SENTENZA DELLA CORTE
(Grande Sezione)
23 novembre 2021 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in
materia penale – Direttiva 2010/64/UE – Articolo 5 – Qualità
dell’interpretazione e della traduzione – Direttiva 2012/13/UE –
Diritto all’informazione nei procedimenti penali – Articolo 4, paragrafo
5, e articolo 6, paragrafo 1 – Diritto all’informazione sull’accusa –
Diritto all’interpretazione e alla traduzione – Direttiva
2016/343/UE – Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice
imparziale – Articolo 48, paragrafo 2, della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea – Articolo 267 TFUE – Articolo
19, paragrafo 1, secondo comma, TUE – Ricevibilità – Impugnazione
nell’interesse della legge contro una decisione che dispone un rinvio
pregiudiziale – Procedimento disciplinare – Potere del giudice di
grado superiore di dichiarare illegittima la domanda di pronuncia pregiudiziale»
Nella causa C‑564/19,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale
proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Pesti Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest, Ungheria),
con decisione dell’11 luglio 2019, pervenuta in cancelleria il 24 luglio 2019,
integrata da una decisione del 18 novembre 2019, pervenuta in cancelleria lo
stesso giorno, nel procedimento penale contro
IS,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts,
presidente, K. Jürimäe, C. Lycourgos, E. Regan, S. Rodin e I. Jarukaitis (relatore), presidenti di sezione, J.‑C. Bonichot, P.G. Xuereb,
N. Piçarra, L.S. Rossi e A. Kumin, giudici,
avvocato generale: P. Pikamäe
cancelliere: I. Illéssy,
amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 18 gennaio 2021,
considerate le osservazioni presentate:
– per IS, da
A. Pintér e B. Csire,
ügyvédek;
– per il
governo ungherese, da M.Z. Fehér e R. Kissné Berta, in qualità di agenti;
– per il
governo dei Paesi Bassi, da K. Bulterman,
P. Huurnink e J. Langer, in qualità di
agenti;
– per il
governo svedese, inizialmente da H. Eklinder,
C. Meyer-Seitz, H. Shev,
J. Lundberg e A. Falk, successivamente da
O. Simonsson, H. Eklinder,
C. Meyer-Seitz, H. Shev,
J. Lundberg, M. Salborn
Hodgson, A.M. Runeskjöld e R. Shahsavan Eriksson, in qualità di agenti;
– per la
Commissione europea, inizialmente da A. Tokár,
H. Krämer e R. Troosters,
successivamente da A. Tokár, M. Wasmeier e P.J.O. Van Nuffel,
in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate
all’udienza del 15 aprile 2021,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 5,
paragrafo 2, della direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 20 ottobre 2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei
procedimenti penali (GU 2010, L 280, pag. 1), dell’articolo 4,
paragrafo 5, e dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto
all’informazione nei procedimenti penali (GU 2012, L 142, pag. 1),
dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma,
TUE, dell’articolo 267 TFUE e dell’articolo 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale avviato contro
IS, cittadino svedese di origine turca, per violazione delle disposizioni di
diritto ungherese che disciplinano l’acquisto o il trasporto di armi da fuoco o
di munizioni.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 2010/64
3 I
considerando 5, 12 e 24 della direttiva 2010/64 enunciano quanto segue:
«(5) L’articolo
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950] e l’articolo 47 della
[Carta] sanciscono il diritto ad un processo equo. L’articolo 48, paragrafo 2,
della Carta garantisce il rispetto dei diritti della difesa. La presente
direttiva rispetta tali diritti e dovrebbe essere attuata di conseguenza.
(...)
(12) La
presente direttiva (...) stabilisce norme minime comuni da applicare
nell’ambito dell’interpretazione e della traduzione nei procedimenti penali al
fine di rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri.
(...)
(24) Gli
Stati membri dovrebbero garantire che possa essere esercitato un controllo
sull’adeguatezza dell’interpretazione e della traduzione fornite, quando le
autorità competenti sono state informate in merito a un determinato caso».
4 L’articolo
2 di tale direttiva, intitolato «Diritto all’interpretazione», è così
formulato:
«1. Gli Stati membri
assicurano che gli indagati o gli imputati che non parlano o non comprendono la
lingua del procedimento penale in questione siano assistiti senza indugio da un
interprete nei procedimenti penali dinanzi alle autorità inquirenti e
giudiziarie, inclusi gli interrogatori di polizia, e in tutte le udienze,
comprese le necessarie udienze preliminari.
(...)
5. Gli Stati membri
assicurano che, secondo le procedure della legislazione nazionale, gli indagati
o gli imputati abbiano il diritto di impugnare una decisione che dichiara
superflua l’interpretazione e, nel caso in cui l’interpretazione sia stata
fornita, abbiano la possibilità di contestare la qualità dell’interpretazione
in quanto insufficiente a tutelare l’equità del procedimento.
(...)
8. L’interpretazione
fornita ai sensi del presente articolo dev’essere di qualità sufficiente a
tutelare l’equità del procedimento, in particolare garantendo che gli imputati
o gli indagati in procedimenti penali siano a conoscenza delle accuse a loro
carico e siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa».
5 L’articolo
3 della direttiva in parola, intitolato «Diritto alla traduzione di documenti
fondamentali», prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri
assicurano che gli indagati o gli imputati che non comprendono la lingua del
procedimento penale ricevano, entro un periodo di tempo ragionevole, una
traduzione scritta di tutti i documenti che sono fondamentali per garantire che
siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa e per tutelare
l’equità del procedimento.
2. Tra i documenti
fondamentali rientrano le decisioni che privano una persona della propria
libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le sentenze.
(...)
5. Gli Stati membri
assicurano che, secondo le procedure della legislazione nazionale, gli indagati
o gli imputati abbiano il diritto di impugnare una decisione che dichiara
superflua l’interpretazione di documenti o di passaggi degli stessi e, nel caso
in cui una traduzione sia stata fornita, abbiano la possibilità di contestare
la qualità della traduzione in quanto non sufficiente a tutelare l’equità del
procedimento.
(...)
9. La traduzione fornita
ai sensi del presente articolo deve essere di qualità sufficiente a tutelare
l’equità del procedimento, in particolare garantendo che gli imputati o gli
indagati in procedimenti penali siano a conoscenza delle accuse a loro carico e
siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa».
6 L’articolo
5 della stessa direttiva, intitolato «Qualità dell’interpretazione e della traduzione»,
dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri
adottano misure atte a garantire che l’interpretazione e la traduzione fornite
rispettino la qualità richiesta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 8, e
dell’articolo 3, paragrafo 9.
2. Al fine di assicurare
un servizio di interpretazione e di traduzione adeguato e un accesso efficiente
a tale servizio, gli Stati membri si impegnano a istituire un registro o dei
registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati. Una
volta istituiti, tali registri, se del caso, sono messi a disposizione degli
avvocati e delle autorità competenti.
(...)».
Direttiva 2012/13
7 I
considerando 5, 30 e 34 della direttiva 2012/13 sono così formulati:
«(5) L’articolo
47 della [Carta] e l’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) sanciscono il diritto
a un processo equo. L’articolo 48, paragrafo 2, della Carta garantisce il
rispetto dei diritti della difesa.
(...)
(30) Qualsiasi
documento e, se del caso, fotografia e registrazione audio e video che sia
essenziale per contestare effettivamente, in conformità del diritto nazionale,
la legittimità dell’arresto o della detenzione di persone indagate o imputate,
dovrebbe essere messo a disposizione degli indagati o imputati o a disposizione
del loro legale al più tardi prima che un’autorità giudiziaria competente sia
chiamata a decidere in merito alla legittimità dell’arresto o della detenzione
a norma dell’articolo 5, paragrafo 4, della CEDU, e a tempo debito per
consentire l’esercizio effettivo del diritto di contestare la legittimità
dell’arresto o della detenzione.
(...)
(34) L’accesso
alla documentazione relativa all’indagine, previsto dalla presente direttiva,
dovrebbe essere fornito gratuitamente, fatte salve le disposizioni del diritto
nazionale che prevedono i diritti che devono essere pagati per i documenti da
copiare estratti dal fascicolo, o per spedire la documentazione alle persone
interessate o al loro avvocato».
8 L’articolo
1 di tale direttiva, che ne precisa l’oggetto, stabilisce quanto segue:
«La presente direttiva stabilisce norme relative al diritto
all’informazione, delle persone indagate o imputate, sui diritti di cui godono
nel procedimento penale e dell’accusa elevata a loro carico. Essa stabilisce
altresì norme relative al diritto all’informazione delle persone soggette al
mandato di arresto europeo sui loro diritti».
9 L’articolo
3 di detta direttiva, intitolato «Diritto all’informazione sui diritti», è così
formulato:
«1. Gli Stati membri
assicurano che alle persone indagate o imputate siano tempestivamente fornite
le informazioni concernenti almeno i seguenti diritti processuali, ai sensi del
diritto nazionale, onde consentire l’esercizio effettivo di tali diritti:
a) il
diritto a un avvocato;
b) le
condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio;
c) il
diritto di essere informato dell’accusa, a norma dell’articolo 6;
d) il
diritto all’interpretazione e alla traduzione;
e) il
diritto al silenzio.
2. Gli Stati membri assicurano
che le informazioni fornite a norma del paragrafo 1 siano fornite oralmente o
per iscritto, in un linguaggio semplice e accessibile, tenendo conto delle
eventuali necessità delle persone indagate o imputate in condizioni di
vulnerabilità».
10 L’articolo 4
della medesima direttiva, intitolato «Comunicazione dei diritti al momento
dell’arresto», prevede quanto segue:
«1. Gli Stati membri
garantiscono che le persone indagate o imputate che siano arrestate o detenute,
ricevano prontamente una comunicazione dei diritti per iscritto. A queste
persone è data la possibilità di leggere la comunicazione e hanno la facoltà di
conservarla per tutto il periodo in cui esse sono private della libertà.
(...)
5. Gli Stati membri
provvedono affinché l’indagato o l’imputato riceva la comunicazione redatta in
una lingua a lui comprensibile. Qualora la comunicazione non sia disponibile
nella lingua appropriata, l’indagato o l’imputato è informato dei suoi diritti
oralmente in una lingua a lui comprensibile. Senza indugio gli verrà quindi
fornita la comunicazione dei diritti in una lingua a lui comprensibile».
11 L’articolo 6
della direttiva 2012/13, rubricato «Diritto all’informazione sull’accusa»,
dispone quanto segue:
«1. Gli Stati membri assicurano
che alle persone indagate o imputate siano fornite informazioni sul reato che
le stesse sono sospettate o accusate di aver commesso. Tali informazioni sono
fornite tempestivamente e con tutti i dettagli necessari, al fine di garantire
l’equità del procedimento e l’esercizio effettivo dei diritti della difesa.
2. Gli Stati membri
assicurano che le persone indagate o imputate, che siano arrestate o detenute,
siano informate dei motivi del loro arresto o della loro detenzione, e anche
del reato per il quale sono indagate o imputate.
3. Gli Stati membri
garantiscono che, al più tardi al momento in cui il merito dell’accusa è
sottoposto all’esame di un’autorità giudiziaria, siano fornite informazioni
dettagliate sull’accusa, inclusa la natura e la qualificazione giuridica del
reato, nonché la natura della partecipazione allo stesso dell’accusato.
(...)».
12 L’articolo 7
di tale direttiva, intitolato «Diritto di accesso alla documentazione relativa
all’indagine», prevede quanto segue:
«1. Qualora una persona
sia arrestata e detenuta in una qualunque fase del procedimento penale, gli
Stati membri provvedono affinché i documenti relativi al caso specifico, in
possesso delle autorità competenti, che sono essenziali per impugnare
effettivamente, conformemente al diritto nazionale, la legittimità dell’arresto
o della detenzione, siano messi a disposizione delle persone arrestate o dei
loro avvocati.
2. Per garantire l’equità
del procedimento e consentire la preparazione della difesa, gli Stati membri
assicurano che a dette persone o ai loro avvocati venga garantito l’accesso
almeno a tutto il materiale probatorio in possesso delle autorità competenti,
sia esso a favore o contro l’indagato o imputato.
(...)».
