SENTENZA DELLA CORTE (Grande
Sezione)
2
settembre 2021 (*)
«Rinvio
pregiudiziale – Direttiva 2011/98/UE – Diritti per i lavoratori di
paesi terzi titolari di un permesso unico – Articolo 12 – Diritto
alla parità di trattamento – Previdenza sociale – Regolamento (CE)
n. 883/2004 – Coordinamento dei sistemi previdenziali – Articolo
3 – Prestazioni di maternità e di paternità – Prestazioni
familiari – Normativa di uno Stato membro che esclude i cittadini di paesi
terzi titolari di un permesso unico dal beneficio di un assegno di natalità e
di un assegno di maternità»
Nella
causa C‑350/20,
avente
ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte costituzionale (Italia), con ordinanza
dell’8 luglio 2020, pervenuta in cancelleria il 30 luglio 2020, nel
procedimento
O.D.,
R.I.H.V.,
B.O.,
F.G.,
M.K.F.B.,
E.S.,
N.P,
S.E.A.,
contro
Istituto
nazionale della previdenza sociale (INPS),
con
l’intervento di:
Presidenza
del Consiglio dei Ministri,
LA CORTE
(Grande Sezione),
composta
da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Prechal,
M. Vilaras, E. Regan, A. Kumin e N. Wahl, presidenti di sezione, T. von Danwitz, C. Toader, M. Safjan, D. Šváby,
S. Rodin, L.S. Rossi, I. Jarukaitis
(relatore) e N. Jääskinen, giudici,
avvocato
generale: E. Tanchev
cancelliere:
A. Calot Escobar
vista la
fase scritta del procedimento,
considerate
le osservazioni presentate:
– per
O.D., R.I.H.V., B.O., F.G., M.K.F.B., E.S. e S.E.A., da A. Guariso,
L. Neri, R. Randellini, E. Fiorini e
M. Nappi, avvocati;
– per
N.P., da A. Andreoni e V. Angiolini, avvocati;
– per
l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), da M. Sferrazza e
V. Stumpo, avvocati;
– per
il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da
P. Gentili, avvocato dello Stato;
– per
la Commissione europea, da C. Cattabriga e D. Martin, in qualità di
agenti,
vista la
decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la
causa senza conclusioni,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 34
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la
«Carta»), dell’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e j), del regolamento (CE)
n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,
relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004,
L 166, pag. 1, e rettifica in GU 2004, L 200, pag. 1), e
dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica
di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di
paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un
insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano
regolarmente in uno Stato membro (GU 2011, L 343, pag. 1).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di controversie tra i sigg. O.D.,
R.I.H.V., B.O., F.G., M.K.F.B., E.S., N.P. e S.E.A., cittadini di paesi terzi,
titolari di un permesso unico, e l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale
(INPS) (Italia), relativamente al rifiuto di concedere a questi ultimi il
godimento di un assegno di natalità e di un assegno di maternità.
Contesto
normativo
Diritto
dell’Unione
Direttiva
2011/98
3 I
considerando 20, 24 e 31 della direttiva 2011/98 così recitano:
«20) Tutti i
cittadini di paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati
membri dovrebbero beneficiare quanto meno di uno stesso insieme comune di
diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro
ospitante, a prescindere dal fine iniziale o dal motivo dell’ammissione. Il
diritto alla parità di trattamento nei settori specificati dalla presente
direttiva dovrebbe essere riconosciuto non solo ai cittadini di paesi terzi che
sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi, ma anche a coloro che
sono stati ammessi per altri motivi e che hanno ottenuto l’accesso al mercato
del lavoro di quello Stato membro in conformità di altre disposizioni del
diritto dell’Unione o nazionale, compresi i familiari di un lavoratore di un
paese terzo che sono ammessi nello Stato membro in conformità della direttiva
2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al
ricongiungimento familiare [(GU 2003, L 251, pag. 12)], i cittadini
di paesi terzi che sono ammessi nel territorio di uno Stato membro in
conformità della direttiva 2004/114/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004,
relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di paesi terzi per motivi
di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato [(GU
2004, L 375, pag. 12)] e i ricercatori ammessi in conformità della
direttiva 2005/71/CE del Consiglio, del 12 ottobre 2005, relativa a una
procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di paesi terzi
a fini di ricerca scientifica [(GU 2005, L 289, pag. 15)].
(...)
24) I lavoratori
di paesi terzi dovrebbero beneficiare della parità di trattamento per quanto
riguarda la sicurezza sociale. I settori della sicurezza sociale sono definiti
dal [regolamento n. 883/2004]. Le disposizioni della presente direttiva
relative alla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale dovrebbero
applicarsi anche ai lavoratori ammessi in uno Stato membro direttamente da un
paese terzo. (...)
(...)
31) La presente
direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti
dalla [Carta] conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, TUE».
4 L’articolo
2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», dispone quanto segue:
«Ai fini
della presente direttiva, si intende per:
a) “cittadino
di un paese terzo” chi non è cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 20,
paragrafo 1, TFUE;
b) “lavoratore
di un paese terzo” un cittadino di un paese terzo, ammesso nel territorio di
uno Stato membro, che soggiorni regolarmente e sia autorizzato a lavorare in
tale Stato membro nel quadro di un rapporto di lavoro retribuito conformemente
al diritto o alla prassi nazionale;
c) “permesso
unico” un permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità di uno Stato membro
che consente a un cittadino di un paese terzo di soggiornare regolarmente nel
territorio di quello Stato membro a fini lavorativi;
(...)».
