SENTENZA DELLA CORTE (Prima
Sezione)
18
novembre 2020 (*)
«Rinvio
pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2006/54/CE – Pari
opportunità e parità di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego – Articoli 14 e 28 – Contratto collettivo
nazionale che riconosce il diritto a un congedo conseguente al congedo legale
di maternità per le lavoratrici che si prendono cura in prima persona del
proprio figlio – Esclusione del diritto a tale congedo per i lavoratori di
sesso maschile – Tutela della lavoratrice con riguardo tanto alle
conseguenze della gravidanza quanto alla sua condizione di maternità –
Presupposti d’applicazione»
Nella
causa C‑463/19,
avente
ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal conseil de prud’hommes de Metz (Tribunale del
lavoro di Metz, Francia), con decisione del 15 maggio 2019, pervenuta in cancelleria
il 18 giugno 2019, nel procedimento
Syndicat
CFTC du personnel de la Caisse primaire d’assurance maladie de la Moselle
contro
Caisse
primaire d’assurance maladie de Moselle,
con
l’intervento di:
Mission
nationale de contrôle et d’audit des organismes de sécurité sociale,
LA CORTE
(Prima Sezione),
composta
da J.-C. Bonichot, presidente di sezione, L. Bay Larsen,
C. Toader, M. Safjan (relatore) e N. Jääskinen, giudici,
avvocato
generale: M. Bobek
cancelliere:
A. Calot Escobar
vista la
fase scritta del procedimento,
considerate
le osservazioni presentate:
– per
il Syndicat CFTC du personnel de la Caisse primaire d’assurance maladie de la
Moselle, da L. Pate, avocat;
– per
la Caisse primaire d’assurance maladie de Moselle, da L. Besse, avocat;
– per
il governo francese, da A.-L. Desjonquères, R. Coesme e
A. Ferrand, in qualità di agenti;
– per
il governo portoghese, da L. Inez Fernandes, A. Pimenta,
P. Barros da Costa e J. Marques, in qualità di agenti;
– per
la Commissione europea, da A. Szmytkowska e C. Valero, in qualità di
agenti,
sentite
le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 9 luglio
2020,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva
2006/54/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006,
riguardante l’attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di
trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego (GU 2006,
L 204, pag. 23).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il Syndicat CFTC
du personnel de la Caisse primaire d’assurance maladie de la Moselle (Sindacato
CFTC del personale della Cassa primaria di assicurazione malattia della
Mosella; in prosieguo: il «sindacato CFTC») e la Caisse primaire d’assurance
maladie de Moselle (in prosieguo: la «CPAM»), in merito al rifiuto da parte di
quest’ultima di concedere a CY, il padre di un bambino, il congedo per le
lavoratrici che si prendono cura in prima persona del proprio figlio, previsto
all’articolo 46 del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale
degli enti previdenziali, dell’8 febbraio 1957, nella versione in vigore alla
data dei fatti nel procedimento principale (in prosieguo: il «contratto
collettivo»).
Contesto
normativo
Diritto
dell’Unione
La direttiva
92/85/CEE
3 Ai
sensi dei considerando dal quattordicesimo al diciottesimo della direttiva
92/85/CEE del Consiglio, del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di
misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul
lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento
(decima direttiva particolare ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della
direttiva 89/391/CEE) (GU 1992, L 348, pag. 1):
«considerando
che la vulnerabilità delle donne gestanti, puerpere e in periodo di
allattamento rende necessario un diritto ad un congedo di maternità di almeno quattordici
settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, ed il carattere
obbligatorio di un congedo di maternità di almeno due settimane, ripartite
prima e/o dopo il parto;
considerando
che il rischio di essere licenziate per motivi connessi al loro stato può avere
effetti dannosi sullo stato fisico e psichico delle lavoratrici gestanti,
puerpere o in periodo di allattamento e che conseguentemente conviene prevedere
un divieto di licenziamento;
considerando
che le misure di organizzazione del lavoro a scopo di protezione della salute
delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento non avrebbe
un effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei diritti
connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una
retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata;
considerando
d’altronde che le disposizioni concernenti il congedo di maternità sarebbero
anch’esse senza effetto utile se non fossero accompagnate dal mantenimento dei
diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una
retribuzione e/o dal versamento di un’indennità adeguata;
considerando
che la nozione di indennità adeguata in caso di congedo di maternità deve
essere considerata come un elemento tecnico di riferimento per fissare il
livello della protezione minima e non dovrebbe in alcun caso essere interpretato
nel senso di un’analogia tra la gravidanza e la malattia».
4 L’articolo
1 della direttiva in parola, intitolato «Oggetto», stabilisce quanto segue:
«1. La
presente direttiva, che è la decima direttiva particolare ai sensi
dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE [del Consiglio, del 12
giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro
(GU 1989, L 183, pag. 1)], ha per oggetto l’attuazione di misure
volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro
delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento.
2. Le
disposizioni della direttiva [89/391], fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 2,
si applicano interamente al settore di cui al paragrafo 1 nel suo insieme,
fatte salve le disposizioni più vincolanti e/o specifiche contenute nella
presente direttiva.
3. La
presente direttiva non può avere per effetto un abbassamento del livello di
protezione delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento
rispetto alla situazione esistente in ogni Stato membro alla data della sua
adozione».