13 Ai sensi
dell’articolo 8 di detta direttiva, intitolato «Verifica e ricorsi»:
«1. Gli Stati membri
provvedono a che, quando le informazioni siano fornite all’indagato o imputato
a norma degli articoli da 3 a 6, ciò sia verbalizzato secondo la procedura di
documentazione degli atti prevista dal diritto dello Stato membro interessato.
2. Gli Stati membri
assicurano che le persone indagate o imputate o i loro avvocati abbiano il
diritto di impugnare, secondo le procedure del diritto nazionale, l’eventuale
rifiuto delle autorità competenti di fornire le informazioni di cui alla
presente direttiva o l’eventuale mancata comunicazione delle stesse».
Direttiva (UE) 2016/343
14 I considerando
1 e 9 della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di
innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali (GU
2016, L 65, pag. 1), enunciano quanto segue:
«(1) La
presunzione di innocenza e il diritto a un equo processo sono sanciti negli
articoli 47 e 48 della [Carta], nell’articolo 6 della [CEDU], nell’articolo 14
del Patto internazionale sui diritti civili e politici («ICCPR») e
nell’articolo 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
(...)
(9) La
presente direttiva intende rafforzare il diritto a un equo processo nei
procedimenti penali, stabilendo norme minime comuni relative ad alcuni aspetti
della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo».
15 L’articolo 8
di detta direttiva, intitolato «Diritto di presenziare al processo», dispone
quanto segue:
«1. Gli Stati membri
garantiscono che gli indagati e imputati abbiano il diritto di presenziare al
proprio processo.
2. Gli Stati membri
possono prevedere che un processo che può concludersi con una decisione di
colpevolezza o innocenza dell’indagato o imputato possa svolgersi in assenza di
quest’ultimo, a condizione che:
a) l’indagato
o imputato sia stato informato in un tempo adeguato del processo e delle
conseguenze della mancata comparizione; oppure
b) l’indagato
o imputato, informato del processo, sia rappresentato da un difensore
incaricato, nominato dall’indagato o imputato oppure dallo Stato.
(...)
4. Qualora gli Stati
membri prevedano la possibilità di svolgimento di processi in assenza
dell’indagato o imputato, ma non sia possibile soddisfare le condizioni di cui
al paragrafo 2 del presente articolo perché l’indagato o imputato non può
essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi, gli Stati membri
possono consentire comunque l’adozione di una decisione e l’esecuzione della
stessa. In tal caso, gli Stati membri garantiscono che gli indagati o imputati,
una volta informati della decisione, in particolare quando siano arrestati,
siano informati anche della possibilità di impugnare la decisione e del diritto
a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, in conformità
dell’articolo 9.
(...)».
16 L’articolo 9
di detta direttiva, intitolato «Diritto a un nuovo processo», prevede quanto
segue:
«Gli Stati membri assicurano che, laddove gli indagati o
imputati non siano stati presenti al processo e non siano state soddisfatte le
condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, questi abbiano il diritto a un
nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta di
riesaminare il merito della causa, incluso l’esame di nuove prove, e possa
condurre alla riforma della decisione originaria. In tale contesto, gli Stati
membri assicurano che tali indagati o imputati abbiano il diritto di
presenziare, di partecipare in modo efficace, in conformità delle procedure
previste dal diritto nazionale e di esercitare i diritti della difesa».
Diritto ungherese
17 L’articolo 78,
paragrafo 1, dell’a büntetőeljárásról szóló 2017. évi XC. törvény (legge XC del 2017 che istituisce il codice di
procedura penale, Magyar Közlöny 2017/90.;
in prosieguo: il «codice di procedura penale») prevede, in sostanza, che una
parte di un procedimento penale, la quale desideri utilizzare, ai fini di
quest’ultimo, una lingua diversa da quella ungherese, abbia il diritto di
utilizzare la propria lingua madre e di essere assistita da un interprete.
18 In forza
dell’articolo 201, paragrafo 1, del codice di procedura penale, nell’ambito di
un procedimento penale, solo un interprete ufficialmente qualificato può essere
designato in tale qualità, ma se non è possibile procedere a tale nomina, è
autorizzata la nomina di un interprete che possieda una sufficiente conoscenza
della lingua interessata.
19 L’articolo
490, paragrafi 1 e 2, di tale codice prevede, in sostanza, che un giudice
nazionale possa, d’ufficio o su richiesta delle parti, sospendere il
procedimento e presentare alla Corte di giustizia dell’Unione europea una
domanda di pronuncia pregiudiziale.
20 L’articolo
491, paragrafo 1, lettera a), di detto codice prevede, in sostanza, che il
procedimento penale nel cui ambito sia stata disposta la sospensione del
procedimento debba essere riaperto qualora siano venuti meno i motivi che ne
hanno determinato la sospensione.
21 L’articolo
513, paragrafo 1, lettera a), del medesimo codice dispone che la decisione di
rinvio non è soggetta a impugnazione ordinaria.
22 Ai sensi
dell’articolo 667, paragrafo 1, del codice di procedura penale, il legfőbb ügyész (procuratore
generale, Ungheria) può
presentare alla Kúria (Corte suprema, Ungheria) un’«impugnazione
nell’interesse della legge» per far dichiarare l’illegittimità di sentenze e di
ordinanze pronunciate dai giudici di grado inferiore.
23 L’articolo 669
di tale codice stabilisce quanto segue:
«1. La Kúria
[(Corte suprema)], qualora ritenga fondata l’impugnazione proposta
nell’interesse della legge, dichiara con sentenza che la decisione oggetto di
tale impugnazione è illegittima e, in caso contrario, respinge detto ricorso
tramite ordinanza.
2. Qualora dichiari
l’illegittimità della decisione di cui trattasi, la Kúria
[(Corte suprema)] può assolvere l’imputato, escludere un trattamento sanitario
forzato, porre termine al procedimento, infliggere una pena più lieve o
applicare una misura più leggera, annullare la decisione impugnata e,
all’occorrenza, rinviare la causa dinanzi al giudice di merito per un nuovo
procedimento.
3. Al di fuori dei casi di
cui al paragrafo 2, la decisione della Kúria [(Corte
suprema)] si limita alla sola dichiarazione di illegittimità.
(...)».
24 A termini
dell’articolo 755, paragrafo 1, lettere a) e aa), di detto codice, nel caso in
cui l’imputato, residente all’estero a un indirizzo conosciuto, sia debitamente
convocato e non si presenti all’udienza, il procedimento penale si celebra in
sua assenza se non occorre spiccare un mandato d’arresto europeo o
internazionale o se tale mandato non viene emesso poiché il pubblico ministero
non propone di infliggere una pena detentiva o l’inserimento in una struttura
rieducativa.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
25 Il giudice del
rinvio, che si pronuncia in qualità di giudice unico del Pesti Központi Kerületi Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest, Ungheria),
è investito di un procedimento penale contro IS, cittadino svedese di origine
turca, per una presunta violazione delle disposizioni di diritto ungherese che
disciplinano l’acquisto, la detenzione, la fabbricazione, la
commercializzazione, l’importazione, l’esportazione o il trasporto di armi da
fuoco o di munizioni. La lingua del procedimento giudiziario è l’ungherese, che
l’imputato non conosce. Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che
tale imputato può comunicare solo attraverso i servizi di un interprete.
26 IS è stato
arrestato in Ungheria il
25 agosto 2015 e interrogato in pari data in qualità di «indagato». Prima di
tale audizione, IS ha chiesto di essere assistito da un avvocato e da un
interprete e, nel corso di quest’ultima, alla quale non ha potuto presenziare
l’avvocato, è stato informato dei sospetti a suo carico. Non potendo consultare
il proprio avvocato, IS si è rifiutato di deporre.
27 Durante detta
audizione, il funzionario preposto all’indagine è ricorso ad un interprete di
lingua svedese. Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, non vi è alcuna
informazione sulle modalità di selezione dell’interprete e di verifica delle
sue competenze, né sul fatto che l’interprete e IS si comprendessero.
28 IS è stato
rilasciato dopo la stessa audizione. Egli risiederebbe al di fuori dell’Ungheria e la corrispondenza
inviata all’indirizzo precedentemente comunicato è tornata indietro con la
menzione «non ritirata». Il giudice del rinvio precisa che, nella fase del
procedimento giudiziario, la presenza dell’imputato è cionondimeno obbligatoria
nell’udienza preliminare e che l’emissione di un mandato d’arresto nazionale o
europeo è possibile solo nei casi in cui possa essere inflitta all’imputato una
pena detentiva. Esso rileva che, tuttavia, nel procedimento in esame, il
pubblico ministero ha richiesto l’imposizione di un’ammenda e che, di
conseguenza, se l’imputato non compare alla data indicata, il giudice del
rinvio è tenuto a continuare il procedimento in contumacia.
29 In tali
circostanze, il giudice del rinvio osserva, in primo luogo, che l’articolo 5,
paragrafo 1, della direttiva 2010/64 dispone che gli Stati membri devono
adottare misure atte a garantire che l’interpretazione e la traduzione fornite
rispettino la qualità richiesta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 8, e
dell’articolo 3, paragrafo 9, di tale direttiva, il che significherebbe che la
qualità dell’interpretazione dev’essere sufficiente a garantire l’equità del
procedimento, in particolare assicurando che le persone indagate o imputate
siano messe a conoscenza dei fatti loro addebitati e poste in grado di
esercitare i loro diritti della difesa. Esso rileva altresì che l’articolo 5,
paragrafo 2, di detta direttiva prevede che, al fine di assicurare un servizio
di interpretazione e di traduzione adeguato e un accesso efficiente a tale
servizio, gli Stati membri debbano impegnarsi a istituire un registro o dei
registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati.
30 Inoltre, il
giudice del rinvio afferma che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 5, e
dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13, gli indagati o gli
imputati devono essere immediatamente informati per iscritto sui loro diritti
in una lingua a loro comprensibile nonché sul reato che sono sospettati o
accusati di aver commesso.
31 In tale
contesto, esso rileva che non esiste in Ungheria alcun
registro ufficiale di traduttori e di interpreti e che la normativa ungherese
non specifica chi possa essere incaricato nel procedimento penale come
traduttore o interprete ad hoc, né in base a quali criteri, essendo
disciplinata soltanto la traduzione giurata di documenti. In mancanza di tale
normativa, né l’avvocato né il giudice sarebbero in grado di verificare la
qualità dell’interpretazione. L’indagato o l’imputato che non conosca la lingua
ungherese sarebbe informato, con l’aiuto di un interprete, dei sospetti a suo
carico e dei suoi diritti processuali durante la sua prima audizione in tale qualità,
ma se l’interprete non dispone della competenza adeguata, il diritto
dell’interessato di essere informato dei suoi diritti e dei suoi diritti della
difesa potrebbe, secondo il giudice del rinvio, essere pregiudicato.
32 Pertanto, a
parere del giudice del rinvio, si pone la questione se la normativa e la prassi
ungheresi siano compatibili con le direttive 2012/13 e 2010/64 e se dalla
normativa dell’Unione risulti che, in caso di incompatibilità, il giudice
nazionale non possa proseguire il procedimento penale in contumacia.
33 In secondo
luogo, il giudice del rinvio afferma che, dall’entrata in vigore, il
1° gennaio 2012, di una riforma giudiziaria, l’amministrazione e la
gestione centrale del sistema giudiziario spettano al presidente dell’Országos Bírósági Hivatal (Ufficio giudiziario nazionale, Ungheria; in prosieguo: il «presidente
dell’OBH»), nominato dal Parlamento ungherese per un periodo di nove anni, e
che tale presidente dispone di vaste competenze, comprese quelle relative alle
decisioni sull’assegnazione dei giudici, alla nomina dei vertici degli organi
giurisdizionali e all’avvio di procedimenti disciplinari nei confronti dei
giudici.