5 L’articolo
3 di tale direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», ai paragrafi 1 e 2,
così dispone:
«1. La
presente direttiva si applica:
(...)
b) ai cittadini
di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini diversi
dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale, ai quali
è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di soggiorno ai
sensi del regolamento (CE) n. 1030/2002 [del Consiglio, del 13 giugno
2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati
a cittadini di paesi terzi (GU 2002, L 157, pag. 1)]; e
c) ai cittadini
di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a
norma del diritto dell’Unione o nazionale.
2. La
presente direttiva non si applica ai cittadini di paesi terzi:
(...)
i) che sono
soggiornanti di lungo periodo ai sensi della direttiva 2003/109/CE [del
Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi
terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (GU 2004, L 16,
pag. 44)];
(...)».
6 Ai
sensi dell’articolo 12 della direttiva 2011/98, intitolato «Diritto alla parità
di trattamento»:
«1. I
lavoratori dei paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b e c),
beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro
in cui soggiornano per quanto concerne:
(...)
e) i settori
della sicurezza sociale definiti nel regolamento [n. 883/2004];
(...)
2. Gli
Stati membri possono limitare la parità di trattamento:
(...)
b) limitando i
diritti conferiti ai lavoratori di paesi terzi ai sensi del paragrafo 1,
lettera e), senza restringerli per i lavoratori di paesi terzi che svolgono o
hanno svolto un’attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono
registrati come disoccupati.
Inoltre, gli Stati
membri possono decidere che il paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i
sussidi familiari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati
autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non superiore
a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a scopo di
studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in forza di un
visto;
(...)».
7 L’articolo
16, paragrafo 1, di tale direttiva prevede quanto segue:
«Gli
Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 25
dicembre 2013. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali
disposizioni».
Regolamento
n. 883/2004
8 In
forza dell’articolo 1, lettera z), del regolamento n. 883/2004, ai fini di
tale regolamento, l’espressione «prestazione familiare» designa tutte le
prestazioni in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari,
ad esclusione degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali
di nascita o di adozione menzionati nell’allegato I a tale regolamento.
9 L’articolo
3, paragrafo 1, del suddetto regolamento dispone quanto segue:
«Il
presente regolamento si applica a tutte le legislazioni relative ai settori di
sicurezza sociale riguardanti:
(...)
b) le prestazioni
di maternità e di paternità assimilate;
(...)
j) le
prestazioni familiari».
10 L’allegato I
al regolamento n. 883/2004, intitolato «Anticipi sugli assegni alimentati,
assegni speciali di nascita o di adozione», contiene, nella sua parte II,
un elenco di assegni speciali di nascita e di adozione organizzato per Stato
membro. La Repubblica italiana non ha mai figurato in tale parte II
dell’allegato I.
Diritto
italiano
11 L’articolo
1, comma 125, della legge del 23 dicembre 2014, n. 190 – Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di
stabilità 2015) (Supplemento ordinario alla GURI n. 300, del 29 dicembre
2014) (in prosieguo: la «legge n. 190/2014»), istituisce
un assegno di natalità (in prosieguo: l’«assegno di natalità») per ogni figlio
nato o adottato, versato mensilmente, al fine di incentivare la natalità e di
«contribuire alle spese per il suo sostegno».
12 Tale
disposizione prevede che per ogni figlio nato o adottato tra il 1º gennaio
2015 e il 31 dicembre 2017 venga riconosciuto un assegno di importo pari a
EUR 960 annui, erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o di
adozione fino al compimento del terzo anno di età del figlio ovvero del terzo
anno del suo ingresso nel nucleo familiare a seguito della sua adozione. Detto
assegno viene erogato dall’INPS a condizione che il nucleo familiare di
appartenenza del genitore richiedente l’assegno sia in una condizione economica
corrispondente a un determinato valore minimo dell’indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE), stabilito ai sensi del regolamento di cui al
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 dicembre 2013,
n. 159 – Regolamento concernente la revisione delle modalità di
determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE) (GURI n. 19, del 24 gennaio 2014).
13 L’articolo
1, comma 248, della legge del 27 dicembre 2017, n. 205 – Bilancio di
previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per
il triennio 2018-2020 (Supplemento ordinario alla GURI n. 302, del 29
dicembre 2017), prevede che l’assegno di natalità sia corrisposto per ogni
figlio nato o adottato tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2018 per il
periodo di un anno fino al compimento del primo anno di età del figlio ovvero
del primo anno del suo ingresso nel nucleo familiare a seguito della sua
adozione.
14 L’articolo
23 quater, comma 1, del decreto-legge del 23 ottobre 2018,
n. 119 – Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria (GURI
n. 247, del 23 ottobre 2018), convertito, con modificazioni, dalla legge
del 17 dicembre 2018, n. 136 (GURI n. 293, del 18 dicembre 2018),
estende il beneficio dell’assegno di natalità a ogni figlio nato o adottato tra
il 1º gennaio e il 31 dicembre 2019 fino al compimento del primo anno di
età del figlio ovvero del primo anno del suo ingresso nel nucleo familiare a
seguito della sua adozione e prevede una maggiorazione del 20% per ogni figlio
successivo al primo.
