SENTENZA
DELLA CORTE (Grande Sezione)
2 febbraio 2021 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle
legislazioni – Direttiva 2003/6/CE – Articolo 14, paragrafo 3 –
Regolamento (UE) n. 596/2014 – Articolo 30, paragrafo 1, lettera
b) – Abuso di mercato – Sanzioni amministrative aventi carattere
penale – Omessa collaborazione con le autorità competenti – Articoli
47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Diritto
di mantenere il silenzio e di non contribuire alla propria incolpazione»
Nella causa C‑481/19,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia
pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla
Corte costituzionale (Italia), con ordinanza del 6 marzo 2019, pervenuta in
cancelleria il 21 giugno 2019, nel procedimento
DB
contro
Commissione Nazionale per le Società e la Borsa
(Consob),
nei confronti di:
Presidente del Consiglio dei ministri,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente,
R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, J.‑C. Bonichot,
A. Arabadjiev, E. Regan, M. Ilešič, L. Bay Larsen,
A. Kumin e N. Wahl, presidenti di sezione, T. von Danwitz,
M. Safjan (relatore), F. Biltgen, K. Jürimäe, I. Jarukaitis
e N. Jääskinen, giudici,
avvocato generale: P. Pikamäe
cancelliere: R. Schiano, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 13 luglio 2020,
considerate le osservazioni presentate:
– per
DB, da R. Ristuccia e A. Saitta, avvocati;
– per
il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da
P. Gentili e P.G. Marrone, avvocati dello Stato;
– per
il governo spagnolo, inizialmente da A. Rubio González, poi da
L. Aguilera Ruiz, in qualità di agenti;
– per
il Parlamento europeo, da L. Visaggio, C. Biz e L. Stefani, in
qualità di agenti;
– per
il Consiglio dell’Unione europea, da M. Chavrier, E. Rebasti,
I. Gurov ed E. Sitbon, in qualità di agenti;
– per
la Commissione europea, da V. Di Bucci, P. Rossi, T. Scharf e
P.J.O. Van Nuffel, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni presentate dall’avvocato
generale all’udienza del 27 ottobre 2020,
ha emesso la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 47
e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la
«Carta»), nonché sull’interpretazione e sulla validità dell’articolo 14,
paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 28 gennaio 2003, relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla
manipolazione del mercato (abusi di mercato) (GU 2003, L 96, pag. 16),
e dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE)
n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014,
relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che
abroga la direttiva 2003/6 e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE
della Commissione (GU 2014, L 173, pag. 1).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone DB alla
Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (Consob) (Italia), vertente
sulla legittimità di sanzioni inflitte a DB a motivo di illeciti di abuso di
informazioni privilegiate e di omessa collaborazione nell’ambito di un’indagine
attivata dalla Consob.
Contesto normativo
Diritto dell’Unione
Direttiva 2003/6
3 I
considerando 37, 38 e 44 della direttiva 2003/6 sono così formulati:
«(37) Il
conferimento all’autorità competente di ogni Stato membro di un insieme minimo
comune di strumenti e poteri forti garantirà l’efficacia della sua opera di
vigilanza. I gestori di mercato e tutti gli operatori economici dovrebbero
parimenti contribuire, ai rispettivi livelli, all’integrità del mercato. (...)
(38) Al
fine di garantire l’adeguatezza del quadro comunitario di contrasto agli abusi
di mercato, ogni violazione dei divieti o degli obblighi fissati dalla presente
direttiva dovrà essere tempestivamente scoperta e sanzionata. A tal fine le
sanzioni dovrebbero essere sufficientemente dissuasive, proporzionate alla
gravità della violazione e agli utili realizzati e dovrebbero essere applicate
coerentemente.
(...)
(44) La
presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi
riconosciuti segnatamente dalla [Carta], in particolare l’articolo 11, nonché
l’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali. (...)».
4 L’articolo
12 di detta direttiva così dispone:
«1. All’autorità
competente sono conferiti tutti i poteri di vigilanza e di indagine necessari
per l’esercizio delle sue funzioni. (...)
2. Fatto salvo
l’articolo 6, paragrafo 7, i poteri di cui al paragrafo 1 del presente articolo
sono esercitati in conformità della legislazione nazionale e includono almeno
il diritto di:
a) avere
accesso a qualsiasi documento sotto qualsiasi forma e ottenerne copia;
b) richiedere
informazioni a qualsiasi persona, incluse quelle che intervengono
successivamente nella trasmissione degli ordini o nell’esecuzione delle
operazioni in questione, e ai loro mandanti e, se necessario, convocare e
procedere all’audizione di una persona;
(...)
3. Questo
articolo non pregiudica le disposizioni del diritto nazionale in materia di
segreto professionale».
5 L’articolo
14 della direttiva in parola recita:
«1. Fatto salvo
il diritto degli Stati membri di imporre sanzioni penali, gli Stati membri sono
tenuti a garantire, conformemente al loro ordinamento nazionale, che possano
essere adottate le opportune misure amministrative o irrogate le opportune
sanzioni amministrative a carico delle persone responsabili del mancato
rispetto delle disposizioni adottate in attuazione della presente direttiva.
Gli Stati membri sono tenuti a garantire che tali misure siano efficaci,
proporzionate e dissuasive.
2. La
Commissione stila, in conformità della procedura di cui all’articolo 17,
paragrafo 2, un elenco indicativo delle misure e delle sanzioni amministrative
di cui al paragrafo 1.
3. Gli Stati
membri fissano le sanzioni da applicare per l’omessa collaborazione alle
indagini di cui all’articolo 12.
(...)».
