SENTENZA DELLA CORTE (Grande
Sezione)
3 giugno
2021 (*)
«Ricorso
di annullamento – Articolo 7, paragrafo 1, TUE – Risoluzione del
Parlamento europeo su una proposta recante l’invito al Consiglio dell’Unione
europea a constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei
valori su cui si fonda l’Unione – Articoli 263 e 269 TFUE –
Competenza della Corte – Ricevibilità del ricorso – Atto
impugnabile – Articolo 354 TFUE – Norme relative al calcolo dei
voti in Parlamento – Regolamento interno del Parlamento – Articolo
178, paragrafo 3 – Nozione di “voti espressi” – Astensioni –
Principi di certezza del diritto, di parità di trattamento, di democrazia e di
leale cooperazione»
Nella
causa C‑650/18,
avente
ad oggetto il ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE,
presentato il 17 ottobre 2018,
Ungheria, rappresentata inizialmente da
M.Z. Fehér, G. Tornyai
e Zs. Wagner, successivamente da M.Z. Fehér, in qualità di agenti,
ricorrente,
sostenuta
da:
Repubblica
di Polonia,
rappresentata da B. Majczyna, in qualità di
agente,
interveniente,
contro
Parlamento
europeo,
rappresentato da F. Drexler, N. Görlitz e T. Lukácsi, in
qualità di agenti,
convenuto,
LA CORTE
(Grande Sezione),
composta
da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.-C. Bonichot,
M. Vilaras, E. Regan, L. Bay Larsen e A. Kumin,
presidenti di sezione, T. von Danwitz,
C. Toader, M. Safjan,
D. Šváby, S. Rodin, K. Jürimäe, C. Lycourgos
(relatore) e I. Jarukaitis, giudici,
avvocato
generale: M. Bobek
cancelliere:
R. Șereș, amministratrice
vista la
fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 giugno 2020,
sentite
le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3 dicembre
2020,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con
il suo ricorso, l’Ungheria chiede l’annullamento della risoluzione del
Parlamento europeo del 12 settembre 2018 su una proposta recante l’invito al
Consiglio a constatare, a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, [TUE],
l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell’Ungheria
dei valori su cui si fonda l’Unione [2017/2131(INL)] (GU 2019, C 433, pag. 66;
in prosieguo: la «risoluzione impugnata»).
Contesto
normativo
Procedura
di cui all’articolo 7 TUE
2 L’articolo
7 TUE prevede quanto segue:
«1. Su
proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o
della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei
quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può
constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno
Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale
constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può
rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura.
Il
Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione
permangono validi.
2. Il
Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli
Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento
europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da
parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato
tale Stato membro a presentare osservazioni.
3. Qualora
sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio,
deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei
diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei
trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale
Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene
conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e
sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.
Lo Stato
membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi
che gli derivano dai trattati.
4. Il
Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere
di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per
rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro
imposizione.
5.
Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al
Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite
nell’articolo 354 [TFUE]».
3 L’articolo
354 TFUE così dispone:
«Ai fini
dell’articolo 7 [TUE] relativo alla sospensione di taluni diritti
derivanti dall’appartenenza all’Unione, il membro del Consiglio europeo o del
Consiglio che rappresenta lo Stato membro in questione non partecipa al voto e
nel calcolo del terzo o dei quattro quinti degli Stati membri di cui ai
paragrafi 1 e 2 di detto articolo non si tiene conto dello Stato membro in
questione. L’astensione di membri presenti o rappresentati non osta
all’adozione delle decisioni di cui al paragrafo 2 di detto articolo.
Per
l’adozione delle decisioni di cui all’articolo 7, paragrafi 3 e 4, [TUE], per
maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo
238, paragrafo 3, lettera b) del presente trattato.
Qualora,
a seguito di una decisione di sospensione dei diritti di voto adottata a norma
dell’articolo 7, paragrafo 3, [TUE], il Consiglio deliberi a maggioranza
qualificata sulla base di una delle disposizioni dei trattati, per maggioranza
qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo
3, lettera b) del presente trattato o, qualora il Consiglio agisca su proposta
della Commissione o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri
e la politica di sicurezza, quella definita conformemente all’articolo 238,
paragrafo 3, lettera a).
Ai fini
dell’articolo 7 [TUE], il Parlamento europeo delibera alla maggioranza dei
due terzi dei voti espressi, che rappresenta la maggioranza dei membri che lo
compongono».
Controllo
giurisdizionale
4 Ai
sensi dell’articolo 263, primo e sesto comma, TFUE:
«La
Corte di giustizia dell’Unione europea esercita un controllo di legittimità
sugli atti legislativi, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della
Banca centrale europea che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli
atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre
effetti giuridici nei confronti di terzi. Esercita inoltre un controllo di
legittimità sugli atti degli organi o organismi dell’Unione destinati a
produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.
(…)
I
ricorsi previsti dal presente articolo devono essere proposti nel termine di
due mesi a decorrere, secondo i casi, dalla pubblicazione dell’atto, dalla sua
notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza, dal giorno in cui il ricorrente
ne ha avuto conoscenza».
5 Ai
sensi dell’articolo 269 TFUE:
«La
Corte di giustizia è competente a pronunciarsi sulla legittimità di un atto
adottato dal Consiglio europeo o dal Consiglio a norma dell’articolo 7 [TUE]
unicamente su domanda dello Stato membro oggetto di una constatazione del
Consiglio europeo o del Consiglio e per quanto concerne il rispetto delle sole
prescrizioni di carattere procedurale previste dal suddetto articolo.
La
domanda deve essere formulata entro il termine di un mese a decorrere da detta
constatazione. La Corte statuisce entro il termine di un mese a decorrere dalla
data della domanda».
Protocollo
(n. 24)
6 L’articolo
unico del protocollo (n. 24) sull’asilo per i cittadini degli Stati membri
dell’Unione europea [GU 2010, C 83, pag. 305; in
prosieguo: il «protocollo (n. 24)»] prevede quanto segue:
«Gli
Stati membri dell’Unione europea, dato il livello di tutela dei diritti e delle
libertà fondamentali da essi garantito, si considerano reciprocamente paesi d’origine
sicuri a tutti i fini giuridici e pratici connessi a questioni inerenti l’asilo. Pertanto, la domanda d’asilo presentata da un
cittadino di uno Stato membro può essere presa in esame o dichiarata
ammissibile all’esame in un altro Stato membro unicamente nei seguenti casi:
(...)
b) se è stata
avviata la procedura di cui all’articolo 7, paragrafo 1, [TFUE] e finché il
Consiglio o, se del caso, il Consiglio europeo non prende una decisione al
riguardo, nei confronti dello Stato membro di cui il richiedente è cittadino;
(...)».