5 L’articolo
8 della direttiva 92/85, intitolato «Congedo di maternità», prevede quanto segue:
«1. Gli
Stati membri adottano le misure necessarie affinché le lavoratrici di cui
all’articolo 2 fruiscano di un congedo di maternità di almeno quattordici
settimane ininterrotte, ripartite prima e/o dopo il parto, conformemente alle
legislazioni e/o prassi nazionali.
2. Il
congedo di maternità di cui al paragrafo 1 deve includere un congedo di
maternità obbligatorio di almeno due settimane, ripartite prima e/o dopo il
parto, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali».
6 L’articolo
10 di tale direttiva, rubricato «Divieto di licenziamento», così dispone:
«Per
garantire alle lavoratrici ai sensi dell’articolo 2 l’esercizio dei diritti di
protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:
1) gli Stati
membri adottano le misure necessarie per vietare il licenziamento delle
lavoratrici di cui all’articolo 2 nel periodo compreso tra l’inizio della
gravidanza e il termine del congedo di maternità di cui all’articolo 8,
paragrafo 1, tranne nei casi eccezionali non connessi al loro stato ammessi
dalle legislazioni e/o prassi nazionali e, se del caso, a condizione che
l’autorità competente abbia dato il suo accordo;
2) qualora una
lavoratrice ai sensi dell’articolo 2 sia licenziata durante il periodo
specificato nel punto 1), il datore di lavoro deve fornire per iscritto
giustificati motivi per il licenziamento;
3) gli Stati
membri adottano le misure necessarie per proteggere le lavoratrici di cui
all’articolo 2 contro le conseguenze di un licenziamento che a norma del punto
1) è illegittimo».
7 L’articolo
11 della medesima direttiva, rubricato «Diritti connessi con il contratto di
lavoro», è formulato nei seguenti termini:
«Per
garantire alle lavoratrici di cui all’articolo 2 l’esercizio dei diritti di
protezione della sicurezza e della salute riconosciuti nel presente articolo:
1) nei casi
contemplati agli articoli 5, 6 e 7, alle lavoratrici di cui all’articolo 2
devono essere garantiti, conformemente alle legislazioni e/o prassi nazionali,
i diritti connessi con il contratto di lavoro, compreso il mantenimento di una
retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata;
2) nel caso
contemplato all’articolo 8, devono essere garantiti:
a) i diritti
connessi con il contratto di lavoro delle lavoratrici di cui all’articolo 2,
diversi da quelli specificati nella lettera b) del presente punto;
b) il
mantenimento di una retribuzione e/o il versamento di un’indennità adeguata
alle lavoratrici di cui all’articolo 2;
3) l’indennità
di cui al punto 2), lettera b) è ritenuta adeguata se assicura redditi almeno
equivalenti a quelli che la lavoratrice interessata otterrebbe in caso di
interruzione delle sue attività per motivi connessi allo stato di salute, entro
il limite di un eventuale massimale stabilito dalle legislazioni nazionali;
4) gli Stati
membri hanno la facoltà di subordinare il diritto alla retribuzione o all’indennità
di cui al punto 1) e al punto 2), lettera b) al fatto che la lavoratrice
interessata soddisfi le condizioni previste dalle legislazioni nazionali per
usufruire del diritto a tali vantaggi.
Tali
condizioni non possono in alcun caso prevedere periodi di lavoro preliminare
superiori a dodici mesi immediatamente prima della data presunta del parto».
La direttiva
2006/54
8 Ai
sensi dei considerando 24 e 25 della direttiva 2006/54:
«(24) La Corte
di giustizia ha costantemente riconosciuto la legittimità, per quanto riguarda
il principio della parità di trattamento, della protezione della condizione
biologica della donna durante la gravidanza e la maternità nonché
dell’introduzione di misure di protezione della maternità come strumento per
garantire una sostanziale parità. La presente direttiva non dovrebbe pertanto
pregiudicare né la direttiva [92/85] né la direttiva 96/34/CE del Consiglio[,]
del 3 giugno 1996[,] concernente l’accordo quadro sul congedo parentale
concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES (GU 1996, L 145, pag. 4)].
(25) Per
chiarezza, è altresì opportuno prevedere esplicitamente la tutela dei diritti
delle lavoratrici in congedo di maternità, in particolare per quanto riguarda
il loro diritto a riprendere lo stesso lavoro o un lavoro equivalente e a non
subire un deterioramento delle condizioni di lavoro per aver usufruito del
congedo di maternità nonché a beneficiare di qualsiasi miglioramento delle
condizioni lavorative cui dovessero aver avuto diritto durante la loro
assenza».
9 L’articolo
1 della direttiva 2006/54, intitolato «Scopo», stabilisce quanto segue:
«Lo
scopo della presente direttiva è assicurare l’attuazione del principio delle
pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego.
A tal
fine, essa contiene disposizioni intese ad attuare il principio della parità di
trattamento per quanto riguarda:
a) l’accesso al
lavoro, alla promozione e alla formazione professionale;
b) le condizioni
di lavoro, compresa la retribuzione;
c) i regimi
professionali di sicurezza sociale.
Inoltre,
la presente direttiva contiene disposizioni intese a renderne più efficace
l’attuazione mediante l’istituzione di procedure adeguate».
10 L’articolo
2 di tale direttiva, rubricato «Definizioni», al paragrafo 1, lettera a),
enuncia quanto segue:
«Ai
sensi della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:
a) “discriminazione
diretta”: situazione nella quale una persona è trattata meno favorevolmente in
base al sesso di quanto un’altra persona sia, sia stata o sarebbe trattata in
una situazione analoga».
