse sono contemplate all’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7,
lettera h), della legge sul diritto di asilo, e che l’articolo 53, paragrafo 6,
di tale legge prevede che il deposito di una richiesta non abbia l’effetto di
sospendere l’esecuzione della decisione impugnata, ad eccezione delle decisioni
in materia di asilo adottate in applicazione di detto articolo 51, paragrafo 2,
lettera e), e paragrafo 7, lettera h).
274 Tuttavia,
la legge sul diritto di asilo non prevederebbe chiaramente che il deposito di
un ricorso diretto a contestare le decisioni adottate sul fondamento di detto
articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h), abbia effetto
sospensivo. Solo un ragionamento a contrario consentirebbe di concludere che
sarebbe applicabile una regola diversa dalla mancanza di effetto sospensivo. Ad
ogni modo, il testo della legge sul diritto di asilo non preciserebbe se questa
diversa norma comporti un effetto sospensivo automatico, come sarebbe richiesto
dall’articolo 46, paragrafo 5, e paragrafo 6, lettere a) e b), della direttiva
2013/32.
275 L’Ungheria
replica che la sua normativa garantisce adeguatamente la possibilità, per i
richiedenti protezione internazionale, di rimanere nel suo territorio,
conformemente all’articolo 46 della direttiva 2013/32, anche se tale articolo
non è stato recepito in modo letterale nel suo diritto nazionale.
276 In primo
luogo, l’articolo 5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo prevederebbe
che il richiedente abbia il diritto di soggiornare nel territorio ungherese
conformemente alle condizioni previste da tale legge. Tale diritto dovrebbe
essere garantito ad ogni richiedente assoggettato a una procedura di asilo, il
che implicherebbe, conformemente all’articolo 35, paragrafo 1, di detta legge,
che egli ne benefici fino alla notifica della decisione emessa in esito alla
procedura di asilo, decisione che corrisponderebbe, eventualmente, alla
decisione giurisdizionale pronunciata a seguito dell’esame del ricorso volto a
contestare la decisione di rigetto della domanda di protezione internazionale.
277 Il
rinvio alle condizioni previste dalla legge, operato dall’articolo 5, paragrafo
1, della legge sul diritto di asilo, implicherebbe che il cittadino di un paese
terzo debba conformarsi allo status di richiedente definito dalla legge.
Un’altra condizione potrebbe essere l’obbligo, per il richiedente, di risiedere
nel luogo designato dall’autorità competente in materia di asilo. L’articolo
80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo istituirebbe una regola di
questo tipo. Infine, tali condizioni sarebbero parimenti volte ad escludere dal
beneficio del diritto di soggiorno il richiedente protezione internazionale che
inoltri nuovamente una domanda di protezione internazionale, conformemente
all’articolo 80/K, paragrafo 11, di tale legge.
278 Inoltre,
ai sensi dell’articolo 80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo,
qualora venga dichiarata una situazione di crisi causata da un’immigrazione di
massa, il richiedente avrebbe il diritto di soggiornare nella zona di transito
interessata e, pertanto, nel territorio ungherese, fino alla notifica della
decisione definitiva, conformemente all’articolo 80/J, paragrafo 2, di tale
legge.
279 Per
quanto riguarda, in secondo luogo, le ipotesi di cui all’articolo 46, paragrafo
6, della direttiva 2013/32, il richiedente, in forza dell’articolo 50 del
codice di procedura giurisdizionale amministrativa, sarebbe in grado di
chiedere una tutela giurisdizionale immediata, la quale potrebbe tradursi nella
concessione di un effetto sospensivo e, di conseguenza, nella possibilità di
rimanere nel territorio ungherese.
280 In terzo
luogo, le ipotesi previste all’articolo 46, paragrafo 6, lettere a) e b), della
direttiva 2013/32, per le quali si applica l’articolo 46, paragrafo 5,
sarebbero contemplate dall’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7,
lettera h), della legge sul diritto di asilo, essendo automaticamente garantito
il diritto di rimanere nel territorio ungherese in entrambi i casi.
