SENTENZA DELLA CORTE (Grande
Sezione)
22
giugno 2021 (*)
«Rinvio
pregiudiziale – Proprietà intellettuale – Diritto d’autore e diritti
connessi – Messa a disposizione e gestione di una piattaforma di
condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di
file – Responsabilità del gestore per violazioni di diritti di proprietà
intellettuale commesse dagli utenti della sua piattaforma – Direttiva
2001/29/CE – Articolo 3 e articolo 8, paragrafo 3 – Nozione di
“comunicazione al pubblico” – Direttiva 2000/31/CE – Articoli 14 e
15 – Condizioni per beneficiare dell’esonero dalla responsabilità –
Mancata conoscenza di violazioni concrete – Notifica di tali violazioni
quale condizione per l’ottenimento di un provvedimento inibitorio»
Nelle
cause riunite C‑682/18 e C‑683/18,
aventi
ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal Bundesgerichtshof
(Corte federale di giustizia, Germania), con decisioni, rispettivamente, del 13
settembre 2018 e del 20 settembre 2018, pervenute in cancelleria il 6 novembre
2018, nei procedimenti
Frank
Peterson
contro
Google
LLC,
YouTube
Inc.,
YouTube
LLC,
Google
Germany GmbH (C‑682/18),
e
Elsevier
Inc.
contro
Cyando AG (C‑683/18),
LA CORTE
(Grande Sezione),
composta
da K. Lenaerts, presidente,
R. Silva de Lapuerta, vicepresidente,
J.-C. Bonichot, M. Vilaras,
E. Regan e M. Ilešič (relatore),
presidenti di sezione, E. Juhász, M. Safjan, D. Šváby,
S. Rodin, F. Biltgen, K. Jürimäe e C. Lycourgos,
giudici,
avvocato
generale: H. Saugmandsgaard Øe
cancelliere:
M. Krausenböck, amministratrice
vista la
fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 26 novembre 2019,
considerate
le osservazioni presentate:
– per
Frank Peterson, da P. Wassermann e J. Schippmann,
Rechtsanwälte;
– per
la Elsevier Inc., da K. Bäcker, U. Feindor-Schmidt e M. Lausen,
Rechtsanwälte;
– per
la Google LLC, la YouTube Inc., la YouTube LLC e la Google Germany GmbH, da
J. Wimmers e M. Barudi,
Rechtsanwälte;
– per
la Cyando AG, da H. Waldhauser
e M. Junker, Rechtsanwälte;
– per
il governo tedesco, da J. Möller, M. Hellmann ed E. Lankenau, in
qualità di agenti;
– per
il governo francese, da A.-L. Desjonquères,
A. Daniel e R. Coesme, in qualità di
agenti;
– per
il governo finlandese, da J. Heliskoski, in
qualità di agente;
– per
la Commissione europea, da T. Scharf, S.L. Kalėda e J. Samnadda,
in qualità di agenti,
sentite
le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 16 luglio
2020,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 Le
domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione dell’articolo
3, paragrafo 1, e dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29/CE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di
taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società
dell’informazione (GU 2001, L 167, pag. 10; in prosieguo: la
«direttiva sul diritto d’autore»), dell’articolo 14, paragrafo 1, della
direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2000
relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società
dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno
(«direttiva sul commercio elettronico») (GU 2000, L 178, pag. 1),
nonché dell’articolo 11, prima frase, e dell’articolo 13 della direttiva
2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul
rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157,
pag. 45 e rettifica in GU 2004, L 195, pag. 16; in prosieguo: la
«direttiva sul rispetto dei diritti»).
2 Tali
domande sono state presentate nell’ambito di controversie che oppongono, da un
lato, il sig. Frank Peterson alla Google LLC e alla YouTube LLC (causa C‑682/18)
e, dall’altro, la Elsevier Inc. alla Cyando AG (causa
C‑683/18), in merito a diverse violazioni dei diritti di proprietà
intellettuale detenuti dal sig. Peterson e dalla Elsevier commesse da
utenti, rispettivamente, della piattaforma di condivisione di video gestita da
YouTube e della piattaforma di hosting e di condivisione di file gestita dalla Cyando.
Contesto
normativo
Diritto
internazionale
3 L’Organizzazione
mondiale della proprietà intellettuale (OMPI) ha adottato a Ginevra, il 20 dicembre
1996, il Trattato dell’OMPI sul diritto d’autore (in
prosieguo: il «TDA»), che è stato approvato a nome della Comunità
europea con la decisione 2000/278/CE del Consiglio, del 16 marzo 2000 (GU 2000,
L 89, pag. 6), ed è entrato in vigore, per quanto riguarda l’Unione
europea, il 14 marzo 2010 (GU 2010, L 32, pag. 1).
4 L’articolo
8 del TDA, intitolato «Diritto di comunicazione al pubblico», così dispone:
«Fermo
il disposto degli articoli 11, paragrafo 1, punto 2), 11 bis, paragrafo 1,
punti 1) e 2), 11 ter, paragrafo 1, punto 2), 14, paragrafo 1,
punto 2) e 14 bis, paragrafo 1, della Convenzione di Berna [per la
protezione delle opere letterarie e artistiche, firmata a Berna il 9 settembre
1886 (Atto di Parigi del 24 luglio 1971), nella sua versione risultante dalla
modifica del 28 settembre 1979], gli autori di opere letterarie e artistiche
hanno il diritto esclusivo di autorizzare ogni comunicazione al pubblico, su
filo o via etere, delle loro opere, nonché la messa a disposizione del pubblico
delle loro opere, in modo che chiunque possa liberamente accedervi da un luogo
o in un momento di sua scelta».
5 Dichiarazioni
comuni concernenti il TDA sono state adottate dalla conferenza diplomatica il
20 dicembre 1996.
6 La
dichiarazione comune in merito all’articolo 8 di detto trattato così recita:
«Resta
inteso che la semplice messa a disposizione di infrastrutture atte a consentire
o effettuare una comunicazione non costituisce di per sé una comunicazione ai
sensi del presente trattato e della Convenzione di Berna. (...)».
Diritto
dell’Unione
Direttiva
sul diritto d’autore
7 Ai
sensi dei considerando 4, 5, da 8 a 10, 16, 23, 27, 31 e 59 della direttiva sul
diritto d’autore:
«(4) Un quadro
giuridico armonizzato in materia di diritto d’autore e di diritti connessi,
creando una maggiore certezza del diritto e prevedendo un elevato livello di
protezione della proprietà intellettuale, promuoverà notevoli investimenti in
attività creatrici ed innovatrici, segnatamente nelle infrastrutture delle
reti, e di conseguenza una crescita e una maggiore competitività dell’industria
europea per quanto riguarda sia la fornitura di contenuti che le tecnologie
dell’informazione nonché, più in generale, numerosi settori industriali e
culturali. Ciò salvaguarderà l’occupazione e favorirà la creazione di nuovi
posti di lavoro.
(5) Lo sviluppo
tecnologico ha moltiplicato e diversificato i vettori della creazione, della
produzione e dello sfruttamento. Anche se non sono necessari nuovi concetti in
materia di protezione della proprietà intellettuale, si dovrebbe adattare e
integrare le normative attuali sul diritto d’autore e sui diritti connessi per
rispondere adeguatamente alle realtà economiche, quali le nuove forme di
sfruttamento.
(...)
(8) Le varie
implicazioni sociali e culturali della società dell’informazione richiedono che
si tenga conto della specificità del contenuto dei prodotti e servizi.
(9) Ogni
armonizzazione del diritto d’autore e dei diritti connessi dovrebbe prendere le
mosse da un alto livello di protezione, dal momento che tali diritti sono
essenziali per la creazione intellettuale. La loro protezione contribuisce alla
salvaguardia e allo sviluppo della creatività nell’interesse di autori,
interpreti o esecutori, produttori e consumatori, nonché della cultura,
dell’industria e del pubblico in generale. Si è pertanto riconosciuto che la
proprietà intellettuale costituisce parte integrante del diritto di proprietà.
(10) Per
continuare la loro attività creativa e artistica, gli autori e gli interpreti o
esecutori debbono ricevere un adeguato compenso per l’utilizzo delle loro
opere, come pure i produttori per poter finanziare tale creazione. (...) È
necessaria un’adeguata protezione giuridica dei diritti di proprietà
intellettuale per garantire la disponibilità di tale compenso e consentire un
soddisfacente rendimento degli investimenti.
(...)
(16) (...) La
presente direttiva dovrebbe essere attuata in tempi analoghi a quelli previsti
per l’attuazione della direttiva sul commercio elettronico, in quanto tale
direttiva fornisce un quadro armonizzato di principi e regole che riguardano
tra l’altro alcune parti importanti della presente direttiva. Questa direttiva
lascia impregiudicate le regole relative alla responsabilità della direttiva
suddetta.
(...)
(23) La presente
direttiva dovrebbe armonizzare ulteriormente il diritto d’autore applicabile
alla comunicazione di opere al pubblico. Tale diritto deve essere inteso in
senso lato in quanto concernente tutte le comunicazioni al pubblico non
presente nel luogo in cui esse hanno origine. (...)
(...)
(27) La mera
fornitura di attrezzature fisiche atte a rendere possibile o ad effettuare una
comunicazione non costituisce un atto di comunicazione ai sensi della presente
direttiva.
(...)
(31) Deve essere
garantito un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi delle varie
categorie di titolari nonché tra quelli dei vari titolari e quelli degli utenti
dei materiali protetti. Le eccezioni e limitazioni alla protezione esistenti
nelle legislazioni degli Stati membri devono essere riesaminate alla luce del nuovo
ambiente elettronico. (...)
(...)
(59) In particolare in ambito digitale, i servizi degli
intermediari possono essere sempre più utilizzati da terzi per attività
illecite. In molti casi siffatti intermediari sono i più idonei a porre fine a
dette attività illecite. Pertanto fatte salve le altre
sanzioni e i mezzi di tutela a disposizione, i titolari dei diritti dovrebbero
avere la possibilità di chiedere un provvedimento inibitorio contro un
intermediario che consenta violazioni in rete da parte di un terzo contro opere
o altri materiali protetti. Questa possibilità dovrebbe essere disponibile
anche ove gli atti svolti dall’intermediario siano soggetti a eccezione ai
sensi dell’articolo 5. Le condizioni e modalità relative a tale provvedimento
ingiuntivo dovrebbero essere stabilite dal diritto nazionale degli Stati
membri».
8 L’articolo
3 di tale direttiva, intitolato «Diritto di comunicazione di opere al pubblico,
compreso il diritto di mettere a disposizione del pubblico altri materiali protetti»,
al paragrafo 1, così dispone:
«Gli
Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o
vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro
opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in
maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti
individualmente».
9 L’articolo
8 della suddetta direttiva, intitolato «Sanzioni e mezzi di ricorso», prevede
quanto segue:
«1. Gli
Stati membri prevedono adeguate sanzioni e mezzi di ricorso contro le
violazioni dei diritti e degli obblighi contemplati nella presente direttiva e
adottano tutte le misure necessarie a garantire l’applicazione delle sanzioni e
l’utilizzazione dei mezzi di ricorso. Le sanzioni previste devono essere
efficaci, proporzionate e dissuasive.
2. Ciascuno
Stato membro adotta le misure necessarie a garantire che i titolari dei diritti
i cui interessi siano stati danneggiati da una violazione effettuata sul suo
territorio possano intentare un’azione per danni e/o chiedere un provvedimento
inibitorio e, se del caso, il sequestro del materiale all’origine della
violazione, nonché delle attrezzature, prodotti o componenti di cui
all’articolo 6, paragrafo 2.
3. Gli
Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un
provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano
utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi».
Direttiva
sul commercio elettronico
10 I
considerando da 41 a 46, 48 e 52 della direttiva sul commercio elettronico sono
formulati nei termini seguenti:
«(41) La direttiva
rappresenta un equilibrio tra i vari interessi in gioco e istituisce principi
su cui possono essere basati gli accordi e gli standard delle imprese del
settore.
(42) Le deroghe
alla responsabilità stabilita nella presente direttiva riguardano esclusivamente
il caso in cui l’attività di prestatore di servizi della società
dell’informazione si limiti al processo tecnico di attivare e fornire accesso
ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente
memorizzate le informazioni messe a disposizione da terzi al solo scopo di
rendere più efficiente la trasmissione. Siffatta attività è di ordine meramente
tecnico, automatico e passivo, il che implica che il prestatore di servizi
della società dell’informazione non conosce né controlla le informazioni
trasmesse o memorizzate.
(43) Un
prestatore può beneficiare delle deroghe previste per il semplice trasporto
(“mere conduit”) e per la memorizzazione temporanea detta “caching” se non è in
alcun modo coinvolto nell’informazione trasmessa. A tal fine è, tra l’altro,
necessario che egli non modifichi l’informazione che trasmette. Tale requisito
non pregiudica le manipolazioni di carattere tecnico effettuate nel corso della
trasmissione in quanto esse non alterano l’integrità dell’informazione
contenuta nella trasmissione.
(44) Il
prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio
al fine di commettere atti illeciti non si limita alle attività di semplice
trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può pertanto beneficiare delle
deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività.
(45) Le
limitazioni alla responsabilità dei prestatori intermedi previste nella
presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie
di altro tipo. Siffatte azioni inibitorie possono, in particolare, essere
ordinanze di organi giurisdizionali o autorità amministrative che obbligano a
porre fine a una violazione o impedirla, anche con la rimozione
dell’informazione illecita o la disabilitazione dell’accesso alla medesima.
(46) Per godere
di una limitazione della responsabilità, il prestatore di un servizio della
società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni deve
agire immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitare l’accesso
alle medesime non appena sia informato o si renda conto delle attività
illecite. La rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell’accesso
alle medesime devono essere effettuate nel rispetto del principio della libertà
di espressione e delle procedure all’uopo previste a
livello nazionale. La presente direttiva non pregiudica la possibilità per gli
Stati membri di stabilire obblighi specifici da soddisfare sollecitamente prima
della rimozione delle informazioni o della disabilitazione dell’accesso alle
medesime.
(...)
(48) La presente
direttiva non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di chiedere ai
prestatori di servizi, che detengono informazioni fornite dai destinatari del
loro servizio, di adempiere al dovere di diligenza che è ragionevole attendersi
da loro ed è previsto dal diritto nazionale, al fine di individuare e prevenire
taluni tipi di attività illecite.
(...)