11 L’articolo
14 della suddetta direttiva, intitolato «Divieto di discriminazione», al
paragrafo 1 dispone quanto segue:
«È
vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso nei
settori pubblico o privato, compresi gli enti di diritto pubblico, per quanto
attiene:
a) alle
condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo,
compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente
dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché
alla promozione;
b) all’accesso a
tutti i tipi e livelli di orientamento e formazione professionale, perfezionamento
e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini professionali;
c) all’occupazione
e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la
retribuzione come previsto all’articolo 141 [CE];
d) all’affiliazione
e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in
qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione,
nonché alle prestazioni erogate da tali organizzazioni».
12 L’articolo
15 della medesima direttiva, intitolato «Rientro dal congedo di maternità», è
formulato nei seguenti termini:
«Alla
fine del periodo di congedo per maternità, la donna ha diritto di riprendere il
proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le
siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle
condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza».
13 L’articolo
28 della direttiva 2006/54, rubricato «Relazione con le disposizioni
comunitarie e nazionali», stabilisce quanto segue:
«1. La
presente direttiva non pregiudica le misure relative alla protezione della
donna, in particolare per quanto riguarda la gravidanza e la maternità.
2. La
presente direttiva lascia impregiudicate le disposizioni della direttiva
[96/34] e della direttiva [92/85]».
Diritto
francese
Codice del
lavoro
14 L’articolo
L. 1225-17 del codice del lavoro così recita:
«I
dipendenti di sesso femminile hanno diritto ad un congedo di maternità che
inizia sei settimane prima della data presunta per il parto e termina dieci
settimane dopo tale data.
Su
richiesta del dipendente di sesso femminile e previo parere favorevole del
professionista sanitario che monitora la gravidanza, il periodo di sospensione
del lavoro che inizia prima della data presunta per il parto può essere ridotto
per un massimo di tre settimane. Il periodo successivo alla data presunta per
il parto è quindi aumentato della medesima durata.
Qualora
il dipendente di sesso femminile abbia rinviato la fruizione di parte del
congedo di maternità al periodo successivo alla nascita del figlio e si assenti
dal lavoro per malattia certificata da un medico nel periodo precedente la data
presunta per il parto, detto rinvio è annullato e il periodo di sospensione del
contratto di lavoro è ridotto dal primo giorno in cui il dipendente si assenta
dal lavoro per malattia. Il periodo inizialmente rinviato è ridotto della
medesima durata».
Il contratto
collettivo
15 Ai
sensi dell’articolo 1 del contratto collettivo:
«Il
presente contratto disciplina i rapporti tra gli enti previdenziali, gli enti
che si occupano degli assegni familiari e tutti gli altri enti sottoposti al
loro controllo (Fédération nationale des organismes de sécurité sociale, Union
nationale des caisses d’allocations familiales, caisses primaires, caisses
régionales vieillesse et invalidité, caisses d’allocations familiales,
organismes de recouvrement des cotisations, services sociaux, caisses de
prévoyance du personnel, etc.) [Federazione nazionale degli enti previdenziali,
Unione nazionale delle casse di assegni familiari, casse primarie, casse
regionali per la vecchiaia e l’invalidità, casse di assegni familiari, enti di
riscossione dei contributi, servizi sociali, casse di previdenza del personale,
ecc.] e il personale di tali enti e dei loro organismi aventi sede in Francia o
nei dipartimenti d’oltremare».
16 Gli
articoli 45 e 46 del contratto collettivo rientrano nella sezione «L.» di
quest’ultimo, intitolata «Congedi di maternità».
17 L’articolo
45 del contratto collettivo prevede quanto segue:
«Ai fini
della durata del congedo legale di maternità, viene mantenuta la retribuzione
dei membri del personale che hanno almeno sei mesi di anzianità. Ciò non è
cumulabile con le indennità giornaliere dovute ai membri del personale in
qualità di assicurati.
Tale
congedo non è preso in considerazione ai fini del diritto al congedo di
malattia e non può comportare alcuna riduzione della durata delle ferie
annuali».
18 L’articolo
46 del contratto collettivo stabilisce quanto segue:
«Al
termine del periodo di congedo previsto dall’articolo precedente, la dipendente
che si prende cura in prima persona dei propri figli ha consecutivamente
diritto a:
– un
congedo di tre mesi a retribuzione dimezzata o di un mese e mezzo a
retribuzione piena;
– un
congedo non retribuito di un anno.
Tuttavia,
qualora la dipendente sia una donna sola o il cui coniuge o partner sia privato
delle proprie entrate abituali (invalidità, malattia cronica, servizio
militare), la medesima ha diritto ad un congedo di tre mesi a retribuzione
piena.
Al
termine del periodo di congedo sopra previsto, la beneficiaria viene pienamente
reintegrata nel suo impiego.
Il
consiglio di amministrazione può eccezionalmente concedere un ulteriore anno di
congedo non retribuito. In quest’ultima ipotesi, la dipendente è reintegrata
soltanto se vi sono posti vacanti, rispetto a cui la stessa ha la priorità,
all’interno della sua azienda o di una consociata, fatte salve le disposizioni
di cui all’articolo 16.
All’atto
del rinnovo di detto congedo, il consiglio di amministrazione può, in casi
specifici, assumere l’impegno formale di procedere al reintegro immediato.
Il
congedo non retribuito, che rientra nell’ambito del presente articolo, produce
i medesimi effetti del congedo previsto dall’articolo 40 per quanto riguarda le
disposizioni del presente contratto e il regime pensionistico».