Giudizio
della Corte
281 Con la
sua quinta censura, la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di
essere venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 46,
paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/32, in quanto tale Stato membro non
garantisce, alle condizioni previste da tali disposizioni, il diritto dei
richiedenti protezione internazionale di rimanere nel suo territorio, in attesa
dell’esito del procedimento avente ad oggetto l’esame del ricorso diretto
contro la decisione che ha respinto in prime cure la loro domanda.
– Sulla
prima parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 5, della
direttiva 2013/32
282 In primo
luogo, occorre rilevare che, in forza dell’articolo 46, paragrafo 5, della
direttiva 2013/32, i richiedenti protezione internazionale sono autorizzati,
fatti salvi i casi di cui all’articolo 41, paragrafo 1, e all’articolo 46,
paragrafo 6, di tale direttiva, a rimanere nel territorio dello Stato membro
interessato fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il
loro diritto a un ricorso effettivo contro le decisioni di cui al paragrafo 1
di tale articolo 46 oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine
previsto, in attesa dell’esito del ricorso.
283 Ai sensi
dell’articolo 2, lettera p), della direttiva 2013/32, l’espressione «rimanere
nello Stato membro» si riferisce al fatto di rimanere nel territorio dello
Stato membro in cui la domanda di protezione internazionale è stata presentata
o è oggetto d’esame, compreso alla frontiera o in una delle zone di transito
del medesimo.
284 In
secondo luogo, occorre sottolineare che il cittadino di un paese terzo o
l’apolide la cui domanda di protezione internazionale sia stata respinta in
prime cure dall’autorità accertante continua a beneficiare, in forza
dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2013/33, in combinato disposto
con l’articolo 2, lettera b), della stessa, delle condizioni di accoglienza
previste da tale direttiva, fintantoché egli sia autorizzato a soggiornare nel
territorio, in forza dell’articolo 46 della direttiva 2013/32, al fine di
contestare una simile decisione di rigetto.
285 Infatti,
l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2013/33 prevede che il richiedente
protezione internazionale benefici delle condizioni di accoglienza previste da
tale direttiva, per tutto il tempo in cui quest’ultimo è autorizzato a rimanere
nel territorio dello Stato membro interessato nella sua qualità di richiedente
e, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di detta direttiva, il cittadino di un
paese terzo o l’apolide deve essere considerato un richiedente protezione
internazionale, ai sensi della medesima direttiva, fintantoché non sia stata
adottata una decisione definitiva sulla sua domanda.
286 Orbene,
alla luce dello stretto legame esistente tra l’ambito di applicazione della
direttiva 2013/32 e quello della direttiva 2013/33, occorre utilizzare, ai fini
dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/33, la stessa definizione di
decisione definitiva adottata dall’articolo 2, lettera e), della direttiva
2013/32 al fine di determinare l’ambito di applicazione di quest’ultima
direttiva, vale a dire una decisione che stabilisce se a un cittadino di un
paese terzo o a un apolide è concesso lo status di rifugiato o di protezione
sussidiaria e che non è più impugnabile nell’ambito del capo V di tale
direttiva, indipendentemente dal fatto che l’impugnazione produca l’effetto di
autorizzare i richiedenti a rimanere negli Stati membri interessati in attesa
del relativo esito.
287 Ne
consegue, da un lato, che, sebbene l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva
2013/32 si limiti a conferire al richiedente protezione internazionale che
rientra nel suo ambito di applicazione un diritto di rimanere nel territorio
dello Stato membro interessato, l’esistenza di tale diritto è tuttavia sancita
in modo incondizionato, fatte salve le eccezioni previste all’articolo 41,
paragrafo 1, e all’articolo 46, paragrafo 6, di tale direttiva, e, dall’altro,
che uno Stato membro può fissare modalità di esercizio di un diritto siffatto
solo a condizione che queste ultime siano conformi, in particolare, alle
direttive 2013/32 e 2013/33.