Regolamento
interno del Parlamento europeo
7 L’articolo
178, paragrafo 3, del regolamento interno del Parlamento europeo, nella
versione applicabile al momento dell’adozione della risoluzione impugnata (in prosieguo: il «regolamento interno»), così recita:
«Per
l’approvazione o la reiezione di un testo entrano nel calcolo dei voti espressi
soltanto i voti a favore e contro, salvo nei casi in cui i trattati prevedano
una maggioranza specifica».
8 L’articolo
226, paragrafo 1, del regolamento interno dispone quanto segue:
«Qualora
sorgano dubbi in merito all’applicazione o all’interpretazione del presente
regolamento, il Presidente può deferire l’esame della questione alla
commissione competente.
I
presidenti di commissione possono fare altrettanto qualora nel corso
dell’attività della commissione sorgano dubbi relativi a detta attività».
9 Dall’allegato V,
sezione XVIII, punto 8, del regolamento interno si evince che la
commissione per gli affari costituzionali del Parlamento è competente ai fini
dell’interpretazione dello stesso.
Fatti
10 Con
una risoluzione del 17 maggio 2017 sulla situazione in Ungheria
[2017/2656(RSP)] (GU 2018, C 307, pag. 75), il Parlamento ha
incaricato la propria commissione per le libertà civili, la giustizia e gli
affari interni di elaborare una relazione specifica riguardante tale Stato
membro nell’ottica di votare in seduta plenaria una proposta motivata con cui
invitare il Consiglio ad agire ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE. Tale
relazione è stata adottata il 25 giugno 2018.
11 Con
lettera del 10 settembre 2018 la Rappresentanza permanente dell’Ungheria presso
l’Unione ha informato il Segretario generale del Parlamento della posizione del
governo ungherese, secondo cui le astensioni dovevano essere conteggiate nella
votazione in merito alla risoluzione impugnata, conformemente all’articolo
354 TFUE e all’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno, e ha
chiesto che i membri del Parlamento ne fossero informati.
12 Il
10 settembre 2018 il Segretario generale aggiunto del Parlamento ha informato i
deputati mediante messaggio di posta elettronica che, nel calcolo dei voti
espressi, sarebbero stati conteggiati solo i voti a favore dell’adozione della
risoluzione e quelli contrari alla stessa, con esclusione delle astensioni.
13 Il
12 settembre 2018 il Parlamento europeo ha proceduto alla votazione della
risoluzione impugnata. 448 membri hanno espresso voto favorevole a tale
risoluzione, 197 membri hanno espresso voto contrario alla stessa e 48 membri
si sono astenuti. A seguito della votazione il presidente della seduta ha
annunciato l’adozione della risoluzione impugnata.
Conclusioni
delle parti e procedimento dinanzi alla Corte
14 L’Ungheria
chiede che la Corte voglia:
– annullare
la risoluzione impugnata, e
– condannare
il Parlamento alle spese.
15 Il
Parlamento chiede che la Corte voglia:
– respingere
il ricorso in quanto manifestamente irricevibile o, in subordine, in quanto
infondato, e
– condannare
l’Ungheria alle spese.
16 In
conformità all’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia
dell’Unione europea, l’Ungheria ha chiesto alla Corte che la causa sia
giudicata dalla Grande Sezione.
17 Con
ordinanza del 14 maggio 2019, Ungheria/Parlamento (C‑650/18, non
pubblicata, EU:C:2019:438), la Corte ha disposto la rimozione dal fascicolo del
parere del servizio giuridico del Parlamento, contenuto all’allegato 5 del
ricorso dell’Ungheria, ed ha respinto la domanda di produzione di un documento
formulata dal citato Stato membro.
18 Con
decisione del 22 maggio 2019 il presidente della Corte ha autorizzato la
Repubblica di Polonia a intervenire a sostegno delle conclusioni dell’Ungheria.
Sul
ricorso
Sulla
competenza della Corte e sulla ricevibilità del ricorso
Argomenti
delle parti
19 Il
Parlamento deduce l’irricevibilità del presente ricorso di annullamento sulla
base del rilievo che dall’articolo 269 TFUE e, in subordine, dall’articolo
263 TFUE risulta che la risoluzione impugnata non può formare oggetto di
un ricorso siffatto.
20 Per
quanto riguarda, in primo luogo, l’articolo 269 TFUE, il Parlamento
ritiene che dall’interpretazione letterale di tale disposizione emerga che essa
limiti la competenza della Corte agli atti definitivi adottati dal Consiglio o
dal Consiglio europeo a norma dell’articolo 7 TUE.
21 Tale
interpretazione sarebbe avvalorata dalla genesi dell’articolo 269 TFUE.
Infatti, dall’evoluzione dei trattati risulterebbe che la procedura di cui
all’articolo 7 TUE è stata solo gradualmente sottoposta ad un determinato
controllo della Corte. Pertanto, gli atti adottati in forza di quest’ultima
disposizione, che non rientrerebbero nell’ambito di applicazione ratione
materiae dell’articolo 269 TFUE, sarebbero sempre riconducibili alla
«sfera politica» dei trattati, la quale non sarebbe soggetta ad alcun controllo
giurisdizionale.
22 Peraltro,
l’articolo 269 TFUE dovrebbe essere considerato quale lex
specialis rispetto all’articolo 263 TFUE e si
affiancherebbe a disposizioni che, come gli articoli 271, 275 e 276 TFUE,
prevedono una possibilità limitata di controllo giurisdizionale in specifici
ambiti predefiniti.
23 Inoltre,
non sarebbe coerente ammettere che le constatazioni del Consiglio e del
Consiglio europeo, che sono espressamente previste dall’articolo 269 TFUE
e che possono implicare gravi conseguenze per lo Stato membro interessato,
sfuggano essenzialmente a qualsiasi controllo giurisdizionale, ai sensi
dell’articolo 269 TFUE, fatta eccezione per i loro aspetti procedurali,
mentre una semplice proposta diretta ad avviare il procedimento di cui
all’articolo 7 TUE possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale
completo.
24 In
secondo luogo, il Parlamento è del parere che il ricorso, anche nell’ipotesi in
cui dovesse essere esaminato alla luce dell’articolo 263 TFUE, sia
irricevibile per il motivo che la risoluzione impugnata non presenta le
caratteristiche di un «atto impugnabile» ai sensi del primo comma di detto
articolo.
25 Tale
risoluzione non implicherebbe, infatti, alcuna modifica della situazione
giuridica dell’Ungheria, posto che essa si limiterebbe ad avviare la procedura
prevista all’articolo 7 TUE, senza vincolare il Consiglio in ordine alla
constatazione da adottarsi. Inoltre, anche qualora l’adozione di detta
risoluzione consentisse ai cittadini ungheresi di presentare una domanda
d’asilo in un altro Stato membro, a norma dell’articolo unico, lettera b), del
protocollo (n. 24), una siffatta possibilità non comporterebbe effetti
pregiudizievoli per tali cittadini o per qualsiasi altro cittadino dell’Unione,
né per l’Ungheria stessa.