(52) L’esercizio
effettivo delle libertà del mercato interno rende necessario garantire alle
vittime un accesso efficace alla soluzione delle controversie. I danni che
possono verificarsi nell’ambito dei servizi della società dell’informazione
sono caratterizzati sia dalla loro rapidità che dalla loro estensione
geografica. Stante questa peculiarità, oltre che la necessità di vigilare
affinché le autorità nazionali non rimettano in questione la fiducia che esse
dovrebbero reciprocamente avere, la presente direttiva dispone che gli Stati
membri garantiscano la possibilità di azioni giudiziarie appropriate. Gli Stati
membri dovrebbero esaminare la necessità di dare accesso ai procedimenti
giudiziari mediante appropriati strumenti elettronici».
11 L’articolo
14 di tale direttiva, intitolato «Hosting», così dispone:
«1. Gli
Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della
società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni
fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile
delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a
condizione che detto prestatore:
a) non sia
effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita
e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di
circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o
dell’informazione,
o
b) non appena al
corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o
per disabilitarne l’accesso.
2. Il
paragrafo 1 non si applica se il destinatario del servizio agisce sotto
l’autorità o il controllo del prestatore.
3. Il
presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, secondo gli ordinamenti
degli Stati membri, che un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa
esiga che il prestatore impedisca una violazione o vi ponga fine nonché la
possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle
informazioni o la disabilitazione dell’accesso alle medesime».
12 L’articolo
15 di detta direttiva, intitolato «Assenza dell’obbligo generale di
sorveglianza», al paragrafo 1 prevede quanto segue:
«Nella
prestazione dei servizi di cui agli articoli 12, 13 e 14, gli Stati membri non
impongono ai prestatori un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni
che trasmettono o memorizzano né un obbligo generale di ricercare attivamente
fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite».
13 L’articolo
18 della direttiva sul commercio elettronico, intitolato «Ricorsi
giurisdizionali», al paragrafo 1 così dispone:
«Gli
Stati membri provvedono affinché i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto
nazionale per quanto concerne le attività dei servizi della società
dell’informazione consentano di prendere rapidamente provvedimenti, anche
provvisori, atti a porre fine alle violazioni e a impedire ulteriori danni agli
interessi in causa».
Direttiva
sul rispetto dei diritti
14 Ai
sensi dei considerando 17, 22 e 23 della direttiva sul rispetto dei diritti:
«(17) Le misure,
le procedure e i mezzi di ricorso previsti dalla presente direttiva dovrebbero
essere determinati in ciascun caso in modo tale da tenere debitamente conto
delle caratteristiche specifiche del caso, tra cui le peculiarità di ciascun
diritto di proprietà intellettuale e, ove necessario, il carattere intenzionale
o non intenzionale della violazione.
(...)
(22) È altresì
indispensabile definire misure provvisorie che consentano la cessazione
immediata della violazione, senza la necessità di attendere la decisione nel
merito, nel rispetto dei diritti della difesa, assicurando la proporzionalità
delle misure provvisorie in funzione delle specificità di ciascuna situazione e
avendo adottato tutte le garanzie necessarie a coprire le spese o i danni
causati alla parte convenuta in caso di domande infondate. Queste misure
appaiono particolarmente giustificate nei casi in cui è debitamente accertato
che un ritardo potrebbe arrecare un danno irreparabile al titolare del diritto.
(23) Fatti salvi
eventuali altre misure, procedure e mezzi di ricorso disponibili, i titolari
dei diritti dovrebbero avere la possibilità di richiedere un provvedimento
inibitorio contro un intermediario i cui servizi sono utilizzati da terzi per
violare il diritto di proprietà industriale del titolare. Le condizioni e
modalità relative a tale provvedimento inibitorio dovrebbero essere stabilite
dal diritto nazionale degli Stati membri. Per quanto riguarda le violazioni del
diritto d’autore e dei diritti connessi, la direttiva [sul diritto d’autore]
prevede già un ampio livello di armonizzazione. Pertanto
l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva [sul diritto d’autore] non dovrebbe
essere pregiudicato dalla presente direttiva».
15 L’articolo
3 di tale direttiva, intitolato «Obbligo generale», così recita:
«1. Gli
Stati membri definiscono le misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari
ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale di cui alla
presente direttiva. Tali misure, procedure e mezzi di ricorso sono leali ed
equi, non inutilmente complessi o costosi e non comportano termini
irragionevoli né ritardi ingiustificati.
2. Le
misure, le procedure e i mezzi ricorso sono effettivi, proporzionati e
dissuasivi e sono applicati in modo da evitare la creazione di ostacoli al
commercio legittimo e da prevedere salvaguardie contro gli abusi».
16 L’articolo
11 della suddetta direttiva, intitolato «Ingiunzioni», prevede quanto segue:
«Gli
Stati membri assicurano che, in presenza di una decisione giudiziaria che ha
accertato una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, le autorità
giudiziarie possano emettere nei confronti dell’autore della violazione
un’ingiunzione diretta a vietare il proseguimento della violazione. Se previsto
dalla legislazione nazionale, il mancato rispetto di un’ingiunzione è oggetto,
ove opportuno, del pagamento di una pena pecuniaria suscettibile di essere
reiterata, al fine di assicurarne l’esecuzione. Gli Stati membri assicurano che
i titolari possano chiedere un provvedimento ingiuntivo nei confronti di
intermediari i cui servizi sono utilizzati da terzi per violare un diritto di
proprietà intellettuale, senza pregiudizio dell’articolo 8, paragrafo 3, della
direttiva [sul diritto d’autore]».
17 L’articolo
13 della direttiva sul rispetto dei diritti, intitolato «Risarcimento del
danno», così dispone:
«1. Gli
Stati membri assicurano che, su richiesta della parte lesa, le competenti
autorità giudiziarie ordinino all’autore della violazione, implicato
consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne consapevole in un’attività
di violazione di risarcire al titolare del diritto danni adeguati al
pregiudizio effettivo da questo subito a causa della violazione.
Allorché
l’autorità giudiziaria fissa i danni:
a) tiene conto
di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative,
compreso il mancato guadagno subito dalla parte lesa, i benefici realizzati
illegalmente dall’autore della violazione, e, nei casi appropriati, elementi
diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del
diritto dalla violazione;
b) oppure in
alternativa alla lettera a) può fissare, in casi appropriati, una somma
forfettaria in base ad elementi quali, per lo meno, l’importo dei diritti che
avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora l’autore della violazione avesse
richiesto l’autorizzazione per l’uso del diritto di proprietà intellettuale in
questione.
2. Nei
casi in cui l’autore della violazione è stato implicato in un’attività di
violazione senza saperlo o senza avere motivi ragionevoli per saperlo, gli
Stati membri possono prevedere la possibilità che l’autorità giudiziaria
disponga il recupero dei profitti o il pagamento di danni che possono essere
predeterminati».
Procedimenti
principali e questioni pregiudiziali
Causa C‑682/18
18 Il
sig. Peterson è un produttore musicale e afferma di essere proprietario
della società Nemo Studios.
19 YouTube
gestisce l’omonima piattaforma Internet sulla quale gli utenti possono caricare
(«upload») gratuitamente i propri video e metterli a disposizione di altri
internauti. Google è socio unico e rappresentante legale di YouTube. Le società
YouTube Inc. e Google Germany GmbH non sono più parti della controversia.
20 Il
20 maggio 1996 la società Nemo Studio Frank Peterson ha concluso con l’artista
Sarah Brightman un contratto in esclusiva mondiale
relativo allo sfruttamento di registrazioni audio e video delle sue esibizioni.
Nel 2005 tale contratto è stato oggetto di un accordo aggiuntivo. Il
1° settembre 2000 il sig. Peterson ha concluso in nome proprio e in
nome della società Nemo Studios un accordo di licenza con la Capitol Records
Inc. avente ad oggetto la distribuzione esclusiva delle registrazioni e delle
esibizioni di Sarah Brightman da parte di Capitol
Records.
21 Nel
novembre 2008 è stato commercializzato l’album A Winter Symphony,
composto da opere interpretate dall’artista. Il 4 novembre 2008, Sarah Brightman ha iniziato una tournée, denominata «Symphony
Tour», nel corso della quale ha interpretato le opere incise sull’album.
22 Il
6 e il 7 novembre 2008 talune opere tratte da detto album e talune
registrazioni private di concerti della succitata tournée erano consultabili
sulla piattaforma Internet YouTube e associate a immagini fisse e in movimento.
Con lettera del 7 novembre 2008 il sig. Peterson, producendo, a sostegno
della propria domanda, catture di schermate (screenshot)
destinate a dimostrare i fatti denunciati, si è rivolto alla Google Germany e
ha chiesto a quest’ultima nonché a Google di fornire dichiarazioni di
cessazione a pena di sanzione. Google Germany si è poi rivolta a YouTube, che
ha ricercato manualmente, con l’ausilio degli screenshot
trasmessi dal sig. Peterson, gli indirizzi Internet (URL) dei video di cui
trattasi e ne ha bloccato l’accesso. Le parti non concordano sulla portata di
tali blocchi.
23 Il
19 novembre 2008, registrazioni audio di esibizioni dell’artista, associate a
immagini fisse e in movimento, potevano essere nuovamente consultate sulla
piattaforma Internet YouTube.
24 Di
conseguenza, il sig. Peterson ha proposto dinanzi al Landgericht
Hamburg (Tribunale del Land di Amburgo, Germania) nei confronti di Google e di
YouTube (in prosieguo, congiuntamente: le «resistenti
nel procedimento principale») un’azione diretta a ottenere un provvedimento
inibitorio, a ricevere informazioni e a far accertare il loro obbligo di
versare un risarcimento danni. A sostegno di tale azione, egli ha fatto valere
i diritti propri in quanto produttore dell’album A Winter Symphony nonché
i diritti propri e i diritti derivanti da quelli dell’artista connessi
all’esecuzione delle opere contenute in tale album realizzato con la sua
partecipazione artistica in qualità di produttore e corista. Egli sostiene
inoltre, per quanto riguarda le registrazioni dei concerti della tournée
«Symphony Tour», di essere il compositore e l’autore dei testi di diverse opere
dell’album. Inoltre, egli sarebbe titolare, in quanto editore, di diritti
derivati da quelli degli autori in relazione a diverse opere musicali.
25 Con
sentenza del 3 settembre 2010 il giudice adito ha accolto il ricorso nella
parte vertente su tre opere musicali e lo ha respinto quanto al resto.
26 Il
sig. Peterson e le resistenti nel procedimento principale hanno interposto
appello avverso tale decisione dinanzi all’Oberlandesgericht
Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo, Germania). Il
sig. Peterson ha chiesto che fosse vietato alle resistenti nel procedimento
principale di mettere a disposizione del pubblico, in versioni sincronizzate o
collegate in altro modo a contenuti di terzi o a fini pubblicitari, dodici
registrazioni audio o interpretazioni contenute nell’album A Winter
Symphony dell’artista Sarah Brightman, da
lui prodotte, nonché dodici opere musicali da lui composte tratte da concerti
della tournée «Symphony Tour» o, in subordine, di consentire a terzi una
siffatta messa a disposizione del pubblico delle opere considerate. Egli ha
altresì richiesto che gli fossero fornite informazioni sulle attività illecite
e sul fatturato o sui profitti realizzati mediante tali attività. Ha inoltre
domandato la condanna di YouTube al risarcimento danni e quella di Google alla
restituzione dell’indebito arricchimento. In subordine, ha chiesto di ottenere
informazioni sugli utenti della piattaforma Internet YouTube che hanno caricato
i brani in questione utilizzando pseudonimi.
27 Con
sentenza del 1° luglio 2015, l’Oberlandesgericht
Hamburg (Tribunale superiore del Land di Amburgo) ha parzialmente riformato la
sentenza di primo grado e ha condannato le resistenti nel procedimento
principale a non consentire ai terzi, per quanto riguarda sette opere musicali,
di mettere a disposizione del pubblico, in versioni sincronizzate o collegate
in altro modo a contenuti di terzi o a fini pubblicitari, registrazioni audio o
interpretazioni ad opera dell’artista tratte dall’album A Winter
Symphony. Esso ha inoltre condannato le resistenti nel procedimento
principale a indicare i nomi e gli indirizzi postali degli utenti della
piattaforma che hanno caricato le opere musicali su quest’ultima utilizzando
uno pseudonimo o, in mancanza di indirizzo postale, l’indirizzo di posta
elettronica di tali utenti. Il giudice d’appello ha respinto il ricorso per il
resto, in quanto in parte irricevibile e in parte infondato.
28 Per
quanto riguarda le sette opere musicali dell’album A Winter Symphony,
il giudice d’appello ha considerato che i diritti del sig. Peterson erano
stati violati in quanto tali opere erano state collocate senza autorizzazione
sulla piattaforma di condivisione di video di YouTube e collegate a immagini in
movimento, come filmati tratti dal video promozionale dell’artista. Esso ha
dichiarato che YouTube non era responsabile di tali violazioni in quanto
autrice o partecipante, poiché non avrebbe svolto alcun ruolo attivo nella
creazione o nel collocamento dei contenuti controversi sulla piattaforma e non
si sarebbe neppure appropriata di tali contenuti provenienti da terzi. Inoltre,
non avrebbe dato prova del dolo necessario ai fini della responsabilità in
quanto partecipante, dato che non sarebbe stata al corrente delle specifiche
violazioni. YouTube sarebbe tuttavia responsabile in quanto «perturbatrice» («Störerin»), dal momento che avrebbe violato gli obblighi di
comportamento ad essa incombenti. Infatti, per quanto riguarda dette opere,
benché le fossero state segnalate attività illecite relative a queste ultime,
essa non avrebbe immediatamente rimosso i contenuti incriminati o bloccato
l’accesso a tali contenuti.
29 Per
quanto concerne, invece, le registrazioni di concerti della tournée «Symphony
Tour», YouTube non avrebbe violato alcun obbligo di comportamento. Certamente,
i video che contengono le opere musicali designate sarebbero stati
illecitamente collocati da terzi sulla piattaforma di condivisione di video.
Tuttavia, YouTube non sarebbe stata sufficientemente informata di tali
violazioni o avrebbe proceduto in tempo ai necessari blocchi di accesso dei contenuti
in questione, o non le si potrebbe contestare di aver violato l’obbligo di
procedere immediatamente al blocco di detti contenuti.