288 In terzo
luogo, occorre ricordare che, secondo giurisprudenza costante della Corte, le
disposizioni di una direttiva devono essere attuate con un’efficacia cogente
incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per
garantire la certezza del diritto, la quale esige che, qualora la direttiva
miri ad attribuire diritti ai singoli, i destinatari siano posti in grado di
conoscere la piena portata dei loro diritti (sentenze dell’8 luglio 1999,
Commissione/Francia, C‑354/98, EU:C:1999:386, punto 11; del 14 marzo
2006, Commissione/Francia, C‑177/04, EU:C:2006:173, punto 48, e del 4
ottobre 2018, Commissione/Spagna, C‑599/17, non pubblicata,
EU:C:2018:813, punto 19 e giurisprudenza ivi citata)
289 Ne
consegue che, quando uno Stato membro decide di stabilire le modalità di
esercizio del diritto di rimanere nel suo territorio, come sancito
dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, queste ultime devono
essere definite in modo sufficientemente chiaro e preciso affinché il
richiedente protezione internazionale possa conoscere l’esatta portata di tale
diritto e sia possibile valutare se siffatte modalità siano compatibili, in
particolare, con le direttive 2013/32 e 2013/33.
290 Sulla
scorta di tali osservazioni, occorre, nel caso di specie, rilevare, in primo
luogo, come sia pacifico che, in caso di dichiarazione di una situazione di
crisi causata da un’immigrazione di massa, l’articolo 80/J, paragrafo 5, della
legge sul diritto d’asilo stabilisce, in deroga all’articolo 5, paragrafo 1,
lettera a), di tale legge, che i richiedenti sono tenuti a rimanere nelle zone
di transito di Röszke e di Tompa
fino all’esito della procedimento che ha ad oggetto l’esame del ricorso
proposto contro la decisione dell’autorità competente in materia di asilo
recante rigetto della loro domanda.
291 Tale
articolo 80/J, paragrafo 5, garantisce quindi che i richiedenti abbiano il
diritto di rimanere nel territorio ungherese fintantoché pende il ricorso
giurisdizionale diretto contro la decisione che ha respinto la loro domanda.
Ciò premesso, come rilevato al punto 226 della presente sentenza, durante tale
periodo essi sono soggetti ad un sistema di trattenimento generalizzato, in
tali zone di transito, incompatibile con i diritti riconosciuti loro
dall’articolo 24, paragrafo 3, e dall’articolo 43 della direttiva 2013/32
nonché dagli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33.
292 A tal
riguardo, occorre rilevare, più in particolare, tenuto conto della situazione
discussa nell’ambito dell’esame della presente censura, che nessuno dei motivi
di trattenimento elencati all’articolo 8, paragrafo 3, primo comma, della
direttiva 2013/33 riguarda l’ipotesi di un richiedente protezione
internazionale la cui domanda sia stata respinta in prime cure dall’autorità
accertante e che benefici ancora di un termine per proporre ricorso avverso
tale decisione o che abbia proposto un tale ricorso.
293 Ebbene,
come risulta dal punto 287 della presente sentenza, uno Stato membro non può
imporre modalità di esercizio del diritto di rimanere nel suo territorio,
garantito dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, che violino i
diritti garantiti ai richiedenti protezione internazionale dalle direttive
2013/32 e 2013/33.
294 Ne
consegue che l’Ungheria, consentendo, in caso di dichiarazione di una
situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, ai richiedenti
protezione internazionale la cui domanda è stata respinta in prime cure
dall’autorità accertante di rimanere nel suo territorio solo a condizione che
essi siano trattenuti in maniera contraria alle direttive 2013/32 e 2013/33, è
venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 46,
paragrafo 5, della direttiva 2013/32.
295 In
secondo luogo, è pacifico che, qualora non venga dichiarata alcuna situazione
di crisi causata da un’immigrazione di massa, l’articolo 5, paragrafo 1,
lettera a), della legge sul diritto di asilo, che non è stato abrogato dalla
legge XX del 2017, prevede che il richiedente asilo abbia il diritto di
soggiornare nel territorio ungherese conformemente alle condizioni previste da
tale legge, fermo restando che tale diritto sussiste, in forza dell’articolo
35, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo, fino alla notifica della
decisione non impugnabile emessa in esito alla procedura di asilo.