15 L’articolo
1, comma 340, della legge del 27 dicembre 2019, n. 160 – Bilancio di
previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per
il triennio 2020-2022 (Supplemento ordinario alla GURI n. 304, del 30
dicembre 2019), ha ulteriormente esteso il beneficio dell’assegno di natalità a
ogni figlio nato o adottato tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2020 fino
al compimento del primo anno di età del figlio ovvero del primo anno del suo
ingresso nel nucleo familiare a seguito della sua adozione; il relativo importo
varia, tuttavia, a seconda della condizione economica del nucleo familiare,
come definita dall’indicatore menzionato al punto 12 della presente sentenza,
con una maggiorazione del 20% per ogni figlio successivo al primo.
16 Conformemente
all’articolo 1, comma 125, della legge n. 190/2014, sono ammessi al
beneficio di detto assegno i cittadini italiani, i cittadini di altri Stati
membri nonché i cittadini di paesi terzi che sono titolari di un permesso di
soggiorno di lunga durata di cui all’articolo 9 del decreto legislativo del 25
luglio 1998, n. 286 – Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (Supplemento
ordinario alla GURI n. 191, del 18 agosto 1998), che risiedono in Italia.
17 L’articolo
74 del decreto legislativo del 26 marzo 2001, n. 151 – Testo unico
delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità
e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000,
n. 53 (Supplemento ordinario alla GURI n. 96, del 26 aprile 2001),
concede il beneficio di un assegno di maternità (in prosieguo: l’«assegno di
maternità») per ogni figlio nato dal 1° gennaio 2001, o per ogni minore in
affidamento preadottivo o in adozione senza affidamento, alle donne residenti
in Italia, cittadine di tale Stato membro o di un altro Stato membro
dell’Unione o titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo
periodo. Tale assegno viene concesso alle donne che non beneficiano
dell’indennità di maternità connessa a rapporti di lavoro subordinato o
autonomo o allo svolgimento di una libera professione e a condizione che il
nucleo familiare non disponga di risorse superiori a un determinato importo
calcolato sulla base dell’indicatore della situazione economica (ISE), di cui
al decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 109 – Definizioni di
criteri unificati di valutazione della situazione economica dei soggetti che
richiedono prestazioni sociali agevolate, a norma dell’articolo 59, comma 51,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (GURI n. 90, del 18 aprile
1998).
18 Il
recepimento della direttiva 2011/98 nel diritto nazionale è avvenuto con il
decreto legislativo del 4 marzo 2014, n. 40 – Attuazione della
direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio
di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e
lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti
per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato
membro (GURI n. 68 del 22 marzo 2014), che ha istituito il «permesso unico
di lavoro».
Procedimento
principale e questione pregiudiziale
19 Alcuni
cittadini di paesi terzi, legalmente soggiornanti in Italia e titolari solo di
un permesso unico di lavoro previsto dal decreto legislativo n. 40/2014,
recante attuazione della direttiva 2011/98, si sono visti negare il beneficio
dell’assegno di natalità da parte dell’INPS con la motivazione che essi non
sono titolari dello status di soggiornanti di lungo periodo. I giudici di
merito, dinanzi ai quali essi hanno contestato tale rifiuto, hanno accolto le
loro richieste dando applicazione al principio della parità di trattamento, enunciato
all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98.
20 La
Corte suprema di cassazione (Italia), chiamata a pronunciarsi sulle
impugnazioni proposte avverso le decisioni di varie corti d’appello, ha
ritenuto che la suddetta disciplina dell’assegno di natalità violi diverse
disposizioni della Costituzione italiana, in combinato disposto con gli
articoli 20, 21, 24, 33 e 34 della Carta, e ha sottoposto alla Corte
costituzionale (Italia) alcune questioni di legittimità costituzionale
dell’articolo 1, comma 125, della legge n. 190/2014, nella parte in cui
quest’ultimo subordina il riconoscimento dell’assegno di natalità in favore di
cittadini di paesi terzi alla condizione che essi siano titolari dello status
di soggiornanti di lungo periodo.
21 Dinanzi
alla Corte costituzionale, gli attori nei precedenti gradi di giudizio
concludono per l’incostituzionalità della disposizione in questione e
sostengono che quest’ultima sarebbe anche contraria all’articolo 12 della
direttiva 2011/98. L’INPS, in quanto convenuto nei precedenti gradi di
giudizio, conclude invece per il rigetto delle questioni di legittimità
costituzionale facendo valere che l’assegno di natalità avrebbe natura
premiale – che esulerebbe dal settore previdenziale – non tendente al
soddisfacimento dei bisogni primari e indifferibili della persona. Esso
aggiunge che tale direttiva conferirebbe agli Stati membri il potere
discrezionale di escludere dal beneficio delle prestazioni in questione i
cittadini di paesi terzi che non sono titolari dello status di soggiornanti di
lungo periodo, tenuto conto dei limiti delle risorse finanziarie disponibili.
Il Presidente del Consiglio dei Ministri (Italia), dal
canto suo, in quanto interveniente nei precedenti gradi di giudizio, chiede che
le questioni di legittimità costituzionale siano respinte in quanto
inammissibili o, in subordine, manifestamente infondate. Esso sostiene che
l’assegno di natalità non sarebbe destinato a far fronte ai bisogni essenziali
della persona e che, anche per il diritto dell’Unione, solo lo status di
soggiornante di lungo periodo consentirebbe un’equiparazione tendenzialmente
piena del cittadino di paesi terzi al cittadino dell’Unione quanto alle
prestazioni sociali.