34 Esso precisa
inoltre che l’Országos Bírói
Tanács (Consiglio nazionale della magistratura; in
prosieguo: il «CNM») – i cui membri sono eletti dai giudici – è
competente a supervisionare l’operato del presidente dell’OBH e ad approvarne
le decisioni in determinati casi. Orbene, il 2 maggio 2018 il CNM avrebbe
adottato una relazione in cui si constatava che il presidente dell’OBH aveva
violato la legge con la sua prassi di dichiarare, senza un’adeguata
motivazione, che la procedura di nomina di giudici e di presidenti di organi
giurisdizionali a posti vacanti non si era conclusa con esito positivo, ragion
per cui esso procedeva, in numerosi casi, a nominare in via temporanea
presidenti di organi giurisdizionali di sua scelta. Il 24 aprile 2018 il
presidente dell’OBH avrebbe dichiarato che il funzionamento del CNM non era
conforme alla legge e, da allora, si sarebbe rifiutato di cooperare con tale
organo e con i suoi membri. Il CNM avrebbe già più volte comunicato che il
presidente dell’OBH e i presidenti di organi giurisdizionali nominati da
quest’ultimo violano le competenze di tale organo.
35 Il giudice del
rinvio afferma inoltre che il presidente della Fővárosi
Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), giudice d’appello del
giudice del rinvio, è stato quindi nominato in via temporanea dal presidente
dell’OBH. Per sottolineare la rilevanza di tale informazione, il giudice del
rinvio precisa l’influenza che il presidente dell’OBH può esercitare sul lavoro
e sull’avanzamento di carriera dei giudici, anche per quanto concerne
l’attribuzione delle cause, il potere disciplinare e l’ambiente di lavoro.
36 In tale
contesto, il giudice del rinvio, facendo riferimento, da un lato, a un certo
numero di pareri e di relazioni internazionali che hanno constatato la
concentrazione eccessiva di poteri nelle mani del presidente dell’OBH e
l’assenza di contrappeso a quest’ultima, nonché, dall’altro, alla
giurisprudenza della Corte e della Corte europea dei diritti dell’uomo, si
chiede se una situazione del genere sia compatibile con il principio
dell’indipendenza dei giudici sancito dall’articolo 19 TUE e dall’articolo
47 della Carta. Detto giudice si chiede altresì se, in un simile contesto, il
procedimento dinanzi ad esso pendente possa considerarsi equo.
37 In terzo
luogo, il giudice del rinvio menziona il fatto che, con una modifica legislativa
entrata in vigore il 1° settembre 2018, alcune retribuzioni supplementari
dei pubblici ministeri sono state aumentate, mentre le norme sulla retribuzione
dei giudici non sono state modificate. Di conseguenza, per la prima volta da
decenni, il trattamento dei giudici sarebbe ora inferiore a quello dei pubblici
ministeri di pari livello, aventi la stessa assegnazione e la medesima
anzianità di lavoro. Il CNM avrebbe denunciato tale situazione al governo
ungherese, il quale avrebbe promesso una riforma salariale entro il
1° gennaio 2020, ma il progetto di legge in tal senso non sarebbe stato
ancora introdotto, cosicché il trattamento dei giudici nella magistratura
giudicante sarebbe rimasto invariato dal 2003. Il giudice del rinvio si chiede,
pertanto, se, tenuto conto dell’inflazione e dell’aumento del salario medio in Ungheria nel corso degli
anni, il mancato adeguamento del trattamento di tali giudici nel corso degli
anni non equivalga a una riduzione del medesimo e se tale conseguenza non
derivi da un’intenzione deliberata del governo ungherese al fine di collocarli
in una situazione svantaggiosa rispetto ai pubblici ministeri. Inoltre, la
prassi del presidente dell’OBH e dei presidenti di organi giurisdizionali di
concedere discrezionalmente ad alcuni di questi premi e ricompense, talvolta
molto elevati rispetto al trattamento di base dei giudici, violerebbe in modo
generale e sistematico il principio dell’indipendenza dei giudici.
38 In tali
circostanze, il Pesti Központi Kerületi
Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest, Ungheria)
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti
questioni pregiudiziali:
«1) a) Se
l’articolo 6, paragrafo 1, TUE e l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva
2010/64/CE debbano essere interpretati nel senso che, al fine di garantire il
diritto a un equo processo degli imputati che non conoscono la lingua
processuale, lo Stato membro interessato deve istituire un registro di
traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati o – in
assenza di ciò – garantire in altro modo che possa essere esercitato un
controllo sull’adeguatezza dell’interpretazione linguistica nel procedimento
giurisdizionale.
b) In
caso di risposta affermativa alla precedente questione e qualora, nel caso di
specie, in mancanza di un’interpretazione linguistica adeguata, non sia
possibile accertare se l’imputato sia stato informato dell’oggetto
dell’imputazione o dell’accusa formulata a suo carico, se l’articolo 6,
paragrafo 1, TUE e gli articoli 4, paragrafo 5, e 6, paragrafo 1, della
direttiva 2012/13/UE debbano essere interpretati nel senso che in tali
circostanze non è possibile procedere in contumacia.
2) a) Se
sia in contrasto con il principio di indipendenza dei giudici sancito
dall’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, dall’articolo 47 della
[Carta] e dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea una
prassi secondo la quale il [presidente dell’OBH], responsabile
dell’amministrazione centrale dei tribunali e nominato dal Parlamento, che è
l’unico organo a cui deve rendere conto e che ha il potere di destituirlo,
conferisce l’incarico di presidente di un tribunale – presidente che, tra
l’altro, ha il potere di disporre l’attribuzione delle cause, di avviare
procedimenti disciplinari nei confronti dei giudici e di valutarne
l’operato – mediante nomina diretta temporanea, eludendo la procedura di
concorso e ignorando permanentemente il parere dei competenti organi di
autogoverno dei giudici.
b) In
caso di risposta affermativa alla questione precedente, e qualora il giudice
adito nella fattispecie abbia fondati motivi di temere di essere pregiudicato
indebitamente a causa della sua attività giudiziaria e amministrativa, se il
principio summenzionato debba essere interpretato nel senso che nella causa in
oggetto non è garantito un equo processo.
3) a) Se
sia in contrasto con il principio di indipendenza dei giudici sancito dall’articolo
19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, dall’articolo 47 della [Carta] e dalla
giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea una situazione come
quella dei giudici ungheresi che, dal 1° settembre 2018 –
contrariamente alla prassi seguita nei decenni precedenti –, ricevono per
legge una retribuzione inferiore rispetto a quella dei pubblici ministeri di
categoria corrispondente e aventi il medesimo livello e la medesima anzianità,
e nella quale, tenendo conto della situazione economica del paese, i loro
stipendi non sono generalmente commisurati all’importanza delle funzioni che
svolgono, soprattutto in considerazione della prassi delle gratifiche
discrezionali seguita dalle cariche direttive.
b) In
caso di risposta affermativa alla precedente questione, se il citato principio
di indipendenza dei giudici debba essere interpretato nel senso che, nelle
circostanze summenzionate, non è possibile garantire il diritto a un equo
processo».
39 Con decisione
del 18 novembre 2019 (in prosieguo: la «domanda di pronuncia pregiudiziale
integrativa»), il giudice del rinvio ha chiesto, in particolare, di integrare
la sua domanda di pronuncia pregiudiziale iniziale.
40 Dalla domanda
di pronuncia pregiudiziale integrativa risulta che il 19 luglio 2019 il
procuratore generale, sulla base dell’articolo 667 del codice di procedura
penale, ha proposto un’impugnazione nell’interesse della legge dinanzi alla Kúria (Corte suprema), diretta contro la domanda di
pronuncia pregiudiziale iniziale. Ne consegue anche che, con decisione del 10
settembre 2019, la Kúria (Corte suprema) ha
dichiarato l’illegittimità di tale domanda di pronuncia pregiudiziale, per il
motivo, in sostanza, che le questioni poste non erano pertinenti ai fini della
soluzione della controversia principale (in prosieguo: la «decisione della Kúria»).
41 Il giudice del
rinvio afferma che dalla decisione della Kúria emerge
che il sistema del rinvio pregiudiziale istituito all’articolo 267 TFUE ha
lo scopo di invitare la Corte a pronunciarsi su questioni relative non
all’ordine costituzionale di uno Stato membro, ma al diritto dell’Unione, al
fine di garantirne un’interpretazione coerente all’interno dell’Unione europea.
Secondo detta decisione, la sospensione del procedimento penale sarebbe inoltre
consentita solo per emettere una decisione finale sulla colpevolezza
dell’imputato. Orbene, la Kúria (Corte suprema)
riterrebbe che le questioni pregiudiziali, quali formulate dal giudice del
rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale iniziale, non siano
pertinenti ai fini della valutazione della colpevolezza di IS, cosicché tale
domanda sarebbe illegittima. Nella decisione della Kúria
si farebbe altresì riferimento alle sue decisioni di principio precedenti, in
base alle quali non occorrerebbe presentare una domanda di pronuncia
pregiudiziale per far constatare che il diritto ungherese applicabile non è
conforme ai principi fondamentali tutelati dal diritto dell’Unione.
42 Secondo il
giudice del rinvio, sebbene la decisione della Kúria
si limiti a dichiarare l’illegittimità della domanda di pronuncia pregiudiziale
iniziale, senza annullare la decisione di rinvio stessa, detta decisione,
emessa nell’ambito di un’impugnazione nell’interesse della legge, avrà un
impatto fondamentale sulla giurisprudenza successiva degli organi
giurisdizionali di grado inferiore, dato che siffatte impugnazioni hanno
l’obiettivo di armonizzare la giurisprudenza nazionale. Di conseguenza, la
decisione della Kúria rischierebbe di avere, in
futuro, un effetto dissuasivo sui giudici che compongono gli organi
giurisdizionali di grado inferiore, i quali potrebbero considerare la
possibilità di presentare alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale ai
sensi dell’articolo 267 TFUE.
43 Inoltre, il giudice
del rinvio si interroga sul seguito da dare al procedimento penale dinanzi ad
esso pendente, attualmente sospeso, e considera che esso dipenda
dall’illegittimità o meno della decisione della Kúria.
44 Infatti, se
risulta che la Kúria (Corte suprema) ha correttamente
esaminato la domanda di pronuncia pregiudiziale e l’ha dichiarata illegittima,
il giudice del rinvio dovrebbe in tal caso valutare l’opportunità di proseguire
il trattamento del procedimento principale, poiché, in forza dell’articolo 491,
paragrafo 1, lettera a), del codice di procedura penale, se il motivo della
sospensione del procedimento viene meno, il giudice riprende il trattamento
della causa. È vero che, secondo il giudice del rinvio, nessuna disposizione di
diritto ungherese prevede cosa fare in caso di sospensione illegittima del
trattamento della causa. Tuttavia, in base ad un ragionamento per analogia,
detta disposizione del codice di procedura penale potrebbe essere interpretata
nel senso che il giudice dovrebbe essere tenuto in tal caso a riprendere il
trattamento della causa.
45 Se invece
risulta che la Kúria (Corte suprema) ha erroneamente
dichiarato illegittima tale domanda, il giudice di grado inferiore dovrebbe in
tal caso disattendere, in quanto contraria al diritto dell’Unione, la decisione
di tale giudice supremo, nonostante la sua competenza costituzionale a
garantire l’uniformità del diritto nazionale.
46 Inoltre, la
decisione della Kúria si baserebbe su una
giurisprudenza nazionale secondo cui la conformità del diritto ungherese al
diritto dell’Unione non può essere oggetto di un procedimento di rinvio
pregiudiziale. Una giurisprudenza del genere sarebbe contraria al principio del
primato del diritto dell’Unione e alla giurisprudenza della Corte.
47 Il giudice del
rinvio aggiunge che, in data 25 ottobre 2019, il presidente della Fővárosi Törvényszék (Corte
di Budapest-Capitale) ha avviato un procedimento disciplinare nei suoi
confronti per gli stessi motivi su cui si è basata la decisione della Kúria.
48 A seguito di
un’informazione comunicata dal governo ungherese, secondo cui tale procedimento
sarebbe stato concluso, la Corte ha interrogato il giudice del rinvio. Nella
sua risposta del 10 dicembre 2019, quest’ultimo ha confermato che, con un documento
datato 22 novembre 2019, il presidente della Fővárosi
Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale) aveva
revocato l’atto di avvio di detto procedimento disciplinare.
49 Tuttavia, il
giudice del rinvio ha anche affermato che non intendeva modificare al riguardo
la domanda di pronuncia pregiudiziale integrativa, dato che la sua
preoccupazione non derivava dal fatto di essere esso stesso oggetto di un
procedimento disciplinare, ma piuttosto dal fatto stesso che tale procedimento
potesse essere avviato in circostanze del genere.