Regolamento n. 596/2014
6 I
considerando 62, 63, 66 e 77 del regolamento n. 596/2014, che ha abrogato
e sostituito la direttiva 2003/6 con effetto al 3 luglio 2016, sono così
formulati:
«(62) Il
conferimento all’autorità competente di ogni Stato membro di una serie di
strumenti, poteri e risorse adeguati garantirà l’efficacia della sua opera di
vigilanza. Di conseguenza, il presente regolamento prevede, in particolare, una
serie minima di poteri di vigilanza e di indagine che dovrebbero essere
conferiti alle autorità competenti degli Stati membri conformemente al diritto
nazionale. (...)
(63) Anche
le imprese che operano sul mercato e tutti gli attori economici dovrebbero
contribuire all’integrità del mercato. (...)
(...)
(66) Se
il presente regolamento specifica una serie minima di poteri che dovrebbero
essere conferiti alle autorità competenti, tali poteri devono essere esercitati
nell’ambito di un sistema giuridico nazionale completo che garantisca il
rispetto dei diritti fondamentali, compreso il diritto alla tutela della vita
privata. (...)
(...)
(77) Il
presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi
riconosciuti dalla [Carta]. Il presente regolamento dovrebbe quindi essere
interpretato e applicato conformemente a tali diritti e principi. (...)»
7 L’articolo
14 di tale regolamento, intitolato «Divieto di abuso di informazioni
privilegiate e di comunicazione illecita di informazioni privilegiate», dispone
quanto segue:
«Non è consentito:
a) abusare
o tentare di abusare di informazioni privilegiate;
b) raccomandare
ad altri di abusare di informazioni privilegiate o indurre altri ad abusare di
informazioni privilegiate; oppure
c) comunicare
in modo illecito informazioni privilegiate».
8 L’articolo
23 del citato regolamento, intitolato «Poteri delle autorità competenti»,
prevede, ai paragrafi 2 e 3, quanto segue:
«2. Per
adempiere ai compiti loro assegnati dal presente regolamento, le autorità
competenti dispongono almeno, conformemente al diritto nazionale, dei seguenti
poteri di controllo e di indagine:
a) di
accedere a qualsiasi documento e a dati sotto qualsiasi forma e di riceverne o farne
una copia;
b) di
richiedere o esigere informazioni da chiunque, inclusi coloro che,
successivamente, partecipano alla trasmissione di ordini o all’esecuzione delle
operazioni di cui trattasi, nonché i loro superiori e, laddove opportuno,
convocarli allo scopo di ottenere delle informazioni;
(...).
3. Gli Stati
membri provvedono all’adozione di misure appropriate che consentano alle
autorità competenti di disporre di tutti i poteri di vigilanza e di indagine
necessari allo svolgimento dei loro compiti.
(...)».
9 L’articolo
30 del medesimo regolamento, intitolato «Sanzioni amministrative e altre misure
amministrative», dispone:
«1. Fatti salvi
le sanzioni penali e i poteri di controllo delle autorità competenti a norma
dell’articolo 23, gli Stati membri, conformemente al diritto nazionale,
provvedono affinché le autorità competenti abbiano il potere di adottare le
sanzioni amministrative e altre misure amministrative adeguate in relazione
almeno alle seguenti violazioni:
a) le
violazioni degli articoli 14 e 15, (...) nonché
b) l’omessa
collaborazione o il mancato seguito dato nell’ambito di un’indagine,
un’ispezione o una richiesta di cui all’articolo 23, paragrafo 2.
Gli Stati membri possono decidere di non stabilire
norme relative alle sanzioni amministrative di cui al primo comma se le
violazioni di cui alle lettere a) o b) di tale comma sono già soggette a
sanzioni penali, nel rispettivo diritto nazionale entro il 3 luglio 2016. In
questo caso, gli Stati membri comunicano dettagliatamente alla Commissione e
all’[Autorità europea dei mercati finanziari (ESMA)] le pertinenti norme di
diritto penale.
(...)
2. Gli Stati
membri, conformemente al diritto nazionale, provvedono affinché le autorità
competenti abbiano il potere di imporre almeno le seguenti sanzioni
amministrative e di adottare almeno le seguenti misure amministrative nel caso
di violazioni di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera a):
a) un’ingiunzione
diretta al soggetto responsabile della violazione di porre termine alla
condotta in questione e di non reiterarla;
b) la
restituzione dei guadagni realizzati o delle perdite evitate grazie alla
violazione, per quanto possano essere determinati;
c) un
avvertimento pubblico che indica il responsabile della violazione e la natura
della stessa;
d) la
revoca o sospensione dell’autorizzazione di una società di investimento;
e) l’interdizione
temporanea, nei confronti di chiunque svolga funzioni amministrative, di
direzione o di controllo in una società di investimento o di qualsiasi altra
persona fisica ritenuta responsabile della violazione, dall’esercizio di
funzioni dirigenziali in società di investimento;
f) nel
caso di violazioni ripetute dell’articolo 14 o dell’articolo 15, l’interdizione
permanente, nei confronti di chiunque svolga funzioni amministrative, di
direzione o di controllo in una società di investimento o di qualsiasi altra
persona fisica ritenuta responsabile della violazione, dall’esercizio di
funzioni dirigenziali in società di investimento;
g) l’interdizione
temporanea, nei confronti di chiunque svolga funzioni amministrative, di
direzione o di controllo in una società di investimento o di qualsiasi altra
persona fisica ritenuta responsabile della violazione, da attività di
negoziazione per conto proprio;
h) sanzioni
amministrative pecuniarie massime di valore pari ad almeno tre volte l’importo
dei guadagni ottenuti o delle perdite evitate grazie alla violazione, quando
possono essere determinati;
i) nel
caso di una persona fisica, sanzioni amministrative pecuniarie massime di
almeno:
i) per
violazioni degli articoli 14 e 15, 5 000 000 EUR o, negli Stati
membri la cui moneta ufficiale non è l’euro, il valore corrispondente nella
valuta nazionale al 2 luglio 2014; (...)
