Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 26 febbraio 2013.
Åklagaren contro Hans Åkerberg
Fransson.
Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Haparanda
tingsrätt.
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea — Ambito di applicazione
— Articolo 51 — Attuazione del diritto dell’Unione — Repressione di
comportamenti lesivi di una risorsa propria dell’Unione — Articolo 50 —
Principio del ne bis in idem — Sistema nazionale che comporta due procedimenti
distinti, amministrativo e penale, per sanzionare la medesima infrazione —
Compatibilità.
Causa C‑617/10.
«Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea — Ambito di
applicazione — Articolo 51 — Attuazione del diritto dell’Unione —
Repressione di comportamenti lesivi di una risorsa propria dell’Unione —
Articolo 50 — Principio del ne bis in idem — Sistema nazionale che
comporta due procedimenti distinti, amministrativo e penale, per sanzionare la
medesima infrazione — Compatibilità»
Nella causa C-617/10,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta
alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Haparanda tingsrätt (Svezia), con
decisione del 23 dicembre 2010, pervenuta in cancelleria il
27 dicembre 2010, nel procedimento
Åklagaren
contro
Hans Åkerberg Fransson,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta dal sig. V. Skouris,
presidente, dal sig. K. Lenaerts,
vicepresidente, dai sigg. A. Tizzano, M. Ilešič,
G. Arestis, J. Malenovský,
presidenti di sezione, dai sigg. A. Borg Barthet,
J.-C. Bonichot, dalla sig.ra C. Toader, dai sigg. J.-J. Kasel
e M. Safjan (relatore), giudici,
avvocato generale: sig. P. Cruz Villalón
cancelliere: sig.ra C. Strömholm,
amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza
del 24 gennaio 2012,
considerate le osservazioni presentate:
— |
per il sig. Åkerberg Fransson, da J. Sterner, advokat, e U. Bernitz,
professor; |
— |
per il governo svedese, da A. Falk e S. Johannesson, in qualità di agenti; |
— |
per il governo ceco, da M. Smolek
e J. Vláčil, in qualità di agenti; |
— |
per il governo danese, da C. Vang,
in qualità di agente; |
— |
per il governo tedesco, da T. Henze,
in qualità di agente; |
— |
per l’Irlanda, da D. O’Hagan,
in qualità di agente, assistito da M. McDowell,
SC; |
— |
per il governo ellenico, da K. Paraskevopoulou
e Z. Chatzipavlou, in qualità di agenti; |
— |
per il governo francese, da N. Rouam,
in qualità di agente; |
— |
per il governo olandese, da C. Wissels
e J. Langer, in qualità di agenti; |
— |
per il governo austriaco, da C. Pesendorfer,
in qualità di agente; |
— |
per la Commissione europea, da R. Lyal
e J. Enegren, in qualità di agenti, |
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate
all’udienza del 12 giugno 2012,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 |
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione
del principio del ne bis in idem nel diritto dell’Unione. |
2 |
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una
controversia tra l’Åklagaren (Pubblico Ministero) e
il sig. Åkerberg Fransson,
in merito ai procedimenti penali avviati dal Pubblico Ministero per frode
fiscale aggravata. |
Contesto normativo
La Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
3 |
Il protocollo n. 7 integrativo della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, firmato a Strasburgo il 22 novembre 1984 (in prosieguo: il
«protocollo n. 7 della CEDU»), al suo articolo 4, intitolato
«Diritto di non essere giudicato o punito due volte», dispone quanto segue: «1. Nessuno può essere perseguito o
condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per
il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza
definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo
precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla
legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti
o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono
in grado di inficiare la sentenza intervenuta. 3. Non è autorizzata alcuna deroga al
presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della [Convenzione europea
per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la “CEDU”)]». |
Il diritto dell’Unione
La Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea
4 |
L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), intitolato «Diritto di non
essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato», così recita: «Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato
per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una
sentenza penale definitiva conformemente alla legge». |
5 |
L’articolo 51 della Carta ne definisce nei seguenti
termini l’ambito di applicazione: «1. Le disposizioni della presente Carta
si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto
del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente
nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti
rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione
secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze
conferite all’Unione nei trattati. 2. La presente Carta non estende
l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze
dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né
modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati». |
La sesta direttiva 77/388/CEE
6 |
L’articolo 22 della sesta direttiva 77/388/CEE del
Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle
legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari -
Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme (GU L 145, pag. 1;
in prosieguo: la «sesta direttiva»), nella versione modificata
dall’articolo 28 nonies della medesima,
dispone quanto segue: «(...)