26 Peraltro,
nella sua sentenza del 25 luglio 2018, Minister for
Justice and Equality (Carenze del sistema giudiziario) (C‑216/18 PPU,
EU:C:2018:586), la Corte avrebbe meramente dichiarato che le informazioni
fattuali, contenute in una proposta motivata adottata a norma dell’articolo 7,
paragrafo 1, TUE, costituiscono un elemento particolarmente rilevante quando si
tratta di valutare, in astratto, se esista un rischio reale di violazione dei
diritti fondamentali nello Stato membro di emissione di un mandato d’arresto
europeo. Tale sentenza non consentirebbe quindi di ritenere che siffatte
proposte producano effetti giuridici vincolanti.
27 Inoltre,
la risoluzione impugnata dovrebbe essere considerata un atto intermedio, dal
momento che non fisserebbe la posizione definitiva del Parlamento. Orbene, solo
le misure intermedie che producono effetti giuridici immediati, certi e
sufficientemente vincolanti potrebbero essere oggetto di un controllo
giurisdizionale diretto, il che non si verificherebbe nel caso della
risoluzione impugnata.
28 L’Ungheria,
sostenuta dalla Repubblica di Polonia, ritiene che il ricorso sia ricevibile
per il motivo che la risoluzione impugnata è un atto impugnabile ai sensi
dell’articolo 263 TFUE, tenuto conto degli effetti da essa prodotti,
segnatamente in forza dell’articolo unico, lettera b), del protocollo
(n. 24) e dell’insegnamento che è possibile trarre dalla sentenza del 25
luglio 2018, Minister for Justice and Equality
(Carenze del sistema giudiziario) (C‑216/18 PPU, EU:C:2018:586).
Peraltro, l’articolo 269 TFUE dovrebbe essere interpretato restrittivamente
e non priverebbe la Corte della sua competenza a conoscere del presente
ricorso.
Giudizio
della Corte
29 In
primo luogo occorre verificare se, come sostiene il Parlamento, la Corte sia
incompetente a conoscere del presente ricorso in forza dell’articolo
269 TFUE.
30 In
proposito si deve rilevare, anzitutto, che ai sensi di tale articolo la Corte è
competente a pronunciarsi sulla legittimità di un atto adottato dal Consiglio
europeo o dal Consiglio a norma dell’articolo 7 TUE unicamente su domanda
dello Stato membro oggetto di una constatazione del Consiglio o del Consiglio
europeo e per quanto concerne il rispetto delle sole norme di carattere
procedurale previste dal citato articolo 7 TUE. Tale domanda deve essere
inoltre formulata entro il termine di un mese a decorrere da detta
constatazione.
31 L’articolo
269 TFUE, nel subordinare la possibilità di proporre un ricorso di
annullamento avverso gli atti adottati dal Consiglio europeo o dal Consiglio a
norma dell’articolo 7 TUE a condizioni più rigorose rispetto a quelle
imposte dall’articolo 263 TFUE, implica una limitazione alla competenza
generale che tale articolo conferisce alla Corte di giustizia dell’Unione
europea per il controllo della legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione
e deve essere, pertanto, interpretato restrittivamente (v., per analogia,
sentenza del 19 luglio 2016, H/Consiglio e a., C‑455/14 P,
EU:C:2016:569, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
32 In
secondo luogo, va rilevato che l’articolo 269 TFUE riguarda i soli atti
del Consiglio e del Consiglio europeo adottati nell’ambito della procedura
prevista dall’articolo 7 TUE. Le risoluzioni del Parlamento, adottate ai
sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, non sono menzionate nel citato articolo
269.
33 Pertanto,
dal tenore letterale di quest’ultimo articolo si evince che gli autori dei
trattati non hanno inteso escludere un atto, quale la risoluzione impugnata,
dalla competenza generale riconosciuta alla Corte di giustizia dell’Unione
europea dall’articolo 263 TFUE ai fini del controllo della legittimità
degli atti delle istituzioni dell’Unione.
34 Una
siffatta interpretazione dell’articolo 269 TFUE è peraltro idonea a
contribuire al rispetto del principio secondo cui l’Unione europea è un’Unione
di diritto che ha istituito un sistema completo di rimedi giurisdizionali e di
procedimenti inteso ad affidare alla Corte di giustizia dell’Unione europea il
controllo della legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione (v., in
tal senso, sentenze del 23 aprile 1986, Les Verts/Parlamento, 294/83, EU:C:1986:166, punto 23; del 28
marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 66 e giurisprudenza
ivi citata, nonché del 5 novembre 2019, BCE e a./Trasta
Komercbanka e a., C‑663/17 P, C‑665/17 P
e C‑669/17 P, EU:C:2019:923, punto 54).
35 Contrariamente
a quanto sostenuto dal Parlamento, questa conclusione non è messa in
discussione dal contesto in cui si colloca l’articolo 269 TFUE. Infatti, è
sufficiente rilevare che gli articoli 271, 275 e 276 TFUE, ai quali il
Parlamento raffronta il citato articolo 269, non privano la Corte di qualsiasi
competenza a controllare, in forza dell’articolo 263 TFUE, la legittimità
degli atti dell’Unione ivi considerati e vertono, comunque, su ambiti totalmente
estranei alla procedura prevista all’articolo 7 TUE. Peraltro, i citati
articoli 271, 275 e 276 TFUE sono redatti in termini significativamente
diversi da quelli dell’articolo 269 TFUE, cosicché dagli stessi non può
essere tratta alcuna indicazione utile per l’interpretazione di quest’ultimo
articolo.
36 Ne
consegue che l’articolo 269 TFUE non è idoneo ad escludere la competenza
della Corte a conoscere del presente ricorso.
37 Per
quanto riguarda, in secondo luogo, la ricevibilità del ricorso stesso, secondo
una costante giurisprudenza il ricorso di annullamento previsto dall’articolo
263 TFUE è esperibile avverso tutte le disposizioni adottate dalle
istituzioni, in qualsiasi forma, che mirino a produrre effetti giuridici
vincolanti (sentenze del 26 marzo 2019, Commissione/Italia, C‑621/16 P,
EU:C:2019:251, punto 44, e del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione, C‑575/18 P,
EU:C:2020:530, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
38 Per
accertare se un atto produca simili effetti e possa, pertanto, essere oggetto
di un ricorso di annullamento ai sensi dell’articolo 263 TFUE, occorre
riferirsi alla sua sostanza e valutarne gli effetti in funzione di criteri
obiettivi, come il contenuto dell’atto stesso, tenendo conto eventualmente del
contesto in cui quest’ultimo è stato adottato nonché dei poteri
dell’istituzione da cui esso promana (sentenza del 9 luglio 2020, causa C‑575/18 P,
Repubblica ceca/Commissione, EU:C:2020:530, punto 47 e giurisprudenza ivi
citata).