(...).
I riferimenti all’autorità competente di cui al
presente paragrafo non pregiudicano la capacità dell’autorità competente di
esercitare le proprie funzioni in uno dei modi previsti all’articolo 23,
paragrafo 1.
(...)
3. Gli Stati
membri possono prevedere che le autorità competenti dispongano di poteri oltre
a quelli indicati al paragrafo 2 e poss[o]no prevedere sanzioni di importo più
elevato di quello stabilito nel suddetto paragrafo».
Diritto italiano
10 La
Repubblica italiana ha trasposto la direttiva 2003/6 mediante l’articolo 9
della legge del 18 aprile 2005, n. 62 – Disposizioni per
l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità
europee. Legge comunitaria 2004 (supplemento ordinario alla GURI n. 76,
del 27 aprile 2005). Detto articolo ha inserito nel decreto legislativo del 24
febbraio 1998, n. 58 – Testo unico delle disposizioni in materia di
intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6
febbraio 1996, n. 52 (supplemento ordinario alla GURI n. 71, del 26 marzo
1998; in prosieguo: il «Testo unico»), numerose disposizioni, tra le quali
l’articolo 187 bis di tale testo unico, concernente l’illecito amministrativo
di abuso di informazioni privilegiate, e l’articolo 187 quinquiesdecies del
medesimo Testo unico, relativo alle sanzioni applicabili in caso di omessa
collaborazione nell’ambito di un’indagine attivata dalla Consob.
11 L’articolo
187 bis del Testo unico, intitolato «Abuso di informazioni privilegiate»,
era formulato, nella versione in vigore alla data dei fatti di cui al
procedimento principale, nei seguenti termini:
«1. Salve le
sanzioni penali quando il fatto costituisce reato, è punito con la sanzione
amministrativa pecuniaria da euro ventimila a euro tre milioni chiunque,
essendo in possesso di informazioni privilegiate in ragione della sua qualità
di membro di organi di amministrazione, direzione o controllo dell’emittente,
della partecipazione al capitale dell’emittente, ovvero dell’esercizio di
un’attività lavorativa, di una professione o di una funzione, anche pubblica, o
di un ufficio:
a) acquista,
vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto
proprio o per conto di terzi su strumenti finanziari utilizzando le
informazioni medesime;
b) comunica
informazioni ad altri, al di fuori del normale esercizio del lavoro, della
professione, della funzione o dell’ufficio;
c) raccomanda
o induce altri, sulla base di esse, al compimento di taluna delle operazioni
indicate nella lettera a).
2. La stessa
sanzione di cui al comma 1 si applica a chiunque essendo in possesso di informazioni
privilegiate a motivo della preparazione o esecuzione di attività delittuose
compie taluna delle azioni di cui al medesimo comma 1.
3. Ai fini del
presente articolo per strumenti finanziari si intendono anche gli strumenti
finanziari di cui all’articolo 1, comma 2, il cui valore dipende da uno
strumento finanziario di cui all’articolo 180, comma 1, lettera a).
4. La sanzione
prevista al comma 1 si applica anche a chiunque, in possesso di informazioni
privilegiate, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il
carattere privilegiato delle stesse, compie taluno dei fatti ivi descritti.
5. Le sanzioni
amministrative pecuniarie previste dai commi 1, 2 e 4 sono aumentate fino al
triplo o fino al maggiore importo di dieci volte il prodotto o il profitto
conseguito dall’illecito quando, per le qualità personali del colpevole ovvero
per l’entità del prodotto o del profitto conseguito dall’illecito, esse
appaiono inadeguate anche se applicate nel massimo.
6. Per le fattispecie
previste dal presente articolo il tentativo è equiparato alla consumazione».
12 Nella
sua versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento principale,
l’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico, intitolato «Tutela dell’attività
di vigilanza della CONSOB», disponeva quanto segue:
«1. Fuori dai
casi previsti dall’articolo 2638 del codice civile, chiunque non ottempera nei
termini alle richieste della CONSOB ovvero ritarda l’esercizio delle sue
funzioni è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila
ad euro duecentomila».
13 Tale
articolo 187 quinquiesdecies è stato modificato dal decreto legislativo del 3
agosto 2017, n. 129 (GURI n. 198, del 25 agosto 2017). Nella sua
versione attualmente in vigore, detto articolo 187 quinquiesdecies, intitolato
«Tutela dell’attività di vigilanza della Banca d’Italia e della Consob», è così
formulato:
«1. Fuori dai
casi previsti dall’articolo 2638 del codice civile, è punito ai sensi del
presente articolo chiunque non ottempera nei termini alle richieste della Banca
d’Italia e della Consob, ovvero non coopera con le medesime autorità al fine
dell’espletamento delle relative funzioni di vigilanza, ovvero ritarda
l’esercizio delle stesse.
1-bis. Se
la violazione è commessa da una persona fisica, si applica nei confronti di
quest’ultima la sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila fino a
euro cinque milioni.
(...)».
Procedimento principale e questioni
pregiudiziali
14 Con
decisione del 2 maggio 2012, la Consob ha inflitto a DB, sulla base
dell’articolo 187 bis del Testo unico, due sanzioni pecuniarie
dell’importo, rispettivamente, di EUR 200 000 e di
EUR 100 000, per un illecito amministrativo di abuso di informazioni
privilegiate commesso tra il 19 febbraio e il 26 febbraio 2009 e composto di
due condotte, vale a dire operazioni effettuate con abuso di informazioni
privilegiate e comunicazione illecita di informazioni privilegiate.