Procedimento
principale e questione pregiudiziale
19 CY
è stato assunto dalla CPAM come dipendente in qualità di «controllore di
prestazioni nella categoria dipendente o quadro». È padre di un bambino nato
nel mese di aprile del 2016.
20 A
tale titolo, egli ha chiesto di beneficiare del congedo di cui all’articolo 46
del contratto collettivo, ai sensi del quale, al termine del congedo previsto
all’articolo 45 di tale contratto collettivo, la dipendente che si prende cura
in prima persona del proprio figlio ha diritto, successivamente, ad un congedo
di tre mesi a retribuzione dimezzata o ad un congedo di un mese e mezzo a
retribuzione piena nonché ad un congedo non retribuito di un anno.
21 La
CPAM ha respinto la domanda di CY per il motivo che il vantaggio di cui
all’articolo 46 del contratto collettivo è riservato alle lavoratrici che si
prendono cura in prima persona del proprio figlio.
22 Il
sindacato CFTC ha chiesto alla direzione dell’ente previdenziale di estendere
il beneficio delle disposizioni dell’articolo 46 del contratto collettivo ai
lavoratori di sesso maschile che si prendono cura in prima persona del proprio
figlio.
23 Tale
domanda è stata respinta in quanto, secondo la formulazione di detto articolo,
il congedo previsto è concesso unicamente alla madre del bambino, dato che
l’espressione «la dipendente» è al femminile, e poiché lo stesso articolo non è
discriminatorio, essendo accessorio all’articolo 45 del contratto collettivo,
il quale concede un vantaggio soltanto alle donne.
24 Il
27 dicembre 2017 il sindacato CFTC, che interviene a favore di CY, ha proposto
un ricorso contro la CPAM dinanzi al conseil de prud’hommes de Metz (Tribunale
del lavoro di Metz, Francia), il giudice del rinvio, sostenendo che la
decisione di rifiuto di concedere a CY il beneficio del congedo di cui
all’articolo 46 del contratto collettivo costituiva una discriminazione basata
sul sesso, vietata sia dal diritto dell’Unione sia dal diritto francese.
Infatti, l’articolo 46 del contratto collettivo non costituirebbe un accessorio
dell’articolo 45 di quest’ultimo, in quanto, a differenza di tale articolo 45,
detto articolo 46 non sarebbe correlato a considerazioni di ordine fisiologico.
Poiché gli uomini e le donne sono uguali dinanzi all’onere dell’educazione dei
figli, anche i lavoratori di sesso maschile assunti dalla CPAM dovrebbero
beneficiare del vantaggio di cui all’articolo 46 del contratto collettivo.
25 Il
giudice del rinvio rileva che, con una sentenza del 21 settembre 2017, la Cour
de cassation (Corte di cassazione, Francia) ha dichiarato che l’articolo 46 del
contratto collettivo ha lo scopo di attribuire un congedo di maternità
supplementare al termine del congedo legale di maternità richiamato
all’articolo 45 di tale contratto collettivo e che esso riguarda pertanto la
protezione delle particolari relazioni tra la donna e il bambino durante il
periodo successivo alla gravidanza e al parto.
26 In
tale contesto, il conseil de prud’hommes de Metz (Tribunale del lavoro di Metz)
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente
questione pregiudiziale:
«Se la
direttiva [2006/54,] letta alla luce degli articoli 8 e 157 TFUE, dei
principi generali del diritto dell’Unione di parità di trattamento e di divieto
di discriminazione e degli articoli 20, 21[, paragrafo 1,] e 23 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione [europea], debba essere interpretata nel senso
che essa esclude dal proprio ambito di applicazione ratione materiae le
disposizioni dell’articolo 46 del [contratto collettivo], che riserva ai
dipendenti di sesso femminile [degli] enti [di cui trattasi] che si prendono
cura in prima persona dei propri figli un congedo di tre mesi a retribuzione
dimezzata o di un mese e mezzo a retribuzione piena e un congedo non retribuito
di un anno dopo il congedo di maternità».
Sulla
questione pregiudiziale
Sulla
competenza della Corte
27 La
CPAM fa valere in via principale che la Corte è manifestamente incompetente a
rispondere alla questione posta, alla luce dell’articolo 267 TFUE.
Infatti, nell’ambito del presente procedimento, non si chiederebbe alla Corte
di statuire sull’interpretazione dei trattati o sulla validità o
sull’interpretazione di un qualsiasi atto che sarebbe stato adottato da
un’istituzione, da un organo o da un organismo dell’Unione.
28 La
CPAM fa valere che il sindacato CFTC, con il pretesto di una domanda di pronuncia
pregiudiziale, mira in realtà ad ottenere un «invalidamento a livello
sovranazionale» dell’articolo 46 del contratto collettivo, quale interpretato
dalla Cour de cassation (Corte di cassazione), alla luce dei principi generali
di parità di trattamento e di divieto di discriminazione. Orbene, la Corte non
sarebbe competente a verificare la conformità del diritto nazionale, anche
della giurisprudenza degli Stati membri, al diritto dell’Unione, né ad
interpretare il diritto nazionale.