296 La
Commissione ritiene tuttavia che tale normativa non garantisca
al richiedente protezione internazionale il diritto di rimanere nel territorio
ungherese, alle condizioni previste all’articolo 46, paragrafo 5, della
direttiva 2013/32, in quanto tale diritto è subordinato, dall’articolo 5,
paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo, a condizioni non altrimenti
definite.
297 L’Ungheria
ha sottolineato, nelle sue memorie processuali e in udienza, che le condizioni
alle quali tale articolo 5, paragrafo 1, rinvia consistono nel richiedere, da
un lato, che l’interessato si conformi allo status di richiedente stabilito
dalla legge e rispetti, inoltre, l’obbligo che gli è imposto, se del caso, di
risiedere in un luogo determinato, che può essere, conformemente all’articolo
80/J, paragrafo 5, della legge sul diritto di asilo, una delle due zone di
transito di Röszke e di Tompa,
qualora sia stata dichiarata una situazione di crisi causata da un’immigrazione
di massa. Dall’altro lato, secondo tale Stato membro, tali condizioni mirano
anche a privare, conformemente all’articolo 80/K, paragrafo 11, di tale legge,
il richiedente che ha presentato una nuova domanda di asilo del diritto di
rimanere nel territorio ungherese, quando sia stata emessa una decisione
definitiva di chiusura o di rigetto in merito alla sua precedente domanda.
298 A tal
riguardo, sotto un primo profilo, occorre rilevare che, conformemente
all’articolo 7 della direttiva 2013/33, gli Stati membri possono imporre, a
determinate condizioni, un luogo di residenza ai richiedenti protezione
internazionale, anche dopo che la loro domanda sia stata respinta in prime cure
dall’autorità accertante. Pertanto, non si può ritenere contrario all’articolo
46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 che il diritto di rimanere nel
territorio di uno Stato membro sia subordinato al rispetto di una simile
condizione di residenza, purché quest’ultima rispetti le garanzie previste
all’articolo 7 della direttiva 2013/33. Occorre tuttavia rilevare che
l’Ungheria non individua una disposizione della legge sul diritto di asilo che
contenga proprio una condizione del genere.
299 Sotto un
secondo profilo, occorre rilevare che l’articolo 80/J, paragrafo 5, e
l’articolo 80/K, paragrafo 11, della legge sul diritto di asilo sono
applicabili unicamente qualora sia stata dichiarata una situazione di crisi
causata da un’immigrazione di massa e che, come ammesso dall’Ungheria in
udienza, in una simile ipotesi, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della
legge sul diritto di asilo non è applicabile. Tale Stato membro non può
pertanto, senza cadere in contraddizione, affermare che l’articolo 80/J,
paragrafo 5, e l’articolo 80/K, paragrafo 11, della legge sul diritto di asilo
fissano le condizioni alle quali si applica l’articolo 5, paragrafo 1, di tale
legge.
300 Infine,
sotto un terzo profilo, occorre rilevare che la condizione che impone di
rispettare lo status di richiedente protezione internazionale definito dalla
legge e alla quale, secondo le stesse affermazioni dell’Ungheria, il diritto di
soggiorno derivante dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della legge sul
diritto di asilo sarebbe a sua volta subordinato si presta a diverse
interpretazioni e rinvia ad altre condizioni, che non sono state identificate
da tale Stato membro.
301 Orbene,
come rilevato al punto 289 della presente sentenza, quando uno Stato membro
prevede modalità di esercizio del diritto di rimanere nel suo territorio,
garantito dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, tali modalità
devono essere individuate in modo sufficientemente chiaro e preciso affinché il
richiedente protezione internazionale possa conoscere l’esatta portata di tale
diritto e sia possibile valutare se modalità siffatte siano compatibili, in
particolare, con le direttive 2013/32 e 2013/33.
302 Dall’insieme
delle considerazioni che precedono risulta che l’Ungheria è venuta meno agli
obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 46, paragrafo 5, della
direttiva 2013/32.