15 La
Consob ha altresì inflitto a DB una sanzione pecuniaria dell’importo di
EUR 50 000 per l’illecito amministrativo previsto dall’articolo 187
quinquiesdecies del Testo unico, a motivo del fatto che l’interessato, dopo
aver chiesto a più riprese il rinvio della data dell’audizione alla quale era
stato convocato nella sua qualità di persona informata dei fatti, una volta
presentatosi a tale audizione aveva rifiutato di rispondere alle domande che
gli erano state rivolte.
16 Inoltre,
la Consob ha inflitto la sanzione accessoria della perdita temporanea dei
requisiti di onorabilità, prevista dall’articolo 187 quater, comma 1, del Testo
unico, per una durata di 18 mesi e ha ordinato la confisca per equivalente del
profitto dell’illecito o dei mezzi utilizzati per ottenerlo, a norma
dell’articolo 187 sexies del medesimo Testo unico.
17 DB
ha proposto opposizione contro tali sanzioni dinanzi alla Corte d’appello di
Roma (Italia), che l’ha respinta. Egli ha proposto dinanzi alla Corte suprema
di cassazione (Italia) un ricorso per cassazione avverso la decisione di detto
giudice d’appello. Con ordinanza del 16 febbraio 2018, la Corte suprema di
cassazione ha sottoposto alla Corte costituzionale (Italia) due questioni
incidentali di legittimità costituzionale, delle quali solo la prima è
pertinente nel contesto del presente rinvio pregiudiziale.
18 Tale
questione verte sull’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico, là dove tale
disposizione sanziona il fatto di non ottemperare tempestivamente alle
richieste della Consob ovvero il fatto di ritardare l’esercizio delle funzioni
di vigilanza di quest’ultima, anche nei confronti di colui al quale la Consob,
nell’esercizio di dette funzioni, contesti un abuso di informazioni
privilegiate.
19 Nella
sua decisione di rinvio, la Corte costituzionale fa osservare che la questione
di costituzionalità dell’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico viene
sollevata in riferimento a vari diritti e principi, alcuni dei quali sanciti
dal diritto nazionale, ossia il diritto alla difesa e il principio della parità
tra le parti nel processo, previsti dalla Costituzione italiana, ed altri
riconosciuti dal diritto internazionale e dal diritto dell’Unione.
20 Per
detto giudice, il diritto di mantenere il silenzio e di non contribuire alla
propria incolpazione (in prosieguo: il «diritto al silenzio»), fondato sulle
disposizioni costituzionali, del diritto dell’Unione e del diritto
internazionale invocate, non può giustificare il rifiuto della persona
interessata di presentarsi all’audizione disposta dalla Consob, né il ritardo
di detta persona a presentarsi a tale audizione, purché sia garantito il
diritto di quest’ultima di non rispondere alle domande che le vengono rivolte
in occasione di tale audizione. Orbene, tale garanzia sarebbe mancata nel caso
di specie.
21 Secondo
il giudice del rinvio, occorre, da un lato, prendere in considerazione il
rischio che, per effetto dell’obbligo di cooperazione con l’autorità
competente, il sospetto autore di un illecito amministrativo suscettibile di
una sanzione a carattere penale possa contribuire, di fatto, alla formulazione
di un’accusa in sede penale nei propri confronti. Detto giudice sottolinea, al
riguardo, che, nell’ordinamento italiano, l’abuso di informazioni privilegiate
addebitato a DB è previsto al tempo stesso come illecito amministrativo e come
illecito penale, e che i relativi procedimenti possono essere attivati e
proseguiti parallelamente, nei limiti in cui ciò sia compatibile con il
principio ne bis in idem sancito dall’articolo 50 della Carta (sentenza del 20
marzo 2018, Garlsson Real Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193,
punti da 42 a 63).
22 Dall’altro
lato, il giudice del rinvio ricorda che, secondo la giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo, il diritto al silenzio, scaturente dall’articolo
6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la
«CEDU»), risulta violato quando dei soggetti vengono sanzionati dal diritto
nazionale per non aver risposto alle domande delle autorità amministrative
nell’ambito di procedimenti di accertamento di violazioni amministrative
punibili con sanzioni a carattere penale (Corte EDU, 3 maggio 2001, J.B. c.
Svizzera, CE:ECHR:2001:0503JUD003182796, § da 63 a 71; 4 ottobre 2005,
Shannon c. Regno Unito, CE:ECHR:2005:1004JUD000656303, § da 38 a 41, e 5
aprile 2012, Chambaz c. Svizzera, CE:ECHR:2012:0405JUD001166304, § da 50 a
58).
23 Secondo
il giudice del rinvio, dato che l’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico
è stato introdotto nell’ordinamento giuridico italiano in esecuzione di un
obbligo specifico imposto dall’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6
e costituisce, oggi, l’attuazione dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b),
del regolamento n. 596/2014, un’eventuale dichiarazione di
incostituzionalità del citato articolo 187 quinquiesdecies rischierebbe di
porsi in contrasto con il diritto dell’Unione, nel caso in cui le suddette
disposizioni del diritto derivato dell’Unione dovessero essere intese nel senso
che impongono agli Stati membri di sanzionare il silenzio osservato,
nell’ambito di un’audizione dinanzi all’autorità competente, da una persona
sospettata di abuso di informazioni privilegiate. Sarebbe tuttavia lecito
dubitare della compatibilità di tali disposizioni, così intese, con gli
articoli 47 e 48 della Carta, che sembrano parimenti riconoscere il diritto al
silenzio entro limiti identici a quelli risultanti dall’articolo 6 della CEDU e
dalla Costituzione italiana.