29 Al
riguardo, si deve ricordare che il sistema di cooperazione istituito
dall’articolo 267 TFUE è fondato su una netta separazione di funzioni tra
i giudici nazionali e la Corte. Nell’ambito di un procedimento instaurato in
forza di tale articolo, l’interpretazione delle disposizioni nazionali incombe
ai giudici degli Stati membri e non alla Corte e non spetta a quest’ultima
pronunciarsi sulla compatibilità di norme di diritto interno con le
disposizioni del diritto dell’Unione. Per contro, la Corte è competente a fornire
al giudice nazionale tutti gli elementi interpretativi attinenti al diritto
dell’Unione che consentano a detto giudice di valutare la compatibilità di
norme di diritto interno con la normativa dell’Unione (sentenza del 30 aprile
2020, CTT – Correios de Portugal, C‑661/18, EU:C:2020:335, punto 28
e giurisprudenza ivi citata).
30 Se
è vero che una lettura combinata della questione pregiudiziale e della
motivazione esposta dal giudice del rinvio invita la Corte a pronunciarsi sulla
compatibilità di una disposizione di diritto interno con il diritto
dell’Unione, nulla impedisce alla Corte di dare una risposta utile al giudice
del rinvio fornendogli gli elementi di interpretazione attinenti al diritto
dell’Unione che consentiranno a questo stesso giudice di statuire sulla
compatibilità del diritto interno con il diritto dell’Unione. Di conseguenza,
nei limiti in cui la questione riguarda l’interpretazione del diritto
dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (v., in tal
senso, sentenza del 30 aprile 2020, CTT – Correios de Portugal, C‑661/18,
EU:C:2020:335, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
31 Nel
caso di specie occorre rilevare che il procedimento principale, vertente
sull’attribuzione di un congedo sul fondamento dell’articolo 46 del contratto
collettivo, riguarda le condizioni di lavoro, ai sensi dell’articolo 1, secondo
comma, lettera b), della direttiva 2006/54. Pertanto, tale procedimento rientra
nell’ambito di applicazione di tale direttiva, cui fa riferimento la questione
posta.
32 Contrariamente
a quanto afferma la CPAM, il giudice del rinvio chiede quindi l’interpretazione
di un atto dell’Unione.
33 Di
conseguenza, spetta alla Corte fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi
interpretativi attinenti al diritto dell’Unione che gli consentiranno di
statuire esso stesso sulla compatibilità del suo diritto interno con il diritto
dell’Unione.
34 Pertanto,
si deve concludere che la Corte è competente a rispondere alla questione
sollevata.
Sulla
ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale
35 Il
governo francese sostiene che la decisione di rinvio non soddisfa i requisiti
previsti all’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, in quanto
tale decisione è priva di qualsiasi motivazione circa la necessità di
sottoporre una questione alla Corte ai fini della soluzione della controversia
principale. Il giudice del rinvio si limiterebbe a riprodurre gli argomenti
presentati dinanzi ad esso, senza indicare le ragioni precise che lo inducono a
ritenere necessario sottoporre una questione alla Corte.
36 Inoltre,
il giudice del rinvio farebbe riferimento a varie disposizioni del Trattato FUE
e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la
«Carta»), senza tuttavia spiegare il loro collegamento con la questione
sollevata. Il governo francese fa valere che, supponendo che la domanda di
pronuncia pregiudiziale sia ricevibile, occorrerebbe rispondere a tale
questione nella misura in cui essa concerne la direttiva 2006/54, e non nella
parte relativa agli articoli 8 TFUE e 157 TFUE nonché agli articoli
20, 21 e 23 della Carta.
37 Occorre
ricordare, in proposito, che le questioni relative all’interpretazione del
diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e
di fatto che esso individua sotto la propria responsabilità, e del quale non
spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di
rilevanza (sentenza del 2 aprile 2020, Reliantco Investments e Reliantco
Investments Limassol Sucursala Bucureşti, C‑500/18, EU:C:2020:264,
punto 40 e giurisprudenza ivi citata).
38 Tuttavia,
per un verso, qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione richiesta
del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con
l’oggetto della controversia di cui al procedimento principale, o qualora la
Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per
rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte, essa può
respingere la domanda di pronuncia pregiudiziale in quanto irricevibile
(sentenza del 2 aprile 2020, Reliantco Investments e Reliantco Investments
Limassol Sucursala Bucureşti, C‑500/18, EU:C:2020:264, punto 41 e
giurisprudenza ivi citata).
39 Per
altro verso, in considerazione dello spirito di cooperazione che informa i
rapporti fra i giudici nazionali e la Corte nell’ambito del procedimento
pregiudiziale, la mancanza di talune previe constatazioni da parte del giudice
del rinvio non conduce necessariamente all’irricevibilità della domanda di
pronuncia pregiudiziale se, nonostante tali mancanze, la Corte, alla luce degli
elementi risultanti dal fascicolo, ritiene di essere in grado di fornire una
risposta utile al giudice del rinvio (sentenza del 2 aprile 2020, Reliantco Investments
e Reliantco Investments Limassol Sucursala Bucureşti, C‑500/18,
EU:C:2020:264, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).
40 Nel
caso di specie occorre rilevare che è vero che la decisione di rinvio è
succinta nell’esposizione dei motivi che hanno indotto il giudice del rinvio ad
interrogarsi sull’interpretazione della direttiva 2006/54 e che le disposizioni
del Trattato FUE nonché della Carta sono menzionate unicamente nella questione
posta.
41 Tuttavia,
in primo luogo, il giudice del rinvio ha riportato gli argomenti del sindacato
CFTC relativi alla mancata conformità al diritto dell’Unione dell’articolo 46
del contratto collettivo. Come ha rilevato lo stesso governo francese, ponendo
la questione pregiudiziale quale propostagli dal sindacato CFTC, il giudice del
rinvio ha implicitamente avallato i dubbi espressi da tale sindacato circa la
compatibilità di detto articolo del contratto collettivo con la direttiva
2006/54. Pertanto, la decisione di rinvio consente di comprendere i motivi per i
quali il giudice del rinvio ha ritenuto necessario sottoporre tale questione
alla Corte.