39 Nel
caso di specie, occorre rilevare che l’adozione della risoluzione impugnata
avvia la procedura prevista all’articolo 7, paragrafo 1, TUE. Orbene, in forza
dell’articolo unico, lettera b), del protocollo (n. 24), non appena tale
procedura è avviata e finché il Consiglio o il Consiglio europeo non abbiano
preso decisioni nei confronti dello Stato membro interessato, uno Stato membro
può, in deroga alla norma di principio stabilita da tale articolo unico,
prendere in esame o dichiarare ammissibile all’esame qualsiasi domanda d’asilo
presentata da un cittadino dello Stato membro oggetto di tale procedura.
40 Ne
discende che l’adozione della risoluzione impugnata produce l’effetto immediato
di revocare il divieto che incombe, in linea di principio, sugli Stati membri
di prendere in esame o di dichiarare ammissibile all’esame una domanda d’asilo
presentata da un cittadino ungherese. Tale risoluzione modifica quindi, nei
rapporti tra Stati membri, la situazione dell’Ungheria nel settore del diritto
di asilo.
41 La
risoluzione impugnata produce pertanto effetti giuridici vincolanti sin dalla
sua adozione e fino a quando il Consiglio non si sia pronunciato sul seguito da
darvi.
42 Il
Parlamento sostiene, tuttavia, che la risoluzione impugnata rappresenta un atto
intermedio che esprime una posizione provvisoria, che non può essere oggetto di
controllo giurisdizionale ai sensi dell’articolo 263 TFUE.
43 In
proposito occorre rammentare che provvedimenti intermedi destinati a preparare
la decisione finale non costituiscono, in linea di principio, atti che possono
essere oggetto di un ricorso di annullamento (sentenza del 15 marzo 2017, Stichting Woonlinie
e a./Commissione, C‑414/15 P, EU:C:2017:215, punto 44 e
giurisprudenza ivi citata).
44 Tuttavia,
per un verso, gli atti intermedi in questione sono innanzitutto atti che
esprimono un punto di vista provvisorio dell’istituzione interessata (v., in
tal senso, sentenza del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione,
C‑463/10 P e C‑475/10 P, EU:C:2011:656, punto 50).
45 Orbene,
una risoluzione come quella impugnata, con la quale il Parlamento invita il
Consiglio a constatare, in conformità all’articolo 7, paragrafo 1, TUE,
l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato
membro dei valori di cui all’articolo 2 TUE, non può essere considerata
espressione di una posizione provvisoria del Parlamento, e ciò a prescindere
dal fatto che una siffatta constatazione successiva, ad opera del Consiglio,
sia eventualmente subordinata alla previa approvazione del Parlamento, a norma
dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE. Invero, una simile approvazione interverrà
solo a condizione che il Consiglio constati l’esistenza di un rischio di tal
genere e verterà, oltretutto, su un atto che trarrà origine da una valutazione,
propria del Consiglio, in ordine all’esistenza del rischio stesso e che potrà
discostarsi dalla valutazione svolta dal Parlamento in sede di adozione della
risoluzione impugnata.
46 Per
altro verso, dalla giurisprudenza della Corte emerge altresì che un atto
intermedio che produce effetti giuridici autonomi può essere oggetto di un
ricorso di annullamento qualora non sia possibile porre rimedio ai suoi vizi
nell’ambito di un ricorso avverso la decisione finale, della quale esso
costituisce una fase di elaborazione (v., in tal senso, segnatamente, sentenze
del 30 giugno 1992, Spagna/Commissione, C‑312/90, EU:C:1992:282, punti 21
e 22; del 30 giugno 1992, Italia/Commissione, C‑47/91, EU:C:1992:284,
punti 27 e 28, e del 13 ottobre 2011, Deutsche Post e Germania/Commissione, C‑463/10 P
e C‑475/10 P, EU:C:2011:656, punti 53, 54 e 60)
47 Nel
caso di specie, è certo vero che, come sostiene il Parlamento, l’Ungheria
potrebbe invocare l’illegittimità della risoluzione impugnata a sostegno del
suo eventuale ricorso di annullamento avverso la constatazione dell’esistenza
di un evidente rischio di violazione grave dei valori dell’Unione, che il
Consiglio dovesse effettuare in base all’articolo 7, paragrafo 1, TUE, a
seguito di tale risoluzione.
48 Tuttavia,
oltre al fatto che, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 100 delle
sue conclusioni, il Consiglio non è tenuto a prendere posizione in merito alla
risoluzione impugnata, l’eventuale accoglimento di un ricorso di annullamento
proposto avverso la constatazione effettuata dal Consiglio a norma
dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE non consentirebbe, comunque, di eliminare
tutti gli effetti giuridici vincolanti prodotti dalla risoluzione stessa e
menzionati al punto 40 della presente sentenza.
49 Tanto
premesso, si deve dichiarare che la risoluzione impugnata è un atto impugnabile
ai sensi dell’articolo 263, primo comma, TFUE.
50 Per
quanto riguarda infine l’affermazione svolta a sostegno dell’eccezione di
irricevibilità del Parlamento, secondo cui gli effetti giuridici della
risoluzione impugnata non riguardano direttamente l’Ungheria, si deve
aggiungere a quanto rilevato al punto 40 della presente sentenza che, in forza
dell’articolo 263, secondo comma, TFUE, uno Stato membro non è comunque tenuto
a dimostrare né di essere direttamente e individualmente interessato dall’atto
dell’Unione di cui chiede l’annullamento, né di disporre di un interesse ad
agire (v., a quest’ultimo proposito, sentenza del 5 settembre 2012,
Parlamento/Consiglio, C‑355/10, EU:C:2012:516, punto 37 e giurisprudenza
ivi citata).
51 Tanto
premesso, in terzo luogo, la competenza generale riconosciuta alla Corte di
giustizia dell’Unione europea dall’articolo 263 TFUE a controllare la
legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione non può essere
interpretata in modo tale da privare di effetto utile la limitazione a tale
competenza generale prevista dall’articolo 269 TFUE (v., per analogia,
sentenza del 1° luglio 2010, Povse, C‑211/10 PPU,
EU:C:2010:400, punto 78).
52 Ne
consegue che, quando l’articolo 263 TFUE costituisce, come nella specie,
il fondamento di un ricorso di annullamento avverso un atto adottato da
un’istituzione dell’Unione a norma dell’articolo 7 TUE, detto articolo
263 TFUE non può essere applicato indipendentemente dall’articolo
269 TFUE, ma deve essere, al contrario, interpretato alla luce di
quest’ultimo articolo.
53 Si
deve rilevare, in proposito, che l’articolo 269 TFUE subordina i ricorsi
di annullamento avverso gli atti del Consiglio e del Consiglio europeo adottati
a norma dell’articolo 7 TUE a talune specifiche condizioni, intese a tener
conto della peculiare natura della procedura istituita da quest’ultima
disposizione. In tal senso, le condizioni poste dall’articolo 269, primo comma,
TFUE riservano il diritto di proporre un ricorso siffatto al solo Stato membro
interessato da tale procedura e limitano i motivi che possono essere dedotti a
sostegno del ricorso stesso alle sole censure vertenti sulla violazione delle
norme di carattere procedurale previste all’articolo 7 TUE.