30 Il
giudice d’appello ha accertato, in particolare, i seguenti fatti:
– Sulla
piattaforma Internet YouTube sono caricate circa 35 ore di registrazioni video
al minuto e sono caricate giornalmente diverse centinaia di migliaia di video.
Il caricamento dei video sui server di Google avviene secondo un processo
automatizzato, senza visualizzazione o controllo preventivi da parte delle
resistenti nel procedimento principale.
– Per
poter caricare video sulla piattaforma Internet YouTube è necessario creare un
account, con un nome utente e una password, e accettare i termini generali di
servizio di tale piattaforma. L’utente che, dopo essersi così registrato,
carica un video può scegliere di lasciarlo in modalità «privato» o di
pubblicarlo sulla piattaforma. Nella seconda ipotesi, il video in questione può
essere visualizzato da qualsiasi internauta in flusso continuo («streaming») a
partire da detta piattaforma.
– In
forza dei termini generali di servizio di YouTube, ogni utente le concede, sui
video che lo stesso ha caricato e fino alla loro rimozione dalla piattaforma,
una licenza mondiale, non esclusiva e senza canoni per l’uso, la riproduzione,
la distribuzione, la creazione di opere derivate, l’esposizione e l’esecuzione
relativamente alla messa a disposizione della piattaforma e alle attività di
YouTube, compresa la pubblicità.
– Accettando
tali termini generali, l’utente conferma di disporre di tutti i diritti, gli
accordi, le autorizzazioni e le licenze necessari sui video da esso caricati.
Peraltro, nelle «Linee guida della community», YouTube invita gli utenti della
sua piattaforma a rispettare i diritti d’autore. Gli utenti sono inoltre
informati, in occasione di ogni caricamento, che non può essere pubblicato
sulla piattaforma alcun video che violi tali diritti.
– YouTube
ha predisposto vari dispositivi tecnici al fine di far cessare e prevenire le
violazioni sulla sua piattaforma. Chiunque può notificarle la presenza di un
video illecito per iscritto, fax, posta elettronica o modulo web. È stato
creato un pulsante di notifica grazie al quale possono essere segnalati
contenuti indecenti o illeciti. I titolari di diritti hanno anche la
possibilità, mediante un procedimento speciale di segnalazione, di far
rimuovere dalla piattaforma, indicando gli indirizzi Internet (URL)
corrispondenti, fino a dieci video per contestazione specificamente designati.
– YouTube
ha inoltre istituito un programma di verifica dei contenuti («Content Verification Program») che agevola la designazione dei
video da parte del titolare dei diritti, consentendogli di contrassegnare in un
elenco di video quelli che ritiene violino i suoi diritti. Detto programma è
messo a disposizione unicamente per le imprese che si sono registrate
appositamente per questo scopo, e non per semplici privati. Se un video è
bloccato a causa di una segnalazione da parte del titolare dei diritti,
l’utente che lo ha caricato è avvertito del fatto che il suo account sarà
bloccato in caso di recidiva.
– Oltre
a ciò, per individuare i contenuti illeciti, YouTube ha sviluppato i software
di riconoscimento di contenuto denominati «Content ID» o «YouTube Audio ID» e
«YouTube Video ID». A tal fine, il titolare dei diritti deve fornire un file di
riferimento audio o video che consenta a YouTube di individuare sulla sua
piattaforma altri video aventi, in tutto o in parte, il medesimo contenuto. Se
un video del genere è individuato, il titolare dei diritti ne è informato da
YouTube. Il titolare dei diritti può allora far procedere al blocco del
contenuto in questione oppure autorizzare tale contenuto e partecipare agli
introiti pubblicitari.
– YouTube
offre una funzione di ricerca e procede a una valutazione della rilevanza
geografica dei risultati della ricerca riassunti nella pagina iniziale sotto
forma di «classificazione» nelle sezioni «video visti attualmente», «video pubblicizzati»
e «video di tendenza». Altre rassegne dell’offerta sono disponibili sotto i
titoli «video» e «sfoglia canali» con le sottosezioni «intrattenimento»,
«musica» o «film e animazione». Se un utente registrato utilizza la
piattaforma, gli viene mostrata una rassegna dei «video consigliati» il cui
contenuto varia in funzione dei video che ha già visto.
– Banner
pubblicitari, di prestatori terzi e specifici per l’area geografica di cui
trattasi, si trovano a margine della pagina iniziale. Un’altra possibilità di
sfruttamento pubblicitario su YouTube è costituita da messaggi video la cui
inserzione presuppone la conclusione di un contratto distinto tra l’utente che
carica il video e YouTube. Per quanto riguarda i video oggetto della presente
controversia, non sembra tuttavia che vi sia un collegamento con la pubblicità.
31 Il
Bundesgerichtshof (Corte federale di giustizia,
Germania) ha dichiarato ammissibile il ricorso per cassazione («Revision») avverso la sentenza d’appello, limitandolo ai motivi
dichiarati ricevibili dal giudice d’appello. Il sig. Peterson mantiene i
propri motivi di ricorso nell’ambito del proprio ricorso per cassazione («Revision») nei limiti in cui il giudice d’appello li ha
respinti in quanto infondati. Nel loro ricorso per cassazione («Revision») le resistenti nel procedimento principale
chiedono il rigetto integrale del ricorso.
32 Il
giudice del rinvio rileva che la fondatezza dell’impugnazione del
sig. Peterson dipende, in primo luogo, dalla questione se il comportamento
di YouTube nel procedimento principale costituisca una comunicazione al
pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto
d’autore. Esso ritiene che ciò possa valere solo per le sette opere musicali
tratte dall’album A Winter Symphony che YouTube non ha
prontamente rimosso o bloccato, sebbene fosse stata informata del fatto,
accertato dal giudice d’appello, che tali opere erano state illecitamente messe
a disposizione del pubblico tramite la sua piattaforma.
33 Infatti,
nel gestire la sua piattaforma, YouTube non eserciterebbe un ruolo
imprescindibile, ai sensi della giurisprudenza della Corte, richiesto affinché
il suo comportamento possa essere qualificato come atto di comunicazione,
qualora, una volta al corrente della messa a disposizione del pubblico di
contenuti che violano il diritto d’autore, essa li rimuova o blocchi
immediatamente l’accesso ad essi. Per poter ritenere che YouTube eserciti un
ruolo siffatto, sarebbe necessario che essa fosse pienamente consapevole delle
conseguenze del proprio comportamento e, in particolare, dell’assenza di
autorizzazione del titolare dei diritti. Orbene, dal momento che il caricamento
di video avviene automaticamente, YouTube non sarebbe al corrente della messa a
disposizione del pubblico di contenuti che violano il diritto d’autore prima
che il titolare dei diritti la informi in tal senso. Il giudice del rinvio
sottolinea che YouTube informa gli utenti, nei suoi termini generali di
servizio e successivamente, nel corso del processo di caricamento, che è fatto
loro divieto di violare il diritto d’autore tramite la sua piattaforma e
fornisce ai titolari di diritti strumenti mediante i quali i medesimi possono
agire contro siffatte violazioni.
34 Il
giudice del rinvio osserva che, ove il comportamento di YouTube di cui trattasi
nel procedimento principale non possa essere qualificato come comunicazione al
pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto
d’autore, è allora necessario stabilire, in secondo luogo, se l’attività del
gestore di una piattaforma di condivisione di video, come quella di YouTube,
rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, della
direttiva sul commercio elettronico, cosicché tale gestore può beneficiare di
un esonero dalla responsabilità per quanto riguarda le informazioni memorizzate
sulla sua piattaforma. Tale giudice rileva che, come risulta dagli elementi
accertati dal giudice d’appello, YouTube non ha collegato alcuna pubblicità ai
video che violano i diritti d’autore del sig. Peterson. Si porrebbe,
tuttavia, la questione se YouTube abbia nondimeno svolto un ruolo attivo, che
osti all’applicazione di tale disposizione, alla luce delle altre circostanze
del caso di specie, quali sintetizzate al punto 30 della presente sentenza.
35 Nell’ipotesi
in cui il ruolo svolto da YouTube dovesse essere qualificato neutro e in cui,
pertanto, la sua attività rientrasse nell’ambito di applicazione dell’articolo
14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico, si porrebbe, in
terzo luogo, la questione se l’essere «effettivamente al corrente del fatto che
l’attività o l’informazione è illecita» e l’essere «al corrente di fatti o di
circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione»,
ai sensi di tale disposizione, debbano riferirsi ad attività o informazioni
illecite concrete. Secondo il giudice del rinvio, si deve rispondere a tale
questione in senso affermativo. Infatti, dal tenore letterale e dall’impianto
sistematico di detta disposizione risulterebbe che non è sufficiente che il
prestatore sia stato al corrente, in generale, del fatto che i suoi servizi
sono utilizzati per commettere attività illecite. Una violazione dovrebbe
quindi essere segnalata in modo concreto e preciso al prestatore affinché
quest’ultimo possa constatarla senza un esame giuridico e sostanziale
approfondito.
36 Il
giudice del rinvio indica che, qualora il comportamento di YouTube di cui
trattasi nel procedimento principale rientrasse nell’ambito di applicazione
dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico, si
porrebbe altresì, in quarto luogo, la questione se sia compatibile con
l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul diritto d’autore il fatto che il
titolare dei diritti possa ottenere un provvedimento inibitorio contro un
gestore di una piattaforma di condivisione di video, i cui servizi siano stati
utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi, solo
nel caso in cui, in seguito alla notifica di una chiara violazione di un
diritto del genere, il gestore non sia intervenuto immediatamente per rimuovere
il contenuto in questione o bloccare l’accesso ad esso e garantire che siffatte
violazioni non si ripetessero. Secondo tale giudice, occorre rispondere in
senso affermativo a tale questione, giacché dall’articolo 14, paragrafo 1, e
dall’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico
risulterebbe che un provvedimento inibitorio contro un siffatto gestore può
essere previsto nel diritto nazionale degli Stati membri solo qualora tale
gestore sia effettivamente al corrente del fatto che l’attività o
l’informazione è illecita.
37 Nell’ipotesi
in cui il comportamento di YouTube non rientrasse nell’ambito di applicazione
dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico, si
porrebbe, in quinto luogo, la questione se YouTube debba, anche in assenza di
comunicazione al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della
direttiva sul diritto d’autore, essere considerata un «autore della violazione»
che, contrariamente ad un «intermediario», può, in forza degli articoli 11 e 13
della direttiva sul rispetto dei diritti, essere oggetto di un’azione non solo
inibitoria, ma anche per il pagamento di danni e per il recupero dei profitti.
38 Sempre
nell’ipotesi di cui al punto precedente e per il caso in cui la Corte seguisse,
a tal riguardo, la tesi del giudice del rinvio, secondo la quale YouTube
dovrebbe essere considerata un autore della violazione, si porrebbe, in sesto e
ultimo luogo, la questione se l’obbligo di un siffatto autore della violazione
di pagare un risarcimento danni, in forza dell’articolo 13, paragrafo 1, della
direttiva sul rispetto dei diritti, possa essere subordinato alla condizione che
egli abbia agito deliberatamente sia riguardo alla propria attività illecita
sia riguardo all’attività illecita concreta del terzo.
39 In
tale contesto, il Bundesgerichtshof (Corte federale
di giustizia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla
Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il
gestore di una piattaforma di condivisione di video su Internet sulla quale gli
utenti mettono a disposizione del pubblico video con contenuti protetti dal
diritto d’autore senza il consenso degli aventi diritto compia un atto di
comunicazione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della [direttiva sul
diritto d’autore] nel caso in cui
– esso
percepisca introiti pubblicitari attraverso la piattaforma,
– il
caricamento avvenga automaticamente e senza visualizzazione o controllo
preventivi da parte del gestore,
– il
gestore ottenga, in base ai termini generali di servizio, una licenza mondiale,
non esclusiva e gratuita per i video, per la durata della pubblicazione del
video,
– il
gestore indichi nei termini generali di servizio e nell’ambito del processo di
caricamento che non possono essere pubblicati contenuti lesivi del diritto
d’autore,
– il
gestore metta a disposizione strumenti atti a consentire agli aventi diritto di
intervenire ai fini della disabilitazione dell’accesso ai video illegali,
– il
gestore organizzi i risultati della ricerca sulla piattaforma sotto forma di
classifiche e categorie di contenuti, consentendo agli utenti registrati di
visualizzare una scaletta con i video consigliati sulla base dei video già
visualizzati,
qualora esso non sia
concretamente al corrente della disponibilità di contenuti lesivi del diritto
d’autore oppure, non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente
per la loro cancellazione ovvero per disabilitare l’accesso ad essi.
2) In
caso di risposta negativa alla prima questione:
Se, nelle circostanze
descritte nella prima questione, l’attività del gestore di una piattaforma di
condivisione video su Internet rientri nell’ambito di applicazione
dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva [sul commercio elettronico].
3) In
caso di risposta affermativa alla seconda questione:
Se l’essere
effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita
e l’essere al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta
l’illegalità dell’attività o dell’informazione debbano riferirsi, ai sensi
dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva [sul commercio elettronico], a
specifiche attività o informazioni illegali.
4) Ancora nel
caso di risposta affermativa alla seconda questione:
Se sia compatibile
con l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva [sul diritto d’autore] il fatto
che il titolare dei diritti possa ottenere un provvedimento inibitorio nei
confronti di un prestatore di servizi, il cui servizio consista nella
memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio e sia
utilizzato da un destinatario del servizio per violare un diritto d’autore o
diritti connessi, soltanto nel caso in cui, successivamente alla segnalazione
di una chiara violazione, si sia verificata nuovamente un’analoga violazione.
5) In caso di
risposta negativa alla prima e alla seconda questione:
Se, nelle circostanze
descritte nella prima questione, il gestore di una piattaforma di condivisione
di video su Internet possa essere considerato autore della violazione ai sensi
degli articoli 11, prima frase, e 13 della direttiva [sul rispetto dei
diritti].
6) In
caso di risposta affermativa alla quinta questione:
Se l’obbligo di
risarcimento del danno posto a carico di tale autore della violazione ai sensi
dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva [sul rispetto dei diritti] possa
essere subordinato alla condizione che egli abbia agito dolosamente sia con
riguardo alla propria attività illecita sia con riguardo a quella del terzo e
che sapesse o avrebbe dovuto ragionevolmente sapere che gli utenti utilizzano
la piattaforma per specifiche violazioni».
Causa C‑683/18
40 La
Elsevier è un editore internazionale specializzato, titolare dei diritti
esclusivi di sfruttamento sulle opere di cui trattasi nel procedimento
principale.