22 Per
le medesime ragioni di quelle relative all’assegno di natalità, la Corte
suprema di cassazione ha altresì investito il giudice del rinvio di una
questione di legittimità costituzionale quanto all’articolo 74 del decreto
legislativo del 26 marzo 2001, n. 151, relativo all’assegno di maternità.
Dinanzi al giudice del rinvio, gli attori nei precedenti gradi di giudizio
concludono per l’incostituzionalità di tale disposizione, mentre il Presidente
del Consiglio dei Ministri chiede che la questione di
legittimità costituzionale sia respinta in quanto inammissibile o, in
subordine, manifestamente infondata.
23 A
sostegno della sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio
spiega, in particolare, di essere competente a sindacare gli eventuali profili
di contrasto delle disposizioni nazionali con i diritti e i principi enunciati
dalla Carta. Esso afferma che, quando viene investito in via incidentale di una
questione di legittimità costituzionale riguardante tali diritti e principi,
esso non può esimersi dal verificare se la disposizione di cui trattasi violi, nel contempo, i diritti e i principi costituzionali nonché
quelli sanciti dalla Carta, atteso che le garanzie previste dalla Costituzione
italiana sono integrate da quelle sancite dalla Carta. In quanto giurisdizione
nazionale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, esso esperisce il rinvio
pregiudiziale dinanzi alla Corte ogniqualvolta ciò sia necessario per chiarire
il significato e gli effetti delle norme della Carta e può, all’esito di tale
valutazione, dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione
contestata, rimuovendo così la stessa dall’ordinamento giuridico nazionale con
effetti erga omnes.
24 Il
giudice del rinvio ritiene che i diritti e i principi costituzionali evocati
dalla Corte suprema di cassazione e quelli sanciti dalla Carta, arricchiti dal
diritto derivato, siano inscindibilmente connessi, tra loro complementari e
armonici, e che il divieto di discriminazioni arbitrarie e la tutela della
maternità e dell’infanzia, garantite dalla Costituzione italiana, debbano
essere interpretati alla luce delle indicazioni vincolanti fornite dal diritto
dell’Unione.
25 Richiamando
l’articolo 12 della direttiva 2011/98 e la giurisprudenza della Corte, il
giudice del rinvio afferma di dover esaminare il diritto alla parità di
trattamento quanto ai settori della previdenza sociale definiti dal regolamento
n. 883/2004 e precisa che, istituendo il regime di permesso unico, la
Repubblica italiana non si è avvalsa espressamente della facoltà di introdurre
le deroghe previste da tale direttiva. Esso ritiene necessario, prima di
pronunciarsi sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla
Corte suprema di cassazione, interrogare la Corte circa l’interpretazione delle
disposizioni del diritto dell’Unione che incidono sulla risposta da fornire a
tali questioni.
26 Esso
osserva, a tal proposito, che l’assegno di natalità, segnatamente a causa delle
significative modifiche che lo hanno riguardato nel corso degli ultimi anni,
presenta aspetti inediti rispetto alle prestazioni familiari già esaminate
dalla Corte. Al riguardo, esso rileva che, sebbene tale assegno sia collegato a
criteri obiettivi definiti ex lege e sia ascrivibile alla categoria delle
prestazioni previdenziali, esso rivela, cionondimeno, una pluralità di funzioni
che potrebbero renderne incerta la sua qualificazione come prestazione
familiare.
27 Da
un lato, l’assegno di natalità avrebbe la funzione di natura premiale di
incentivare la natalità, finalità questa confermata dall’evoluzione della
disciplina che ha configurato in termini universali la prestazione e ha
previsto una maggiorazione per i figli successivi al primo. Dall’altro lato,
l’articolo 1, comma 125, della legge n. 190/2014, nella sua formulazione
originaria, subordinando la concessione di tale assegno a un requisito di
reddito, sembrerebbe conferire rilievo alle condizioni di disagio della
famiglia beneficiaria. La finalità di detto assegno sarebbe quindi anche quella
di sostenere i nuclei familiari in condizioni economiche precarie e di
assicurare ai minori le cure essenziali. Detta finalità sarebbe confermata
dalle recenti modifiche normative che, pur configurando l’assegno di natalità
come provvidenza universale, ne modulano l’importo in ragione delle diverse
soglie di reddito e, dunque, del diverso grado di bisogno.
28 Inoltre,
il giudice del rinvio si chiede se l’assegno di maternità debba essere incluso
nelle prestazioni garantite dall’articolo 34 della Carta, alla luce del diritto
derivato che mira ad assicurare uno stesso insieme comune di diritti, basato
sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro ospitante, a
tutti i cittadini di paesi terzi che risiedono e lavorano legalmente in uno
Stato membro.
29 In
tale contesto, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il procedimento
e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se
l’articolo 34 della [Carta] debba essere interpretato nel senso che nel suo
àmbito di applicazione rientrino l’assegno di natalità e l’assegno di
maternità, in base all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e j), del
regolamento [n. 883/2004], richiamato dall’articolo 12, paragrafo 1,
lettera e), della direttiva [2011/98], e se, pertanto, il diritto dell’Unione
debba essere interpretato nel senso di non consentire una normativa nazionale
che non estende agli stranieri titolari del permesso unico di cui alla medesima
direttiva le provvidenze sopra citate, già concesse agli stranieri titolari di
permesso di soggiorno [dell’Unione] per soggiornanti di lungo periodo».