54 Orbene,
ammettere che, sulla base dell’articolo 263 TFUE, un ricorso di
annullamento avverso una proposta motivata del Parlamento adottata a norma
dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE possa essere proposto da un ricorrente
diverso dallo Stato membro che ne è oggetto, e che, a sostegno di tale ricorso,
possa essere invocato qualsiasi motivo di cui all’articolo 263, secondo comma,
TFUE, priverebbe in gran parte del loro effetto utile le condizioni specifiche
sancite dall’articolo 269 TFUE, cui è subordinata la proposizione di un
ricorso di annullamento avverso la constatazione del Consiglio di cui
all’articolo 7, paragrafo 1, TUE, la quale può essere adottata a seguito della
proposta stessa.
55 Pertanto,
ove una tale proposta motivata del Parlamento venisse annullata su domanda di
un ricorrente siffatto, il Consiglio si troverebbe nell’impossibilità di
constatare l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori
dell’Unione, benché, conformemente all’articolo 269, primo comma, TFUE, tale
ricorrente non possa chiedere l’annullamento di una constatazione siffatta.
56 Del
pari, se tale proposta venisse annullata sulla base di un motivo diverso da
quelli precisati all’articolo 269 TFUE, il Consiglio si troverebbe
ugualmente nell’impossibilità di constatare l’esistenza di un rischio siffatto,
benché, conformemente al citato articolo 269, tale motivo non possa essere
dedotto al fine di ottenere l’annullamento di una simile constatazione.
57 Per
contro, la possibilità, per lo Stato membro oggetto di una proposta motivata
del Parlamento adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, di proporre
un ricorso di annullamento avverso la proposta stessa nel termine di due mesi a
decorrere dalla sua pubblicazione, come previsto dall’articolo 263, sesto
comma, TFUE, non è idonea a pregiudicare l’effetto utile delle specifiche
disposizioni cui è subordinato, a norma dell’articolo 269 TFUE, il ricorso
di annullamento avverso la constatazione del Consiglio adottata ai sensi
dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE.
58 Pertanto,
sebbene, conformemente all’articolo 269, secondo comma, TFUE, il ricorso
diretto all’annullamento di una siffatta constatazione debba essere proposto
entro il termine di un mese a decorrere dalla sua adozione, andrebbe oltre
quanto necessario per preservare l’effetto utile del citato articolo 269
esigere che il ricorso di annullamento avverso la proposta motivata del
Parlamento, adottata a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, sia soggetto a
una medesima riduzione del suo termine di proposizione.
59 Dalle
considerazioni esposte ai punti da 54 a 58 della presente sentenza consegue che
un ricorso di annullamento introdotto, ai sensi dell’articolo 263 TFUE,
avverso una proposta motivata adottata dal Parlamento a norma dell’articolo
7 TUE può essere proposto unicamente dallo Stato membro oggetto di tale
proposta entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua adozione. Inoltre,
i motivi di annullamento dedotti a sostegno di un siffatto ricorso possono
vertere unicamente sulla violazione delle norme di carattere procedurale di cui
all’articolo 7 TUE.
60 Nel
caso di specie, l’Ungheria è lo Stato membro interessato dalla risoluzione
impugnata. Inoltre, il ricorso di tale Stato membro è stato proposto entro il
termine previsto dall’articolo 263, secondo comma, TFUE.
61 Dall’insieme
delle considerazioni che precedono emerge che il presente ricorso di
annullamento è ricevibile, fatta salva la questione se la Corte possa conoscere
di ciascuno dei motivi dedotti a sostegno del ricorso stesso.
Sui
motivi di ricorso
62 A
sostegno del suo ricorso l’Ungheria deduce quattro motivi. Il primo motivo
verte sulla violazione dell’articolo 354, quarto comma, TFUE e dell’articolo
178, paragrafo 3, del regolamento interno. Il secondo motivo verte sulla
violazione del principio di certezza del diritto. Con il suo terzo motivo,
l’Ungheria contesta al Parlamento di aver violato i principi di democrazia e di
parità di trattamento. Il quarto motivo verte sulla violazione dei principi di
leale cooperazione, di cooperazione in buona fede tra le istituzioni, di
rispetto delle legittime aspettative e di certezza del diritto.
63 Tenuto
conto della loro connessione, si devono, in primo luogo, esaminare
congiuntamente il primo e il terzo motivo di ricorso.
Sul primo e
sul terzo motivo, vertenti su una violazione dell’articolo 354, quarto comma,
TFUE, dell’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno, nonché dei
principi di democrazia e di parità di trattamento
– Argomenti
delle parti
64 Con
il suo primo motivo, l’Ungheria sostiene che il Parlamento ha erroneamente
escluso le astensioni dal conteggio dei voti espressi ai fini dell’adozione
della risoluzione impugnata.
65 Ad
avviso di tale Stato membro, il requisito introdotto dall’articolo 354, quarto
comma, TFUE, relativo a una maggioranza qualificata ai fini dell’adozione, ad
opera del Parlamento, di una proposta motivata a norma dell’articolo 7,
paragrafo 1, TUE, attesta l’importanza di un simile atto. Orbene,
un’interpretazione di tale disposizione del Trattato FUE nel senso che le
astensioni dovrebbero essere considerate come voti espressi, cosicché per
l’adozione di tale atto sarebbe necessario un maggior numero di voti
favorevoli, consentirebbe appunto di rendere conto di tale importanza.
66 Anche
il contesto in cui si inserisce l’articolo 354 TFUE deporrebbe a favore di
una siffatta interpretazione. Dal primo comma di tale articolo risulterebbe
infatti che, nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 7, paragrafo 1,
TUE, per stabilire se sia stata raggiunta la maggioranza dei quattro quinti dei
membri del Consiglio, si dovrebbero conteggiare i voti di tutti gli Stati
membri diversi dallo Stato membro interessato, indipendentemente dal fatto che
si tratti di voto favorevole, di voto sfavorevole o di astensione.
67 Peraltro,
imponendo la maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenta la
maggioranza dei membri del Parlamento, l’articolo 354, quarto comma, TFUE
prevedrebbe una maggioranza specifica, ai sensi dell’ultima parte di frase
dell’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno. Orbene, da quest’ultima
disposizione discenderebbe che, ove i trattati prevedano una maggioranza
specifica, tanto i voti a favore e contro la proposta soggetta a votazione,
quanto le astensioni dovrebbero essere considerati come voti espressi.