41 La
Cyando gestisce la piattaforma di hosting e di
condivisione di file «Uploaded», alla quale si può accedere
tramite i siti Internet uploaded.net, uploaded.to e ul.to. Tale piattaforma
offre a tutti gli internauti uno spazio gratuito di memorizzazione per il
caricamento («upload») di file, indipendentemente dal loro contenuto. Per poter
caricare file sulla suddetta piattaforma è necessario creare un account con un
nome utente e una password, fornendo segnatamente un indirizzo di posta
elettronica. La messa in rete di un file caricato da un utente si effettua
automaticamente e senza visualizzazione o controllo preventivi da parte della Cyando. Per ogni file caricato, la Cyando
genera automaticamente un link per il download («download-link») che consente
di accedere direttamente al file in questione e lo trasmette automaticamente
all’utente che lo ha caricato.
42 Per
i file memorizzati sulla sua piattaforma, la Cyando
non offre né un indice dei contenuti né una funzione di ricerca. Gli utenti
possono tuttavia condividere su Internet i link per il download che sono stati
loro comunicati dalla Cyando, in particolare in blog,
forum oppure in «raccolte di link». Dette raccolte, predisposte da terzi,
indicizzano tali link, forniscono informazioni relative al contenuto dei file
cui detti link rinviano e consentono quindi agli internauti di ricercare i file
che desiderano scaricare. In tal modo, altri internauti possono accedere ai
file memorizzati sulla piattaforma della Cyando.
43 Il
download di file dalla piattaforma della Cyando è
gratuito. Tuttavia, la quantità e la velocità di download sono limitati per gli
utenti non registrati e per gli utenti che beneficiano di un abbonamento
gratuito. Gli utenti che dispongono di un abbonamento a pagamento fruiscono di
un volume di download quotidiano di 30 GB, cumulabile fino a un massimo di 500
GB senza limiti di velocità di download. Essi possono procedere a un numero
illimitato di download simultanei, senza alcun tempo di attesa tra i diversi
download. Il prezzo di un siffatto abbonamento è compreso tra EUR 4,99 per
due giorni e EUR 99,99 per due anni. La Cyando corrisponde
agli utenti che hanno caricato file un compenso in funzione del numero di
download di tali file. Così, sono corrisposti fino a EUR 40 per 1 000
download.
44 In
base ai termini generali di servizio della Cyando,
agli utenti della sua piattaforma è fatto divieto di violare il diritto
d’autore nell’ambito della medesima.
45 Il
giudice del rinvio indica che tale piattaforma è utilizzata sia per usi leciti
sia per usi che violano il diritto d’autore. La Cyando
è stata informata del fatto che sono state caricate sulla sua piattaforma più
di 9 500 opere, relativamente alle quali, in violazione del diritto
d’autore, i link per il download sono stati condivisi su Internet su circa 800
siti diversi (raccolte di link, blog, forum).
46 In
particolare, sulla base di ricerche effettuate dall’11 al 19 dicembre 2013, la
Elsevier ha comunicato alla Cyando, con due lettere
datate 10 gennaio 2014 e 17 gennaio 2014, che tre delle opere sulle quali essa
detiene diritti di sfruttamento esclusivi, vale a dire Gray’s
Anatomy for Students, Atlas of Human Anatomy e Campbell-Walsh Urology, possono essere consultate come file sulla
piattaforma Uploaded, mediante le raccolte di link
rehabgate.com, avaxhome.ws e bookarchive.ws.
47 La
Elsevier ha proposto un ricorso nei confronti della Cyando
dinanzi al Landgericht München I (Tribunale del Land,
Monaco di Baviera I, Germania). La Elsevier ha chiesto, in particolare, che
fosse emanato nei confronti della Cyando un
provvedimento inibitorio, in via principale, in quanto autrice delle violazioni
del diritto d’autore sulle opere di cui trattasi nel procedimento principale
commesse, in subordine, in quanto partecipante a tali violazioni e, in
ulteriore subordine, in quanto «perturbatrice» («Störerin»).
La Elsevier ha altresì chiesto che la Cyando fosse
condannata a fornirle talune informazioni nonché a versarle un risarcimento
danni per le medesime violazioni.
48 Con
sentenza del 18 marzo 2016 il Landgericht München I
(Tribunale del Land, Monaco di Baviera I) ha emanato nei confronti della Cyando un provvedimento inibitorio in quanto partecipante
alle violazioni del diritto d’autore relativamente a tre delle opere di cui
trattasi nel procedimento principale, ossia quelle menzionate nelle lettere del
10 gennaio 2014 e del 17 gennaio 2014.
49 La
Elsevier e la Cyando hanno entrambe interposto
appello avverso tale decisione dinanzi all’Oberlandesgericht
München (Tribunale superiore del Land di Monaco di Baviera, Germania).
50 Con
sentenza del 2 marzo 2017 il giudice d’appello ha riformato la sentenza di
primo grado. Tale giudice ha emanato nei confronti della Cyando
un provvedimento inibitorio in quanto «perturbatrice» relativamente alle
violazioni del diritto d’autore sulle tre opere citate nelle lettere del 10
gennaio 2014 e del 17 gennaio 2014 e ha respinto il ricorso quanto al resto.
51 Il
giudice d’appello ha ritenuto, in particolare, che la Elsevier non potesse
agire in giudizio contro la Cyando in quanto autrice
delle violazioni dei diritti d’autore di cui trattasi. Il contributo della Cyando si limiterebbe, infatti, alla fornitura di mezzi
tecnici che consentirebbero la messa a disposizione del pubblico delle opere di
cui trattasi. Non essendo al corrente della sussistenza di siffatte violazioni
commesse dagli utenti della sua piattaforma, la Cyando
non potrebbe neppure essere considerata partecipante alle stesse. La Cyando sarebbe tuttavia tenuta, in quanto «perturbatrice»,
a far cessare le violazioni dei diritti d’autore sulle tre opere citate nelle
lettere del 10 gennaio 2014 e del 17 gennaio 2014. Per contro, per quanto
concerne un’altra opera, intitolata «Robbins Basic Pathology»,
anch’essa oggetto del procedimento principale, la Cyando
non avrebbe violato i propri obblighi di controllo, poiché tale opera è stata
oggetto di una nuova pubblicazione solo due anni e mezzo dopo la constatazione
della prima violazione che ha fatto sorgere tali obblighi di controllo.
Inoltre, in quanto «perturbatrice», la Cyando non
sarebbe tenuta a versare un risarcimento danni.
52 Nell’ambito
del proprio esame, il giudice d’appello ha constatato, in particolare, che la Cyando, attraverso l’organizzazione del suo sistema di
compenso, la fornitura di link per il download, che consentono l’accesso
diretto ai file caricati e la possibilità di un utilizzo anonimo della sua
piattaforma, favorisce considerevolmente l’uso di quest’ultima a fini illeciti.
Gli utenti interessati a scaricare file tenderebbero maggiormente a
sottoscrivere un abbonamento a pagamento, che dà loro diritto a un account
privilegiato, poiché, tramite tale piattaforma, possono scaricare opere
allettanti protette dal diritto d’autore. La Cyando
incoraggerebbe i suoi utenti a caricare file per i quali si può presumere che
saranno scaricati frequentemente, corrispondendo loro un compenso per i
frequenti download dei file che hanno caricato e facendoli partecipare agli
introiti generati dall’acquisizione di nuovi utenti. Poiché detto compenso
dipende dal numero di download di un file e, pertanto, dall’attrattiva di
quest’ultimo per il pubblico, gli utenti sarebbero indotti a caricare contenuti
protetti dal diritto d’autore, che senza caricamento sarebbero accessibili solo
dietro pagamento. Inoltre, il fatto che i link per il download diano un accesso
diretto ai file caricati consentirebbe agli utenti che hanno effettuato il
caricamento di condividere facilmente tali file con gli utenti interessati a
scaricare file, in particolare attraverso raccolte di link. Infine, l’anonimato
nell’utilizzo della piattaforma ridurrebbe il rischio per gli utenti di essere
citati in giudizio per aver violato il diritto d’autore.
53 Per
contro, e sebbene la Elsevier abbia sostenuto in appello che i contenuti che
violano il diritto d’autore rappresentano tra il 90 e il 96% dei file
consultabili sulla piattaforma della Cyando,
circostanza contestata da quest’ultima, il giudice d’appello non ha stabilito
la rispettiva quota d’uso legale di tale piattaforma e del suo uso a fini
illeciti.
54 Con
il suo ricorso per cassazione («Revision»),
dichiarato ammissibile dal Bundesgerichtshof (Corte
federale di giustizia) e di cui la Cyando chiede il
rigetto, la Elsevier insiste nelle proprie richieste.
55 Il
giudice del rinvio rileva che la fondatezza dell’impugnazione dipende, in primo
luogo, dalla questione se il comportamento del gestore di una piattaforma di
hosting e di condivisione di file, come quella della Cyando,
costituisca una comunicazione al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo
1, della direttiva sul diritto d’autore. Secondo tale giudice si può ritenere
che la Cyando svolga un ruolo imprescindibile, ai
sensi della giurisprudenza della Corte, richiesto affinché il suo comportamento
possa essere qualificato come atto di comunicazione. A questo proposito, il giudice
del rinvio constata che, certamente, la Cyando non è
al corrente della messa a disposizione illecita di contenuti protetti prima che
il titolare dei diritti la informi in tal senso, in quanto detti contenuti sono
caricati da terzi. Inoltre, la Cyando informerebbe i
suoi utenti, nei termini di servizio della sua piattaforma, che è fatto loro
divieto di violare il diritto d’autore tramite la medesima. La Cyando sarebbe tuttavia al corrente del fatto che una
notevole quota di contenuti protetti è illecitamente comunicata al pubblico
attraverso la sua piattaforma. In aggiunta, la Cyando,
mediante il suo sistema di compenso, la fornitura di link per il download che
consentono l’accesso diretto ai file caricati e la possibilità di utilizzare in
modo anonimo la sua piattaforma, accrescerebbe sensibilmente il rischio che la
sua piattaforma sia utilizzata a fini illeciti.
56 Nell’ipotesi
in cui la Corte dovesse dichiarare che il comportamento del gestore di una
piattaforma di hosting e di condivisione di file, come quella della Cyando, non costituisce una comunicazione al pubblico, ai
sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore, il
giudice del rinvio solleva, in sostanza, questioni identiche alle questioni
dalla seconda alla sesta poste nella causa C‑682/18.
57 In
tale contesto, il Bundesgerichtshof (Corte federale
di giustizia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla
Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) a) Se il gestore di [una piattaforma
di hosting e di condivisione di file] attraverso la quale gli utenti mettono a
disposizione del pubblico file recanti contenuti protetti dal diritto d’autore
senza il consenso degli aventi diritto compia un atto di comunicazione ai sensi
dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva [sul diritto d’autore] nel caso
in cui,
– il caricamento
avvenga automaticamente e senza visualizzazione o controllo preventivi da parte
del gestore,
– il gestore
indichi nei termini di servizio che non possono essere pubblicati contenuti
lesivi del diritto d’autore,
– esso
percepisca introiti derivanti dalla gestione del servizio,
– [la
piattaforma] sia utilizzata per usi leciti, ma il gestore sia al corrente del
fatto che è disponibile anche un numero considerevole di contenuti lesivi del
diritto d’autore (oltre 9 500 opere),
– il gestore non
fornisca alcun elenco dei contenuti, né alcuna funzione di ricerca, tuttavia i
collegamenti per il download senza limiti che esso mette a disposizione sono
pubblicati da terzi in apposite raccolte su Internet, le quali includono
informazioni sul contenuto dei file e consentono la ricerca di determinati
contenuti,
– attraverso il
sistema del compenso per i download corrisposto in base alla domanda, il
gestore crei un incentivo a caricare contenuti protetti dal diritto d’autore,
altrimenti disponibili per gli utenti solo a pagamento
e
– con la
possibilità di caricare file in forma anonima, aumenti la probabilità che gli
utenti non siano chiamati a rispondere di violazioni del diritto d’autore.
b) Se tale
valutazione cambi nel caso in cui vengano offerti, attraverso [la piattaforma
di hosting e di condivisione di file], contenuti lesivi del diritto d’autore in
una misura compresa tra il 90 e il 96% dell’uso totale.
2) In
caso di risposta negativa alla prima questione:
Se, nelle circostanze
descritte nella prima questione, l’attività del gestore di [una piattaforma di hosting
e di condivisione di file] rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo
14, paragrafo 1, della direttiva [sul commercio elettronico].
3) In
caso di risposta affermativa alla seconda questione:
Se l’essere
effettivamente al corrente del fatto che l’attività o l’informazione è illecita
e l’essere al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta
l’illegalità dell’attività o dell’informazione debbano riferirsi, ai sensi
dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva [sul commercio elettronico], a
specifiche attività o informazioni illecite.
4) Ancora nel
caso di risposta affermativa alla seconda questione:
Se sia compatibile
con l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva [sul diritto d’autore] il fatto
che il titolare del diritto possa ottenere un provvedimento inibitorio nei
confronti di un prestatore di servizi il cui servizio consista nella
memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio e sia
utilizzato da un destinatario del servizio per violare un diritto d’autore o
diritti connessi, soltanto nel caso in cui a seguito della segnalazione di una
chiara violazione si sia verificata nuovamente un’analoga violazione.
5) In caso di
risposta negativa alla prima e alla seconda questione:
Se, nelle circostanze
descritte nella prima questione, il gestore di [una piattaforma di hosting e di
condivisione di file] possa essere considerato autore della violazione ai sensi
degli articoli 11, prima frase, e 13 della direttiva [sul rispetto dei
diritti].
6) In caso di
risposta affermativa alla quinta questione:
Se l’obbligo di
risarcimento del danno posto a carico di tale autore della violazione ai sensi
dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva [sul rispetto dei diritti] possa
essere subordinato alla condizione che l’autore della violazione abbia agito
dolosamente sia in relazione alla propria attività di violazione sia in
relazione a quella del terzo e che sapesse o avrebbe dovuto ragionevolmente
sapere che gli utenti utilizzano la piattaforma per specifiche violazioni».
58 Con
decisione del presidente della Corte del 18 dicembre 2018, le cause C‑682/18
e C‑683/18 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del
procedimento, nonché della sentenza.