50 Infatti,
secondo il giudice del rinvio, la qualità del proprio lavoro di giudice non è
stata messa in discussione dal suo superiore diretto né dal capo della sezione
penale del Pesti Központi Kerületi
Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest), cosicché detto procedimento disciplinare trova il
suo unico fondamento nel contenuto della decisione di rinvio iniziale.
51 È in tali
circostanze che il Pesti Központi Kerületi
Bíróság (Tribunale centrale distrettuale di Pest) ha deciso di sottoporre alla Corte le due seguenti
questioni pregiudiziali supplementari:
«4) a) Se
l’articolo 267 [TFUE] debba essere interpretato nel senso che è in contrasto
con tale disposizione una decisione giurisprudenziale nazionale ai sensi della
quale la Corte suprema dello Stato membro interessato, nell’ambito di un
procedimento volto a uniformare la giurisprudenza nazionale, qualifica come
illegale l’ordinanza dell’organo giurisdizionale di grado inferiore con cui è
stato avviato il procedimento di rinvio pregiudiziale, senza pregiudicare gli
effetti giuridici dell’ordinanza di cui trattasi.
b) In
caso di risposta affermativa alla [quarta questione, lettera a)], se l’articolo
267 [TFUE] debba essere interpretato nel senso che il giudice del rinvio deve
disattendere le decisioni in senso contrario dell’organo giurisdizionale di
grado superiore e le posizioni di principio adottate nell’interesse
dell’uniformità del diritto.
c) In
caso di risposta negativa alla [quarta questione, lettera a)], se il
procedimento penale sospeso possa, in tal caso, proseguire in pendenza del
procedimento di rinvio pregiudiziale.
5) Se
il principio di indipendenza del giudice sancito dall’articolo 19, paragrafo 1,
secondo comma, TUE e dall’articolo 47 della Carta nonché dalla giurisprudenza
della Corte debba essere interpretato nel senso che, alla luce dell’articolo
267 TFUE, tale principio è violato quando viene promosso un procedimento
disciplinare nei confronti di un giudice per il fatto che quest’ultimo ha
avviato un procedimento di rinvio pregiudiziale».
Sulla richiesta di procedimento accelerato
52 Con la sua
domanda di pronuncia pregiudiziale integrativa, il giudice del rinvio ha anche
chiesto che la presente causa fosse sottoposta a un procedimento accelerato ai
sensi dell’articolo 105 del regolamento di procedura della Corte. A sostegno di
tale domanda, esso fa valere che l’avvio di tale procedimento si giustifica, in
particolare, alla luce del fatto che la decisione della Kúria
e il procedimento disciplinare promosso nei suoi confronti sono idonei a
produrre un effetto dissuasivo estremamente negativo, che potrebbe incidere su
qualsiasi decisione di avviare o meno in Ungheria,
in futuro, un procedimento di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo
267 TFUE.
53 L’articolo
105, paragrafo 1, del regolamento di procedura prevede che, su domanda del
giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della
causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il
giudice relatore e l’avvocato generale, possa decidere di sottoporre un rinvio
pregiudiziale a procedimento accelerato.
54 Va ricordato,
in proposito, che un siffatto procedimento accelerato costituisce uno strumento
procedurale destinato a rispondere ad una situazione di urgenza straordinaria.
Peraltro, dalla giurisprudenza della Corte risulta altresì che il procedimento
accelerato può non essere applicato qualora il carattere sensibile e complesso
dei problemi giuridici sollevati da una causa si presti difficilmente
all’applicazione di un procedimento del genere, in particolare quando non
appare opportuno abbreviare la fase scritta del procedimento dinanzi alla Corte
(sentenza del 18 maggio 2021, Asociaţia «Forumul Judecătorilor din România» e a., C‑83/19,
C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19, C‑355/19 e C‑397/19,
EU:C:2021:393, punto 103 e giurisprudenza ivi citata).
55 Nella
fattispecie, con decisione del 19 dicembre 2019, il presidente della Corte,
sentiti il giudice relatore e l’avvocato generale, ha respinto la richiesta di
sottoporre la presente causa a un procedimento accelerato. Infatti, come
risulta dal punto 48 della presente sentenza, l’atto di avvio del procedimento
disciplinare nei confronti del giudice del rinvio è stato revocato. Inoltre, la
causa penale nel procedimento principale non riguarda un individuo che è
sottoposto a una misura privativa della libertà.
56 In tali
circostanze, sulla base delle informazioni e delle spiegazioni fornite in tal
senso dal giudice del rinvio, non è emerso che la causa in esame, che, come
risulta dal punto 52 della presente sentenza, solleva inoltre questioni che
presentano un alto grado di sensibilità e di complessità, fosse così urgente da
giustificare una deroga, in via eccezionale, alle norme procedurali ordinarie
applicabili in materia di rinvio pregiudiziale.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla quarta questione
57 Con la sua
quarta questione, che occorre esaminare in primo luogo, il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, se l’articolo 267 TFUE debba essere interpretato nel
senso che osta a che un giudice supremo di uno Stato membro constati, a seguito
di un’impugnazione nell’interesse della legge, l’illegittimità di una domanda
di pronuncia pregiudiziale presentata alla Corte da un giudice di grado
inferiore ai sensi di detta disposizione, senza tuttavia pregiudicare gli
effetti giuridici della decisione contenente tale domanda e, in caso
affermativo, se il principio del primato del diritto dell’Unione debba essere
interpretato nel senso che esso impone a tale giudice di grado inferiore di
disattendere tale decisione del giudice supremo.
Sulla ricevibilità
58 Il governo
ungherese sostiene che la quarta questione è irricevibile, poiché i motivi
esposti nella domanda di pronuncia pregiudiziale integrativa relativi alla
necessità di un’interpretazione del diritto dell’Unione sono irrilevanti ai
fini dell’esito del procedimento principale, tenuto conto, in particolare, del
fatto che la decisione della Kúria non ha alcun
effetto giuridico sulla decisione di rinvio. Inoltre, le ipotesi formulate dal
giudice del rinvio in merito all’effetto che tale decisione potrebbe avere in
futuro sui procedimenti di rinvio pregiudiziale si baserebbero su eventi futuri
e ipotetici e, in quanto tali, sarebbero parimenti irrilevanti ai fini
dell’esito del procedimento principale.
59 Va anzitutto
ricordato che il procedimento di rinvio pregiudiziale previsto all’articolo
267 TFUE istituisce una stretta collaborazione, basata sulla ripartizione
dei compiti, tra i giudici nazionali e la Corte e costituisce uno strumento per
mezzo del quale la Corte fornisce ai giudici nazionali gli elementi di
interpretazione del diritto dell’Unione che sono loro necessari per la
soluzione delle controversie che sono chiamati a dirimere (v., in tal senso,
sentenza del 21 giugno 2007, Omni Metal Service, C‑259/05,
EU:C:2007:363, punto 16 e giurisprudenza ivi citata).
60 Secondo una
giurisprudenza costante della Corte, nell’ambito di tale cooperazione, spetta
esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e
che deve assumersi la responsabilità dell’emananda
decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di
ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in
grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che
sottopone alla Corte. Di conseguenza, allorché le questioni sollevate
riguardano l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di
principio, è tenuta a statuire [sentenza del 24 novembre 2020, Openbaar Ministerie (Falso in
atti), C‑510/19, EU:C:2020:953, punto 25 e giurisprudenza ivi citata].
61 Ne consegue
che le questioni vertenti sul diritto dell’Unione godono di una presunzione di
rilevanza. Il diniego della Corte di statuire su una questione pregiudiziale
posta da un giudice nazionale è possibile solo quando appaia in modo manifesto
che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione
con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il
problema sia di natura ipotetica oppure, ancora, qualora la Corte non disponga
degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile
alle questioni che le vengono sottoposte [sentenza del 24 novembre 2020, Openbaar Ministerie (Falso in
atti), C‑510/19, EU:C:2020:953, punto 26 e giurisprudenza ivi citata].
62 Nel caso di
specie, poiché il giudice del rinvio si interroga sul seguito da dare al
procedimento penale principale se la decisione della Kúria
dovesse essere considerata contraria al diritto dell’Unione, occorre constatare
che detta decisione della Kúria, sebbene non annulli
né modifichi la decisione di rinvio e nemmeno imponga al giudice del rinvio di
revocare o di modificare detta domanda, non è priva di conseguenze per
quest’ultimo e per il procedimento penale principale.
63 Infatti,
qualora tale giudice supremo qualifichi come illegittima una domanda di
pronuncia pregiudiziale presentata da un giudice di grado inferiore, una
qualificazione del genere ha necessariamente delle conseguenze per quest’ultimo
giudice, anche in assenza di effetti diretti sulla validità della decisione di
rinvio. Pertanto, nel caso di specie, il giudice del rinvio deve, in
particolare, decidere se mantenere o meno le sue questioni pregiudiziali e,
quindi, al tempo stesso, se mantenere o meno la sua decisione di sospensione
del procedimento che la Kúria (Corte suprema) ha, in
sostanza, considerato illegittima, o se, al contrario, revocare le sue
questioni alla luce di tale decisione e proseguire il procedimento penale
principale.
64 Inoltre, come
risulta dalla decisione di rinvio, la decisione della Kúria
è stata pubblicata in una raccolta ufficiale riservata alle decisioni di
principio, al fine di garantire l’uniformità del diritto nazionale.
65 Per di più, in
siffatte circostanze, il giudice del rinvio deve anche valutare se, mantenendo
la propria domanda di pronuncia pregiudiziale iniziale, non corra il rischio di
vedere impugnata la sua decisione nel merito del procedimento principale per il
motivo che, nel corso del procedimento, tale giudice ha emesso un’ordinanza che
introduce una domanda di pronuncia pregiudiziale dichiarata illegittima dalla Kúria (Corte suprema).
66 Alla luce
delle considerazioni che precedono, si deve constatare che la quarta questione
non può essere considerata irrilevante ai fini dell’esito del procedimento
principale ed è quindi ricevibile.
Nel merito
67 Per quanto
concerne, in primo luogo, la questione se l’articolo 267 TFUE debba essere
interpretato nel senso che osta a che la Corte suprema di uno Stato membro
dichiari, a seguito di un’impugnazione nell’interesse della legge,
l’illegittimità di una domanda di pronuncia pregiudiziale presentata alla Corte
da un giudice di grado inferiore ai sensi di tale disposizione, senza tuttavia
pregiudicare gli effetti giuridici della decisione contenente tale domanda,
occorre ricordare che la chiave di volta del sistema giurisdizionale istituito
dai Trattati è costituita dal procedimento di rinvio pregiudiziale previsto
all’articolo 267 TFUE, il quale, instaurando un dialogo da giudice a
giudice tra la Corte e gli organi giurisdizionali degli Stati membri, mira ad
assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione, permettendo così
di garantire la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto
nonché, in ultima istanza, il carattere peculiare dell’ordinamento istituito
dai Trattati [v., in tal senso, sentenza del 2 marzo 2021, A.B. e a.
(Nomina dei giudici alla Corte suprema – Ricorso), C‑824/18,
EU:C:2021:153, punto 90 e giurisprudenza ivi citata].
68 La Corte ha
ripetutamente dichiarato, in proposito, che i giudici nazionali hanno la più
ampia facoltà di sottoporre alla Corte una questione di interpretazione delle
disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione, laddove tale facoltà si
trasforma in obbligo per i giudici che decidono in ultima istanza, fatte salve
le eccezioni riconosciute dalla giurisprudenza della Corte (sentenza del 5
aprile 2016, PFE, C‑689/13, EU:C:2016:199, punto 32 e giurisprudenza ivi
citata).
69 Tanto detta
facoltà quanto detto obbligo sono, infatti, inerenti al sistema di cooperazione
tra gli organi giurisdizionali nazionali e la Corte, instaurato dall’articolo
267 TFUE, e alle funzioni di giudice incaricato dell’applicazione del
diritto dell’Unione affidate dalla citata disposizione agli organi
giurisdizionali nazionali (sentenza del 5 aprile 2016, PFE, C‑689/13,
EU:C:2016:199, punto 33).