42 Inoltre,
sia la CPAM sia i governi francese e portoghese nonché la Commissione europea
sono stati perfettamente in grado di presentare le loro osservazioni sulla
questione sollevata.
43 In
secondo luogo, la questione posta è formulata nel senso che essa si riferisce
alla direttiva 2006/54, la quale deve essere interpretata «alla luce» degli
articoli 8 TFUE e 157 TFUE nonché dell’articolo 20, dell’articolo 21,
paragrafo 1, e dell’articolo 23 della Carta. Pertanto, il giudice del rinvio
non chiede un’interpretazione autonoma di tali disposizioni del Trattato FUE e
della Carta, che sono menzionate unicamente a sostegno dell’interpretazione
della direttiva 2006/54.
44 In
tali circostanze, occorre concludere che la decisione di rinvio soddisfa i
requisiti di cui all’articolo 94 del regolamento di procedura.
45 Di
conseguenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale è ricevibile.
Nel
merito
46 Con
la sua questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se la direttiva
2006/54 debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una disposizione
di un contratto collettivo nazionale che riserva alle lavoratrici che si
prendono cura in prima persona del proprio figlio il diritto ad un congedo dopo
il termine del congedo legale di maternità, mentre i lavoratori di sesso
maschile sono privati del diritto a tale congedo.
47 Al
riguardo, l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2006/54 vieta
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso per quanto
concerne le condizioni di impiego e di lavoro.
48 Nel
contesto di tale direttiva, il divieto di discriminazione tra lavoratori di
sesso maschile e lavoratori di sesso femminile si estende a tutti gli accordi
che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato (v., in tal senso,
sentenza del 18 novembre 2004, Sass, C‑284/02, EU:C:2004:722, punto 25 e
giurisprudenza ivi citata).
49 Inoltre,
sebbene, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva
2006/54, costituisce una discriminazione diretta «[la] situazione nella quale
una persona è trattata meno favorevolmente in base al sesso di quanto un’altra
persona sia, sia stata o sarebbe trattata in una situazione analoga»,
l’articolo 28 di tale direttiva precisa che essa non osta alle disposizioni
relative alla tutela della donna, in particolare per quanto concerne la
gravidanza e la maternità, e che essa lascia impregiudicate le disposizioni
della direttiva 92/85.
50 Per
quanto riguarda la tutela della madre di un bambino, da una giurisprudenza
costante della Corte emerge che il diritto al congedo di maternità riconosciuto
alle lavoratrici gestanti va considerato come un mezzo di protezione del
diritto sociale che riveste un’importanza particolare. Il legislatore
dell’Unione ha infatti ritenuto che i cambiamenti essenziali nell’esistenza
delle interessate nel corso del limitato periodo di almeno quattordici
settimane, precedente e successivo al parto, costituissero un motivo fondato
per sospendere l’esercizio della loro attività lavorativa, senza che la
legittimità di siffatto motivo potesse essere rimessa in questione, in
qualsiasi modo, dalle pubbliche autorità o dai datori di lavoro (sentenze del
20 settembre 2007, Kiiski, C‑116/06, EU:C:2007:536, punto 49, e del 21
maggio 2015, Rosselle, C‑65/14, EU:C:2015:339, punto 30).
51 Infatti,
come riconosciuto dal legislatore dell’Unione al considerando 14 della
direttiva 92/85, la lavoratrice gestante, puerpera o in periodo di allattamento
si trova in una situazione specifica di vulnerabilità che giustifica il diritto
al congedo di maternità, ma che, in particolare durante tale congedo, non può
essere equiparata a quella di un lavoratore di sesso maschile né a quella di un
lavoratore di sesso femminile assente dal lavoro per malattia (sentenze del 27
ottobre 1998, Boyle e a., C‑411/96, EU:C:1998:506, punto 40, nonché
del 18 marzo 2014, D., C‑167/12, EU:C:2014:169, punto 33).
52 Siffatto
congedo di maternità è inteso a garantire, da un lato, la protezione della
condizione biologica della donna durante e dopo la gravidanza e, dall’altro, la
protezione delle particolari relazioni tra la donna e il suo bambino durante il
periodo successivo alla gravidanza e al parto, onde evitare che tali relazioni
siano turbate dal cumulo degli oneri derivanti dal contemporaneo svolgimento di
un’attività lavorativa (sentenze del 12 luglio 1984, Hofmann, 184/83,
EU:C:1984:273, punto 25, e del 4 ottobre 2018, Dicu, C‑12/17,
EU:C:2018:799, punto 34).
53 Inoltre,
la direttiva 92/85, che contiene prescrizioni minime, non esclude in alcun modo
la facoltà degli Stati membri di garantire alle lavoratrici gestanti, puerpere
o in periodo di allattamento una tutela più elevata, mantenendo o introducendo
misure di tutela più favorevoli a queste ultime, a condizione che tali misure
siano compatibili con le disposizioni del diritto dell’Unione (sentenze del 13
febbraio 2014, TSN e YTN, C‑512/11 e C‑513/11, EU:C:2014:73, punto
37, nonché del 14 luglio 2016, Ornano, C‑335/15, EU:C:2016:564, punto
35).