Sulle
questioni pregiudiziali
59 In
via preliminare, occorre precisare che le questioni sollevate nelle presenti
cause vertono sulla direttiva sul diritto d’autore, sulla direttiva sul
commercio elettronico nonché sulla direttiva sul rispetto dei diritti,
applicabili all’epoca dei fatti di cui al procedimento principale. Le
interpretazioni fornite dalla Corte in risposta a tali questioni non riguardano
il regime, entrato in vigore successivamente a tale epoca, istituito
dall’articolo 17 della direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel
mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29 (GU 2019,
L 130, pag. 92).
Sulla
prima questione sollevata nelle cause C‑682/18 e C‑683/18
60 Con
la sua prima questione sollevata in ciascuna delle due cause, il giudice del
rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul
diritto d’autore debba essere interpretato nel senso che il gestore di una
piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di
condivisione di file, sulla quale gli utenti possono mettere illecitamente a
disposizione del pubblico contenuti protetti, effettui esso stesso, in
condizioni come quelle di cui trattasi nei procedimenti principali, una
«comunicazione al pubblico» di detti contenuti, ai sensi di tale disposizione.
61 A
norma dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore, gli
Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o
vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro
opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in
maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti
individualmente.
62 In
forza di tale disposizione, gli autori dispongono pertanto di un diritto di
natura precauzionale che consente loro di frapporsi tra eventuali utenti della
loro opera e la comunicazione al pubblico che detti utenti potrebbero voler
effettuare, e ciò al fine di vietare quest’ultima (sentenza del 9 marzo 2021,
VG Bild-Kunst, C‑392/19, EU:C:2021:181, punto 21 e giurisprudenza ivi
citata).
63 Come
la Corte ha già dichiarato, la nozione di «comunicazione al pubblico», ai sensi
dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore, deve essere
intesa, come indicato al considerando 23 di tale direttiva, in senso ampio,
quale comprendente qualsiasi comunicazione al pubblico non presente nel luogo
di origine della comunicazione e quindi qualsiasi trasmissione o
ritrasmissione, di tale natura, di un’opera al pubblico, su filo o senza filo,
compresa la radiodiffusione. Dai considerando 4, 9 e 10 della suddetta
direttiva emerge, infatti, che obiettivo principale di quest’ultima è la
realizzazione di un elevato livello di protezione a favore degli autori,
consentendo a questi ultimi di ricevere un adeguato compenso per l’utilizzo
delle loro opere, in particolare in occasione di una comunicazione al pubblico
(sentenza del 9 marzo 2021, VG Bild-Kunst, C‑392/19, EU:C:2021:181, punti
26 e 27).
64 Allo
stesso tempo, dai considerando 3 e 31 della direttiva sul diritto d’autore
risulta che l’armonizzazione da questa effettuata è intesa a garantire, in
particolare nell’ambiente elettronico, un giusto equilibrio tra, da un lato,
l’interesse dei titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi alla
protezione del loro diritto di proprietà intellettuale, garantita dall’articolo
17, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo:
la «Carta»), e, dall’altro, la tutela degli interessi e dei diritti
fondamentali degli utenti dei materiali protetti, segnatamente della loro
libertà di espressione e d’informazione, garantita dall’articolo 11 della
Carta, nonché dell’interesse generale (sentenze dell’8 settembre 2016, GS
Media, C‑160/15, EU:C:2016:644, punto 31, e del 29 luglio 2019, Pelham e a., C‑476/17, EU:C:2019:624, punto 32 e
giurisprudenza ivi citata).
65 Ne
consegue che, ai fini dell’interpretazione e dell’applicazione della direttiva
sul diritto d’autore, e in particolare del suo articolo 3, paragrafo 1, tale
giusto equilibrio deve essere ricercato, tenendo conto anche della particolare
importanza di Internet per la libertà di espressione e d’informazione,
garantita dall’articolo 11 della Carta (v., in tal senso, sentenza dell’8
settembre 2016, GS Media, C‑160/15, EU:C:2016:644, punto 45).
66 Come
la Corte ha più volte dichiarato, la nozione di «comunicazione al pubblico», ai
sensi di detto articolo 3, paragrafo 1, combina due elementi cumulativi, ossia
un atto di comunicazione di un’opera e la comunicazione di quest’ultima a un
pubblico, e implica una valutazione individualizzata (sentenza del 9 marzo
2021, VG Bild-Kunst, C‑392/19, EU:C:2021:181, punti 29 e 33 e giurisprudenza
ivi citata).
67 Ai
fini di una tale valutazione è necessario tener conto di svariati criteri
complementari, di natura non autonoma e interdipendenti fra loro. Poiché tali
criteri possono essere presenti, nelle diverse situazioni concrete con
intensità molto variabile, occorre applicarli sia individualmente sia nella
loro reciproca interazione (sentenza del 9 marzo 2021, VG Bild-Kunst, C‑392/19,
EU:C:2021:181, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).
68 Tra
tali criteri la Corte ha, da un lato, messo in evidenza il ruolo
imprescindibile del gestore della piattaforma e il carattere intenzionale del
suo intervento. Esso realizza infatti un «atto di comunicazione» quando
interviene, con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento, per
dare ai suoi clienti accesso a un’opera protetta, in particolare quando, in
mancanza di detto intervento, tali clienti non potrebbero, in linea di
principio, fruire dell’opera diffusa (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno
2017, Stichting Brein, C‑610/15,
EU:C:2017:456, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).
69 Dall’altro
lato, la Corte ha precisato che la nozione di «pubblico» riguarda un numero
indeterminato di destinatari potenziali e comprende, peraltro, un numero di
persone piuttosto considerevole [sentenza del 28 ottobre 2020, BY (Prova
fotografica), C‑637/19, EU:C:2020:863, punto 26 e giurisprudenza ivi
citata].
70 La
Corte ha del pari ricordato che, secondo costante giurisprudenza, un’opera
protetta, per essere qualificata come «comunicazione al pubblico», deve essere
comunicata secondo modalità tecniche specifiche, diverse da quelle fino ad
allora utilizzate o, in mancanza, deve essere rivolta ad un «pubblico nuovo»,
vale a dire a un pubblico che non sia già stato preso in considerazione dal
titolare del diritto nel momento in cui egli ha autorizzato la comunicazione
iniziale della sua opera al pubblico (sentenza del 19 dicembre 2019, Nederlands Uitgeversverbond e Groep Algemene Uitgevers, C‑263/18, EU:C:2019:1111, punto 70 e giurisprudenza
ivi citata).
71 Nel
caso di specie, occorre anzitutto rilevare che i contenuti potenzialmente
illeciti sono caricati sulla piattaforma di cui trattasi non dal gestore, bensì
dagli utenti, che agiscono autonomamente e sotto la propria responsabilità.
72 Inoltre,
sono gli utenti della piattaforma a decidere se i contenuti da essi caricati
sono messi, tramite tale piattaforma, a disposizione di altri internauti,
affinché questi ultimi possano avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente.
73 Infatti,
per quanto riguarda la piattaforma di hosting e di condivisione Uploaded, è pacifico che il link per il download che
consente di accedere a un contenuto caricato è comunicato esclusivamente
all’utente che ha effettuato il caricamento e che tale piattaforma non offre
essa stessa la possibilità di condividere tale link e, pertanto, il contenuto caricato
con altri internauti. Dunque, per condividere tale contenuto, l’utente deve o
comunicare il link per il download direttamente alle persone alle quali intende
dare accesso a detto contenuto oppure pubblicare tale link su Internet, in
particolare in blog, forum o «raccolte di link».
74 Quanto
alla piattaforma di condivisione di video YouTube, risulta che, pur se la
funzione principale di tale piattaforma consiste nella condivisione pubblica di
video con tutti gli internauti, essa consente altresì ai suoi utenti di
caricarvi contenuti in modalità «privata» e quindi di scegliere se intendano
condividere tali contenuti, ed eventualmente con chi condividerli.
75 Pertanto,
occorre considerare, da un lato, che gli utenti delle piattaforme di cui trattasi
nei procedimenti principali realizzano un «atto di comunicazione», ai sensi
della giurisprudenza richiamata al punto 68 della presente sentenza, qualora,
senza il consenso dei titolari dei diritti, diano ad altri internauti accesso,
tramite dette piattaforme, a opere protette delle quali tali altri internauti
non avrebbero potuto fruire in assenza dell’intervento dei suddetti utenti.
Dall’altro lato, è solo nell’ipotesi in cui detti utenti mettano i contenuti
caricati a disposizione del «pubblico», nel senso della giurisprudenza
ricordata al punto 69 della presente sentenza, condividendo tali contenuti
sulla piattaforma YouTube con qualsiasi internauta o pubblicando su Internet i
link per il download che danno accesso ai succitati contenuti sulla piattaforma
Uploaded, che tali utenti e, di conseguenza, il
gestore della piattaforma che funge da intermediario per tale messa a
disposizione, sono suscettibili di effettuare una «comunicazione al pubblico»,
ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore.
76 Con
la sua prima questione sollevata in ciascuna delle due cause, il giudice del
rinvio chiede se il gestore di una piattaforma di condivisione di video o di
una piattaforma di hosting e di condivisione di file effettui esso stesso un
«atto di comunicazione» che si aggiunge a quello effettuato, se del caso,
dall’utente della medesima.
77 A
questo proposito, occorre rilevare che il gestore di una piattaforma del genere
svolge un ruolo imprescindibile nella messa a disposizione di contenuti
potenzialmente illeciti, effettuata dai suoi utenti. Infatti, senza la
fornitura e la gestione di una siffatta piattaforma, la libera condivisione su
Internet di tali contenuti sarebbe impossibile o, quantomeno, più complessa
(v., per analogia, sentenza del 14 giugno 2017, Stichting
Brein, C‑610/15, EU:C:2017:456, punti 36 e 37).
78 Tuttavia,
come risulta dalla giurisprudenza citata ai punti 67 e 68 della presente
sentenza, il carattere imprescindibile del ruolo svolto dal gestore di una
piattaforma di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di
condivisione di file non è l’unico criterio di cui occorre tener conto
nell’ambito della valutazione individualizzata da compiere, ma deve, al
contrario, essere applicato in combinazione con altri criteri, in particolare
quello del carattere intenzionale dell’intervento del suddetto gestore.
79 Infatti,
ove la mera circostanza che l’utilizzo di una piattaforma sia necessario
affinché il pubblico possa effettivamente fruire dell’opera, oppure che esso
agevoli soltanto tale fruizione, conducesse automaticamente a qualificare
l’intervento del gestore di detta piattaforma come «atto di comunicazione»,
qualsiasi «fornitura di attrezzature fisiche atte a rendere possibile o ad effettuare
una comunicazione» costituirebbe un atto del genere, il che è tuttavia escluso
espressamente dal considerando 27 della direttiva sul diritto d’autore, il
quale riprende, in sostanza, la dichiarazione comune in merito all’articolo 8
del TDA.
80 Pertanto,
è alla luce tanto della rilevanza del ruolo che un intervento siffatto del
gestore di una piattaforma svolge nella comunicazione effettuata dall’utente
della medesima, quanto del carattere intenzionale di tale intervento che occorre
valutare se, tenuto conto del contesto specifico, detto intervento debba essere
qualificato come atto di comunicazione.
81 A
tal riguardo, dalla giurisprudenza citata al punto 68 della presente sentenza
risulta che è soprattutto il fatto di intervenire con piena cognizione delle
conseguenze del proprio comportamento allo scopo di dare al pubblico accesso a
opere protette che può condurre a qualificare tale intervento come «atto di
comunicazione».
82 In
applicazione della succitata giurisprudenza, la Corte ha dichiarato che
costituivano una comunicazione al pubblico la messa a disposizione e la
gestione, su Internet, della piattaforma di condivisione The Pirate Bay che, mediante l’indicizzazione di metadati relativi ad
opere protette e la fornitura di un motore di ricerca, consentiva agli utenti
di tale piattaforma di localizzare tali opere e di condividerle nell’ambito di
una rete tra utenti («peer-to-peer»). A tal proposito, la Corte ha segnatamente
sottolineato che gli amministratori di The Pirate Bay
erano intervenuti con piena cognizione delle conseguenze del proprio
comportamento, al fine di dare accesso alle opere protette, che essi avevano
manifestato espressamente, sui blog e sui forum disponibili su detta
piattaforma, il loro obiettivo di mettere opere protette a disposizione degli
utenti, e che essi avevano incitato questi ultimi a realizzare copie di
siffatte opere (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2017, Stichting Brein, C‑610/15,
EU:C:2017:456, punti 36, 45 e 48).
83 Al
fine di stabilire se il gestore di una piattaforma di condivisione di video o
di una piattaforma di hosting e di condivisione di file intervenga nella
comunicazione illecita di contenuti protetti, effettuata da utenti della sua
piattaforma, con piena cognizione delle conseguenze del suo comportamento per
dare agli altri internauti accesso a siffatti contenuti, occorre tener conto di
tutti gli elementi che caratterizzano la situazione di cui è causa e che
consentono di trarre, direttamente o indirettamente, conclusioni sul carattere
intenzionale o meno del suo intervento nella comunicazione illecita di detti
contenuti.
84 Costituiscono,
a tal riguardo, elementi pertinenti, in particolare, il fatto che il suddetto
gestore, anche se sa o dovrebbe sapere che, in generale, contenuti protetti
sono illecitamente messi a disposizione del pubblico tramite la propria
piattaforma da utenti di quest’ultima, si astenga dal mettere in atto le
opportune misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente
diligente nella sua situazione per contrastare in modo credibile ed efficace
violazioni del diritto d’autore su tale piattaforma, e il fatto che detto
operatore partecipi alla selezione di contenuti protetti comunicati
illecitamente al pubblico, che esso fornisca sulla propria piattaforma
strumenti specificamente destinati alla condivisione illecita di siffatti
contenuti o che promuova scientemente condivisioni del genere, il che può
essere attestato dalla circostanza che il suddetto gestore ha adottato un
modello economico che induce gli utenti della sua piattaforma a procedere
illecitamente alla comunicazione al pubblico di contenuti protetti sulla
medesima.
85 Per
contro, la mera circostanza che il gestore sia al corrente, in via generale,
della disponibilità illecita di contenuti protetti sulla sua piattaforma non è
sufficiente per ritenere che esso intervenga allo scopo di dare agli internauti
l’accesso a tali contenuti. La situazione è tuttavia diversa nel caso in cui
tale gestore, seppur informato dal titolare dei diritti del fatto che un
contenuto protetto è illecitamente comunicato al pubblico tramite la propria
piattaforma, si astenga dall’adottare immediatamente le misure necessarie per
rendere inaccessibile tale contenuto.