Procedimento
dinanzi alla Corte
30 Il
giudice del rinvio ha chiesto alla Corte di sottoporre la presente causa a
procedimento accelerato in applicazione dell’articolo 105, paragrafo 1, del
regolamento di procedura di quest’ultima.
31 A
sostegno della sua domanda, esso fa valere che la questione sollevata
nell’ambito del presente rinvio è ampiamente dibattuta dai giudici italiani,
circostanza questa che potrebbe dar luogo a numerosi rinvii pregiudiziali
dinanzi alla Corte. La portata del contenzioso relativo a tale questione ha
infatti dato origine ad incertezze circa l’interpretazione del diritto
dell’Unione tra, da un lato, l’amministrazione competente a concedere gli
assegni in questione e, dall’altro, i giudici italiani, in quanto unicamente
questi ultimi riconoscono effetto diretto all’articolo 12 della direttiva
2011/98.
32 Dall’articolo
105, paragrafo 1, del regolamento di procedura risulta che, su domanda del
giudice del rinvio o, in via eccezionale, d’ufficio, quando la natura della
causa richiede un suo rapido trattamento, il presidente della Corte, sentiti il
giudice relatore e l’avvocato generale, può decidere di sottoporre un rinvio
pregiudiziale a procedimento accelerato, in deroga alle disposizioni di detto
regolamento di procedura.
33 Nel
caso di specie, il 17 settembre 2020, il presidente della Corte, sentiti il
giudice relatore e l’avvocato generale, ha deciso di respingere la domanda del
giudice del rinvio di cui al punto 30 della presente sentenza, dal momento che
le condizioni per l’accoglimento di tale domanda – e in particolare la
sussistenza di circostanze eccezionali – non erano soddisfatte.
34 Infatti,
da un lato, da costante giurisprudenza della Corte si evince che il numero
rilevante di persone o di situazioni giuridiche potenzialmente interessate
dalla decisione che un giudice del rinvio deve adottare dopo aver adito la
Corte in via pregiudiziale non può, in quanto tale, costituire una circostanza
eccezionale tale da giustificare il ricorso a un procedimento accelerato
[sentenza dell’8 dicembre 2020, Staatsanwaltschaft
Wien (Ordini di bonifici falsificati), C‑584/19, EU:C:2020:1002, punto
36].
35 Dall’altro
lato, la Corte ha dichiarato che la necessità di uniformare la giurisprudenza
nazionale divergente, benché legittima, non può essere sufficiente, da sola, a
giustificare il ricorso a un procedimento accelerato (v., in tal senso, ordinanza
del presidente della Corte del 30 aprile 2018, Oro Efectivo,
C‑185/18, non pubblicata, EU:C:2018:298, punto 17).
36 In
conformità all’articolo 16, terzo comma, dello Statuto della Corte di giustizia
dell’Unione europea, la Repubblica italiana ha chiesto che la presente causa
sia giudicata dalla Grande Sezione.
Sulla
questione pregiudiziale
Sulla
ricevibilità della questione pregiudiziale nella parte relativa all’assegno di
maternità
37 La
Commissione esprime dubbi circa la ricevibilità della questione nella parte in
cui essa verte sull’assegno di maternità, dal momento che la Corte suprema di
cassazione ha precisato, dinanzi al giudice del rinvio – la Corte
costituzionale – che i fatti di cui al procedimento principale erano
anteriori al 25 dicembre 2013, data di scadenza del termine di recepimento
della direttiva 2011/98 di cui all’articolo 16, paragrafo 1, di quest’ultima.
Il governo italiano, da parte sua, nutre dubbi sul fatto che i ricorrenti nel
procedimento principale siano titolari di un permesso unico di lavoro,
rilevando che essi risultano titolari di un permesso di soggiorno a diverso
titolo. Esso osserva in particolare che tale assegno è riservato alle persone
che non possono essere qualificate come «lavoratori». Orbene, l’articolo 12, paragrafo
1, della direttiva 2011/98 è applicabile ai soli cittadini di paesi terzi che
hanno una siffatta qualità.
38 Al
riguardo, occorre rammentare che, nell’ambito della cooperazione tra la Corte e
i giudici nazionali instaurata dall’articolo 267 TFUE, spetta
esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e
che deve assumersi la responsabilità dell’emananda
decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze
della controversia, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere
in grado di emettere la propria sentenza, sia la rilevanza delle questioni che
esso sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate riguardano
l’interpretazione del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è
tenuta a statuire (sentenza del 13 novembre 2018, Čepelnik,
C‑33/17, EU:C:2018:896, punto 20).
39 Ne
consegue che le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione
proposte dal giudice nazionale nell’ambito del contesto di diritto e di fatto
che esso individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla
Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il
rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è
possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del
diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o
con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo
ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di
diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono
sottoposte (sentenza del 13 novembre 2018, Čepelnik,
C‑33/17, EU:C:2018:896, punto 21).
40 Nel
caso di specie, una direttiva non può, certamente, essere invocata dai privati
per fatti anteriori al suo recepimento al fine di veder disapplicate
disposizioni nazionali preesistenti che sarebbero contrarie a tale direttiva
(v., in tal senso, sentenze del 5 febbraio 2004, Rieser
Internationale Transporte,
C‑157/02, EU:C:2004:76, punti 67 e 68 nonché giurisprudenza ivi citata).