– Sulla
seconda parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 6,
della direttiva 2013/32
303 In
deroga all’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, l’articolo 46,
paragrafo 6, della medesima consente agli Stati membri, nei casi previsti da
tale disposizione, in particolare quando la decisione di rigetto della domanda
di protezione internazionale sia fondata su determinati motivi di
inammissibilità, di non concedere automaticamente il diritto di rimanere nel
territorio in attesa dell’esito del ricorso proposto dal richiedente, purché un
giudice sia competente a decidere se l’interessato possa rimanere nel
territorio dello Stato membro interessato, nonostante la decisione adottata in
prime cure di cui egli è oggetto.
304 Secondo
la Commissione, l’Ungheria non ha correttamente recepito detta disposizione per
la ragione, da un lato, che l’articolo 53, paragrafo 6, della legge sul diritto
di asilo non concede un effetto sospensivo alla proposizione del ricorso
avverso una decisione che respinge la domanda di protezione internazionale in
quanto inammissibile e, dall’altro, che tale legge non precisa chiaramente se
l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa, che
consente di chiedere, al giudice competente adito, la sospensione della
decisione amministrativa impugnata, sia applicabile ai procedimenti giudiziari
previsti dalla legge sul diritto di asilo.
305 Ne
consegue che la Commissione contesta, in sostanza, all’Ungheria di non aver
recepito, in modo sufficientemente chiaro e preciso, l’articolo 46, paragrafo
6, della direttiva 2013/32, in quanto la normativa ungherese non precisa espressamente
che l’articolo 50 del codice di procedura giurisdizionale amministrativa si
applica alle decisioni che respingono una domanda di protezione internazionale
in quanto inammissibile.
306 Una
siffatta argomentazione, tuttavia, è infondata.
307 Infatti,
come in sostanza rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 207 delle sue
conclusioni, il semplice fatto che l’articolo 50 del codice di procedura
giurisdizionale amministrativa abbia portata generale e che l’articolo 53,
paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo non precisi che tale articolo 50
si applica nell’ambito delle procedure disciplinate da tale legge non è
sufficiente per ritenere che l’Ungheria non si sia conformata in modo preciso e
sufficientemente chiaro all’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva 2013/32.
A tal riguardo, occorre sottolineare che l’articolo 53, paragrafo 6, della
legge sul diritto di asilo non esclude l’applicazione del medesimo articolo 50,
né introduce una norma che sia incompatibile con quest’ultimo articolo.
Inoltre, la Commissione non ha fornito alcun elemento che consenta di far
dubitare della possibilità per i giudici ungheresi di applicare l’articolo 50
del codice di procedura giurisdizionale amministrativa nell’ambito dell’esame
di un ricorso giurisdizionale diretto contro una decisione che respinge una
domanda di protezione internazionale in quanto irricevibile.
308 Ne
consegue che la seconda parte della quinta censura deve essere respinta in
quanto infondata, senza che sia necessario esaminare se l’articolo 50 del
codice di procedura giurisdizionale amministrativa costituisca, quanto al
resto, un recepimento completo e corretto dell’articolo 46, paragrafo 6, ultimo
comma, della direttiva 2013/32.
– Sulla
terza parte della quinta censura, relativa all’articolo 46, paragrafo 6,
lettere a) e b), della direttiva 2013/32
309 In
deroga alla regola sancita dall’articolo 46, paragrafo 6, della direttiva
2013/32, dalle lettere a) e b) di tale disposizione si deduce che, qualora la
domanda di protezione internazionale sia respinta in quanto infondata a causa
delle circostanze indicate all’articolo 31, paragrafo 8, lettera h), di tale
direttiva o sia dichiarata inammissibile a norma del suo articolo 33, paragrafo
2, lettere c) ed e), il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro
deve essere concesso alle condizioni previste all’articolo 46, paragrafo 5, di
detta direttiva, e non all’articolo 46, paragrafo 6, ultimo comma, di
quest’ultima.
310 La
Commissione contesta all’Ungheria di non aver recepito in modo sufficientemente
chiaro e preciso tale norma derogatoria, per la ragione che l’articolo 53,
paragrafo 6, della legge sul diritto di asilo non farebbe chiaramente emergere
che il deposito del ricorso ha effetto sospensivo, quando quest’ultimo ha lo
scopo di contestare una decisione adottata sul fondamento dell’articolo 51,
paragrafo 2, lettera e), e paragrafo 7, lettera h), della legge sul diritto di
asilo.