86 Inoltre,
pur se non è privo di rilevanza il carattere lucrativo dell’intervento di cui
trattasi (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2017, Stichting
Brein, C‑610/15, EU:C:2017:456, punto 29 e
giurisprudenza ivi citata), il semplice fatto che il gestore di una piattaforma
di condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di
file persegua un fine di lucro non consente né di constatare il carattere
intenzionale del suo intervento nella comunicazione illecita di contenuti
protetti, effettuata da taluni suoi utenti, né di presumere un carattere
siffatto. Invero, il fatto di fornire servizi della società dell’informazione a
scopo di lucro non significa affatto che il fornitore di siffatti servizi
acconsenta a che questi ultimi siano utilizzati da terzi per violare il diritto
d’autore. A tal riguardo, in particolare dall’impianto sistematico
dell’articolo 8 della direttiva sul diritto d’autore, segnatamente dal
paragrafo 3 del medesimo, in combinato disposto con il considerando 27 di detta
direttiva risulta che non si può presumere che meri fornitori di attrezzature
fisiche atte a rendere possibile o effettuare una comunicazione e altri
intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi per violare il diritto
d’autore compiano essi stessi un atto di comunicazione al pubblico, benché essi
agiscono, in generale, a scopo di lucro.
87 Una
presunzione in tal senso non può essere ricavata dalla sentenza dell’8
settembre 2016, GS Media (C‑160/15, EU:C:2016:644).
88 Con
l’interpretazione dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto
d’autore accolta in tale sentenza, la Corte ha, infatti, limitato la
responsabilità delle persone che inseriscono collegamenti ipertestuali verso
opere protette, in considerazione della particolare importanza che siffatti
collegamenti rivestono per lo scambio di opinioni e di informazioni su Internet
e delle difficoltà nel verificare la legittimità della pubblicazione di
un’opera su un altro sito Internet. In tal senso, la Corte ha dichiarato che la
fornitura di un collegamento ipertestuale costituisce un atto di comunicazione
al pubblico, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto
d’autore, qualora la persona che ha inserito il collegamento fosse al corrente,
o fosse tenuta ad esserlo, del fatto che quest’ultimo fornisce accesso a
un’opera illecitamente pubblicata su Internet, che tale collegamento
consentisse di eludere misure restrittive adottate dal sito contenente l’opera
protetta o che l’inserimento di detto collegamento fosse effettuato a fini
lucrativi, e la persona che ha inserito il collegamento ipertestuale deve
dunque effettuare le verifiche necessarie per garantire che l’opera di cui
trattasi non sia pubblicata illecitamente sul sito cui rimanda detto
collegamento ipertestuale (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2016, GS
Media, C‑160/15, EU:C:2016:644, punti da 44 a 55).
89 Orbene,
la situazione di una persona che inserisce un collegamento ipertestuale, la
quale agisce di propria iniziativa e, al momento di tale inserimento, è al
corrente del contenuto verso il quale detto collegamento dovrebbe rimandare,
non è paragonabile a quella del gestore di una piattaforma di condivisione di
video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file qualora
quest’ultimo non sia concretamente al corrente dei contenuti protetti caricati
dagli utenti su tale piattaforma e non contribuisca, al di là della semplice
messa a disposizione della piattaforma, a dare al pubblico accesso a siffatti
contenuti in violazione del diritto d’autore. Di conseguenza, l’interpretazione
accolta dalla Corte nella suddetta sentenza non può essere estesa a un gestore
siffatto al fine di dimostrare il carattere intenzionale del suo intervento
nella comunicazione illecita di opere protette al pubblico, ai sensi
dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore.
90 Per
quanto riguarda i gestori delle due piattaforme di cui trattasi nei
procedimenti principali, spetta al giudice del rinvio stabilire, alla luce in
particolare dei criteri elencati al punto 84 della presente sentenza, se tali
gestori compiano essi stessi atti di comunicazione al pubblico – ai sensi
dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore – dei
contenuti protetti che sono caricati sulla loro piattaforma dagli utenti di
quest’ultima.
91 La
Corte può tuttavia fornire a tale giudice alcuni chiarimenti in relazione, in
particolare, agli elementi di fatto oggetto delle questioni.
92 Nella
causa C‑682/18 dalla decisione di rinvio risulta che YouTube non
interviene nella creazione o nella selezione dei contenuti caricati sulla sua
piattaforma dagli utenti di quest’ultima, e che essa non procede né alla
visualizzazione né al controllo di tali contenuti prima del loro caricamento,
il quale si effettua secondo un processo automatizzato.
93 Dalla
decisione di rinvio risulta altresì che YouTube informa chiaramente i suoi
utenti, nei suoi termini generali di servizio e in occasione di ogni
caricamento, del divieto di collocare contenuti protetti su tale piattaforma in
violazione del diritto d’autore. Peraltro, nelle «Linee guida della community»
essa invita i suoi utenti a rispettare il diritto d’autore. Inoltre, se un
video è bloccato a causa di una segnalazione da parte del titolare dei diritti,
l’utente che lo ha caricato è avvertito del fatto che il suo account sarà
bloccato in caso di recidiva.
94 Oltre
a ciò, YouTube avrebbe predisposto vari dispositivi tecnici al fine di
prevenire e far cessare le violazioni del diritto d’autore sulla sua
piattaforma, quali, in particolare, un pulsante di notifica e un procedimento
speciale di segnalazione per segnalare e far rimuovere contenuti illeciti
nonché un programma di verifica dei contenuti e software di riconoscimento di
contenuto che agevolano l’identificazione e la designazione di siffatti
contenuti. Risulta quindi che tale gestore ha messo in atto misure tecniche
volte a contrastare in modo credibile ed efficace le violazioni del diritto
d’autore sulla sua piattaforma.
95 Secondo
il giudice del rinvio, inoltre, anche se YouTube, da un lato, procede a
organizzare i risultati della ricerca sulla sua piattaforma sotto forma di
rassegne e categorie di contenuti e, dall’altro, mostra agli utenti registrati
un’anteprima dei video consigliati in funzione dei video già visualizzati da
tali utenti, dette rassegne, categorie e anteprime di video consigliati non
sono dirette a facilitare la condivisione illecita di contenuti protetti né a
incentivare simili condivisioni.
96 Peraltro,
se è vero che YouTube ottiene introiti pubblicitari dalla sua piattaforma e
consente agli utenti che hanno caricato contenuti nonché ai titolari di
contenuti protetti dal diritto d’autore di partecipare a detti introiti, non
risulta tuttavia che il modello economico di tale piattaforma si basi sulla
presenza di contenuti illeciti su quest’ultima o che detto modello miri a
incoraggiare gli utenti a caricare contenuti del genere, né che lo scopo o
l’uso principale di YouTube consista nella condivisione illecita di contenuti
protetti.
97 Nella
causa C‑683/18 dalla decisione di rinvio risulta che nemmeno la Cyando, gestore della piattaforma di hosting e di
condivisione di file Uploaded, proceda alla
creazione, alla selezione, alla visualizzazione e al controllo dei contenuti
caricati sulla sua piattaforma. Peraltro, essa informa i suoi utenti, nei
termini di servizio della sua piattaforma, che è fatto loro divieto di violare
il diritto d’autore tramite la stessa.
98 Inoltre,
come rilevato al punto 73 della presente sentenza, il caricamento, ad opera di
utenti, di contenuti protetti sulla piattaforma Uploaded
non consente ai medesimi di mettere detti contenuti direttamente a disposizione
del pubblico, giacché è possibile accedere al contenuto caricato unicamente
attraverso un link per il download comunicato soltanto all’utente che ha
effettuato il caricamento. È altresì pacifico che tale piattaforma non consente
essa stessa di condividere il suddetto link e, quindi, il contenuto caricato,
con altri internauti. Pertanto, non solo la Cyando
non fornisce strumenti specificamente destinati a facilitare la condivisione
illecita, sulla sua piattaforma, di contenuti protetti o a promuovere simili
condivisioni, ma, più in generale, tale piattaforma non presenta alcuno
strumento che consenta agli altri internauti di conoscere i contenuti che vi
sono memorizzati e di accedervi. Oltre a ciò, la Cyando
non partecipa all’eventuale inserimento dei link per il download su fonti
terze, quali blog, forum o «raccolte di link». Peraltro, una piattaforma di
hosting e di condivisione di file come Uploaded offre
ai suoi utenti diverse possibilità di uso lecite.
99 La
Elsevier afferma tuttavia che i file che includono contenuti illeciti
rappresentano tra il 90 e il 96% dei file che possono essere consultati su Uploaded, il che è contestato dalla Cyando,
la quale sostiene che solo l’1,1% del totale dei file effettivamente consultati
riguarda contenuti protetti dal diritto d’autore, quota che corrisponderebbe
allo 0,3% del volume totale dei dati memorizzati.
100 A questo
proposito, si deve ricordare, da un lato, che, come rilevato al punto 75 della
presente sentenza, è solo quando l’utente della piattaforma decide di mettere
il contenuto caricato a disposizione del «pubblico» che tale utente e,
conseguentemente, il gestore della piattaforma che funge da intermediario sono
suscettibili di effettuare una «comunicazione al pubblico», ai sensi
dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore. Dall’altro
lato, occorre sottolineare che, se dovesse risultare che l’utilizzo principale
o preponderante della piattaforma gestita dalla Cyando
consiste nella messa a disposizione del pubblico, in modo illecito, di
contenuti protetti, tale circostanza figurerebbe tra gli elementi pertinenti al
fine di determinare il carattere intenzionale dell’intervento di detto gestore.
La pertinenza di una circostanza siffatta sarebbe ancora maggiore in quanto
detto gestore si asterrebbe dal mettere in atto le opportune misure tecniche
che ci si può attendere da un operatore normalmente diligente nella sua
situazione per contrastare in modo credibile ed efficace violazioni del diritto
d’autore sulla sua piattaforma.
101 Infine,
indipendentemente dalla fondatezza dell’affermazione della Elsevier in merito
all’elevata quota di contenuti protetti, comunicati illecitamente al pubblico
tramite Uploaded, il carattere intenzionale dell’intervento
del gestore di tale piattaforma potrebbe derivare dalla circostanza – che
spetta al giudice del rinvio verificare – che il modello economico
adottato da detto gestore si basi sulla disponibilità di contenuti illeciti
sulla sua piattaforma e miri a incoraggiare i suoi utenti a condividere
siffatti contenuti tramite la medesima.
102 Alla
luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla
prima questione sollevata in ciascuna delle due cause dichiarando che
l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto d’autore deve essere
interpretato nel senso che il gestore di una piattaforma di condivisione di
video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file, sulla quale
utenti possono mettere illecitamente a disposizione del pubblico contenuti
protetti, non effettua una «comunicazione al pubblico» di detti contenuti, ai
sensi di tale disposizione, salvo che esso contribuisca, al di là della
semplice messa a disposizione della piattaforma, a dare al pubblico accesso a
siffatti contenuti in violazione del diritto d’autore. Ciò si verifica, in
particolare, qualora tale gestore sia concretamente al corrente della messa a
disposizione illecita di un contenuto protetto sulla sua piattaforma e si
astenga dal rimuoverlo o dal bloccare immediatamente l’accesso ad esso, o nel
caso in cui detto gestore, anche se sa o dovrebbe sapere che, in generale,
contenuti protetti sono illecitamente messi a disposizione del pubblico tramite
la sua piattaforma da utenti di quest’ultima, si astenga dal mettere in atto le
opportune misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente
diligente nella sua situazione per contrastare in modo credibile ed efficace
violazioni del diritto d’autore su tale piattaforma, o ancora nel caso in cui
esso partecipi alla selezione di contenuti protetti comunicati illecitamente al
pubblico, fornisca sulla propria piattaforma strumenti specificamente destinati
alla condivisione illecita di siffatti contenuti o promuova scientemente
condivisioni del genere, il che può essere attestato dalla circostanza che il
gestore abbia adottato un modello economico che incoraggia gli utenti della sua
piattaforma a procedere illecitamente alla comunicazione al pubblico di
contenuti protetti sulla medesima.
Sulle
questioni seconda e terza sollevate nelle cause C‑682/18
e C‑683/18
103 Con le
questioni seconda e terza sollevate in ciascuna delle due cause, che è
opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede se l’articolo
14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico debba essere
interpretato nel senso che l’attività del gestore di una piattaforma di
condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file
rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione, nei limiti in cui
detta attività riguarda i contenuti caricati sulla sua piattaforma da utenti
della medesima. In caso di risposta affermativa, tale giudice chiede, in
sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della suddetta direttiva
debba essere interpretato nel senso che, per essere escluso, in forza della
succitata disposizione, dal beneficio dell’esonero dalla responsabilità
previsto da tale articolo 14, paragrafo 1, detto gestore deve essere al
corrente degli atti illeciti concreti dei suoi utenti relativi a contenuti
protetti che sono stati caricati sulla sua piattaforma.
104 Ai sensi
dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico, gli
Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della
società dell’informazione consistente nella memorizzazione di informazioni
fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile
delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a
condizione che detto prestatore non sia effettivamente al corrente del fatto
che l’attività o l’informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni
risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono
manifesta l’illegalità dell’attività o dell’informazione, oppure che, non
appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le
informazioni o per disabilitarne l’accesso.
105 Secondo
costante giurisprudenza, tale disposizione deve essere interpretata non
soltanto alla luce del suo tenore letterale, ma anche tenendo conto del suo
contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte
(sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im. dra
J. Babińskiego Samodzielny
Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C‑16/19, EU:C:2021:64, punto 26 e
giurisprudenza ivi citata). Affinché il prestatore di un servizio su Internet
possa rientrare nel suo ambito di applicazione, è necessario che esso sia un
«prestatore intermediario» nel senso voluto dal legislatore nell’ambito della sezione
4 del capo II della direttiva sul commercio
elettronico. A questo proposito, dal considerando 42 di tale direttiva risulta
che le deroghe alla responsabilità stabilite da quest’ultima riguardano
esclusivamente i casi in cui l’attività di prestatore di servizi della società
dell’informazione sia di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, con la
conseguenza che detto prestatore non conosce né controlla le informazioni
trasmesse o memorizzate (v., in tal senso, sentenza del 23 marzo 2010, Google France
e Google, da C‑236/08 a C‑238/08, EU:C:2010:159, punti 112 e 113).