Occorre tuttavia rilevare che il giudice del rinvio non è il giudice chiamato a
pronunciarsi direttamente sulle controversie principali, bensì un giudice costituzionale
a cui è stata rimessa una questione di puro diritto – indipendente dai
fatti addotti dinanzi al giudice di merito – questione alla quale esso
deve rispondere alla luce sia delle norme di diritto nazionale che delle norme
del diritto dell’Unione al fine di fornire non solo al proprio giudice del
rinvio, ma anche all’insieme dei giudici italiani, una pronuncia dotata di
effetti erga omnes, vincolante tali giudici in ogni controversia pertinente di
cui potranno essere investiti. In tale contesto, l’interpretazione del diritto
dell’Unione richiesta dal giudice del rinvio presenta un rapporto con l’oggetto
della controversia di cui è investito, che riguarda esclusivamente la
legittimità costituzionale di disposizioni nazionali rispetto al diritto costituzionale
nazionale letto alla luce del diritto dell’Unione.
41 Inoltre,
la questione se l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98 si applichi
unicamente ai cittadini di paesi terzi aventi un titolo di soggiorno nello
Stato membro ospitante a fini lavorativi o se, invece, tale disposizione
comprenda anche i cittadini di paesi terzi aventi un titolo di soggiorno per
fini diversi dall’attività lavorativa e autorizzati a lavorare in tale Stato
membro attiene all’interpretazione di detta direttiva e, pertanto, al merito
della presente causa.
42 Ne
consegue che tale questione è ricevibile, anche nella parte in cui riguarda
l’assegno di maternità.
Nel
merito
43 Il
giudice del rinvio interroga la Corte sull’interpretazione dell’articolo 34
della Carta al fine di stabilire se l’assegno di natalità e l’assegno di
maternità rientrino nell’ambito di applicazione di quest’ultimo e se l’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 osti a una normativa
nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi, titolari di un permesso
unico, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), di tale direttiva, dal
beneficio di detti assegni.
44 Occorre
rilevare che, secondo l’articolo 34, paragrafo 1, della Carta, l’Unione
riconosce e rispetta il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza
sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione in casi quali la
maternità, la malattia, gli infortuni sul lavoro, la dipendenza o la vecchiaia,
oltre che in caso di perdita del posto di lavoro, secondo le modalità stabilite
dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali. Inoltre, secondo
l’articolo 34, paragrafo 2, della Carta, ogni persona che risieda o si sposti
legalmente all’interno dell’Unione ha diritto alle prestazioni di sicurezza
sociale e ai benefici sociali conformemente al diritto dell’Unione e alle
legislazioni e prassi nazionali.
45 Inoltre,
l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 – la
quale, come recita il suo considerando 31, rispetta i diritti fondamentali e
osserva i principi riconosciuti dalla Carta – prevede che i lavoratori dei
paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale
direttiva beneficino dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello
Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne i settori della sicurezza
sociale, definiti nel regolamento n. 883/2004.
46 Pertanto,
con tale rinvio al regolamento n. 883/2004, occorre constatare che
l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 dà espressione
concreta al diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale di cui
all’articolo 34, paragrafi 1 e 2, della Carta.
47 Orbene,
dalla giurisprudenza della Corte emerge che, quando adottano misure rientranti
nell’ambito di applicazione di una direttiva che concretizza un diritto
fondamentale previsto dalla Carta, gli Stati membri devono agire nel rispetto
di tale direttiva (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2014, Schmitzer, C‑530/13, EU:C:2014:2359, punto 23 e
giurisprudenza ivi citata). Ne consegue che occorre esaminare la questione
sollevata alla luce della direttiva 2011/98. L’ambito di applicazione
dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva in questione è
determinato dal regolamento n. 883/2004.
48 Occorre
altresì constatare che l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/98 si
applica sia ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato
membro a fini lavorativi a norma del diritto dell’Unione o nazionale, sia ai
cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini
diversi dall’attività lavorativa a norma del diritto dell’Unione o nazionale,
ai quali è consentito lavorare e che sono in possesso di un permesso di
soggiorno ai sensi del regolamento n. 1030/2002.
49 Come
emerge dal considerando 20 della suddetta direttiva, tale disposizione non si
limita a garantire la parità di trattamento ai titolari di un permesso unico di
lavoro, ma si applica anche ai titolari di un permesso di soggiorno per fini
diversi dall’attività lavorativa che sono autorizzati a lavorare nello Stato
membro ospitante.
50 In
tale contesto, si deve ritenere che, con la sua questione, il giudice del
rinvio chieda, in sostanza, se l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della
direttiva 2011/98 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una
normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo
3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio di un assegno
di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta normativa.
51 Tenuto
conto del fatto che, come esposto al punto 45 della presente sentenza e come si
evince dal considerando 24 della direttiva 2011/98, per poter beneficiare della
parità di trattamento prevista dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), di
detta direttiva, è necessario che le prestazioni di cui trattasi rientrino nei settori
della sicurezza sociale definiti nel regolamento n. 883/2004, occorre, per
rispondere alla suddetta questione, esaminare se l’assegno di natalità e
l’assegno di maternità costituiscano prestazioni rientranti nei settori della
sicurezza sociale elencati all’articolo 3, paragrafo 1, di tale regolamento.