(...) 8. Gli Stati membri hanno la facoltà di
stabilire (...) altri obblighi che essi ritengano necessari ad assicurare
l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi (...). (...)». |
Il diritto svedese
7 |
L’articolo 2 della legge 1971:69, sui reati
tributari [skattebrottslagen (1971:69); in
prosieguo: la «skattebrottslagen»], così recita: «È condannato per frode fiscale a una pena detentiva
massima di due anni colui che, in forma non orale, comunica dolosamente un
dato inesatto a un’amministrazione oppure non presenta all’amministrazione
dichiarazioni, moduli di certificazione dei redditi o altri dati obbligatori,
con conseguente pericolo di sottrazione di imposte all’erario oppure di
detrazioni o rimborsi errati a favore proprio o di altri». |
8 |
Ai sensi dell’articolo 4 della skattebrottslagen: «Se il reato di cui all’articolo 2 è considerato
aggravato, è inflitta una pena detentiva per frode fiscale aggravata che va
da un minimo di sei mesi a un massimo di sei anni. Per determinare se il reato è aggravato si considera se
l’importo è rilevante, se il colpevole ha utilizzato documenti falsi o
contabilità fuorviante oppure se il fatto è stato compiuto nell’ambito di
criminalità su vasta scala oppure abituale oppure è particolarmente
pericoloso sotto altri aspetti». |
9 |
Il capo 5, articolo 1, della legge 1990:324, in materia
di imposta sui redditi [taxeringslagen (1990:324);
in prosieguo: la «taxeringslagen»], prevede quanto
segue: «Se il contribuente, in forma non orale, durante il
procedimento ha comunicato un dato inesatto ai fini dell’imposizione
tributaria, si applica una tassa speciale (sovrattassa) [in svedese: “skattetillägg”]. Ciò vale anche qualora il contribuente,
nell’ambito di un procedimento tributario, abbia comunicato un dato che,
successivamente, è respinto nel merito. Il dato è considerato inesatto se è evidente che il dato
comunicato dal contribuente è errato oppure se il contribuente non ha
comunicato un dato obbligatorio ai fini dell’imposizione tributaria.
Tuttavia, il dato non è considerato inesatto se, congiuntamente agli altri
dati comunicati, costituisce una base sufficiente per l’adozione di una
decisione corretta. Non è considerato inesatto nemmeno il dato talmente
inverosimile da non potere costituire in modo evidente base per una
decisione». |
10 |
L’articolo 4 del capo 5 della taxeringslagen
così dispone: «In caso di comunicazione di un dato inesatto, la
sovrattassa ammonta al 40% dell’imposta prevista dall’articolo 1,
paragrafo 1, commi 1-5, del capo 1 e che non sarebbe stata applicata al
contribuente o coniuge, se invece il dato inesatto fosse stato approvato. Nel
caso dell’imposta sul valore aggiunto, la sovrattassa ammonta al 20%
dell’imposta che il contribuente ha erroneamente sottratto. La sovrattassa ammonta al 10%, oppure al 5% nel caso
dell’imposta sul valore aggiunto, qualora il dato inesatto sia stato
rettificato oppure lo Skatteverket [amministrazione
tributaria] avrebbe potuto rettificarlo alla luce delle certificazioni dei
redditi solitamente in suo possesso ed effettivamente a disposizione
dell’amministrazione entro la fine di novembre del periodo di imposta». |
11 |
Ai sensi dell’articolo 14 del capo 5 della taxeringslagen: «Il contribuente è esentato interamente o parzialmente
dalla tassa speciale se l’inesatta o mancata comunicazione risultano
giustificate oppure se sarebbe altrimenti eccessivo applicare l’imposta a
importo pieno. In caso di esenzione parziale a favore del contribuente, la
tassa è ridotta alla metà o a un quarto. (...) Per valutare se sarebbe altrimenti eccessivo applicare
l’imposta a importo pieno, si deve tenere conto in particolare se: (...)