70 Di
conseguenza, qualora un organo giurisdizionale nazionale investito di una
controversia ritenga che, nell’ambito della medesima, sia sollevata una
questione vertente sull’interpretazione o sulla validità del diritto
dell’Unione, ha la facoltà o l’obbligo, a seconda del caso, di adire la Corte
in via pregiudiziale, senza che detta facoltà o detto obbligo possano essere
ostacolati da norme nazionali di natura legislativa o giurisprudenziale
(sentenza del 5 aprile 2016, PFE, C‑689/13, EU:C:2016:199, punto 34).
71 Nel caso di
specie, sebbene la decisione della Kúria si limiti
alla sola dichiarazione di illegittimità della domanda di pronuncia
pregiudiziale iniziale e non annulli la decisione contenente tale domanda né
imponga al giudice del rinvio di revocare detta domanda e di proseguire il
procedimento principale, la Kúria (Corte suprema),
effettuando un controllo di legittimità della stessa domanda alla luce
dell’articolo 490 del codice di procedura penale, ha proceduto, come altresì
rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, a un
controllo della domanda di pronuncia pregiudiziale iniziale, che è simile a
quello esercitato dalla Corte per determinare se una domanda di pronuncia pregiudiziale
sia ricevibile.
72 Sebbene
l’articolo 267 TFUE non osti a che una decisione di rinvio sia oggetto di
un ricorso giurisdizionale di diritto interno, una decisione di un organo
giurisdizionale supremo, con la quale una domanda di pronuncia pregiudiziale è
dichiarata illegittima per il motivo che le questioni poste non sono rilevanti
e necessarie ai fini della soluzione della controversia principale, è
incompatibile con detto articolo, poiché la valutazione di tali elementi
rientra nella competenza esclusiva della Corte a statuire sulla ricevibilità
delle questioni pregiudiziali, come risulta dalla giurisprudenza di
quest’ultima richiamata ai punti 60 e 61 della presente sentenza (v., in tal
senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Cartesio, C‑210/06, EU:C:2008:723,
punti da 93 a 96).
73 Inoltre, come
anche rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 48 delle sue conclusioni,
l’efficacia del diritto dell’Unione rischierebbe di essere compromessa se
l’esito di un ricorso dinanzi al più alto organo giurisdizionale nazionale
potesse avere l’effetto di dissuadere il giudice nazionale, investito di una
controversia disciplinata dal diritto dell’Unione, dall’esercitare la facoltà,
attribuitagli dall’articolo 267 TFUE, di sottoporre alla Corte le questioni
vertenti sull’interpretazione o sulla validità del diritto dell’Unione, al fine
di consentirgli di giudicare se una norma nazionale sia o meno compatibile con
quest’ultimo (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 2010, Melki e Abdeli, C‑188/10 e
C‑189/10, EU:C:2010:363, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
74 Infatti,
sebbene la Kúria (Corte Suprema) non abbia imposto al
giudice del rinvio di revocare la domanda di pronuncia pregiudiziale iniziale,
resta il fatto che, con la sua decisione, detto giudice supremo ha considerato
tale domanda illegittima. Orbene, una siffatta constatazione di illegittimità è
idonea a compromettere sia l’autorità delle risposte che la Corte fornirà al
giudice del rinvio sia la decisione che quest’ultimo emetterà alla luce di tali
risposte.
75 Inoltre, detta
decisione della Kúria (Corte Suprema) può indurre gli
organi giurisdizionali ungheresi ad astenersi dal sollevare questioni
pregiudiziali alla Corte, e ciò al fine di evitare che le loro domande di
pronuncia pregiudiziale siano contestate da una delle parti sulla base di detta
decisione o siano oggetto di un’impugnazione nell’interesse della legge.
76 Va rammentato,
in proposito, che, per quanto concerne il meccanismo del rinvio pregiudiziale,
«la vigilanza dei singoli interessati alla salvaguardia dei loro diritti
costituisce un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli articoli
[258 TFUE e 259 TFUE] affidano alla diligenza della Commissione
europea e degli Stati membri» (sentenza del 5 febbraio 1963, van Gend & Loos, 26/62,
EU:C:1963:1, pag. 25). Limitazioni all’esercizio da parte dei giudici
nazionali della competenza loro conferita dall’articolo 267 TFUE avrebbero
l’effetto di restringere la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti che i
singoli traggono dal diritto dell’Unione.
77 Pertanto, la
decisione della Kúria lede le prerogative
riconosciute ai giudici nazionali dall’articolo 267 TFUE e, di
conseguenza, l’efficace cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali posta
in essere dal meccanismo del rinvio pregiudiziale (v., per analogia, sentenza
del 5 luglio 2016, Ognyanov, C‑614/14,
EU:C:2016:514, punto 25).
78 Per quanto
concerne, in secondo luogo, la questione se il principio del primato del
diritto dell’Unione imponga al giudice nazionale che abbia presentato alla
Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale dichiarata illegittima dal giudice
supremo dello Stato membro interessato, senza tuttavia pregiudicare gli effetti
giuridici della sua decisione di rinvio pregiudiziale, di non tener conto di
una siffatta decisione dell’organo giurisdizionale supremo, va ricordato, sotto
un primo profilo, che, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte,
il principio del primato del diritto dell’Unione sancisce la preminenza del diritto
dell’Unione sul diritto degli Stati membri. Tale principio impone pertanto a
tutti gli organi degli Stati membri di dare piena efficacia alle diverse norme
dell’Unione, dato che il diritto degli Stati membri non può pregiudicare
l’effetto riconosciuto a tali diverse norme sul territorio di detti Stati
(sentenza del 18 maggio 2021, Asociaţia «Forumul Judecătorilor din România» e a., C‑83/19,
C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19, C‑355/19 e C‑397/19,
EU:C:2021:393, punto 244 e giurisprudenza ivi citata).
79 In tal senso,
la Corte ha ripetutamente dichiarato che, in forza del principio del primato
del diritto dell’Unione, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di
diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può pregiudicare
l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione. Infatti, conformemente a
giurisprudenza consolidata, gli effetti derivanti dal principio del primato del
diritto dell’Unione si impongono a tutti gli organi di uno Stato membro, senza
che, in particolare, le disposizioni interne relative alla ripartizione delle
competenze giurisdizionali, ivi comprese quelle di rango costituzionale,
possano opporvisi (sentenza del 18 maggio 2021, Asociaţia
«Forumul Judecătorilor
din România» e a., C‑83/19,
C‑127/19, C‑195/19, C‑291/19, C‑355/19 e C‑397/19,
EU:C:2021:393, punto 245 e giurisprudenza ivi citata).
80 Sotto un
secondo profilo, come risulta da giurisprudenza costante, una disposizione di
diritto nazionale che impedisce l’attuazione della procedura di cui
all’articolo 267 TFUE deve essere disapplicata senza che il giudice
interessato debba chiederne o attenderne la previa rimozione in via legislativa
o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale [sentenza del 2 marzo
2021, A.B. e a. (Nomina dei giudici alla Corte suprema – Ricorso), C‑824/18,
EU:C:2021:153, punto 141 e giurisprudenza ivi citata].
81 Ne consegue
che il principio del primato del diritto dell’Unione impone a un giudice di
grado inferiore di annullare una decisione del giudice supremo dello Stato
membro interessato se ritiene che quest’ultima violi le prerogative
riconosciutegli dall’articolo 267 TFUE e, di conseguenza, l’efficacia
della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali istituita dal meccanismo
del rinvio pregiudiziale. Occorre precisare che, in considerazione della
portata di tali prerogative, nessun motivo a sostegno del mantenimento di tale
decisione può derivare dalla circostanza eventuale che, nella sua decisione
sulla domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte constati l’irricevibilità,
in tutto o in parte, delle questioni pregiudiziali sottopostele da detto
giudice di grado inferiore.
82 Alla luce
delle considerazioni che precedono, si deve rispondere alla quarta questione
dichiarando, da un lato, che l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato
nel senso che esso osta a che il giudice supremo di uno Stato membro constati,
a seguito di un’impugnazione nell’interesse della legge, l’illegittimità di una
domanda di pronuncia pregiudiziale presentata alla Corte da un giudice di grado
inferiore ai sensi di tale disposizione, per il motivo che le questioni poste
non sono rilevanti e necessarie ai fini della soluzione del procedimento
principale, senza tuttavia pregiudicare gli effetti giuridici della decisione
contenente tale domanda, e, dall’altro lato, che il principio del primato del
diritto dell’Unione impone a detto giudice di grado inferiore di annullare
siffatta decisione del giudice supremo nazionale.
Sulla quinta questione
83 Con la sua
quinta questione, che occorre esaminare in secondo luogo, il giudice del rinvio
chiede, in sostanza, se l’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE,
l’articolo 47 della Carta e l’articolo 267 TFUE debbano essere
interpretati nel senso che ostano a che un procedimento disciplinare sia
avviato contro un giudice nazionale per il motivo che quest’ultimo ha
sottoposto alla Corte una domanda di pronuncia pregiudiziale ai sensi di detto
articolo 267.
Sulla ricevibilità
84 Il governo
ungherese e la Commissione eccepiscono l’irricevibilità della quinta questione.
Tale governo fa valere, in sostanza, che il procedimento disciplinare avviato
contro il giudice del rinvio, ma che è stato successivamente revocato e chiuso,
è irrilevante, in quanto i suoi effetti sulla funzione giudicante del giudice
del rinvio non possono essere determinati. Quanto alla Commissione, essa
afferma, in sostanza, che detta questione è irrilevante ai fini della soluzione
del procedimento principale e che, in ogni caso, il giudice del rinvio non ha
fornito alcuna informazione in merito all’incidenza dell’avvio del procedimento
disciplinare sulla prosecuzione del procedimento penale di cui è investito.
85 Al riguardo, e
alla luce della giurisprudenza già richiamata ai punti 60 e 61 della presente
sentenza, è importante sottolineare che, nella sua risposta del 10 dicembre
2019 alla richiesta di informazioni inviatagli dalla Corte, il giudice del
rinvio ha precisato che, nonostante la revoca del procedimento disciplinare
avviato nei suoi confronti, la sua questione rimaneva pertinente, poiché i suoi
interrogativi risultavano dal fatto stesso che un procedimento disciplinare
potesse essere avviato in circostanze del genere ed erano quindi indipendenti
dalla prosecuzione di tale procedimento.
86 Inoltre, va constatato
che la quarta e la quinta questione pregiudiziale sono strettamente collegate.
Infatti, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale integrativa emerge che è a
causa della decisione della Kúria che ha dichiarato
illegittima la domanda di pronuncia pregiudiziale iniziale che il presidente
della Fővárosi Törvényszék
(Corte di Budapest-Capitale) ha adottato l’atto di avvio di un procedimento
disciplinare contro il giudice del rinvio. Pertanto, con la sua quinta
questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se esso potrà astenersi
dal conformarsi alla decisione della Kúria quando si
pronuncerà nel merito del procedimento principale, senza dover temere, così
facendo, che il procedimento disciplinare cui è stato sottoposto, basato sulla
decisione della Kúria, venga riattivato.
87 Di
conseguenza, come nell’ambito della quarta questione, il giudice del rinvio si
trova di fronte ad un ostacolo procedurale, derivante da un’applicazione nei
suoi confronti di una normativa nazionale, che deve eliminare prima di poter
dirimere la controversia principale senza interferenze esterne e quindi,
conformemente all’articolo 47 della Carta, in piena indipendenza [v., in tal
senso, sentenza del 16 luglio 2020, Governo della Repubblica italiana (Statuto
dei giudici di pace italiani), C‑658/18, EU:C:2020:572, punto 46 e
giurisprudenza ivi citata]. Infatti, esso si interroga sulle condizioni di
prosecuzione del procedimento principale a seguito della decisione della Kúria che ha dichiarato illegittima la domanda di pronuncia
pregiudiziale iniziale e che è servita anche come motivo per avviare un
procedimento disciplinare nei suoi confronti. In questo, la causa in esame si
distingue da quelle che hanno dato luogo alla sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny (C‑558/18
e C‑563/18, EU:C:2020:234), nelle quali i giudici del rinvio interessati
non avrebbero necessitato delle risposte alle questioni di interpretazione del
diritto dell’Unione sottoposte alla Corte per risolvere questioni procedurali
di diritto nazionale prima di poter statuire nel merito delle controversie di
cui erano investiti.