54 La
Corte ha aggiunto che una misura quale un congedo di maternità, riconosciuto
alla donna dopo la scadenza del termine legale di protezione, rientra
nell’ambito di applicazione dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva
2006/54, in quanto esso mira alla protezione della donna con riguardo sia alle
conseguenze della gravidanza sia alla sua condizione di maternità. Sotto questo
aspetto, tale congedo può essere legittimamente riservato alla madre, ad
esclusione di ogni altra persona, tenuto conto del fatto che solo la madre può
subire la pressione indesiderata di riprendere prematuramente il lavoro (v., in
tal senso, sentenza del 12 luglio 1984, Hofmann, 184/83, EU:C:1984:273, punto
26).
55 Per
quanto concerne la qualità di genitore, la Corte ha precisato che la situazione
di un lavoratore di sesso maschile e quella di un lavoratore di sesso femminile
aventi la medesima qualità sono comparabili per quanto riguarda l’educazione
dei figli [sentenze del 25 ottobre 1988, Commissione/Francia, 312/86,
EU:C:1988:485, punto 14, e del 12 dicembre 2019, Instituto Nacional de la
Seguridad Social (Integrazione della pensione per le madri), C‑450/18,
EU:C:2019:1075, punto 51]. Di conseguenza, misure intese alla protezione delle
donne in qualità di genitori non possono trovare giustificazione sul fondamento
dell’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2006/54 (v., in tal senso,
sentenza del 29 novembre 2001, Griesmar, C‑366/99, EU:C:2001:648, punto
44).
56 Dalla
giurisprudenza della Corte emerge quindi che, dopo la scadenza del congedo
legale di maternità, uno Stato membro può riservare alla madre del bambino un
congedo supplementare qualora quest’ultimo le spetti non nella sua qualità di
genitore, ma con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla
sua condizione di maternità.
57 Come
risulta dal punto 52 della presente sentenza, tale congedo supplementare deve
essere inteso a garantire la protezione della condizione biologica della donna
nonché delle particolari relazioni che essa ha con suo figlio durante il
periodo successivo al parto.
58 In
proposito, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 61
delle sue conclusioni, l’obiettivo di tutela delle particolari relazioni tra la
donna e il proprio figlio non può essere tuttavia sufficiente di per sé per escludere
i padri dal beneficio di un periodo supplementare di congedo.
59 Nel
caso di specie, l’articolo 46 del contratto collettivo stabilisce che, al
termine del congedo legale di maternità di cui all’articolo 45 del medesimo, la
lavoratrice che si prende cura in prima persona del proprio figlio ha diritto,
successivamente, ad un congedo di tre mesi a retribuzione dimezzata o ad un
congedo di un mese e mezzo a retribuzione piena nonché ad un congedo non
retribuito di un anno, quest’ultimo rinnovabile per un periodo di un anno.
60 Va
rilevato che un contratto collettivo che esclude dal beneficio di tale congedo
supplementare un lavoratore di sesso maschile che si prende cura in prima
persona del suo bambino comporta una differenza di trattamento tra i lavoratori
di sesso maschile e i lavoratori di sesso femminile.
61 Come
si evince dai punti 52 e 54 della presente sentenza, tale differenza di
trattamento risulta compatibile con la direttiva 2006/54 solo se è diretta a
tutelare la madre con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto
alla sua condizione di maternità, vale a dire se è intesa a garantire la
protezione della condizione biologica della donna nonché delle particolari
relazioni che quest’ultima ha con il proprio figlio durante il periodo
successivo al parto. Qualora l’articolo 46 del contratto collettivo si
applicasse alle donne nella loro sola qualità di genitore, tale articolo
introdurrebbe una discriminazione diretta nei confronti dei lavoratori di sesso
maschile, vietata all’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva stessa.
62 Come
rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 70 delle sue conclusioni, gli
elementi da prendere in considerazione per poter riservare alle lavoratrici un
congedo riconosciuto successivamente al congedo legale di maternità riguardano,
in particolare, le condizioni di concessione di tale congedo, la durata e le
modalità di fruizione dello stesso nonché il livello di tutela giuridica ad
esso connesso.
63 In
primo luogo, le condizioni di concessione di siffatto congedo devono essere
direttamente connesse alla protezione della condizione biologica e fisiologica
della donna nonché delle particolari relazioni tra la donna e il proprio figlio
durante il periodo successivo al parto. Pertanto, in particolare, detto congedo
deve essere concesso a tutte le donne cui si applica la normativa nazionale in
questione, indipendentemente dalla loro anzianità di impiego e senza che sia
necessario un accordo del datore di lavoro.
64 In
secondo luogo, anche la durata e le modalità di fruizione di un congedo di
maternità supplementare devono essere adattate di conseguenza al fine di
garantire la protezione biologica e fisiologica della donna nonché delle
particolari relazioni tra la donna e il proprio bambino durante il periodo
successivo al parto, senza superare la durata che risulta necessaria per tale
protezione.
65 Infine,
dato che tale congedo ha lo stesso obiettivo del congedo legale di maternità,
la protezione giuridica deve essere conforme alla protezione minima garantita
per tale congedo legale dalle direttive 92/85 e 2006/54. In particolare, il
regime giuridico del congedo supplementare deve garantire una protezione contro
il licenziamento e il mantenimento di una retribuzione e/o il beneficio di una
prestazione adeguata delle lavoratrici, in condizioni conformi a quelle
enunciate negli articoli 10 e 11 della direttiva 92/85, nonché il diritto, come
quello di cui all’articolo 15 della direttiva 2006/54, di riprendere il proprio
lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non siano meno
favorevoli e di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di
lavoro che sarebbero spettati alla lavoratrice durante la sua assenza.