|
Procedimento principale
e questioni pregiudiziali
12 |
Il sig. Åkerberg Fransson è stato chiamato a comparire il 9 giugno
2009 dinanzi allo Haparanda tingsrätt (tribunale di primo grado di Haparanda), in particolare per rispondere
dell’imputazione di frode fiscale aggravata. Egli era accusato di aver
fornito informazioni inesatte nelle dichiarazioni fiscali per gli esercizi
2004 e 2005, con conseguente rischio per l’erario di perdere entrate collegate
alla riscossione dell’imposta sul reddito e dell’imposta sul valore aggiunto
(in prosieguo: l’«IVA»), pari a
SEK 319 143 per l’esercizio 2004, di cui SEK 60 000 a
titolo dell’IVA, e a SEK 307 633 per l’esercizio 2005, di cui
SEK 87 550 al medesimo titolo. Il sig. Åkerberg Fransson era altresì imputato per aver omesso di
presentare alcune dichiarazioni relative ai contributi sociali dei datori di
lavoro per i periodi di riferimento dei mesi di ottobre 2004 e di ottobre
2005, con conseguente pericolo per gli enti previdenziali di perdere introiti
pari a SEK 35 690 e SEK 35 862 rispettivamente. Secondo
l’atto di citazione, gli illeciti erano da considerare aggravati, da un lato,
per la rilevanza degli importi di cui trattasi e, dall’altro, per il fatto di
essere stati compiuti nell’ambito di un’attività criminale abituale su vasta
scala. |
13 |
Con decisione del 24 maggio 2007, la skatteverket ha inflitto al sig. Åkerberg Fransson, per l’esercizio fiscale 2004, una sovrattassa
di SEK 35 542 a titolo dei redditi derivanti dalla sua attività
economica, di SEK 4 872 a titolo dell’IVA e di SEK 7 138
a titolo dei contributi sociali dei datori di lavoro. Con la stessa decisione
gli ha parimenti inflitto, per l’esercizio fiscale 2005, una sovrattassa di
SEK 54 240 a titolo dei redditi derivanti dalla sua attività
economica, di SEK 3 255 a titolo dell’IVA e di SEK 7 172
a titolo dei contributi sociali dei datori di lavoro. Le sovrattasse erano
maggiorate di interessi. Esse non sono state oggetto di ricorso dinanzi al
giudice amministrativo, essendo il termine a tal fine scaduto il
31 dicembre 2010, per quanto riguarda l’esercizio fiscale 2004, e il
31 dicembre 2011, per quanto riguarda l’esercizio fiscale 2005. La
decisione di imposizione delle sovrattasse si fonda sulla stessa
comunicazione di dati inesatti che è alla base della descrizione del reato
formulata dal Pubblico Ministero nel procedimento penale principale. |
14 |
Dinanzi al giudice a quo sorge la questione se il
procedimento penale nei confronti del sig. Åkerberg Fransson debba essere considerato inammissibile in quanto
egli è già stato condannato per lo stesso reato nell’ambito di un altro
procedimento, circostanza che violerebbe il divieto del ne bis in idem
sancito all’articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU e
all’articolo 50 della Carta. |
15 |
Alla luce di ciò, lo Haparanda tingsrätt ha deciso di sospendere il procedimento e di
sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
|
Sulla competenza della
Corte
16 |
I governi svedese, ceco e danese, l’Irlanda ed il governo
olandese, nonché la Commissione europea, contestano la ricevibilità delle
questioni pregiudiziali. La Corte sarebbe competente a rispondere solo
qualora le sovrattasse inflitte al sig. Åkerberg Fransson, nonché i procedimenti penali nei suoi
confronti, che costituiscono oggetto del procedimento principale,
risultassero da un’attuazione del diritto dell’Unione. Orbene, ciò non si
verificherebbe né nel caso del testo nazionale sulla cui base sono state
inflitte le sovrattasse né di quello su cui si fondano i procedimenti penali.
Conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, tali
sovrattasse e procedimenti non sarebbero quindi ricompresi nell’ambito di
applicazione del principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50
della Carta. |
17 |
A tale riguardo, occorre ricordare che l’ambito di
applicazione della Carta, per quanto riguarda l’operato degli Stati membri, è
definito all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, ai sensi del
quale le disposizioni della Carta si applicano agli Stati membri
esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. |
18 |
Tale articolo della Carta conferma pertanto la
giurisprudenza della Corte relativa alla misura in cui l’operato degli Stati
membri deve conformarsi alle prescrizioni derivanti dai diritti fondamentali
garantiti nell’ordinamento giuridico dell’Unione. |
19 |
Da una costante giurisprudenza della Corte risulta
infatti sostanzialmente che i diritti fondamentali garantiti nell’ordinamento
giuridico dell’Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal
diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse. A tal proposito la Corte ha
già ricordato che essa, per quanto riguarda la Carta, non può valutare una
normativa nazionale che non si colloca nell’ambito del diritto dell’Unione.
Per contro, una volta che una siffatta normativa rientra nell’ambito di
applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve
fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione,
da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i
diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto (v. segnatamente, in
tal senso, sentenze del 18 giugno 1991, ERT, C-260/89, Racc. pag. I-2925, punto 42; del 29 maggio 1997, Kremzow, C-299/95, Racc. pag. I-2629, punto 15; del 18 dicembre 1997,
Annibaldi, C-309/96, Racc. pag. I-7493, punto 13; del 22 ottobre 2002, Roquette Frères, C-94/00, Racc. pag. I-9011, punto 25; del 18 dicembre 2008, Sopropé, C-349/07, Racc. pag. I-10369, punto 34; del 15 novembre 2011, Dereci e a., C-256/11, Racc. pag. I-11315, punto 72, nonché del 7 giugno 2012, Vinkov, C-27/11, punto 58). |
20 |
Tale definizione dell’ambito di applicazione dei diritti
fondamentali dell’Unione è confermata dalle spiegazioni relative
all’articolo 51 della Carta, le quali, conformemente
all’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e
all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, debbono essere prese in
considerazione per l’interpretazione di quest’ultima (v., in tal senso,
sentenza del 22 dicembre 2010, DEB, C-279/09, Racc. pag. I-13849, punto 32). Secondo tali spiegazioni, «l’obbligo di
rispettare i diritti fondamentali definiti nell’ambito dell’Unione vale per
gli Stati membri soltanto quando agiscono
nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione». |
21 |
Di conseguenza, dato che i diritti fondamentali garantiti
dalla Carta devono essere rispettati quando una normativa nazionale rientra
nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, non possono quindi
esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che tali diritti
fondamentali trovino applicazione. L’applicabilità del diritto dell’Unione
implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta. |
22 |
Ove, per contro, una situazione giuridica non rientri
nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione, la Corte non è competente
al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non
possono giustificare, di per sé, tale competenza (v., in tal senso, ordinanza
del 12 luglio 2012, Currà e a., C-466/11,
punto 26). |
23 |
Tali considerazioni corrispondono a quelle sottese
all’articolo 6, paragrafo 1, TUE, ai sensi del quale le
disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze
dell’Unione come definite nei trattati. Allo stesso modo, ai sensi
dell’articolo 51, paragrafo 2, della Carta, essa non estende
l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze
dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né
modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati (v. sentenza Dereci e a., cit., punto 71). |
24 |
Nel caso di specie, occorre anzitutto rilevare che le
sovrattasse e i procedimenti penali di cui il sig. Åkerberg Fransson è o è stato oggetto sono in parte collegati a
violazioni dei suoi obblighi dichiarativi in materia di IVA. |
25 |
Orbene, in materia di IVA, risulta, da un lato, dagli
articoli 2, 250, paragrafo 1, e 273 della direttiva
2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema
comune d’imposta sul valore aggiunto (GU L 347, pag. 1),
che riprendono, in particolare, le disposizioni dell’articolo 2 della
sesta direttiva e dell’articolo 22, paragrafi 4 e 8, della
medesima, nel testo modificato dall’articolo 28 nonies
di quest’ultima, e, dall’altro, dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE
che ogni Stato membro ha l’obbligo di adottare tutte le misure legislative e
amministrative al fine di garantire che l’IVA sia interamente riscossa nel
suo territorio e a lottare contro la frode (v. sentenza del 17 luglio
2008, Commissione/Italia, C-132/06, Racc. pag. I-5457, punti 37 e 46). |
26 |
Inoltre l’articolo 325 TFUE obbliga gli Stati
membri a lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari
dell’Unione con misure dissuasive ed effettive e, in particolare, per
combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, li obbliga
ad adottare le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei
loro interessi (v., in tal senso, sentenza del 28 ottobre 2010, SGS Belgium e a., C-367/09, Racc. pag. I-10761, punti 40-42). Orbene, poiché le risorse proprie
dell’Unione comprendono in particolare, ai sensi dell’articolo 2,
paragrafo 1, della decisione 2007/436/CE, Euratom
del Consiglio, del 7 giugno 2007, relativa al sistema delle risorse
proprie delle Comunità europee (GU L 163, pag. 17),
le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli
imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione, sussiste
quindi un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA
nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione
del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, poiché qualsiasi
lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione
delle seconde (v., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2011,
Commissione/Germania, C-539/09, Racc. pag. I-11235, punto 72). |
27 |
Ne risulta che sovrattasse e procedimenti penali per
frode fiscale, del tipo di quelli di cui è o è stato oggetto l’imputato nel
procedimento principale a causa dell’inesattezza delle informazioni fornite
in materia di IVA, costituiscono un’attuazione degli articoli 2, 250,
paragrafo 1, e 273 della direttiva 2006/112 (già articoli 2
e 22 della sesta direttiva) e dell’articolo 325 TFUE e,
pertanto, del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51,
paragrafo 1, della Carta. |
28 |
Il fatto che le normative nazionali che fungono da base a
tali sovrattasse e procedimenti penali non siano state adottate per trasporre
la direttiva 2006/112 non può essere tale da rimettere in discussione detta
conclusione, dal momento che la loro applicazione mira a sanzionare una
violazione delle disposizioni della direttiva summenzionata e pertanto ad
attuare l’obbligo, imposto dal Trattato agli Stati membri, di sanzionare in
modo effettivo i comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione. |
29 |
Ciò posto, quando un giudice di uno Stato membro sia
chiamato a verificare la conformità ai diritti fondamentali di una
disposizione o di un provvedimento nazionale che, in una situazione in cui
l’operato degli Stati membri non è del tutto determinato dal diritto
dell’Unione, attua tale diritto ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1,
della Carta, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare
gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale
applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come
interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità e l’effettività del diritto
dell’Unione (v., per quest’ultimo aspetto, sentenza del 26 febbraio
2013, Melloni, C-399/11, punto 60). |
30 |
A tal fine, quando i giudici nazionali sono chiamati ad
interpretare le disposizioni della Carta, essi hanno la possibilità e, se del
caso, il dovere di adire la Corte in via pregiudiziale ai sensi
dell’articolo 267 TFUE. |
31 |
Dai suesposti rilievi risulta che la Corte è competente a
rispondere alle questioni sollevate e a fornire tutti gli elementi di
interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice del
rinvio, della conformità della normativa nazionale con il principio del ne
bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta. |
Sulle questioni
pregiudiziali
Sulle questioni seconda,
terza e quarta
32 |
Con tali questioni, alle quali occorre rispondere
congiuntamente, lo Haparanda tingsrätt
chiede sostanzialmente alla Corte se occorra interpretare il principio del ne
bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta nel senso che esso osta
a che siano avviati nei confronti di un imputato procedimenti penali per
frode fiscale, una volta che gli è già stata inflitta una sovrattassa per gli
stessi fatti di falsa dichiarazione. |
33 |
Per quanto riguarda l’applicazione del principio del ne
bis in idem, sancito all’articolo 50 della Carta, a procedimenti penali
per frode fiscale come quelli oggetto della controversia principale, essa
presuppone che i provvedimenti già adottati nei confronti dell’imputato ai
sensi di una decisione divenuta definitiva siano di natura penale. |
34 |
A tale riguardo, occorre anzitutto rilevare che
l’articolo 50 della Carta non osta a che uno Stato membro imponga, per