24 Il
giudice del rinvio rileva altresì che la giurisprudenza della Corte, secondo
cui la persona sottoposta ad un’indagine nell’ambito di una procedura di
accertamento di violazioni delle norme dell’Unione in materia di concorrenza è
obbligata a rispondere a quesiti di mero fatto, si risolve tuttavia in una
limitazione significativa della portata del diritto dell’interessato di non
contribuire, neppure indirettamente, mediante le proprie dichiarazioni, alla
propria incolpazione.
25 Orbene,
tale giurisprudenza, che si sarebbe formata con riguardo a persone giuridiche e
non fisiche, e in larga misura in epoca antecedente all’adozione della Carta,
apparirebbe difficilmente conciliabile con il carattere penale che la Corte ha
riconosciuto, nella sentenza del 20 marzo 2018, Di Puma e Zecca (C‑596/16
e C‑597/16, EU:C:2018:192), alle sanzioni amministrative previste
nell’ordinamento giuridico italiano in materia di abuso di informazioni
privilegiate.
26 Poiché
la questione se gli articoli 47 e 48 della Carta impongano, alla luce della
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardante l’articolo
6 della CEDU, di rispettare il diritto al silenzio nell’ambito dei procedimenti
amministrativi suscettibili di sfociare nell’irrogazione di sanzioni a
carattere penale non è ancora stata affrontata dalla Corte o dal legislatore
dell’Unione, il giudice del rinvio reputa necessario, prima di pronunciarsi
sulla questione di costituzionalità che gli è stata sottoposta, chiedere alla
Corte di procedere all’interpretazione e, se del caso, alla verifica della
validità, in rapporto agli articoli 47 e 48 della Carta, dell’articolo 14,
paragrafo 3, della direttiva 2003/6, nonché dell’articolo 30, paragrafo 1,
lettera b), del regolamento n. 596/2014.
27 Alla
luce di tali circostanze, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se
l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto tuttora
applicabile ratione temporis, e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del
regolamento n. 596/2014 debbano essere interpretati nel senso che
consentono agli Stati membri di non sanzionare chi si rifiuti di rispondere a
domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria
responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura
“punitiva”?
2) Se,
in caso di risposta negativa a tale prima questione, l’articolo 14, paragrafo
3, della direttiva 2003/6/CE, in quanto tuttora applicabile ratione temporis, e
l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014 siano
compatibili con gli articoli 47 e 48 della [Carta], anche alla luce della
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di articolo
6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella
misura in cui impongono di sanzionare anche chi si rifiuti di rispondere a
domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità
per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura “punitiva”».
Sulla ricevibilità delle questioni
pregiudiziali
28 Nelle
sue osservazioni scritte, il Consiglio dell’Unione europea si interroga sulla
rilevanza, per la pronuncia di una decisione nel procedimento principale, del
regolamento n. 596/2014, il quale, tenuto conto della data della sua
entrata in vigore, non è applicabile ai fatti di cui al giudizio a quo.
29 Conformemente
ad una consolidata giurisprudenza della Corte, le questioni relative
all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel
contesto di diritto e di fatto che egli definisce sotto la propria
responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, sono
assistite da una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire
su una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora
risulti in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto
dell’Unione o l’esame della validità di quest’ultimo non ha alcun rapporto con
la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, o anche quando
il problema sia di natura ipotetica, oppure la Corte non disponga degli
elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle
questioni che le sono sottoposte nonché per comprendere le ragioni per le quali
il giudice nazionale ritiene di aver bisogno delle risposte a tali questioni
per dirimere la controversia dinanzi ad esso pendente (v., in tal senso,
sentenze del 19 novembre 2009, Filipiak, C‑314/08, EU:C:2009:719, punti
da 40 a 42, e del 12 dicembre 2019, Slovenské elektrárne, C‑376/18,
EU:C:2019:1068, punto 24).
30 Nel
caso di specie, la Corte costituzionale ritiene di doversi pronunciare sulla
costituzionalità dell’articolo 187 quinquiesdecies del Testo unico non soltanto
nella sua versione in vigore alla data dei fatti di cui al procedimento
principale, la quale aveva trasposto l’articolo 14, paragrafo 3, della
direttiva 2003/6, ma anche nella sua versione attualmente in vigore, che dà
attuazione all’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento
n. 596/2014. In proposito, detto giudice fa riferimento alla coerenza e al
rapporto di continuità esistente tra le disposizioni della direttiva 2003/6 e
quelle del regolamento n. 596/2014, che giustificano un esame complessivo
delle disposizioni, tra loro analoghe, di cui all’articolo 14, paragrafo 3, di
detta direttiva e all’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), di tale
regolamento.
31 Peraltro,
come risulta dal fascicolo presentato alla Corte, una dichiarazione di
incostituzionalità dell’articolo 187 quinquiedecies del Testo unico avrebbe
un’incidenza anche sulla versione attualmente in vigore di tale articolo, che
dà attuazione all’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento
n. 596/2014.
32 In
tale contesto, non risulta in modo manifesto che la richiesta interpretazione
di quest’ultima disposizione non abbia alcun rapporto con la realtà effettiva o
con l’oggetto del procedimento principale.
33 Di
conseguenza, le questioni così come sollevate devono essere dichiarate
ricevibili.