52 Al
riguardo, occorre ricordare che, secondo costante giurisprudenza della Corte,
la distinzione tra le prestazioni che rientrano nell’ambito di applicazione del
regolamento n. 883/2004 e quelle che ne sono escluse è basata
essenzialmente sugli elementi costitutivi di ciascuna prestazione, in
particolare sulle sue finalità e sui presupposti per la sua concessione, e non
sul fatto che una prestazione sia qualificata o meno come previdenziale da una normativa
nazionale [sentenze del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16,
EU:C:2017:485, punto 20 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 2 aprile 2020, Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del coniuge di un lavoratore
frontaliero), C‑802/18, EU:C:2020:269, punto 35 e giurisprudenza ivi
citata].
53 La
Corte ha più volte dichiarato che una prestazione può essere considerata
prestazione previdenziale se, da un lato, è attribuita ai beneficiari,
prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle loro
esigenze personali, in base ad una situazione definita ex lege e se,
dall’altro, si riferisce ad uno dei rischi espressamente elencati all’articolo
3, paragrafo 1, del regolamento n. 883/2004 [sentenze del 21 giugno 2017,
Martinez Silva, C‑449/16, EU:C:2017:485, punto 20 e giurisprudenza ivi
citata, nonché del 2 aprile 2020, Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del
coniuge di un lavoratore frontaliero), C‑802/18, EU:C:2020:269, punto 36
e giurisprudenza ivi citata].
54 Orbene,
per quanto riguarda la prima condizione di cui al punto precedente, la Corte ha
dichiarato che prestazioni attribuite automaticamente alle famiglie che
rispondono a determinati criteri obiettivi riguardanti in particolare le loro
dimensioni, il loro reddito e le loro risorse di capitale, prescindendo da ogni
valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali, e destinate a
compensare gli oneri familiari, devono essere considerate prestazioni
previdenziali [sentenze del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16,
EU:C:2017:485, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 2 aprile 2020, Caisse pour l’avenir des enfants (Figlio del coniuge di un lavoratore
frontaliero), C‑802/18, EU:C:2020:269, punto 37].
55 Inoltre,
occorre ricordare che, per quanto concerne la suddetta condizione, la Corte ha
dichiarato, riguardo a prestazioni che siano accordate o negate o il cui
importo sia calcolato tenendo conto dei redditi del beneficiario, che la
concessione di prestazioni di tal genere non dipende dalla valutazione
individuale delle esigenze personali del richiedente, trattandosi di un
criterio oggettivo e legalmente definito che determina l’insorgere del diritto
a tale prestazione senza che l’autorità competente possa tenere conto di altre
circostanze personali (sentenza del 12 marzo 2020, Caisse
d’assurance retraite et de
la santé au travail d’Alsace-Moselle, C‑769/18, EU:C:2020:203, punto 28
nonché giurisprudenza ivi citata).
56 La
Corte ha altresì precisato che, affinché si possa escludere la sussistenza di
detta condizione, occorre che la discrezionalità della valutazione, da parte
dell’autorità competente, delle esigenze personali del beneficiario di una
prestazione si riferisca anzitutto al sorgere del diritto alla prestazione
stessa. Dette considerazioni valgono, mutatis mutandis, per quanto concerne il carattere individuale
della valutazione, da parte dell’autorità competente, delle esigenze personali
del beneficiario di una prestazione (sentenza del 12 marzo 2020, Caisse d’assurance retraite et de la santé au travail d’Alsace-Moselle, C‑769/18,
EU:C:2020:203, punto 29 nonché giurisprudenza ivi citata).
57 Quanto
alla questione se una data prestazione rientri tra le prestazioni familiari di
cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004,
si deve constatare che, ai sensi dell’articolo 1, lettera z), del medesimo
regolamento, l’espressione «prestazione familiare» indica tutte le prestazioni
in natura o in denaro destinate a compensare i carichi familiari, ad esclusione
degli anticipi sugli assegni alimentari e degli assegni speciali di nascita o
di adozione menzionati nell’allegato I a tale regolamento. La Corte ha
statuito che l’espressione «compensare i carichi familiari» deve essere
interpretata nel senso che essa fa riferimento, in particolare, a un contributo
pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli oneri derivanti dal
mantenimento dei figli [sentenza del 2 aprile 2020, Caisse
pour l’avenir des enfants
(Figlio del coniuge di un lavoratore frontaliero), C‑802/18,
EU:C:2020:269, punto 38 e giurisprudenza ivi citata].
58 Nel
caso di specie, per quanto riguarda l’assegno di natalità, dagli elementi
forniti dal giudice del rinvio ed esposti ai punti da 11 a 16 nonché ai punti
26 e 27 della presente sentenza risulta, da un lato, che esso è concesso per
ogni figlio nato o adottato i cui genitori risiedono in Italia e hanno la
cittadinanza italiana o sono cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea
o, ancora, hanno lo status di soggiornante di lungo periodo. Inizialmente
concesso ai nuclei familiari le cui risorse non superavano un determinato tetto
massimo fissato dalla legge, tale assegno è stato successivamente esteso a
tutti i nuclei familiari senza la condizione della disponibilità di risorse; il
suo importo varia a seconda delle risorse del nucleo familiare, con una
maggiorazione del 20% per ogni figlio successivo al primo. Risulta quindi che
tale prestazione è concessa automaticamente ai nuclei familiari che rispondono
a determinati criteri oggettivi definiti ex lege, prescindendo da ogni
valutazione individuale e discrezionale delle esigenze personali del
richiedente. In particolare, dall’ordinanza di rinvio risulta che,
inizialmente, la concessione dell’assegno di nascita era concessa o negata
tenendo conto delle risorse del nucleo di appartenenza del genitore richiedente
sulla base di un criterio oggettivo definito per legge, ossia l’indicatore
della situazione economica equivalente, senza che l’autorità competente potesse
tener conto di altre circostanze personali. Successivamente, l’assegno di
natalità è stato concesso indipendentemente dal livello di reddito del nucleo
familiare, con la precisazione, tuttavia, che l’importo effettivo di
quest’ultimo è calcolato, in sostanza, sulla base di tale indicatore.