le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una
combinazione di sovrattasse e sanzioni penali. Infatti, per assicurare la
riscossione di tutte le entrate provenienti dall’IVA e tutelare in tal modo
gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una
libertà di scelta delle sanzioni applicabili (v., in tal senso, sentenze del
21 settembre 1989, Commissione/Grecia, 68/88, Racc. pag. 2965, punto 24; del 7 dicembre 2000, de Andrade, C-213/99, Racc. pag. I-11083, punto 19, e del 16 ottobre 2003, Hannl-Hofstetter, C-91/02, Racc. pag. I-12077, punto 17). Esse possono quindi essere inflitte
sotto forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione
delle due. Solo qualora la sovrattassa sia di natura penale, ai sensi
dell’articolo 50 della Carta, e sia divenuta definitiva, tale
disposizione osta a che procedimenti penali per gli stessi fatti siano
avviati nei confronti di una stessa persona. |
35 |
Occorre inoltre ricordare che, ai fini della valutazione
della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri. Il
primo consiste nella qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto
nazionale, il secondo nella natura dell’illecito e il terzo nella natura
nonché nel grado di severità della sanzione in cui l’interessato rischia di
incorrere (sentenza del 5 giugno 2012, Bonda,
C-489/10, punto 37). |
36 |
Spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali
criteri, se occorra procedere ad un esame del cumulo di sanzioni tributarie e
penali previsto dalla legislazione nazionale sotto il profilo degli standard
nazionali ai sensi del punto 29 della presente sentenza, circostanza che
potrebbe eventualmente indurlo a considerare tale cumulo contrario a detti
standard, a condizione che le rimanenti sanzioni siano effettive,
proporzionate e dissuasive (v. in tal senso, segnatamente, sentenze
Commissione/Grecia, cit., punto 24; del 10 luglio 1990,
Hansen, C-326/88, Racc. pag. I-2911, punto 17; del 30 settembre 2003, Inspire Art, C-167/01, Racc. pag. I-10155, punto 62; del 15 gennaio 2004, Penycoed, C-230/01, Racc. pag. I-937, punto 36, nonché del 3 maggio 2005,
Berlusconi e a., C-387/02, C-391/02 e C-403/02, Racc. pag. I-3565, punto 65). |
37 |
Dalle suesposte considerazioni risulta che occorre
rispondere alle questioni seconda, terza e quarta dichiarando che il
principio del ne bis in idem sancito all’articolo 50 della Carta non
osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi
dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una
sanzione penale, qualora la prima sanzione non sia di natura penale,
circostanza che dev’essere verificata dal giudice nazionale. |
Sulla quinta questione
38 |
Con la sua quinta questione, lo Haparanda
tingsrätt sostanzialmente interroga la Corte circa
la compatibilità con il principio del ne bis in idem, garantito
dall’articolo 50 della Carta, di una legislazione nazionale che, in caso
di frode fiscale, autorizza il cumulo di sovrattasse e sanzioni penali
inflitte dallo stesso giudice. |
39 |
A tale proposito, si deve rammentare anzitutto che,
nell’ambito del procedimento ai sensi dell’articolo 267 TFUE,
spetta soltanto al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia
e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda
decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze
della causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale al fine di
emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone
alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono
sull’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio,
è tenuta a statuire (v., in particolare, sentenza dell’8 settembre 2011,
Paint Graphos e a., da C-78/08 a C-80/08, Racc. pag. I-7611, punto 30 e giurisprudenza ivi citata). |
40 |
La presunzione di rilevanza connessa alle domande di
pronuncia pregiudiziale proposte dai giudici nazionali può essere esclusa
soltanto in via eccezionale, qualora appaia in modo manifesto che
l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con
la realtà effettiva o l’oggetto della causa principale, qualora la questione
sia di tipo teorico, oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di
fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che
le sono sottoposte (v. in tal senso, segnatamente, sentenza Paint Graphos e a., cit., punto 31 e giurisprudenza
ivi citata). |
41 |
Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che
la legislazione nazionale cui si riferisce il giudice a quo non è quella
applicabile alla controversia principale e che, per il momento, non esiste
nell’ordinamento giuridico svedese. |
42 |
Occorre pertanto dichiarare irricevibile la quinta
questione, poiché la funzione assegnata alla Corte, nell’ambito
dell’articolo 267 TFUE, è quella di contribuire all’amministrazione