106 Pertanto,
al fine di accertare se il gestore di una piattaforma di condivisione di video
o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file possa essere
esonerato, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul
commercio elettronico, dalla sua responsabilità per i contenuti protetti che
utenti comunicano illecitamente al pubblico tramite la sua piattaforma, occorre
esaminare se il ruolo svolto da tale gestore sia neutro, vale a dire se il suo
comportamento sia meramente tecnico, automatico e passivo, che implica la
mancanza di conoscenza o di controllo dei contenuti che memorizza, o se, al
contrario, detto gestore svolga un ruolo attivo idoneo a conferirgli una
conoscenza o un controllo dei suddetti contenuti (v., per analogia, sentenza
del 12 luglio 2011, L’Oréal e a., C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 113
e giurisprudenza ivi citata).
107 A tal
riguardo, occorre rilevare che, nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio
dovesse constatare, nell’ambito del suo esame dell’articolo 3, paragrafo 1,
della direttiva sul diritto d’autore, che YouTube o la Cyando
contribuiscono, al di là della semplice messa a disposizione della loro
piattaforma, a dare al pubblico accesso a contenuti protetti in violazione del
diritto d’autore, il gestore di cui trattasi non potrebbe avvalersi
dell’esonero dalla responsabilità previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, della
direttiva sul commercio elettronico.
108 È vero
che, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 138 a 140 delle sue
conclusioni, la questione se un siffatto gestore effettui una «comunicazione al
pubblico», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva sul diritto
d’autore non è, di per sé, determinante per valutare se si applichi l’articolo
14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico. Ciò non toglie che
non si può ritenere che il suddetto gestore, il quale contribuisce, al di là
della semplice messa a disposizione della piattaforma, a dare al pubblico
accesso a siffatti contenuti in violazione del diritto d’autore, soddisfi le
condizioni di applicazione stabilite da quest’ultima disposizione, richiamate
ai punti 105 e 106 della presente sentenza.
109 Nel caso
in cui il giudice del rinvio pervenga a una constatazione opposta a quella di
cui al punto 107 della presente sentenza, si deve rilevare – al di là
della circostanza, menzionata ai punti 92 e 97 della presente sentenza, secondo
la quale i gestori delle piattaforme di cui trattasi nei procedimenti
principali non procedono alla creazione, alla selezione, alla visualizzazione e
al controllo dei contenuti caricati sulla loro piattaforma – che il fatto,
evocato da tale giudice, che il gestore di una piattaforma di condivisione di
video, come YouTube, metta in atto misure tecniche volte a individuare, tra i
video comunicati al pubblico tramite la sua piattaforma, contenuti che possano
violare il diritto d’autore, non implica che, così facendo, detto gestore svolga
un ruolo attivo che gli conferisca la conoscenza o il controllo del contenuto
di tali video e ciò a pena di escludere dal regime di esonero dalla
responsabilità previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul
commercio elettronico i prestatori di servizi della società dell’informazione
che adottano misure finalizzate proprio a contrastare siffatte violazioni.
110 Occorre
inoltre che il gestore di cui trattasi rispetti le condizioni alle quali tale
disposizione subordina l’esonero dalla propria responsabilità.
111 Per
quanto riguarda la condizione di cui all’articolo 14, paragrafo 1, lettera a),
della direttiva sul commercio elettronico, non si può ritenere che essa non sia
soddisfatta per il solo motivo che tale gestore è consapevole, in generale, del
fatto che la sua piattaforma sia utilizzata anche per condividere contenuti che
possono violare diritti di proprietà intellettuale e che esso è quindi
astrattamente al corrente della messa a disposizione illecita di contenuti
protetti sulla sua piattaforma.
112 Infatti,
come illustrato dall’avvocato generale ai paragrafi da 172 a 190 e 196 delle
sue conclusioni, dal tenore letterale, dall’obiettivo e dall’impianto
sistematico dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico
nonché dal contesto generale in cui esso si inserisce emerge che le ipotesi
contemplate da tale articolo 14, paragrafo 1, lettera a), ossia quella in cui
il prestatore dei servizi di cui trattasi sia «effettivamente al corrente del
fatto che l’attività o l’informazione è illecita» e quella in cui un siffatto
prestatore sia «al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta
l’illegalità dell’attività o dell’informazione», si riferiscono ad attività e
informazioni illecite concrete.
113 A questo
proposito, oltre al fatto che, in forza del tenore letterale dell’articolo 14,
paragrafo 1, lettera a), della direttiva sul commercio elettronico, il
carattere illecito dell’attività o dell’informazione debba risultare da una
conoscenza effettiva o essere manifesto, vale a dire che esso deve essere
concretamente dimostrato o facilmente identificabile, occorre rilevare che tale
articolo 14, paragrafo 1, costituisce, come emerge dai considerando 41 e 46 di
detta direttiva, l’espressione dell’equilibrio che la medesima mira a
instaurare tra i vari interessi in gioco, tra i quali figura il rispetto della
libertà di espressione, garantito dall’articolo 11 della Carta. Pertanto, da un
lato, ai prestatori dei servizi di cui trattasi non può, conformemente all’articolo
15, paragrafo 1, della suddetta direttiva, essere imposto un obbligo generale
di sorveglianza sulle informazioni che trasmettono o memorizzano né un obbligo
generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza
di attività illecite. Dall’altro lato, in applicazione dell’articolo 14,
paragrafo 1, lettera b), della direttiva sul commercio elettronico, detti
prestatori, non appena siano effettivamente al corrente di un’informazione
illecita, devono agire immediatamente per rimuovere tale informazione o per
disabilitare l’accesso ad essa, nel rispetto del principio della libertà di
espressione. Orbene, come parimenti sottolineato dal giudice del rinvio, è solo
con riferimento a contenuti concreti che un siffatto prestatore può adempiere
detto obbligo.
114 A tal
riguardo, la circostanza che il gestore di una piattaforma di condivisione di
contenuti online proceda ad un’indicizzazione automatizzata dei contenuti
caricati su tale piattaforma, che detta piattaforma contenga una funzione di
ricerca e che essa consigli video in funzione del profilo o delle preferenze
degli utenti non può essere sufficiente per considerare che detto gestore sia
«concretamente» al corrente di attività illecite realizzate sulla medesima
piattaforma o di informazioni illecite ivi memorizzate.
115 Per
quanto concerne, più nello specifico, la seconda delle ipotesi di cui
all’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sul commercio
elettronico, vale a dire quella che riguarda l’essere «al corrente di fatti o
di circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività o
dell’informazione», la Corte ha rilevato che è sufficiente che il prestatore di
servizi sia stato, in qualunque modo, al corrente di fatti o circostanze in
base ai quali un operatore economico diligente avrebbe dovuto constatare
l’illiceità di cui trattasi e agire conformemente a tale articolo 14, paragrafo
1, lettera b). Sono quindi contemplate, segnatamente, la situazione in cui il
suddetto prestatore scopra l’esistenza di un’attività o di un’informazione
illecita a seguito di un esame effettuato di propria iniziativa, nonché la
situazione in cui gli sia notificata l’esistenza di un’attività o di
un’informazione siffatte. In questo secondo caso, pur se, certamente, una
notifica non può far automaticamente venire meno il beneficio dell’esonero
dalla responsabilità previsto dal suddetto articolo 14 – stante il fatto
che notifiche relative ad attività o informazioni che si asseriscono illecite
possono rivelarsi insufficientemente precise e dimostrate – resta pur
sempre fatto che essa costituisce, di norma, un elemento di cui il giudice
nazionale deve tener conto per valutare, alla luce delle informazioni così
trasmesse a tale prestatore, l’effettiva conoscenza da parte di quest’ultimo di
fatti o circostanze in base ai quali un operatore economico diligente avrebbe
dovuto constatare l’illiceità (sentenza del 12 luglio 2011, L’Oréal e a.,
C‑324/09, EU:C:2011:474, punto 122).
116 In detto
contesto, occorre rilevare che la notifica di un contenuto protetto che sia
stato illecitamente comunicato al pubblico tramite una piattaforma di
condivisione di video o una piattaforma di hosting e di condivisione di file
deve contenere elementi sufficienti per consentire al gestore di tale
piattaforma di accertarsi, senza un esame giuridico approfondito, del carattere
illecito di tale comunicazione e della compatibilità di un’eventuale rimozione
del suddetto contenuto con la libertà di espressione.
117 Alla
luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle
questioni seconda e terza sollevate in ciascuna delle due cause dichiarando che
l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico deve
essere interpretato nel senso che l’attività del gestore di una piattaforma di
condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file
rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione, purché detto gestore
non svolga un ruolo attivo idoneo a conferirgli una conoscenza o un controllo
dei contenuti caricati sulla sua piattaforma.
118 L’articolo
14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sul commercio elettronico deve
essere interpretato nel senso che per essere escluso, in forza di tale
disposizione, dal beneficio dell’esonero dalla responsabilità previsto da detto
articolo 14, paragrafo 1, un siffatto gestore deve essere al corrente degli
atti illeciti concreti dei suoi utenti relativi a contenuti protetti che sono
stati caricati sulla sua piattaforma.
Sulla
quarta questione sollevata nelle cause C‑682/18 e C‑683/18
119 Con la
quarta questione sollevata in ciascuna delle due cause, il giudice del rinvio
chiede se l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul diritto d’autore debba
essere interpretato nel senso che osta a che il titolare dei diritti possa
ottenere un provvedimento inibitorio nei confronti di un intermediario i cui
servizi sono utilizzati da terzi per violare tale diritto soltanto dopo che una
violazione siffatta sia stata segnalata a detto intermediario ed essa si
ripeta.
120 Dalle
decisioni di rinvio risulta che, con tale questione, il giudice del rinvio si
interroga sulla compatibilità, con l’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva
sul diritto d’autore, dell’applicazione, a situazioni come quelle di cui
trattasi nei procedimenti principali, del regime di «responsabilità del
perturbatore» («Störerhaftung»), previsto nel diritto
tedesco, nell’ipotesi in cui si dovesse constatare che YouTube e la Cyando non effettuano esse stesse una comunicazione al
pubblico dei contenuti illeciti caricati dagli utenti delle loro rispettive
piattaforme e che esse rientrano nell’ambito di applicazione del regime di esonero
dalla responsabilità previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva
sul commercio elettronico.
121 Il
giudice del rinvio osserva, a tal riguardo, che, secondo la propria
giurisprudenza, contro gli intermediari i cui servizi siano utilizzati da terzi
per violare un diritto di proprietà intellettuale, in quanto «perturbatori»,
può essere intentata un’azione inibitoria. Pertanto, nel caso di una violazione
siffatta, può essere citato in giudizio in quanto «perturbatore» colui che, pur
non essendo autore di tale violazione o partecipante ad essa, vi contribuisca
deliberatamente in qualsiasi modo e con un adeguato nesso di causalità, sebbene
abbia avuto giuridicamente e materialmente la possibilità di prevenire detta
violazione. L’insorgenza della «responsabilità del perturbatore» presuppone
quindi la violazione di obblighi di comportamento la cui portata dipende dalla
questione se e in quale misura si possa ragionevolmente esigere dal
«perturbatore» che esso controlli o sorvegli i terzi al fine di impedire che
siano commesse violazioni dei diritti di proprietà intellettuale.
122 Il
giudice del rinvio precisa che, nell’ipotesi in cui il «perturbatore» sia un
prestatore il cui servizio consiste nel memorizzare informazioni fornite da un
utente, esso può, in linea di principio, essere oggetto di un provvedimento
inibitorio solo nel caso in cui, dopo la notifica di una chiara violazione di
un diritto di proprietà intellettuale, tale diritto sia nuovamente violato o
continui ad esserlo, per il fatto che detto prestatore non è intervenuto
immediatamente dopo tale notifica per rimuovere il contenuto in questione o
bloccare l’accesso a quest’ultimo e per garantire che siffatte violazioni non
si ripetessero.
123 Dalle
decisioni di rinvio emerge inoltre che tale regime è destinato ad applicarsi
unicamente qualora il prestatore di servizi, fino alla data di notifica di una
violazione siffatta, non fosse «al corrente» della stessa, ai sensi
dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva sul commercio
elettronico.
124 Ne
consegue che, con la quarta questione sollevata in ciascuna delle due cause, il
giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 8, paragrafo 3, della
direttiva sul diritto d’autore debba essere interpretato nel senso che esso
osta a che, in forza del diritto nazionale, il titolare dei diritti possa
ottenere un provvedimento inibitorio nei confronti dell’intermediario, il cui
servizio sia stato utilizzato da terzi per violare il suo diritto senza che
tale intermediario ne sia stato al corrente, ai sensi dell’articolo 14,
paragrafo 1, lettera a), della direttiva sul commercio elettronico, soltanto
nel caso in cui, prima dell’avvio del procedimento giudiziario, tale violazione
sia stata previamente notificata a detto intermediario e quest’ultimo non sia
intervenuto immediatamente per rimuovere il contenuto in questione o bloccare
l’accesso ad esso e per garantire che siffatte violazioni non si ripetessero.
125 Ai sensi
dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul diritto d’autore, «[g]li
Stati membri si assicurano che i titolari dei diritti possano chiedere un
provvedimento inibitorio nei confronti degli intermediari i cui servizi siano
utilizzati da terzi per violare un diritto d’autore o diritti connessi».
126 Secondo
costante giurisprudenza della Corte, la competenza attribuita, a norma di tale
disposizione, ai giudici nazionali deve consentire a questi ultimi di
ingiungere a siffatti intermediari di adottare provvedimenti diretti non solo a
porre fine alle violazioni già inferte ai diritti d’autore o ai diritti
connessi mediante i loro servizi della società dell’informazione, ma anche a
prevenire nuove violazioni (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2012,
SABAM, C‑360/10, EU:C:2012:85, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
127 Come
risulta dal considerando 59 della direttiva sul diritto d’autore, le modalità
dei provvedimenti inibitori che gli Stati membri devono prevedere ai sensi
dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale direttiva, quali quelle relative alle
condizioni che devono essere soddisfatte e alla procedura da seguire, devono
essere stabilite dal diritto nazionale (v., in tal senso, sentenza del 16
febbraio 2012, SABAM, C‑360/10, EU:C:2012:85, punto 30 e giurisprudenza
ivi citata).