Sulle questioni pregiudiziali
34 Con
le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio
desidera sapere, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva
2003/6 e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento
n. 596/2014, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta, debbano
essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare
una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi
confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto
regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far
emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni
amministrative aventi carattere penale.
35 A
questo proposito occorre ricordare, in via preliminare, che, ai sensi
dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, le disposizioni di quest’ultima si
applicano alle istituzioni dell’Unione europea, nonché agli Stati membri
nell’attuazione del diritto dell’Unione.
36 Peraltro,
se invero le questioni sollevate riguardano gli articoli 47 e 48 della Carta,
che sanciscono, segnatamente, il diritto a che la propria causa sia esaminata
equamente e la presunzione di innocenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale
si riferisce altresì ai diritti garantiti dall’articolo 6 della CEDU. Orbene,
sebbene tale convenzione non costituisca, fintanto che l’Unione non vi avrà
aderito, uno strumento giuridico formalmente integrato nell’ordinamento
giuridico dell’Unione, occorre però ricordare che, come confermato
dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla
CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali. Inoltre,
l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il quale stabilisce che i diritti
riconosciuti da quest’ultima corrispondenti a diritti garantiti dalla CEDU
hanno un significato e una portata identici a quelli attribuiti a tali diritti
dalla suddetta convenzione, mira a garantire la necessaria coerenza tra questi
rispettivi diritti senza pregiudicare l’autonomia del diritto dell’Unione e
della Corte (v., in tal senso, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate
e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punti 24 e 25).
37 Secondo
le Spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007,
C 303, pag. 17), l’articolo 47, secondo comma, della Carta
corrisponde all’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU e l’articolo 48 della Carta
«corrisponde» esattamente all’articolo 6, paragrafi 2 e 3, della CEDU.
Nell’interpretazione che essa effettua in merito ai diritti garantiti
dall’articolo 47, secondo comma, e dall’articolo 48 della Carta, la Corte deve
dunque tener conto dei diritti corrispondenti garantiti dall’articolo 6 della
CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quanto
soglia di protezione minima [v., in tal senso, sentenze del 21 maggio 2019,
Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli), C‑235/17,
EU:C:2019:432, punto 72; del 6 ottobre 2020, La Quadrature du Net e a., C‑511/18,
C‑512/18 e C‑520/18, EU:C:2020:791, punto 124, nonché del 17
dicembre 2020, Centraal Israëlitisch Consistorie van België e a., C‑336/19,
EU:C:2020:1031, punto 56].
38 A
questo proposito, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha rilevato che, anche
se l’articolo 6 della CEDU non menziona espressamente il diritto al silenzio,
quest’ultimo costituisce una norma internazionale generalmente riconosciuta,
che si trova al centro della nozione di equo processo. Ponendo l’imputato al
riparo da una coercizione abusiva da parte delle autorità, tale diritto
contribuisce ad evitare errori giudiziari e a garantire il risultato a cui mira
il citato articolo 6 (v., in tal senso, Corte EDU, 8 febbraio 1996, John Murray
c. Regno Unito, CE:ECHR:1996:0208JUD001873191, § 45).
39 Tenuto
conto che la protezione del diritto al silenzio mira a garantire che, in una
causa penale, l’accusa fondi la propria argomentazione senza ricorrere ad elementi
di prova ottenuti mediante costrizione o pressioni, in spregio alla volontà
dell’imputato (v., in tal senso, Corte EDU, 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno
Unito, CE:ECHR:1996:1217JUD001918791, § 68), tale diritto risulta violato,
segnatamente, in una situazione in cui un sospetto, minacciato di sanzioni per
il caso di mancata deposizione, o depone o viene punito per essersi rifiutato
di deporre (v., in tal senso, Corte EDU, 13 settembre 2016, Ibrahim e altri c.
Regno Unito, CE:ECHR:2016:0913JUD005054108, § 267).
40 Il
diritto al silenzio non può ragionevolmente essere limitato alle confessioni di
illeciti o alle osservazioni che chiamino direttamente in causa la persona
interrogata, bensì comprende anche le informazioni su questioni di fatto che
possano essere successivamente utilizzate a sostegno dell’accusa ed avere così
un impatto sulla condanna o sulla sanzione inflitta a tale persona (v., in tal
senso, Corte EDU, 17 dicembre 1996, Saunders c. Regno Unito,
CE:ECHR:1996:1217JUD001918791, § 71, e 19 marzo 2015, Corbet e altri c.
Francia, CE:ECHR:2015:0319JUD000749411, § 34).
41 Ciò
premesso, il diritto al silenzio non può giustificare qualsiasi omessa
collaborazione con le autorità competenti, qual è il caso di un rifiuto di
presentarsi ad un’audizione prevista da tali autorità o di manovre dilatorie
miranti a rinviare lo svolgimento dell’audizione stessa.
42 Quanto
alla questione dei presupposti in presenza dei quali il suddetto diritto deve
essere rispettato anche nell’ambito di procedure di accertamento di illeciti
amministrativi, occorre sottolineare che questo stesso diritto è destinato ad
applicarsi nel contesto di procedure suscettibili di sfociare nell’inflizione
di sanzioni amministrative presentanti carattere penale. Per valutare tale
carattere penale rilevano tre criteri. Il primo è dato dalla qualificazione
giuridica dell’illecito nell’ordinamento interno, il secondo concerne la natura
stessa dell’illecito e il terzo è relativo al grado di severità della sanzione
che l’interessato rischia di subire (sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real
Estate e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punto 28).