68 Per
contro, il tenore letterale stesso di tale disposizione del regolamento interno
osterebbe a che l’eccezione da essa prevista in caso di maggioranza specifica
imposta dai trattati sia interpretata nel senso che essa si applica ai soli
fini del calcolo della maggioranza dei membri del Parlamento. Detta
disposizione conterrebbe infatti una contrapposizione assai chiara tra la
situazione in cui solo i voti a favore e contro il testo di cui trattasi devono
entrare nel calcolo dei voti espressi e le situazioni in cui tale testo può
essere validamente adottato solo mediante una maggioranza specifica prevista
dai trattati.
69 Del
resto, in occasione della seduta plenaria del Parlamento, i deputati
esprimerebbero il loro voto scegliendo tra i pulsanti «a favore», «contro» o «astensione».
Ne discenderebbe chiaramente che l’astensione è una delle forme di espressione
di un voto.
70 La
Repubblica di Polonia asserisce che l’articolo 354, quarto comma, TFUE deve
essere inteso, alla luce del primo comma della medesima disposizione, come un
obbligo di considerare le astensioni al pari di voti espressi. Infatti,
l’indicazione di cui all’articolo 354, primo comma, ultima frase, TFUE, secondo
la quale, in seno al Consiglio europeo, le astensioni non devono essere prese
in considerazione, costituirebbe un’eccezione alla regola, di modo che
l’assenza di una siffatta indicazione all’articolo 354, quarto comma, TFUE
dimostrerebbe, a contrario, che le astensioni devono essere prese in
considerazione quando il Parlamento delibera ai fini dell’articolo 7 TUE.
71 Inoltre,
ad avviso del citato Stato membro, ritenere che l’ultima parte dell’articolo
178, paragrafo 3, del regolamento interno sia stata introdotta per rendere
conto del fatto che, nei casi in cui i trattati prevedono una maggioranza
specifica, la maggioranza semplice non è sufficiente per adottare una
decisione, sarebbe illogico, alla luce del tenore letterale dell’articolo 83,
paragrafo 3, del regolamento stesso, che farebbe espresso riferimento alla
maggioranza prevista all’articolo 354, quarto comma, TFUE. Infine, detto Stato
membro sottolinea che l’articolo 180 del regolamento interno prevede
formalmente la possibilità di astenersi.
72 Il
Parlamento afferma che, sebbene l’articolo 354 TFUE non precisi se le
astensioni debbano essere prese in considerazione nell’ambito dei voti
espressi, detta disposizione gli conferisce la facoltà di disciplinare tale
questione nel suo regolamento interno. Orbene, dall’articolo 178, paragrafo 3,
di tale regolamento si evincerebbe che le astensioni non dovevano essere prese
in considerazione nel caso di specie, poiché l’eccezione contenuta nella parte
finale di tale disposizione mira unicamente a derogare al principio, sancito
all’articolo 231, paragrafo 1, TFUE, secondo il quale la maggioranza è
acquisita se vi sono più voti favorevoli che voti sfavorevoli, e deve essere
interpretata nel senso che i voti a favore del testo di cui trattasi devono
altresì raggiungere la maggioranza dei membri del Parlamento.
73 Con
il suo terzo motivo l’Ungheria sostiene, per un verso, che l’articolo
354 TFUE e l’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno avrebbero
dovuto essere interpretati alla luce del principio di democrazia, sancito
all’articolo 2 TUE, e imporre di tener conto delle astensioni nel calcolo
dei voti espressi, posto che ciò consentirebbe di garantire al meglio i valori
democratici dell’Unione assicurando una piena rappresentanza popolare.
74 La
modalità con cui il Parlamento ha conteggiato, nel caso di specie, i voti
espressi porterebbe, al contrario, a svuotare di significato l’astensione quale
opzione di voto. I membri del Parlamento non avrebbero beneficiato di tutte le
possibilità derivanti dall’esercizio delle loro funzioni, senza che tale
limitazione si fondi su un obiettivo legittimo.
75 Per
altro verso, l’interpretazione dell’articolo 354, quarto comma, TFUE e del
regolamento interno accolta dal Parlamento comporterebbe una disparità di
trattamento, non giustificabile da alcun obiettivo legittimo, tra i membri del
Parlamento che si sono astenuti in occasione del voto sulla risoluzione
impugnata e i membri del Parlamento che hanno espresso un voto in merito alla
stessa.
76 Il
Parlamento ritiene che l’Ungheria abbia modificato il senso del suo terzo
motivo nella sua replica, sostenendo ivi che il Parlamento aveva violato
l’articolo 354, quarto comma, TFUE e l’articolo 178, paragrafo 3, del
regolamento interno. Tale argomento non sarebbe comprensibile e sarebbe, di
conseguenza, irricevibile. In ogni caso, il terzo motivo dell’Ungheria sarebbe
infondato.
– Giudizio
della Corte
77 In
limine occorre rilevare, in primo luogo, che la Corte non può conoscere del
primo motivo, posto che, con il medesimo, l’Ungheria contesta al Parlamento di
aver violato l’articolo 178, paragrafo 3, del regolamento interno ai fini
dell’adozione della risoluzione impugnata. Invero, tale disposizione non può
essere considerata una norma di carattere procedurale prevista dall’articolo
7 TUE, a norma dell’articolo 269 TFUE, a differenza di quelle di
contenute all’articolo 354 TFUE, il quale è espressamente contemplato
all’articolo 7, paragrafo 5, TUE.
78 Per
quanto concerne, in secondo luogo, l’eccezione di irricevibilità sollevata dal
Parlamento con riferimento al terzo motivo, occorre ricordare che, ai sensi
dell’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura della Corte e della
giurisprudenza ad esso relativa, ogni atto introduttivo di giudizio deve
indicare l’oggetto della controversia, i motivi e gli argomenti invocati nonché
l’esposizione sommaria di tali motivi. Detta indicazione deve essere
sufficientemente chiara e precisa per consentire al convenuto di preparare la
sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo. Ne discende che gli
elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda un ricorso devono
emergere in modo coerente e comprensibile dal testo dell’atto introduttivo
stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo
inequivoco, al fine di evitare che la Corte statuisca ultra petita
ovvero ometta di pronunciarsi su una censura (sentenza del 16 aprile 2015,
Parlamento/Consiglio, C‑540/13, EU:C:2015:224, punto 9 e giurisprudenza
ivi citata).
79 Nel
caso di specie, dall’atto introduttivo del giudizio risulta che, con il suo
terzo motivo, l’Ungheria contesta, in sostanza, la conformità della risoluzione
impugnata, segnatamente, all’articolo 354, quarto comma, TFUE, in combinato
disposto con il principio di democrazia e con il principio di parità di
trattamento, per la ragione che le astensioni non sono state prese in
considerazione nel calcolo dei voti espressi.
80 Poiché
tale censura è stata sollevata in sede di ricorso e poiché essa è priva di
ambiguità, occorre respingere l’eccezione di irricevibilità sollevata dal
Parlamento.