59 Dall’altro
lato, l’assegno di natalità consiste in una somma di denaro versata mensilmente
dall’INPS ai suoi beneficiari e mira segnatamente a contribuire alle spese
derivanti dalla nascita o dall’adozione di un figlio. Si tratta, di
conseguenza, di una prestazione in denaro destinata in particolare, mediante un
contributo pubblico al bilancio familiare, ad alleviare gli oneri derivanti dal
mantenimento di un figlio appena nato o adottato, ai sensi della giurisprudenza
richiamata al punto 57 della presente sentenza. Inoltre, poiché, come
menzionato al punto 10 della presente sentenza, la Repubblica italiana non ha
mai figurato nella parte II dell’allegato I al regolamento
n. 883/2004, dedicata agli assegni speciali di nascita e di adozione,
l’assegno di natalità di cui trattasi nel procedimento principale non rientra
nell’ambito di applicazione di tale allegato e non può, di conseguenza, alla
luce di detto allegato, essere escluso dalla nozione di «prestazioni
familiari», ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 57 della presente
sentenza.
60 Ne
consegue che l’assegno di natalità costituisce una prestazione familiare, ai
sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento
n. 883/2004. Poco importa, al riguardo, che tale assegno abbia una duplice
funzione, ossia, come affermato dal giudice del rinvio, sia la funzione di
contributo alle spese derivanti dalla nascita o dall’adozione di un figlio che
quella di natura premiale diretta ad incentivare la natalità, posto che una di
tali funzioni si riferisce al settore previdenziale di cui a tale disposizione
(v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 1992, Hughes, C‑78/91,
EU:C:1992:331, punti 19 e 20, nonché del 15 marzo 2001, Offermanns,
C‑85/99, EU:C:2001:166, punto 45).
61 Quanto
all’assegno di maternità, dagli elementi forniti dal giudice del rinvio ed
esposti al punto 17 della presente sentenza risulta che esso è concesso per
ogni figlio nato o adottato, o per ogni minore in affidamento preadottivo, alle
donne residenti in Italia, cittadine della Repubblica italiana o di un altro
Stato membro o che siano titolari dello status di soggiornante di lungo
periodo, a condizione che esse non beneficino di un’indennità di maternità
connessa a rapporti di lavoro subordinato o autonomo o allo svolgimento di una
libera professione e che le risorse del nucleo familiare di appartenenza della
madre non siano superiori a un determinato importo.
62 Risulta
quindi, da un lato, che l’assegno di maternità è concesso automaticamente alle
madri che rispondono a determinati criteri obiettivi definiti ex lege,
prescindendo da ogni valutazione individuale e discrezionale delle esigenze
personali dell’interessata. In particolare, l’assegno di maternità è concesso o
negato tenendo conto, oltre che dell’assenza di un’indennità di maternità
connessa a un rapporto di lavoro o allo svolgimento di una libera professione,
delle risorse del nucleo di appartenenza della madre sulla base di un criterio
obiettivo e definito ex lege, vale a dire l’indicatore della condizione
economica, senza che l’autorità competente possa tener conto di altre
circostanze personali. Dall’altro lato, esso si riferisce al settore della
sicurezza sociale di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del
regolamento n. 883/2004.
63 Ne
consegue che l’assegno di natalità e l’assegno di maternità rientrano nei
settori della sicurezza sociale per i quali i cittadini di paesi terzi di cui
all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva 2011/98 beneficiano
del diritto alla parità di trattamento di cui all’articolo 12, paragrafo 1,
lettera e), di tale direttiva.
64 Occorre
inoltre rilevare che, come indicato dal giudice del rinvio, la Repubblica
italiana non si è avvalsa della facoltà offerta agli Stati membri di limitare
la parità di trattamento come previsto all’articolo 12, paragrafo 2, lettera
b), della direttiva 2011/98.
65 Pertanto,
occorre giudicare che una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi
terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva
2011/98 dal beneficio di un assegno di natalità e di un assegno di maternità
non è conforme all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), di tale direttiva.
66 Alla
luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla
questione sollevata dichiarando che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e),
della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel senso che esso osta a una
normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui all’articolo
3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio di un assegno
di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta normativa.
Sulle
spese
67 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per
questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di
domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi
terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un
insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano
regolarmente in uno Stato membro, deve essere interpretato nel senso che esso
osta a una normativa nazionale che esclude i cittadini di paesi terzi di cui
all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva dal beneficio
di un assegno di natalità e di un assegno di maternità previsti da detta
normativa.
Lenaerts |
Silva de Lapuerta |
Prechal |
Vilaras |
Regan |
Kumin |
Wahl |
von Danwitz |
Toader |
Safjan |
Šváby |
Rodin |
Rossi |
Jarukaitis |
Jääskinen |
Così
deciso e pronunciato a Lussemburgo il 2 settembre 2021.
Il
cancelliere |
|
Il presidente |
A. Calot Escobar |
|
K. Lenaerts |
* Lingua processuale:
l’italiano.