43 Se
certo spetta al giudice del rinvio valutare, alla luce di tali criteri, se le
sanzioni amministrative in discussione nel procedimento principale abbiano
natura penale, detto giudice ricorda nondimeno, giustamente, che, in base alla
giurisprudenza della Corte, alcune delle sanzioni amministrative inflitte dalla
Consob paiono perseguire una finalità repressiva e presentare un elevato grado
di severità, tale per cui esse sono suscettibili di avere natura penale (v., in
tal senso, sentenze del 20 marzo 2018, Di Puma e Zecca, C‑596/16 e C‑597/16,
EU:C:2018:192, punto 38, nonché del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate
e a., C‑537/16, EU:C:2018:193, punti 34 e 35). La Corte europea dei
diritti dell’uomo è per parte sua giunta, in sostanza, alla medesima
conclusione (Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri c. Italia,
CE:ECHR:2014:0304JUD001864010, § 101).
44 Inoltre,
anche supponendo che, nel caso di specie, le sanzioni in questione nel
procedimento principale inflitte a DB dall’autorità di vigilanza non dovessero
presentare carattere penale, la necessità di rispettare il diritto al silenzio
nell’ambito di un procedimento di indagine condotto da detta autorità potrebbe
risultare altresì dal fatto, evidenziato dal giudice del rinvio, che, in base
alla normativa nazionale, gli elementi di prova ottenuti nell’ambito di tale
procedura sono utilizzabili, nell’ambito di un procedimento penale intentato
nei confronti di questa stessa persona, al fine di dimostrare la commissione di
un illecito penale.
45 Tenuto
conto delle argomentazioni sviluppate ai punti da 35 a 44 della presente
sentenza, occorre considerare che, tra le garanzie che discendono dall’articolo
47, secondo comma, e dall’articolo 48 della Carta, e al cui rispetto sono
tenuti sia le istituzioni dell’Unione sia gli Stati membri allorché attuano il
diritto dell’Unione, figura, segnatamente, il diritto al silenzio di una
persona fisica «imputata» ai sensi della seconda delle disposizioni sopra
citate. Tale diritto osta, in particolare, a che tale persona venga sanzionata
per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente a titolo della direttiva
2003/6 o del regolamento n. 596/2014 risposte che potrebbero far emergere
la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative a
carattere penale oppure la sua responsabilità penale.
46 Tale
valutazione non trova smentita nella giurisprudenza della Corte relativa alle
norme dell’Unione in materia di concorrenza, da cui risulta, in sostanza, che,
nell’ambito di un procedimento inteso all’accertamento di una violazione di
tali norme, l’impresa interessata può essere costretta a fornire tutte le
informazioni necessarie relative ai fatti di cui essa può avere conoscenza e a
fornire, ove occorra, i documenti pertinenti che siano in suo possesso, anche
quando questi possano servire per dimostrare, segnatamente nei suoi confronti,
l’esistenza di un comportamento anticoncorrenziale (v., in tal senso, sentenze
del 18 ottobre 1989, Orkem/Commissione, 374/87, EU:C:1989:387, punto 34; del 29
giugno 2006, Commissione/SGL Carbon, C‑301/04 P, EU:C:2006:432,
punto 41, e del 25 gennaio 2007, Dalmine/Commissione, C‑407/04 P,
EU:C:2007:53, punto 34).
47 Infatti,
da un lato, la Corte ha, in tale contesto, statuito anche che l’impresa in
questione non può vedersi imporre l’obbligo di fornire risposte in virtù delle
quali essa si troverebbe a dover ammettere l’esistenza di una violazione
siffatta (v., in tal senso, sentenze del 18 ottobre 1989, Orkem/Commissione,
374/87, EU:C:1989:387, punto 35, e del 29 giugno 2006, Commissione/SGL Carbon,
C‑301/04 P, EU:C:2006:432, punto 42).
48 Dall’altro
lato, come indicato dallo stesso giudice del rinvio, la giurisprudenza
ricordata ai due punti precedenti della presente sentenza riguarda procedimenti
suscettibili di portare all’inflizione di sanzioni ad imprese e ad associazioni
di imprese. Essa non può applicarsi per analogia quando si tratta di stabilire
la portata del diritto al silenzio di persone fisiche che, come DB, sono
oggetto di un procedimento per abuso di informazioni privilegiate.
49 Visti
i dubbi sollevati, dal giudice del rinvio, in merito alla validità, con
riferimento al diritto al silenzio sancito dall’articolo 47, secondo comma, e
dall’articolo 48 della Carta, dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva
2003/6 e dell’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento
n. 596/2014, resta ancora da verificare se tali disposizioni del diritto
derivato dell’Unione si prestino ad essere interpretate in conformità al
suddetto diritto al silenzio nel senso che esse non impongono di sanzionare una
persona fisica per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente a titolo
della direttiva summenzionata o del regolamento sopra citato risposte da cui
potrebbe emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni
amministrative a carattere penale oppure la sua responsabilità penale.
50 A
questo proposito, occorre anzitutto ricordare che, secondo un principio
ermeneutico generale, un testo del diritto derivato dell’Unione deve essere
interpretato, per quanto possibile, in un modo che non pregiudichi la sua
validità e in conformità con l’insieme del diritto primario e, segnatamente con
le disposizioni della Carta. Così, qualora un testo siffatto si presti a più di
un’interpretazione, occorre preferire quella che rende la disposizione conforme
al diritto primario anziché quella che porta a constatare la sua
incompatibilità con quest’ultimo [sentenza del 14 maggio 2019, M e a.
(Revoca dello status di rifugiato), C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17,
EU:C:2019:403, punto 77]. Tanto il considerando 44 della direttiva 2003/6
quanto il considerando 77 del regolamento n. 596/2014 sottolineano
d’altronde che questi due atti normativi rispettano i diritti fondamentali e i
principi sanciti dalla Carta.