81 Peraltro,
dal momento che, come rilevato al punto 79 della presente sentenza, con il
terzo motivo citato l’Ungheria non invoca, isolatamente, la violazione dei
principi di democrazia e di parità di trattamento, ma intende dimostrare che
l’adozione della risoluzione impugnata ha violato, segnatamente, la norma
procedurale di cui all’articolo 354, quarto comma, TFUE, in combinato disposto
con i principi sopra citati, la Corte può conoscere di tale terzo motivo, come
emerge dal punto 59 della presente sentenza.
82 Quanto
al merito, occorre sottolineare, in primo luogo, che, a norma dell’articolo
354, quarto comma, TFUE, quando è chiamato ad adottare
una decisione ai sensi dell’articolo 7 TUE, il Parlamento delibera alla
maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenta la maggioranza dei
membri che lo compongono.
83 Poiché
i trattati non definiscono ciò che si debba intendere per «voti espressi», tale
nozione autonoma del diritto dell’Unione deve essere interpretata conformemente
al suo significato abituale nel linguaggio corrente, tenendo conto del contesto
nel quale viene utilizzata e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui
essa fa parte (v., per analogia, sentenza del 23 aprile 2020, Associazione
Avvocatura per i diritti LGBTI, C‑507/18, EU:C:2020:289, punto 32 e
giurisprudenza ivi citata).
84 Orbene,
come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi da 128 a 130 delle sue
conclusioni, la nozione di «voti espressi» comprende, nel suo significato abituale,
solo la manifestazione di un voto positivo o negativo in merito a una
determinata proposta. Poiché l’astensione deve essere intesa, nel suo
significato consueto, come il rifiuto di prendere posizione in merito a una
determinata proposta, essa non può essere equiparata a un «voto espresso».
85 Tanto
premesso, si deve rammentare che la regola di maggioranza introdotta
dall’articolo 354, quarto comma, TFUE implica un duplice requisito. Gli atti
adottati dal Parlamento a norma dell’articolo 7 TUE devono infatti
ottenere, per un verso, l’accordo dei due terzi dei voti espressi e, per altro
verso, l’accordo della maggioranza dei membri del Parlamento.
86 Nell’imporre
che gli atti adottati dal Parlamento a norma dell’articolo 7 TUE ottengano
tale doppia maggioranza, gli autori del Trattato FUE hanno evidenziato
l’importanza di simili atti, sul piano tanto politico quanto costituzionale.
87 Pertanto,
sebbene non sia possibile, per i motivi esposti al punto 84 della presente
sentenza, tener conto delle astensioni al fine di stabilire se sia raggiunta
una maggioranza dei due terzi dei voti espressi a favore dell’adozione di un
simile atto, siffatte astensioni vanno invece tenute in considerazione per
verificare, come imposto dall’articolo 354, quarto comma, TFUE, che i voti
favorevoli rappresentino la maggioranza dei membri che compongono il
Parlamento. Infatti, conformemente a tale regola di maggioranza, una proposta
motivata del Parlamento, a norma dell’articolo 7 TUE, non può essere
adottata qualora il numero di membri che hanno votato in suo favore non superi
il numero dei restanti membri del Parlamento, a prescindere dal fatto che
questi ultimi abbiano votato contro tale proposta, che si siano astenuti o che
si siano assentati al momento del voto.
88 Dalle
considerazioni svolte ai punti da 84 a 87 della presente sentenza discende che
l’articolo 354, quarto comma, TFUE deve essere interpretato nel senso che le
astensioni non devono essere prese in considerazione, ai fini dell’articolo
7 TUE, nel calcolo della maggioranza dei due terzi dei voti espressi.
89 La
circostanza che, come fatto valere dall’Ungheria, le astensioni siano prese in
considerazione nel calcolo della maggioranza dei quattro quinti dei membri del
Consiglio, di cui all’articolo 7, paragrafo 1, TUE, è irrilevante al riguardo.
Infatti, come risulta dal punto 87 della presente sentenza, è intrinseco ad una
regola di voto che imponga il raggiungimento della maggioranza dei membri di
un’istituzione che coloro che si astengono dall’esprimere il loro voto siano
presi in considerazione al fine di stabilire se sia acquisita tale maggioranza
di membri, diversamente da una regola di voto che imponga il raggiungimento
della maggioranza dei voti espressi.
90 Neppure
l’argomento della Repubblica di Polonia, fondato sull’ultima frase
dell’articolo 354, primo comma, TFUE, può trovare accoglimento. Benché, ai
sensi di tale disposizione, le astensioni dei membri presenti o rappresentati
in seno al Consiglio europeo non ostino a che quest’ultimo constati,
all’unanimità, a norma dell’articolo 7, paragrafo 2, TUE, l’esistenza di una
violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori su cui
si fonda l’Unione, ciò non comporta tuttavia che, in assenza di una simile
precisazione nell’ambito dell’articolo 354, quarto comma, TFUE, le astensioni
debbano essere prese in considerazione nel calcolo dei due terzi dei voti
espressi in seno al Parlamento.
91 Al
riguardo occorre rilevare che la precisazione relativa alle astensioni,
esplicitamente formulata all’articolo 354, primo comma, TFUE consente di eliminare
ogni dubbio in ordine al peso delle astensioni degli Stati membri presenti o
rappresentati in seno al Consiglio europeo ai fini dell’applicazione
dell’articolo 7, paragrafo 2, TUE.
92 Pertanto,
nel prevedere, all’articolo 354, primo comma, ultima frase, TFUE, che le
astensioni non ostino all’adozione, da parte di tale istituzione, della
constatazione di cui all’articolo 7, paragrafo 2, TUE, gli autori del Trattato
FUE hanno inteso escludere espressamente che l’astensione di uno solo degli Stati
membri presenti o rappresentati in seno al Consiglio europeo, fatta eccezione
per lo Stato membro interessato, possa impedire a detta istituzione di
constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente, da parte di tale
Stato membro, dei valori su cui si fonda l’Unione.
93 Invece,
contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica di Polonia, non era
necessario introdurre una simile precisazione all’articolo 354, quarto comma,
TFUE, poiché, come risulta dal punto 84 della presente sentenza, la nozione di
«voti espressi» implica, secondo il significato abituale dei suoi termini, che
le astensioni non siano prese in considerazione nel calcolo di siffatti voti.
Pertanto, anche in assenza di una precisazione come quella contenuta
all’articolo 354, primo comma, TFUE, una norma che, come l’articolo 354, quarto
comma, TFUE, imponga un voto a maggioranza dei voti espressi deve essere intesa
nel senso che essa esclude che siano prese in considerazione le astensioni.
94 Per
quanto riguarda, in secondo luogo, la presunta violazione dell’articolo 354,
quarto comma, TFUE, in combinato disposto con il principio di democrazia e con
il principio di parità di trattamento, occorre sottolineare che i due principi
citati rappresentano valori su cui si fonda l’Unione, conformemente
all’articolo 2 TUE. Inoltre, ai sensi dell’articolo 10 TUE, il
funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa e
l’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce
il principio della parità di trattamento.