128 Le norme
istituite dagli Stati membri, al pari della loro applicazione da parte dei
giudici nazionali, devono tuttavia rispettare gli obiettivi della direttiva sul
diritto d’autore (v., per analogia, sentenza del 7 luglio 2016, Tommy Hilfiger Licensing e a., C‑494/15,
EU:C:2016:528, punto 33 e giurisprudenza ivi citata) e i limiti derivanti da
quest’ultima nonché dalle fonti del diritto alle quali tale direttiva fa
riferimento. Così, conformemente al considerando 16 di detta direttiva, tali
norme non possono pregiudicare le disposizioni della direttiva sul commercio
elettronico relative alla responsabilità e, più precisamente, gli articoli da
12 a 15 della medesima (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2012, SABAM,
C‑360/10, EU:C:2012:85, punti 31 e 32 e giurisprudenza ivi citata).
129 Il
giudice del rinvio rileva, a tal riguardo, che la condizione posta dal diritto
tedesco, secondo la quale il titolare dei diritti, il quale ritenga che sia
stata commessa una violazione del suo diritto d’autore o dei suoi diritti
connessi mediante la comunicazione al pubblico della sua opera su uno spazio di
memorizzazione di un prestatore di servizi, deve dapprima informare di ciò
detto prestatore al fine di dargli la possibilità di porre immediatamente fine
a tale violazione e di prevenirne la reiterazione, senza dover sostenere
segnatamente spese giudiziarie, è intesa proprio a tener conto della logica,
intrinseca all’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio
elettronico nonché del divieto di cui all’articolo 15, paragrafo 1, di tale
direttiva, di imporre a un siffatto prestatore un obbligo generale di
sorveglianza sulle informazioni che memorizza o un obbligo generale di
ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività
illecite.
130 A questo
proposito, occorre constatare, anzitutto, che l’articolo 14 della direttiva sul
commercio elettronico non impone agli Stati membri di prevedere una condizione
siffatta.
131 Dall’articolo
14, paragrafo 3, della direttiva sul commercio elettronico, letto alla luce del
considerando 45 della stessa, risulta, infatti, che l’esonero dalla
responsabilità previsto da tale articolo 14, paragrafo 1, lascia impregiudicata
la possibilità per un organo giurisdizionale o un’autorità amministrativa
nazionali di esigere dal prestatore considerato che esso impedisca una
violazione o vi ponga fine, anche rimuovendo le informazioni illecite o
disabilitando l’accesso alle medesime. Ne consegue che un prestatore può essere
destinatario di ingiunzioni emesse in base al diritto nazionale di uno Stato
membro, anche se soddisfa una delle condizioni alternative di cui al suddetto
articolo 14, paragrafo 1, vale a dire anche nell’ipotesi in cui non sia
considerato responsabile (sentenza del 3 ottobre 2019, Glawischnig-Piesczek,
C‑18/18, EU:C:2019:821, punti 24 e 25).
132 Ciò
premesso, occorre sottolineare che l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva
sul commercio elettronico sancisce altresì la possibilità, per gli Stati
membri, di prevedere procedure per la rimozione delle informazioni illecite o
la disabilitazione dell’accesso alle medesime. Pertanto, pur essendo tenuti, in
forza dell’articolo 8, paragrafo 3, della direttiva sul diritto d’autore, a
garantire ai titolari dei diritti contemplati da tale direttiva un diritto di
ricorso nei confronti dei prestatori i cui servizi siano utilizzati da terzi
per violare detti diritti, gli Stati membri possono nondimeno prevedere una procedura
preliminare all’esercizio di tale diritto di ricorso, che tenga conto del fatto
che il prestatore considerato non è responsabile della violazione di cui
trattasi, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul commercio
elettronico.
133 Nell’ambito
di una procedura preliminare siffatta, uno Stato membro può prevedere una
condizione come quella di cui al punto 129 della presente sentenza. Infatti,
una condizione del genere, pur consentendo la rimozione o il blocco delle
informazioni illecite, è intesa a obbligare il titolare dei diritti, in un
primo momento, a dare al prestatore di servizi la possibilità di porre
immediatamente fine alla violazione di cui trattasi e di prevenirne la
reiterazione, senza che tale prestatore, il quale non è responsabile della
violazione ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva sul
commercio elettronico, sia esposto a sostenere indebitamente spese giudiziarie
e senza che il titolare dei diritti sia privato, in un secondo momento, della
facoltà di chiedere, nel caso in cui il suddetto prestatore non adempia agli
obblighi che gli incombono, l’emanazione di un provvedimento inibitorio nei
confronti del medesimo prestatore sulla base dell’articolo 8, paragrafo 3,
della direttiva sul diritto d’autore.
134 Per
quanto concerne, poi, l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva sul commercio
elettronico, esso vieta agli Stati membri di imporre a un prestatore di servizi
un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che esso memorizza o un obbligo
generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza
di attività illecite.
135 La Corte
ha più volte dichiarato che misure consistenti nell’ingiungere a un prestatore
di predisporre, esclusivamente a sue spese, sistemi di filtraggio implicanti
una sorveglianza generalizzata e permanente per prevenire qualsiasi futura
violazione di diritti di proprietà intellettuale erano incompatibili con
l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico (v., in
tal senso, sentenze del 24 novembre 2011, Scarlet Extended, C‑70/10,
EU:C:2011:771, punti da 36 a 40, e del 16 febbraio 2012, SABAM, C‑360/10,
EU:C:2012:85, punti da 34 a 38).
136 Orbene,
una condizione come quella posta dal diritto tedesco per l’adozione di
provvedimenti inibitori ha proprio l’effetto di evitare che un prestatore come
il gestore di una piattaforma di condivisione di contenuti online sia esposto a
provvedimenti del genere e a sostenere le relative spese giudiziarie anche nel
caso in cui, prima dell’avvio del procedimento giudiziario, esso non sia stato
informato di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale commessa
da un utente di tale piattaforma e non abbia quindi avuto la possibilità di
rimediare a siffatta violazione e di adottare le misure necessarie per
prevenire nuove violazioni. In mancanza di una condizione del genere, il
succitato gestore sarebbe costretto, al fine di prevenire violazioni di questo
tipo e di evitare di essere oggetto di tali provvedimenti nonché di dover
sostenere tali spese a causa delle medesime, a sorvegliare attivamente tutti i
contenuti caricati dagli utenti di detta piattaforma.
137 In tali
circostanze, si deve considerare che una condizione, come quella posta dal
diritto nazionale nei procedimenti principali, è compatibile con l’articolo 15,
paragrafo 1, della direttiva sul commercio elettronico.
138 Infine,
quanto alla compatibilità di una condizione come quella di cui trattasi nei
procedimenti principali con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva sul
diritto d’autore, occorre ricordare che dai punti 63 e 64 della presente
sentenza nonché dalla giurisprudenza della Corte emerge che è compito delle
autorità e dei giudici nazionali, nel contesto delle misure adottate per
proteggere i titolari dei diritti, garantire un giusto equilibrio tra, da un
lato, la tutela del diritto di proprietà intellettuale, di cui godono tali
titolari in forza dell’articolo 17, paragrafo 2, della Carta, e, dall’altro, la
tutela della libertà d’impresa di cui beneficiano i prestatori di servizi in
forza dell’articolo 16 della Carta, nonché quella della libertà di espressione
e d’informazione, garantita agli internauti dall’articolo 11 della Carta (v.,
in tal senso, sentenze del 24 novembre 2011, Scarlet Extended, C‑70/10,
EU:C:2011:771, punti 45 e 46, e del 16 febbraio 2012, SABAM, C‑360/10,
EU:C:2012:85, punti 43 e 44).
139 Orbene,
una condizione come quella posta dal diritto tedesco per l’adozione di
provvedimenti inibitori non compromette tale equilibrio.
140 In
particolare, una condizione siffatta, pur tutelando il prestatore di servizi
dalle conseguenze esposte al punto 136 della presente sentenza, non priva il
titolare dei diritti della possibilità di far cessare in modo effettivo le
violazioni del suo diritto d’autore o dei suoi diritti connessi commesse da
terzi tramite il servizio di cui trattasi e di prevenire nuove violazioni.
Pertanto, è sufficiente che il titolare dei diritti notifichi l’esistenza di
una violazione di questo tipo al prestatore di servizi affinché quest’ultimo
sia tenuto a rimuovere immediatamente il contenuto di cui trattasi o a bloccare
l’accesso ad esso e ad adottare le misure adeguate per
prevenire la commissione di nuove violazioni. In caso contrario, il titolare
dei diritti è legittimato a chiedere l’emanazione di un provvedimento
inibitorio.
141 Spetta
tuttavia ai giudici nazionali verificare, nell’applicare tale condizione e, in
particolare, nell’interpretare l’avverbio «immediatamente», che la suddetta
condizione non comporti che la cessazione effettiva di una violazione di un
diritto d’autore o di diritti connessi sia ritardata in modo da cagionare danni
sproporzionati al titolare dei diritti, tenendo conto, a tal fine, della
rapidità e dell’estensione geografica con cui siffatti danni possono
verificarsi, come sottolineato dal considerando 52 della direttiva sul
commercio elettronico, nell’ambito dei servizi della società dell’informazione.
142 In tale
contesto, occorre altresì ricordare che, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo
1, della direttiva sul commercio elettronico, gli Stati membri provvedono
affinché i ricorsi giurisdizionali previsti dal diritto nazionale per quanto
concerne le attività dei servizi della società dell’informazione consentano di
prendere rapidamente provvedimenti, anche provvisori, atti a porre fine alle
violazioni e a impedire ulteriori danni agli interessi in causa.
143 Alla
luce di tutte le considerazioni che precedono occorre rispondere alla quarta
questione sollevata in ciascuna delle due cause dichiarando che l’articolo 8,
paragrafo 3, della direttiva sul diritto d’autore deve essere interpretato nel
senso che esso non osta a che, in forza del diritto nazionale, il titolare di
un diritto d’autore o di diritti connessi possa ottenere un provvedimento
inibitorio nei confronti dell’intermediario, il cui servizio sia stato
utilizzato da terzi per violare il suo diritto senza che tale intermediario ne
sia stato al corrente ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della
direttiva sul commercio elettronico, soltanto nel caso in cui, prima dell’avvio
del procedimento giudiziario, tale violazione sia stata previamente notificata
a detto intermediario e quest’ultimo non sia intervenuto immediatamente per
rimuovere il contenuto in questione o bloccare l’accesso ad esso e per
garantire che siffatte violazioni non si ripetessero. Spetta tuttavia ai
giudici nazionali verificare, nell’applicare una condizione siffatta, che
quest’ultima non comporti che la cessazione effettiva della violazione sia ritardata
in modo da cagionare danni sproporzionati a tale titolare.
Sulle
questioni quinta e sesta sollevate nelle cause C‑682/18
e C‑683/18
144 Poiché
tali questioni sono state sollevate solo in caso di risposta negativa sia alla
prima che alla seconda questione sollevata, non è necessario rispondere ad
esse.
Sulle
spese
145 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per
questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’articolo
3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del
diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione, deve
essere interpretato nel senso che il gestore di una piattaforma di condivisione
di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file, sulla quale
utenti possono mettere illecitamente a disposizione del pubblico contenuti
protetti, non effettua una «comunicazione al pubblico» di detti contenuti, ai
sensi di tale disposizione, salvo che esso contribuisca, al di là della
semplice messa a disposizione della piattaforma, a dare al pubblico accesso a
siffatti contenuti in violazione del diritto d’autore. Ciò si verifica, in
particolare, qualora tale gestore sia concretamente al corrente della messa a disposizione
illecita di un contenuto protetto sulla sua piattaforma e si astenga dal
rimuoverlo o dal bloccare immediatamente l’accesso ad esso, o nel caso in cui
detto gestore, anche se sa o dovrebbe sapere che, in generale, contenuti
protetti sono illecitamente messi a disposizione del pubblico tramite la sua
piattaforma da utenti di quest’ultima, si astenga dal mettere in atto le
opportune misure tecniche che ci si può attendere da un operatore normalmente
diligente nella sua situazione per contrastare in modo credibile ed efficace
violazioni del diritto d’autore su tale piattaforma, o ancora nel caso in cui
esso partecipi alla selezione di contenuti protetti comunicati illecitamente al
pubblico, fornisca sulla propria piattaforma strumenti specificamente destinati
alla condivisione illecita di siffatti contenuti o promuova scientemente
condivisioni del genere, il che può essere attestato dalla circostanza che il
gestore abbia adottato un modello economico che incoraggia gli utenti della sua
piattaforma a procedere illecitamente alla comunicazione al pubblico di
contenuti protetti sulla medesima.
2) L’articolo
14, paragrafo 1, della direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, dell’8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi
della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel
mercato interno («direttiva sul commercio elettronico»), deve essere
interpretato nel senso che l’attività del gestore di una piattaforma di
condivisione di video o di una piattaforma di hosting e di condivisione di file
rientra nell’ambito di applicazione di tale disposizione, purché detto gestore
non svolga un ruolo attivo idoneo a conferirgli una conoscenza o un controllo
dei contenuti caricati sulla sua piattaforma.
L’articolo
14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/31 deve essere interpretato
nel senso che per essere escluso, in forza di tale disposizione, dal beneficio
dell’esonero dalla responsabilità previsto da detto articolo 14, paragrafo 1,
un siffatto gestore deve essere al corrente degli atti illeciti concreti dei
suoi utenti relativi a contenuti protetti che sono stati caricati sulla sua
piattaforma.
3) L’articolo
8, paragrafo 3, della direttiva 2001/29 deve essere interpretato nel senso che
esso non osta a che, in forza del diritto nazionale, il titolare di un diritto
d’autore o di diritti connessi possa ottenere un provvedimento inibitorio nei
confronti dell’intermediario, il cui servizio sia stato utilizzato da terzi per
violare il suo diritto senza che tale intermediario ne sia stato al corrente,
ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2000/31,
soltanto nel caso in cui, prima dell’avvio del procedimento giudiziario, tale
violazione sia stata previamente notificata a detto intermediario e
quest’ultimo non sia intervenuto immediatamente per rimuovere il contenuto in
questione o bloccare l’accesso ad esso e per garantire che siffatte violazioni
non si ripetessero. Spetta tuttavia ai giudici nazionali verificare, nell’applicare
una condizione siffatta, che quest’ultima non comporti che la cessazione
effettiva della violazione sia ritardata in modo da cagionare danni
sproporzionati a tale titolare.
Firme
* Lingua processuale: il
tedesco.