51 Per
quanto riguarda, anzitutto, l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6,
esso stabilisce che gli Stati membri devono determinare le sanzioni applicabili
in caso di omessa collaborazione nell’ambito di un’indagine svolta ai sensi
dell’articolo 12 di detta direttiva. Quest’ultimo articolo precisa che, in tale
contesto, l’autorità competente deve poter richiedere informazioni a qualsiasi
persona e, se necessario, convocare e procedere all’audizione di una
determinata persona.
52 Se
certo i termini delle due disposizioni di cui sopra non escludono, in maniera
espressa, che l’obbligo imposto agli Stati membri di stabilire le sanzioni
applicabili in un caso siffatto si applichi anche in caso di rifiuto, da parte
di una persona sottoposta ad audizione, di fornire alla suddetta autorità
risposte che siano suscettibili di far emergere la sua responsabilità per un
illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale oppure la
sua responsabilità penale, nulla nella formulazione dell’articolo 14, paragrafo
3, della direttiva 2003/6 osta neppure ad un’interpretazione di tale
disposizione secondo cui detto obbligo non si applica in un caso siffatto.
53 Per
quanto riguarda, poi, l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento
n. 596/2014, tale disposizione impone di stabilire delle sanzioni
amministrative per l’omessa collaborazione o la mancata ottemperanza ad
un’indagine, a un’ispezione o a una richiesta quali previste dall’articolo 23,
paragrafo 2, di detto regolamento, il cui punto b) precisa che ciò comprende
l’interrogatorio di una persona al fine di ottenere delle informazioni.
54 Occorre
tuttavia osservare che, se l’articolo 30, paragrafo 1, del regolamento
n. 596/2014 esige dagli Stati membri che essi provvedano affinché le
autorità competenti abbiano il potere di adottare sanzioni e altre misure
appropriate, segnatamente nelle ipotesi contemplate al punto b) di tale
disposizione, esso tuttavia non impone ai suddetti Stati membri di prevedere
l’applicazione di sanzioni o misure siffatte alle persone fisiche che,
nell’ambito di un’indagine concernente un illecito passibile di sanzioni
amministrative aventi carattere penale, rifiutino di fornire all’autorità
competente risposte da cui potrebbe emergere la loro responsabilità per tale violazione
o la loro responsabilità penale.
55 Ne
consegue che tanto l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6 quanto
l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 596/2014 si
prestano ad una interpretazione conforme agli articoli 47 e 48 della Carta, in
virtù della quale essi non impongono che una persona fisica venga sanzionata
per il suo rifiuto di fornire all’autorità competente risposte da cui potrebbe
emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni amministrative
aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.
56 Così
interpretate, le citate disposizioni del diritto derivato dell’Unione non
possono veder pregiudicata la loro validità, con riferimento agli articoli 47 e
48 della Carta, per il fatto che esse non escludono espressamente l’inflizione
di una sanzione per un rifiuto siffatto.
57 Occorre
infine ricordare, in tale contesto, che gli Stati membri devono utilizzare il
potere discrezionale ad essi conferito da un testo del diritto derivato
dell’Unione in modo conforme ai diritti fondamentali (v., in tal senso,
sentenza del 13 marzo 2019, E., C‑635/17, EU:C:2019:192, punti 53 e 54).
Nell’ambito dell’attuazione di obblighi risultanti dalla direttiva 2003/6 o dal
regolamento n. 596/2014, incombe dunque a detti Stati membri assicurare,
come si è sottolineato al punto 45 della presente sentenza, che, in conformità
al diritto al silenzio garantito dagli articoli 47 e 48 della Carta, l’autorità
competente non possa sanzionare una persona fisica per il suo rifiuto di
fornire a tale autorità risposte da cui potrebbe emergere la sua responsabilità
per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale
oppure la sua responsabilità penale.
58 Alla
luce di tutte le considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alle
questioni sollevate dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva
2003/6 e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento
n. 596/2014, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta, devono
essere interpretati nel senso che essi consentono agli Stati membri di non
sanzionare una persona fisica, la quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei
suoi confronti dall’autorità competente a titolo di detta direttiva o di detto
regolamento, si rifiuti di fornire a tale autorità risposte che possano far
emergere la sua responsabilità per un illecito passibile di sanzioni
amministrative aventi carattere penale oppure la sua responsabilità penale.
Sulle spese
59 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione)
dichiara:
L’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva
2003/6/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, relativa
all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato (abusi
di mercato), e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE)
n. 596/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014,
relativo agli abusi di mercato (regolamento sugli abusi di mercato) e che
abroga la direttiva 2003/6 e le direttive 2003/124/CE, 2003/125/CE e 2004/72/CE
della Commissione, letti alla luce degli articoli 47 e 48 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso
che essi consentono agli Stati membri di non sanzionare una persona fisica, la
quale, nell’ambito di un’indagine svolta nei suoi confronti dall’autorità
competente a titolo di detta direttiva o di detto regolamento, si rifiuti di
fornire a tale autorità risposte che possano far emergere la sua responsabilità
per un illecito passibile di sanzioni amministrative aventi carattere penale
oppure la sua responsabilità penale.
Lenaerts |
Silva de Lapuerta |
Bonichot |
Arabadjiev |
Regan |
Ilešič |
Bay Larsen |
Kumin |
Wahl |
von Danwitz |
Safjan |
Biltgen |
Jürimäe |
Jarukaitis |
Jääskinen |
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2
febbraio 2021.
Il cancelliere |
|
Il
presidente |
A. Calot Escobar |
|
K.
Lenaerts |
* Lingua
processuale: l’italiano.