66 Spetta
al giudice del rinvio verificare se il congedo previsto all’articolo 46 del
contratto collettivo soddisfi i requisiti che consentono di ritenere che esso
sia diretto a tutelare le lavoratrici con riguardo tanto alle conseguenze della
gravidanza quanto alla loro condizione di maternità.
67 Come
rilevato al punto 29 della presente sentenza, non spetta alla Corte
pronunciarsi, nell’ambito del presente procedimento, sulla compatibilità di
tale articolo del contratto collettivo con la direttiva 2006/54. Per contro,
spetta alla Corte fornire tutti gli elementi interpretativi di tale direttiva
per consentire al giudice del rinvio di valutare detta compatibilità.
68 Al
riguardo, in primo luogo, occorre rilevare che un congedo che interviene al
termine del congedo legale di maternità potrebbe essere considerato come parte
integrante di un congedo di maternità di maggiore durata e più favorevole alle
lavoratrici rispetto alla durata legale.
69 Tuttavia,
va ricordato che, alla luce della giurisprudenza citata al punto 54 della
presente sentenza, la possibilità di istituire un congedo riservato alle madri
dopo il termine del congedo legale di maternità è subordinata alla condizione
che il medesimo riguardi la protezione delle donne. Di conseguenza, il solo
fatto che un congedo segua immediatamente il congedo legale di maternità non è
sufficiente per ritenere che esso possa essere riservato alle lavoratrici che
si prendono cura in prima persona del proprio figlio.
70 In
secondo luogo, il titolo del capitolo del contratto collettivo in cui rientra
la disposizione che prevede siffatto congedo supplementare non costituisce un
elemento rilevante al fine di esaminare la conformità di tale disposizione al
diritto dell’Unione. Infatti, il giudice del rinvio deve verificare, in
concreto, se il congedo previsto sia diretto, sostanzialmente, a tutelare la
madre con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza quanto alla sua
condizione di maternità.
71 In
terzo luogo, il governo francese invoca la sentenza del 30 aprile 1998,
Thibault (C‑136/95, EU:C:1998:178), in cui la Corte avrebbe riconosciuto
che l’articolo 46 del contratto collettivo costituiva un congedo di maternità.
72 Tuttavia,
il punto 12 di tale sentenza, cui fa riferimento il governo francese, non
concerne il ragionamento giuridico e l’interpretazione della Corte, bensì,
unicamente, i fatti quali risultano dalla domanda di pronuncia pregiudiziale
nella causa che ha dato luogo a detta sentenza.
73 In
quarto luogo, va rilevato che la durata del congedo di cui all’articolo 46 del
contratto collettivo può essere molto variabile, da un mese e mezzo fino a due
anni e tre mesi. Pertanto, tale durata può essere notevolmente superiore a
quella del congedo legale di maternità, di sedici settimane, previsto
all’articolo L. 1225‑17 del codice del lavoro, cui fa riferimento
l’articolo 45 del contratto collettivo. Inoltre, qualora si fruisca del congedo
per una durata di uno o di due anni, esso è «senza retribuzione», il che non
sembra garantire il mantenimento di una retribuzione e/o il beneficio di una
prestazione adeguata per la lavoratrice, condizione richiesta all’articolo 11,
punto 2, della direttiva 92/85 per il congedo di maternità.
74 Tenuto
conto di tutte le considerazioni che precedono, si deve rispondere alla
questione sollevata dichiarando che gli articoli 14 e 28 della direttiva
2006/54, letti alla luce della direttiva 92/85, devono essere interpretati nel
senso che essi non ostano alla disposizione di un contratto collettivo
nazionale che riserva alle lavoratrici che si prendono cura in prima persona
dei propri figli il diritto ad un congedo dopo la scadenza del congedo legale
di maternità, a condizione che tale congedo supplementare sia diretto a
tutelare le lavoratrici con riguardo tanto alle conseguenze della gravidanza
quanto alla loro condizione di maternità, circostanza che spetta al giudice del
rinvio verificare prendendo in considerazione, in particolare, le condizioni di
concessione di detto congedo, le modalità e la durata del medesimo nonché il
livello di protezione giuridica ad esso connesso.
Sulle
spese
75 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice del rinvio, cui spetta quindi
statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare
osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per
questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara:
Gli
articoli 14 e 28 della direttiva 2006/54/CE del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 5 luglio 2006, riguardante l’attuazione del principio delle pari
opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di
occupazione e impiego, letti alla luce della direttiva 92/85/CEE del Consiglio,
del 19 ottobre 1992, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici
gestanti, puerpere o in periodo di allattamento (decima direttiva particolare
ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1 della direttiva 89/391/CEE), devono
essere interpretati nel senso che essi non ostano alla disposizione di un
contratto collettivo nazionale che riserva alle lavoratrici che si prendono
cura in prima persona del proprio figlio il diritto ad un congedo dopo la
scadenza del congedo legale di maternità, a condizione che tale congedo
supplementare sia diretto a tutelare le lavoratrici con riguardo tanto alle
conseguenze della gravidanza quanto alla loro condizione di maternità,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare prendendo in
considerazione, in particolare, le condizioni di concessione di detto congedo,
le modalità e la durata del medesimo nonché il livello di protezione giuridica
ad esso connesso.
Firme
* Lingua processuale: il
francese.