88 Ne consegue
che la quinta questione è ricevibile.
Nel merito
89 Va osservato,
in via preliminare, che la quinta questione riguarda l’interpretazione
dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE, dell’articolo 47 della Carta
e dell’articolo 267 TFUE. Tuttavia, dalla motivazione della decisione di
rinvio emerge che, come già rilevato, in sostanza, ai punti 86 e 87 della
presente sentenza, tale questione si pone in relazione a una difficoltà
procedurale, che deve essere risolta prima di poter statuire nel merito della
controversia principale e che mette in discussione le competenze del giudice
del rinvio nell’ambito del procedimento di cui all’articolo 267 TFUE.
Pertanto, si deve esaminare la quinta questione solo alla luce dell’articolo
267 TFUE.
90 In proposito,
e alla luce della giurisprudenza della Corte richiamata ai punti da 68 a 70 e
72 della presente sentenza, occorre sottolineare che quest’ultima ha già
dichiarato che non possono essere ammesse disposizioni nazionali dalle quali
derivi per i giudici nazionali il rischio di esporsi a procedimenti disciplinari
per il fatto di aver adito la Corte mediante un rinvio pregiudiziale. Infatti,
la mera prospettiva di essere esposti a procedimenti del genere per il fatto di
aver presentato una domanda di pronuncia pregiudiziale o di aver deciso di
mantenerla in seguito è tale da pregiudicare l’esercizio effettivo, da parte
dei giudici nazionali interessati, della facoltà di adire la Corte e delle
funzioni di giudice incaricato dell’applicazione del diritto dell’Unione [v.,
in tal senso, sentenze del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234,
punto 58 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 15 luglio 2021,
Commissione/Polonia (Regime disciplinare dei giudici), C‑791/19,
EU:C:2021:596, punto 227].
91 Il fatto, per tali
giudici, di non essere esposti a procedimenti o a sanzioni disciplinari per
aver esercitato una tale facoltà di adire la Corte in via pregiudiziale, la
quale rientra nella loro esclusiva competenza, costituisce del resto una
garanzia inerente alla loro indipendenza, indipendenza che è, in particolare,
essenziale per il buon funzionamento del sistema di cooperazione giudiziaria
costituito dal meccanismo del rinvio pregiudiziale di cui all’articolo
267 TFUE (sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234,
punto 59 e giurisprudenza ivi citata).
92 Inoltre, va
rilevato che un procedimento disciplinare avviato per il fatto che un giudice
nazionale ha deciso di adire la Corte in via pregiudiziale è idoneo a
dissuadere tutti i giudici nazionali dal presentare tali domande, il che
potrebbe compromettere l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione.
93 Alla luce di
quanto precede, si deve rispondere alla quinta questione dichiarando che
l’articolo 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che
un procedimento disciplinare sia avviato contro un giudice nazionale per il
fatto che quest’ultimo ha presentato alla Corte una domanda di pronuncia
pregiudiziale ai sensi di tale disposizione.
Sulla prima questione
Sulla ricevibilità
94 Secondo il
governo ungherese, il procedimento principale, come constatato dalla Kúria (Corte suprema), è un procedimento la cui valutazione
è semplice in fatto e in diritto e che, fondamentalmente, non richiede
un’interpretazione del diritto dell’Unione. Facendo riferimento alla decisione
della Kúria, detto governo sostiene, in linea
generale, che dal procedimento penale principale non emerge alcun fatto o
circostanza che consenta di concludere che esiste una violazione delle
disposizioni che disciplinano l’utilizzo delle lingue nel corso di tale
procedimento o un inadempimento da parte delle autorità incaricate del caso e
da cui il giudice del rinvio avrebbe potuto dedurre la necessità di
un’interpretazione del diritto dell’Unione. Poiché, nel procedimento
principale, non si porrebbe in concreto alcun problema reale riguardo alla
qualità dell’interpretazione, la prima parte di tale questione avrebbe
carattere ipotetico e, di conseguenza, non sarebbe necessario né possibile per
la Corte rispondervi. Analogamente, una risposta alla seconda parte di tale
questione non sarebbe nemmeno necessaria alla luce dei fatti del procedimento
principale, dato che, secondo detto governo, è possibile constatare, sulla base
dei fatti accertati dalla Kúria (Corte suprema) a
partire dal fascicolo dell’inchiesta, che l’imputato ha compreso le accuse a
suo carico.
95 In proposito,
e alla luce della giurisprudenza della Corte citata ai punti 60 e 61 della
presente sentenza, occorre rilevare che il giudice del rinvio espone
chiaramente, nella domanda di pronuncia pregiudiziale iniziale, le circostanze
in cui ha deciso di porre tale questione e i motivi corrispondenti. Infatti,
come risulta dai punti da 25 a 28 della presente sentenza, il procedimento
principale riguarda un procedimento penale in contumacia avviato contro un
cittadino svedese nato in Turchia, che è perseguito per un’infrazione alla
legislazione ungherese in materia di armi da fuoco e di munizioni, al termine di
un’indagine durante la quale è stato interrogato dai servizi di polizia in
presenza di un interprete di lingua svedese, ma senza l’assistenza di un
avvocato, nonostante si trattasse dell’audizione nel corso della quale gli era
stato comunicato di essere sospettato di aver commesso infrazioni a detta
legislazione nazionale. Pertanto, la controversia principale presenta un
collegamento evidente con le disposizioni delle direttive 2010/64 e 2012/13
sulle quali verte la prima questione.
96 Inoltre, per
quanto concerne l’argomento del governo ungherese secondo cui il procedimento
principale è un procedimento la cui valutazione è semplice in fatto e in
diritto e che, di conseguenza, non richiede un’interpretazione del diritto
dell’Unione da parte della Corte, cosicché il rinvio pregiudiziale non era
necessario, è sufficiente, da un lato, ricordare, come risulta dalla
giurisprudenza della Corte citata al punto 60 della presente sentenza, che
spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia
e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda
decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di
ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in
grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che
sottopone alla Corte. Dall’altro, una circostanza del genere non può impedire a
un giudice nazionale di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale e non
sortisce l’effetto di rendere irricevibile la questione in tal modo sollevata
(v., in tal senso, sentenza del 29 aprile 2021, Ubezpieczeniowy
Fundusz Gwarancyjny, C‑383/19,
EU:C:2021:337, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).
97 Di
conseguenza, occorre constatare che la prima questione è ricevibile.
Nel merito
98 Va rilevato,
in via preliminare, che la prima questione si riferisce all’articolo 6,
paragrafo 1, TUE. Tuttavia, a parte un riferimento generale all’applicabilità
della Carta, tale disposizione non avvalora il ragionamento del giudice del
rinvio, quale risulta dalla motivazione della domanda di pronuncia
pregiudiziale iniziale. Si tratta, inoltre, di una disposizione di carattere
generale con cui l’Unione riconosce che la Carta ha lo stesso valore giuridico
dei trattati, che precisa che le disposizioni della Carta non ampliano in alcun
modo le competenze dell’Unione quali definite nei trattati e che fornisce
precisazioni sul metodo di interpretazione dei diritti, delle libertà e dei
principi enunciati in quest’ultima. In tali circostanze, detta disposizione è
irrilevante ai fini dell’analisi della prima questione.
99 Tuttavia,
secondo la giurisprudenza costante della Corte, quest’ultima può essere
condotta a prendere in considerazione norme del diritto dell’Unione alle quali
il giudice nazionale non ha fatto riferimento nel formulare la sua questione
(sentenza del 7 agosto 2018, Smith, C‑122/17, EU:C:2018:631, punto 34 e
giurisprudenza ivi citata).
100 Ai sensi dell’articolo
48, paragrafo 1, della Carta, ogni imputato è considerato innocente fino a
quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata. Inoltre,
l’articolo 48, paragrafo 2, della Carta enuncia che il rispetto dei diritti
della difesa è garantito ad ogni imputato.
101 Va affermato, al
riguardo, che l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta precisa che, laddove
quest’ultima contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il
significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli loro conferiti da
detta convenzione. Orbene, come risulta dalle spiegazioni relative all’articolo
48 della Carta, che, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma TUE
e all’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, devono essere prese in
considerazione ai fini dell’interpretazione di quest’ultima, tale articolo 48 corrisponde
all’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della CEDU. La Corte deve, pertanto,
sincerarsi che l’interpretazione da essa fornita dell’articolo 48 della Carta
assicuri un livello di protezione che non violi quello garantito all’articolo 6
della CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (v., in
tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Gambino e Hyka,
C‑38/18, EU:C:2019:628, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
102 In tali circostanze, con
la prima parte della sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in
sostanza, se l’articolo 5 della direttiva 2010/64 debba essere interpretato nel
senso che impone agli Stati membri di istituire un registro di traduttori e di
interpreti indipendenti o di assicurarsi che l’adeguatezza della qualità
dell’interpretazione fornita in un procedimento giudiziario possa essere
oggetto di controllo.
103 Va osservato, in
proposito, che l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2010/64 stabilisce
che «gli Stati membri si impegnano a istituire un registro o dei registri di
traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati».
104 Conformemente alla
giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma
di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto della lettera della
stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di
cui essa fa parte [sentenze del 2 settembre 2015, Surmačs,
C‑127/14, EU:C:2015:522, punto 28, e del 16 novembre 2016, DHL Express
(Austria), C‑2/15, EU:C:2016:880, punto 19].
105 Dalla formulazione stessa
di detta disposizione, che utilizza il verbo «impegnarsi», emerge che la
creazione di un registro di traduttori o di interpreti indipendenti e
debitamente qualificati costituisce più un requisito di carattere programmatico
che un obbligo di risultato, che, peraltro, è privo di per sé di qualsiasi
efficacia diretta.
106 Tale interpretazione
letterale è avvalorata dal contesto in cui si inserisce detta disposizione e
dagli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2010/64.
107 Ai sensi del considerando
12 di tale direttiva, quest’ultima stabilisce norme minime comuni da applicare
nell’ambito dell’interpretazione e della traduzione nei procedimenti penali.
108 Siffatte norme, in base
al considerando 17 di detta direttiva, dovrebbero garantire un’assistenza
linguistica gratuita e adeguata, al fine di consentire agli indagati o agli
imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale di
esercitare appieno i loro diritti della difesa e per garantire l’equità del
procedimento.
109 Per quanto concerne la
qualità dell’interpretazione e della traduzione, il considerando 24 della
direttiva 2010/64 sottolinea che gli Stati membri dovrebbero assicurarsi che
essa possa essere oggetto di controllo quando le autorità competenti sono state
informate in un determinato caso di una mancanza al riguardo. Inoltre,
l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2010/64 dispone che gli Stati membri
adottano misure atte a garantire che l’interpretazione e la traduzione fornite
rispettino la qualità richiesta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 8, di
quest’ultima, il quale precisa che l’interpretazione dev’essere «di qualità
sufficiente a tutelare l’equità del procedimento, in particolare garantendo che
gli imputati o gli indagati in procedimenti penali siano a conoscenza delle
accuse a loro carico e siano in grado di esercitare i loro diritti della
difesa».
110 Da tali disposizioni e da
tali considerando emerge, indipendentemente dalle concrete modalità di
applicazione dell’articolo 5 della direttiva 2010/64, che quest’ultima impone
agli Stati membri di adottare «misure» volte ad assicurare la «qualità
sufficiente» dell’interpretazione, in modo da garantire, da un lato, che gli
interessati siano a conoscenza delle accuse a loro carico e siano in grado di
esercitare i loro diritti della difesa e, dall’altro, la buona amministrazione
della giustizia. In proposito, la creazione di un registro di traduttori o di interpreti
indipendenti costituisce uno dei mezzi che possono contribuire alla
realizzazione di tale obiettivo. Sebbene l’istituzione di un siffatto registro
non possa quindi essere considerata imposta agli Stati membri da detta
direttiva, resta cionondimeno il fatto che l’articolo 5, paragrafo 1, di
quest’ultima prevede, in modo sufficientemente preciso e incondizionato per
essere invocato da un imputato e applicato dal giudice nazionale, che gli Stati
membri adottino misure concrete per garantire la qualità dell’interpretazione e
della traduzione fornite, per disporre, a tal fine, di servizi adeguati e per
facilitare un accesso efficace a tali servizi.