della giustizia negli Stati membri, e non di esprimere pareri consultivi su
questioni generali o teoriche (v., segnatamente, sentenza Paint Graphos e a., cit., punto 32 e giurisprudenza
ivi citata). |
Sulla prima questione
43 |
Con la sua prima questione, lo Haparanda
tingsrätt sostanzialmente interroga la Corte circa
la compatibilità con il diritto dell’Unione di una prassi giudiziaria
nazionale che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di disapplicare
ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto fondamentale garantito
dalla CEDU e dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti
chiaramente dai testi interessati o dalla relativa giurisprudenza. |
44 |
Per quanto riguarda, anzitutto, le conseguenze che il
giudice nazionale deve trarre da un conflitto tra il diritto nazionale e la
CEDU, occorre ricordare che, anche se, come conferma l’articolo 6,
paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU
fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e anche se
l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta impone di dare ai diritti
in essa contemplati corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU lo stesso
significato e la stessa portata di quelli loro conferiti dalla suddetta
convenzione, quest’ultima non costituisce, fintantoché l’Unione non vi abbia
aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico
dell’Unione. Di conseguenza, il diritto dell’Unione non disciplina i rapporti
tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno
determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di
conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto
nazionale (v., in tal senso, sentenza del 24 aprile 2012, Kamberaj, C-571/10, punto 62). |
45 |
Per quanto riguarda poi le conseguenze che il giudice
nazionale deve trarre da un conflitto tra disposizioni del proprio diritto
interno e diritti garantiti dalla Carta, secondo una costante giurisprudenza
il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria
competenza, le norme di diritto dell’Unione ha l’obbligo di garantire la
piena efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria
iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale,
anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in
via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale
(sentenze del 9 marzo 1978, Simmenthal, 106/77, Racc. pag. 629, punti 21 e 24; del 19 novembre 2009, Filipiak, C-314/08, Racc. pag. I-11049, punto 81, nonché del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli, C-188/10 e C-189/10, Racc. pag. I-5667, punto 43). |
46 |
Infatti, sarebbe incompatibile con le esigenze inerenti
alla natura stessa del diritto dell’Unione qualsiasi disposizione facente
parte di un ordinamento giuridico nazionale o qualsiasi prassi, legislativa,
amministrativa o giudiziaria, che porti ad una riduzione della concreta
efficacia del diritto dell’Unione per il fatto che sia negato al giudice,
competente ad applicare tale diritto, il potere di fare, all’atto stesso di
tale applicazione, tutto quanto è necessario per disapplicare le disposizioni
legislative nazionali che eventualmente siano d’ostacolo alla piena efficacia
delle norme dell’Unione (sentenza Melki e Abdeli, cit., punto 44 e giurisprudenza ivi citata). |
47 |
Peraltro, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, un
giudice nazionale, adito in una controversia concernente il diritto
dell’Unione il cui significato o la cui portata non gli siano chiari, può, o
eventualmente deve, adire la Corte su questioni interpretative relative alla
disposizione del diritto dell’Unione di cui trattasi (v., in tal senso,
sentenza del 6 ottobre 1982, Cilfit
e a., 283/81, Racc. pag. 3415). |
48 |
Ne risulta che il diritto dell’Unione osta a una prassi
giudiziaria che subordina l’obbligo, per il giudice nazionale, di
disapplicare ogni disposizione che sia in contrasto con un diritto
fondamentale garantito dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti
chiaramente dal tenore della medesima o dalla relativa giurisprudenza, dal
momento che essa priva il giudice nazionale del potere di valutare
pienamente, se del caso con la collaborazione della Corte, la compatibilità
di tale disposizione con la Carta medesima. |
49 |
Alla luce dei suesposti rilievi, occorre rispondere alla
prima questione dichiarando che:
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Sulle spese
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Nei confronti delle parti nel procedimento principale la
presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da
altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a
rifusione. |
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Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: |
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Firme |