311 Un
simile argomento deve tuttavia essere respinto in quanto infondato.
312 Infatti,
come in sostanza rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 211 delle sue
conclusioni, dalla formulazione stessa dell’articolo 53, paragrafo 6, della
legge sul diritto di asilo risulta chiaramente che i ricorsi proposti avverso
decisioni adottate ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 2, lettera e), e
paragrafo 7, lettera h), della legge sul diritto di asilo hanno effetto
sospensivo automatico.
313 Pertanto,
anche la terza parte della quinta censura deve essere respinta in quanto
infondata, senza che sia necessario esaminare se l’articolo 53, paragrafo 6,
della legge sul diritto di asilo costituisca, per il resto, un recepimento
completo e corretto dell’articolo 46, paragrafo 6, lettere a) e b), della
direttiva 2013/32.
314 Ne
consegue che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza
dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, subordinando a
condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio, da parte dei
richiedenti protezione internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione
di tale disposizione, del loro diritto di rimanere nel suo territorio.
315 Alla
luce dell’insieme delle suesposte considerazioni,
occorre dichiarare che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa
incombenti in forza dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1,
dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva
2008/115, dell’articolo 6, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e
dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 e degli articoli 8, 9 e
11 della direttiva 2013/33:
– prevedendo
che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi
terzi o da apolidi che, arrivando dalla Serbia, desiderano accedere, nel suo
territorio, alla procedura di protezione internazionale possano essere
presentate solo nelle zone di transito di Röszke e Tompa, e adottando nel contempo
una prassi amministrativa costante e generalizzata che limita drasticamente il
numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di
transito;
– istituendo
un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione
internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa, senza rispettare le garanzie previste all’articolo
24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché agli articoli
8, 9 e 11 della direttiva 2013/33;
– consentendo
l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo
territorio è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver
commesso un reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste
all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e
all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115;
– subordinando
a condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio, da parte dei
richiedenti protezione internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione
dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, del loro diritto di
rimanere nel suo territorio.
316 Il
ricorso è respinto quanto al resto.
Sulle
spese
317 Ai sensi
dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la
parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi
dell’articolo 138, paragrafo 3, dello stesso regolamento, se le parti
soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate.
Tuttavia, qualora ciò appaia giustificato alla luce delle circostanze del caso
di specie, la Corte può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie
spese, una quota delle spese della controparte. Poiché l’Ungheria è rimasta
sostanzialmente soccombente e la Commissione ne ha fatto domanda, occorre
condannare l’Ungheria a sopportare, alla luce delle circostanze del caso di
specie, oltre alle proprie spese, i quattro quinti delle spese della
Commissione. Quest’ultima sopporterà un quinto delle proprie spese.
Per
questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) L’Ungheria
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5,
dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo
13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili
negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è
irregolare, dell’articolo 6, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e
dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini
del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, e
degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei
richiedenti protezione internazionale:
– prevedendo
che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi
terzi o da apolidi che, arrivando dalla Serbia, desiderano accedere, nel suo
territorio, alla procedura di protezione internazionale possano essere
presentate solo nelle zone di transito di Röszke
(Ungheria) e Tompa (Ungheria), e adottando nel
contempo una prassi amministrativa costante e generalizzata che limita
drasticamente il numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in
tali zone di transito;
– istituendo
un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione
internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa, senza rispettare le garanzie previste all’articolo
24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché agli articoli
8, 9 e 11 della direttiva 2013/33;
– consentendo
l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo
territorio è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver
commesso un reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste
all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e
all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115;
– subordinando
a condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio, da parte dei
richiedenti protezione internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione
dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, del loro diritto di
rimanere nel suo territorio.
2) Il
ricorso è respinto quanto al resto.
3) L’Ungheria
sopporta, oltre alle proprie spese, i quattro quinti delle spese della
Commissione europea.
4) La
Commissione europea sopporta un quinto delle proprie spese.
Firme
* Lingua processuale:
l’ungherese.