111 L’articolo 2, paragrafo
5, della direttiva 2010/64 stabilisce, al riguardo, in modo incondizionato e
preciso, che gli Stati membri assicurano che, secondo le procedure della
legislazione nazionale, gli indagati o gli imputati abbiano «la possibilità di
contestare la qualità dell’interpretazione in quanto insufficiente a tutelare
l’equità del procedimento».
112 Cionondimeno, una
possibilità del genere non dispensa tuttavia gli Stati membri dal loro obbligo,
previsto all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2010/64, letto in
combinato disposto, tra l’altro, con l’articolo 2, paragrafo 8, di quest’ultima,
di adottare «misure» atte a garantire che l’interpretazione fornita sia di
«qualità sufficiente», in particolare in mancanza di un registro di traduttori
o di interpreti indipendenti.
113 In proposito, il rispetto
dei requisiti relativi al processo equo significa garantire che l’accusato sia
a conoscenza degli addebiti contestatigli e possa difendersi (v., in tal senso,
sentenza del 15 ottobre 2015, Covaci, C‑216/14, EU:C:2015:686, punto 39 e
giurisprudenza ivi citata). L’obbligo delle autorità competenti non si limita
quindi alla nomina di un interprete. Ad esse incombe inoltre l’obbligo, se ne
viene fatta richiesta in un caso concreto, di esercitare un controllo sulla
qualità dell’interpretazione fornita (v., in tal senso, Corte EDU, 18 ottobre 2006,
Hermi c. Italia, CE:ECHR:2006:1018JUD001811402, §
70).
114 Infatti, il mancato
esame, da parte dei giudici nazionali, di accuse relative a prestazioni
inadeguate di un interprete può comportare una violazione dei diritti della
difesa (v., in tal senso, Corte EDU, 24 giugno 2019, Knox c. Italia,
CE:ECHR:2019:0124JUD007657713, §§ 182 e 186).
115 Pertanto, per assicurarsi
che l’indagato o l’imputato che non parla e non comprende la lingua del
procedimento penale sia stato tuttavia correttamente informato delle accuse a
suo carico, i giudici nazionali devono verificare se egli abbia beneficiato di
un’interpretazione di «qualità sufficiente» per comprendere l’accusa a suo
carico, e ciò al fine di garantire l’equità del procedimento. Per consentire ai
giudici nazionali di procedere a detta verifica, tali giudici devono avere
accesso in particolare alle informazioni relative alla procedura di selezione e
di nomina dei traduttori e degli interpreti indipendenti.
116 Nella fattispecie, dagli
atti sottoposti alla Corte risulta che non esiste in Ungheria alcun registro di traduttori o
di interpreti indipendenti. Il giudice del rinvio afferma che, a causa di
carenze della normativa nazionale, è in pratica impossibile garantire agli
indagati e agli imputati la qualità dell’interpretazione fornita. Il governo
ungherese sostiene, tuttavia, che la normativa nazionale che disciplina
l’attività di interpreti e di traduttori professionisti nonché le norme di
procedura penale consentono a chiunque non conosca la lingua ungherese di
beneficiare di un’assistenza linguistica che soddisfi i requisiti di un
procedimento equo. A prescindere dalle considerazioni relative al diritto
nazionale, spetta al giudice del rinvio effettuare una valutazione concreta e
precisa degli elementi del procedimento principale, al fine di verificare che
l’interpretazione fornita all’interessato nell’ambito di tale procedimento sia
stata di qualità sufficiente, tenuto conto dei requisiti derivanti dalla
direttiva 2010/64, per consentire a tale persona di essere a conoscenza dei
motivi del suo arresto o delle accuse a suo carico e di essere così posta in
grado di esercitare i suoi diritti della difesa.
117 Di conseguenza,
l’articolo 5 della direttiva 2010/64 deve essere interpretato nel senso che
impone agli Stati membri di adottare misure concrete atte a garantire che la
qualità dell’interpretazione e delle traduzioni fornite sia sufficiente,
affinché l’indagato o l’imputato comprenda l’accusa formulata a suo carico e
tale interpretazione possa essere oggetto di controllo da parte dei giudici nazionali.
118 La seconda parte della
prima questione pregiudiziale intende chiarire se, in mancanza di un siffatto
registro o di un altro metodo di controllo dell’adeguatezza della qualità
dell’interpretazione e qualora sia impossibile stabilire se l’indagato o
l’imputato sia stato informato dei sospetti o dell’accusa a suo carico,
l’articolo 4, paragrafo 5, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva
2012/13, letti alla luce dell’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, debbano
essere interpretati nel senso che ostano alla prosecuzione del procedimento in
contumacia.
119 Detta questione si basa
sulla premessa secondo cui l’assenza di misure nazionali dirette a garantire la
qualità dell’interpretazione priverebbe il giudice del rinvio di mezzi che gli consentano
di controllarne l’adeguatezza. Orbene, si deve ricordare che, indipendentemente
dalla questione dell’esistenza di misure nazionali generali che consentano di
garantire e di controllare la qualità dell’interpretazione fornita nell’ambito
di procedimenti penali, spetta al giudice del rinvio effettuare una valutazione
concreta e precisa degli elementi del procedimento principale, al fine di
verificare che l’interpretazione fornita all’interessato nell’ambito di tale
procedimento sia stata di qualità sufficiente alla luce dei requisiti derivanti
dalla direttiva 2010/64.
120 In esito a tale verifica,
il giudice del rinvio può giungere alla conclusione di non poter stabilire se
l’interessato sia stato informato, in una lingua a lui comprensibile, dell’accusa
formulata a suo carico, o perché l’interpretazione fornitagli è stata
inadeguata o perché è impossibile accertare la qualità di tale interpretazione.
Di conseguenza, la seconda parte della prima questione pregiudiziale deve
essere intesa come volta a stabilire se l’articolo 4, paragrafo 5, e l’articolo
6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13, letti alla luce dell’articolo 48,
paragrafo 2, della Carta, debbano essere interpretati nel senso che ostano a
che una persona sia giudicata in contumacia quando, a causa di
un’interpretazione inadeguata, non è stata informata, in una lingua ad essa
comprensibile, dell’accusa a suo carico, o quando è impossibile accertare la
qualità dell’interpretazione fornita e quindi stabilire che tale persona sia
stata informata, in una lingua ad essa comprensibile, dell’accusa a suo carico.
121 Va osservato, in
proposito, che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, della CEDU, ogni
accusato ha diritto ad «essere informato, nel più breve tempo possibile, in una
lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi
dell’accusa formulata a suo carico». Le garanzie offerte dall’articolo 6,
paragrafi 1 e 3, della CEDU si applicano ad ogni «accusato», nel significato
autonomo che presenta questo termine nell’ambito della CEDU. Un’«accusa penale»
si concretizza nel momento in cui a un individuo è ufficialmente notificata,
dalle autorità competenti, l’accusa di aver commesso un reato, oppure nel
momento in cui le azioni intraprese dalle autorità sulla base di sospetti nei
suoi confronti incidono in modo sostanziale sulla sua situazione. Pertanto, in
particolare, una persona che sia stata arrestata perché sospettata di aver
commesso un reato può essere considerata «accusata di un reato» e chiedere la
tutela dell’articolo 6 della CEDU (Corte EDU, 12 maggio 2017, Simeonovi c. Bulgaria, CE:ECHR:2017:0512JUD002198004, §§
110 e 111).
122 Secondo la giurisprudenza
della Corte EDU, in materia penale, la precisa e completa informazione delle
accuse nei confronti dell’accusato e, quindi, la qualificazione giuridica del
fatto che un giudice potrà ritenere a suo carico sono una condizione essenziale
per l’equità del processo. Il diritto di essere informati della natura e dei
motivi dell’accusa deve essere considerato alla luce del diritto dell’accusato
di preparare la sua difesa (Corte EDU, 25 marzo 1999, Pélissier
e Sassi c. Francia, CE:ECHR:1999:0325JU002544494, §§ 52 e 54). Avvertire
qualcuno di azioni giudiziarie intentate nei suoi confronti costituisce un atto
giuridico talmente importante che quest’ultimo deve rispondere a requisiti
formali e sostanziali atti a garantire l’esercizio effettivo dei diritti
dell’imputato, e una conoscenza vaga e non ufficiale non può essere sufficiente
(Corte EDU, 1° marzo 2006, Sejdovic c. Italia,
CE:ECHR:2006:0301JUD005658100, § 99).
123 L’equità del procedimento
implica che ogni persona sia in grado di comprendere l’accusa formulata a suo
carico per potersi difendere. Una persona che non parla o non comprende la
lingua del procedimento penale avviato contro di essa e che non ha beneficiato
di un’assistenza linguistica idonea a consentirle di comprendere le accuse nei
suoi confronti non può essere considerata in grado di esercitare i suoi diritti
della difesa.
124 Tale garanzia fondamentale
è attuata, in particolare, dal diritto all’interpretazione previsto
all’articolo 2 della direttiva 2010/64, il quale prevede, per qualsiasi
interrogatorio o audizione nel corso dei procedimenti penali, che gli indagati
o gli imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento
penale in questione siano assistiti senza indugio da un interprete, nonché dal
diritto alla traduzione dei documenti fondamentali di cui all’articolo 3 di
tale direttiva.
125 Nel caso in cui le
persone indagate o imputate siano arrestate o detenute, l’articolo 4 della
direttiva 2012/13 pone a carico degli Stati membri un obbligo di fornire loro
una comunicazione scritta che precisi, segnatamente, i diritti procedurali
elencati all’articolo 3 di quest’ultima.
126 L’articolo 4, paragrafo
5, della direttiva 2012/13 stabilisce altresì che gli Stati membri provvedono
affinché le persone indagate o imputate ricevano la comunicazione dei loro
diritti per iscritto in una lingua ad esse comprensibile. Qualora tale
comunicazione dei diritti non sia disponibile nella lingua appropriata,
l’indagato o l’imputato deve essere «informato dei suoi diritti oralmente in
una lingua a lui comprensibile».
127 L’articolo 6, paragrafo
1, della direttiva 2012/13 prevede che gli Stati membri assicurino che alle
persone indagate o imputate siano fornite informazioni sul reato che le stesse
sono sospettate o accusate di aver commesso. Tali informazioni devono essere
comunicate «tempestivamente e con tutti i dettagli necessari, al fine di
garantire l’equità del procedimento e l’esercizio effettivo dei diritti della
difesa».
128 È vero che la direttiva
2012/13 non disciplina le modalità con cui l’informazione sull’accusa, prevista
al suo articolo 6, deve essere comunicata all’imputato. Tuttavia, tali modalità
non possono arrecare pregiudizio all’obiettivo perseguito, in particolare,
dallo stesso articolo 6, che consiste, come emerge altresì dal considerando 27
di detta direttiva, nel consentire alle persone indagate o imputate per aver
commesso un reato di predisporre la propria difesa e nel garantire l’equità del
procedimento (sentenza del 13 giugno 2019, Moro, C‑646/17, EU:C:2019:489,
punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
129 Ne consegue che le
informazioni che devono essere comunicate a qualsiasi persona sospettata o
accusata di aver commesso un reato, conformemente all’articolo 6 della
direttiva 2012/13, devono essere fornite in una lingua che tale persona
comprende, se del caso mediante un’assistenza linguistica da parte di un
interprete o una traduzione scritta.
130 Tenuto conto del fatto
che il diritto di essere informato dell’accusa a proprio carico è determinante
per il procedimento penale nel suo insieme, la circostanza che una persona che
non parla o non comprende la lingua di tale procedimento non abbia beneficiato
di un’assistenza linguistica atta a consentirle di comprenderne il contenuto e
di difendersi è sufficiente a privare il procedimento del suo carattere equo e
a compromettere l’esercizio effettivo dei diritti della difesa.