95 Per
quanto concerne, per un verso, il principio di democrazia, si deve ricordare
che l’importanza politica e costituzionale di una proposta motivata a norma
dell’articolo 7, paragrafo 1, TUE, come la risoluzione impugnata, trova
riscontro nella doppia maggioranza richiesta dall’articolo 354, quarto comma,
TFUE ai fini della sua adozione.
96 Inoltre,
contrariamente a quanto sostenuto dall’Ungheria, i membri del Parlamento che
intendevano esercitare le loro prerogative astenendosi in occasione del voto
sulla risoluzione impugnata non sono stati privati di tale possibilità, dal
momento che le astensioni sono state prese in considerazione come tali, al fine
di verificare che i voti favorevoli fossero stati espressi dalla maggioranza
dei membri che compongono il Parlamento. Peraltro, i membri del Parlamento che
hanno deciso di astenersi in occasione del voto stesso hanno agito con
cognizione di causa, poiché è pacifico che essi sono stati previamente
informati del fatto che le astensioni non sarebbero state conteggiate come voti
espressi.
97 Ne
consegue che l’esclusione delle astensioni dal calcolo dei voti espressi, ai
sensi dell’articolo 354 TFUE, non è contraria al principio di democrazia.
98 Per
quanto attiene, per altro verso, al principio di parità di trattamento, del
quale l’Ungheria lamenta altresì la violazione, occorre ricordare che tale
principio esige che situazioni paragonabili non siano trattate in maniera
diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno
che un tale trattamento non sia oggettivamente giustificato (v., in tal senso,
sentenze del 16 settembre 2010, Chatzi, C‑149/10,
EU:C:2010:534, punto 64, e dell’8 settembre 2020, Commissione e
Consiglio/Carreras Sequeros e a., C‑119/19 P
e C‑126/19 P, EU:C:2020:676, punto 137).
99 Nel
caso di specie, occorre rilevare che tutti i membri del Parlamento hanno
beneficiato delle stesse opzioni in occasione del voto sulla risoluzione
impugnata, ossia esprimere un voto favorevole o contrario all’adozione di tale
risoluzione, o ancora astenersi in occasione del voto stesso, e che al momento
del voto medesimo essi erano pienamente consapevoli delle conseguenze della
scelta da essi effettuata a tal riguardo e, più in particolare, del fatto che
le astensioni, a differenza dei voti favorevoli o contrari a detta risoluzione,
non sarebbero entrate nel calcolo dei voti espressi. Pertanto, e alla luce di
quanto rilevato al punto 84 della presente sentenza, i parlamentari che in tale
occasione hanno scelto di astenersi non possono essere considerati in una
situazione oggettivamente paragonabile a quelli che si sono espressi a favore o
contro tale adozione, ai fini del calcolo dei voti espressi, ai sensi
dell’articolo 354, quarto comma, TFUE.
100 Alla
luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve dichiarare che il
Parlamento non ha violato l’articolo 354, quarto comma, TFUE, in combinato
disposto con i principi di democrazia e di parità di trattamento, per non aver
conteggiato le astensioni come voti espressi in occasione dell’adozione della
risoluzione impugnata.
101 Il primo
e il terzo motivo devono pertanto essere respinti.
Sul secondo
e sul quarto motivo, vertenti sulla violazione dell’articolo 4, paragrafo 3,
TUE, nonché dei principi di cooperazione di buona fede tra le istituzioni
dell’Unione, di rispetto delle legittime aspettative e di certezza del diritto
– Argomenti
delle parti
102 Con il
suo secondo motivo, l’Ungheria afferma che la risoluzione impugnata viola il principio
di certezza del diritto, essendo stata adottata senza che il Parlamento avesse
previamente chiarito, mediante consultazione della commissione per gli affari
costituzionali, i dubbi relativi all’interpretazione dell’articolo 178,
paragrafo 3, del regolamento interno.
103 Benché
l’articolo 226 del regolamento interno attribuisca al presidente del Parlamento
il compito di decidere se adire tale commissione, nondimeno detta commissione
non potrebbe essere privata delle sue competenze, consentendo l’adozione di un
provvedimento sulla base di una norma la cui interpretazione susciti dubbi.
104 Non si
potrebbe inoltre escludere che la commissione per gli affari costituzionali
interpreti diversamente, in futuro, il regolamento interno e metta in discussione,
a posteriori, il risultato del voto intervenuto sulla risoluzione impugnata, il
che darebbe origine ad una situazione di incertezza.
105 Il
Parlamento considera tale motivo manifestamente irricevibile e, in ogni caso,
infondato.
106 Con il
suo quarto motivo, l’Ungheria asserisce che la risoluzione impugnata viola
l’articolo 4, paragrafo 3, TUE nonché i principi di cooperazione di buona fede
tra le istituzioni dell’Unione, di rispetto delle legittime aspettative e di
certezza del diritto. Tale Stato membro sostiene, al riguardo, che, ai fini
dell’adozione di tale risoluzione, il Parlamento si è erroneamente basato su
procedure di infrazione al diritto dell’Unione che la Commissione aveva chiuso
o per le quali detto Stato membro e la Commissione hanno avviato un processo di
dialogo. L’Ungheria rileva inoltre che, nonostante l’esistenza di siffatte
procedure, la Commissione non ha ritenuto giustificato l’avvio del procedimento
di cui all’articolo 7 TUE, il che escluderebbe che tali procedure d’infrazione
possano fondare la risoluzione impugnata.
107 Il
Parlamento dubita della ricevibilità di questo motivo e lo considera, in ogni
caso, infondato.
– Giudizio
della Corte
108 Dal
punto 59 della presente sentenza risulta che la Corte può statuire sulla
legittimità della risoluzione impugnata unicamente per quanto concerne il
rispetto delle sole norme di carattere procedurale previste all’articolo
7 TUE.
109 Orbene,
con il suo secondo e il suo quarto motivo, l’Ungheria non deduce la violazione
di alcuna di tali norme di carattere procedurale.
110 Ne
consegue che il secondo e il quarto motivo devono essere respinti.
111 Alla
luce di tutte le considerazioni che precedono, il ricorso deve essere
integralmente respinto.
Sulle
spese
112 Ai sensi
dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. L’Ungheria,
rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese, conformemente alla
domanda del Parlamento.
113 A norma
dell’articolo 140, paragrafo 1, di detto regolamento, la Repubblica di Polonia
sopporterà le proprie spese in quanto parte interveniente.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara e statuisce:
1) Il
ricorso è respinto.
2) L’Ungheria
è condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, anche quelle sostenute dal
Parlamento europeo.
3) La
Repubblica di Polonia sopporta le proprie spese.
Firme
* Lingua processuale:
l’ungherese.