131 È vero che l’articolo 6,
paragrafo 3, della direttiva 2012/13 prevede che gli Stati membri garantiscano
che, al più tardi al momento in cui il merito dell’accusa è sottoposto
all’esame di un’autorità giudiziaria, siano fornite informazioni dettagliate
sull’accusa, inclusa la natura e la qualificazione giuridica del reato, nonché
la natura della partecipazione allo stesso dell’accusato. Di conseguenza, detta
disposizione consente che l’omessa comunicazione di tali informazioni, in particolare
per il fatto che quest’ultima non è intervenuta in una lingua compresa
dall’accusato, possa essere regolarizzata nel corso del processo penale.
132 Tuttavia, ne consegue
altresì che il giudice penale non può, senza violare l’articolo 6 della direttiva
2012/13 nonché l’equità del procedimento e l’esercizio effettivo dei diritti
della difesa che mira a garantire, pronunciarsi sulla fondatezza dell’accusa in
assenza dell’imputato al suo processo, qualora quest’ultimo non sia stato
previamente informato in una lingua a lui comprensibile dell’accusa a suo
carico.
133 Pertanto, nel caso di
specie, nell’ipotesi in cui, sulla base delle verifiche di fatto che spetta al
giudice del rinvio realizzare, si accertasse che l’interpretazione fornita non
è stata di qualità sufficiente per consentire all’imputato di comprendere i
motivi del suo arresto e le accuse formulate a suo carico, una circostanza del
genere sarebbe idonea ad ostacolare la prosecuzione del procedimento penale in
contumacia.
134 Inoltre, poiché il
diritto delle persone indagate e imputate di assistere al loro processo è
sancito all’articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2016/343, la possibilità
di organizzare il processo penale in contumacia è subordinata dal paragrafo 2
dello stesso articolo alla condizione che tali persone siano state informate,
in tempo utile, dello svolgimento del processo e delle conseguenze di una
mancata comparizione.
135 Infine, è vero che, ai
sensi dell’articolo 9 di tale direttiva, gli Stati membri assicurano che gli
indagati o gli imputati, laddove non siano stati presenti al processo e non
siano state soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, di
detta direttiva, abbiano il diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di
ricorso giurisdizionale che consenta di riesaminare il merito della causa. Ciò
premesso, tale disposizione non può giustificare il fatto che una persona possa
essere condannata in contumacia sebbene non sia stata informata dell’accusa
formulata a suo carico, conformemente a quanto richiede detto articolo 8,
paragrafo 2, quando tale mancata informazione risulti da un’interpretazione
inadeguata e costituisca quindi una violazione di altre disposizioni del
diritto dell’Unione.
136 Inoltre, nell’ipotesi in
cui, nel caso di specie, sulla base delle verifiche di fatto che spetta al
giudice del rinvio realizzare, dovesse risultare impossibile accertare la
qualità dell’interpretazione fornita, una circostanza del genere sarebbe
parimenti idonea ad ostacolare la prosecuzione del procedimento penale in
contumacia. Invero, l’impossibilità di accertare la qualità
dell’interpretazione fornita significa che è impossibile stabilire se l’imputato
sia stato informato dei sospetti o dell’accusa formulati a suo carico.
Pertanto, tutte le considerazioni relative all’ipotesi esaminata nei punti da
121 a 135 della presente sentenza, a causa del carattere determinante per
l’insieme del procedimento penale del diritto di essere informato dell’accusa
formulata a suo carico e del carattere fondamentale dei diritti della difesa,
sono applicabili mutatis mutandis
a tale seconda ipotesi.
137 Di conseguenza,
l’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2010/64, l’articolo 4, paragrafo 5,
e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13, letti alla luce
dell’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, devono essere interpretati nel
senso che ostano a che una persona sia giudicata in contumacia quando, a causa di
un’interpretazione inadeguata, non è stata informata, in una lingua ad essa
comprensibile, dell’accusa formulata a suo carico, o quando è impossibile
accertare la qualità dell’interpretazione fornita e quindi stabilire che essa
sia stata informata, in una lingua che comprende, dell’accusa nei suoi
confronti.
138 Alla luce delle
considerazioni che precedono, si deve rispondere alla prima questione
dichiarando che:
– l’articolo 5
della direttiva 2010/64 deve essere interpretato nel senso che impone agli
Stati membri di adottare misure concrete atte a garantire che la qualità
dell’interpretazione fornita e delle traduzioni effettuate sia sufficiente
affinché l’indagato o l’imputato comprenda l’accusa formulata a suo carico e
tale interpretazione possa essere oggetto di controllo da parte dei giudici
nazionali;
– l’articolo
2, paragrafo 5, della direttiva 2010/64, l’articolo 4, paragrafo 5, e
l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2012/13, letti alla luce
dell’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, devono essere interpretati nel
senso che ostano a che una persona sia giudicata in contumacia quando, a causa
di un’interpretazione inadeguata, non è stata informata, in una lingua ad essa
comprensibile, dell’accusa formulata a suo carico o quando è impossibile
accertare la qualità dell’interpretazione fornita e quindi stabilire che essa
sia stata informata, in una lingua che comprende, dell’accusa nei suoi
confronti.
Sulla seconda e sulla terza questione
139 Con la sua seconda
questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio
dell’indipendenza dei giudici, sancito all’articolo 19 TUE e all’articolo
47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che osta al fatto che il
presidente dell’OBH nomini, eludendo l’applicazione della procedura di concorso
dei giudici e facendo ricorso alla nomina diretta temporanea, il presidente di
un organo giurisdizionale, tenuto conto che quest’ultimo è autorizzato, in
particolare, a decidere in merito all’attribuzione delle cause, ad avviare
procedimenti disciplinari contro i giudici e a valutarne l’operato e, in caso
affermativo, se il procedimento dinanzi a un organo giurisdizionale così
presieduto sia equo. Con la sua terza questione, esso chiede, in sostanza, se
tale principio debba essere interpretato nel senso che osta a un sistema di
retribuzione che prevede per i giudici un trattamento inferiore a quello dei
pubblici ministeri della stessa categoria e che consente l’attribuzione ai
giudici di premi discrezionali e, in caso affermativo, se detto principio debba
essere interpretato nel senso che il diritto a un processo equo non può essere
garantito in condizioni del genere.
140 Poiché la ricevibilità di
tali questioni è contestata dal governo ungherese e dalla Commissione, per il
motivo, in sostanza, che né l’interpretazione dell’articolo 19 TUE né
quella dell’articolo 47 della Carta sono pertinenti ai fini della soluzione del
procedimento principale, occorre ricordare che, come risulta dai termini stessi
dell’articolo 267 TFUE, la decisione pregiudiziale richiesta deve essere
«necessaria» al fine di consentire al giudice del rinvio di «emanare la sua
sentenza» nella causa della quale è investito (sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C‑558/18
e C‑563/18, EU:C:2020:234, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
141 La Corte ha infatti
ripetutamente ricordato che sia dal dettato sia dall’impianto sistematico
dell’articolo 267 TFUE emerge che il procedimento pregiudiziale
presuppone, in particolare, che dinanzi ai giudici nazionali sia effettivamente
pendente una controversia nell’ambito della quale ad essi è richiesta una
pronunzia che possa tener conto della sentenza pregiudiziale (sentenza del 26
marzo 2020, Miasto Łowicz
e Prokurator Generalny, C‑558/18
e C‑563/18, EU:C:2020:234, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).
142 Nell’ambito di siffatto
procedimento, deve quindi esistere tra la suddetta controversia e le
disposizioni del diritto dell’Unione di cui è chiesta l’interpretazione un
collegamento tale per cui detta interpretazione risponde ad una necessità
oggettiva ai fini della decisione che dev’essere adottata dal giudice del
rinvio (sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234,
punto 48 e giurisprudenza ivi citata).
143 Nel caso di specie, dalla
decisione di rinvio non risulta che tra le disposizioni del diritto dell’Unione
su cui vertono la seconda e la terza questione e la controversia principale
esista un collegamento idoneo a rendere necessaria l’interpretazione richiesta
affinché il giudice del rinvio possa, in applicazione degli insegnamenti
derivanti da una siffatta interpretazione, adottare una decisione che sia
necessaria al fine di statuire su tale controversia (v., per analogia, sentenza
del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz
e Prokurator Generalny, C‑558/18
e C‑563/18, EU:C:2020:234, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).
144 Infatti, in primo luogo,
come altresì rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 90 e 91 delle sue
conclusioni, la controversia principale non riguarda in alcun modo il sistema
giudiziario ungherese considerato nella sua globalità, del quale taluni aspetti
avrebbero carattere tale da pregiudicare l’indipendenza dei giudici e, più
specificamente, del giudice del rinvio nella sua attività di attuazione del
diritto dell’Unione. In proposito, il fatto che potrebbe sussistere un
collegamento materiale tra il merito della controversia principale e l’articolo
47 della Carta, se non in maniera più ampia con l’articolo 19 TUE, non è
sufficiente a soddisfare il requisito della necessità, previsto all’articolo
267 TFUE. A tal fine, occorrerebbe che l’interpretazione di tali
disposizioni, quale richiesta nell’ambito della seconda e della terza
questione, risponda a una necessità oggettiva ai fini della soluzione, quanto
al merito, della controversia principale, circostanza che non si verifica nel
caso di specie.
145 In secondo luogo, sebbene
la Corte abbia già dichiarato ricevibili questioni pregiudiziali vertenti
sull’interpretazione di disposizioni procedurali del diritto dell’Unione che il
giudice del rinvio interessato sarebbe tenuto ad applicare per emanare la sua
sentenza (v., in tal senso, sentenza del 17 febbraio 2011, Weryński,
C‑283/09, EU:C:2011:85, punti 41 e 42), non è questa la portata della
seconda e della terza questione sollevate nell’ambito della presente causa (v.,
per analogia, sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234,
punto 50).
146 In terzo luogo, una
risposta della Corte a dette questioni non sembra neppure avere carattere tale
da fornire al giudice del rinvio un’interpretazione del diritto dell’Unione che
gli consenta di dirimere questioni procedurali di diritto nazionale prima di
poter statuire nel merito della controversia di cui esso è investito (v., per
analogia, sentenza del 26 marzo 2020, Miasto Łowicz e Prokurator Generalny, C‑558/18 e C‑563/18, EU:C:2020:234,
punto 51).
147 Da tutto quanto precede
risulta che la seconda e la terza questione sono irricevibili.
Sulle spese
148 Nei confronti delle parti
nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente
sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi statuire sulle
spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla
Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’articolo
267 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che il giudice
supremo di uno Stato membro constati, a seguito di un’impugnazione nell’interesse
della legge, l’illegittimità di una domanda di pronuncia pregiudiziale
presentata alla Corte da un giudice di grado inferiore ai sensi di tale
disposizione, per il motivo che le questioni poste non sono rilevanti e
necessarie ai fini della soluzione del procedimento principale, senza tuttavia
pregiudicare gli effetti giuridici della decisione contenente tale domanda. Il
principio del primato del diritto dell’Unione impone a detto giudice di grado
inferiore di annullare siffatta decisione del giudice supremo nazionale.
2) L’articolo
267 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un
procedimento disciplinare sia avviato contro un giudice nazionale per il fatto
che quest’ultimo ha presentato alla Corte una domanda di pronuncia
pregiudiziale ai sensi di tale disposizione.
3) L’articolo 5 della
direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre
2010, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti
penali, deve essere interpretato nel senso che impone agli Stati membri di
adottare misure concrete atte a garantire che la qualità dell’interpretazione
fornita e delle traduzioni effettuate sia sufficiente affinché l’indagato o
l’imputato comprenda l’accusa formulata a suo carico e tale interpretazione
possa essere oggetto di controllo da parte dei giudici nazionali.
L’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2010/64,
l’articolo 4, paragrafo 5, e l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva
2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul
diritto all’informazione nei procedimenti penali, letti alla luce dell’articolo
48, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,
devono essere interpretati nel senso che ostano a che una persona sia giudicata
in contumacia quando, a causa di un’interpretazione inadeguata, non è stata
informata, in una lingua ad essa comprensibile, dell’accusa a suo carico, o
quando è impossibile accertare la qualità dell’interpretazione fornita e quindi
stabilire che tale persona sia stata informata, in una lingua ad essa
comprensibile, dell’accusa a suo carico.
Firme
* Lingua
processuale: l’ungherese.