SENTENZA DELLA CORTE (Quinta
Sezione)
25
novembre 2020 (*)
«Rinvio
pregiudiziale – Direttiva 2011/98/UE – Diritti dei lavoratori di
paesi terzi titolari di un permesso unico – Articolo 12 – Diritto
alla parità di trattamento – Sicurezza sociale – Normativa di uno
Stato membro che esclude, per la determinazione dei diritti a una prestazione
familiare, i familiari del titolare di un permesso unico che non risiedono nel
territorio di tale Stato membro»
Nella
causa C‑302/19,
avente
ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte suprema di cassazione (Italia), con
ordinanza del 5 febbraio 2019, pervenuta in cancelleria l’11 aprile 2019, nel
procedimento
Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale (INPS)
contro
WS,
LA CORTE
(Quinta Sezione),
composta
da E. Regan, presidente di sezione, M. Ilešič,
E. Juhász, C. Lycourgos
e I. Jarukaitis (relatore), giudici,
avvocato
generale: E. Tanchev
cancelliere:
M. Krausenböck, amministratrice
vista la
fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 27 febbraio 2020,
considerate
le osservazioni presentate:
– per
l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), da A. Coretti,
V. Stumpo e M. Sferrazza, avvocati;
– per
WS, da A. Guariso e L. Neri, avvocati;
– per
il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da D. Del Gaizo, P. Gentili e A. Giordano, avvocati dello
Stato;
– per
la Commissione europea, da C. Cattabriga, A. Azéma
e B.-R. Killmann, in qualità di agenti,
sentite
le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’11 giugno
2020,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di domanda
per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi
di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme
comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente
in uno Stato membro (GU 2011, L 343, pag. 1).
2 Tale
domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra l’INPS (Istituto
Nazionale della Previdenza Sociale, Italia) e WS in merito al rigetto di una
domanda di assegno familiare per periodi durante i quali la moglie e i figli
dell’interessato hanno risieduto nel loro paese terzo di origine.
Contesto
normativo
Diritto
dell’Unione
3 I
considerando 2, 19, 20, 24 e 26 della direttiva 2011/98 enunciano quanto segue:
«(2) Il Consiglio
europeo ha riconosciuto, nella riunione speciale svoltasi a Tampere il 15 e 16
ottobre 1999, la necessità di armonizzare le normative nazionali relative alle
condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di paesi terzi. In questo
contesto ha affermato, in particolare, che l’Unione europea dovrebbe garantire
l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano regolarmente
nel territorio degli Stati membri e che una politica di integrazione più
incisiva dovrebbe mirare a garantire loro diritti e obblighi analoghi a quelli
dei cittadini dell’Unione. Conseguentemente, il Consiglio europeo ha chiesto al
Consiglio di adottare strumenti giuridici sulla base di proposte della
Commissione. La necessità di raggiungere gli obiettivi definiti a Tampere è
stata ribadita dal programma di Stoccolma adottato dal Consiglio europeo del 10
e 11 dicembre 2009.
(...)
(19) In mancanza
di una normativa orizzontale a livello di Unione, i cittadini dei paesi terzi
hanno diritti diversi a seconda dello Stato membro in cui lavorano e della loro
cittadinanza. Al fine di sviluppare ulteriormente una politica di immigrazione
coerente, di ridurre la disparità di diritti tra i cittadini dell’Unione e i
cittadini di paesi terzi che lavorano regolarmente in uno Stato membro e di
integrare l’acquis esistente in materia di immigrazione, è opportuno definire
un insieme di diritti al fine, in particolare, di specificare i settori in cui
è garantita la parità di trattamento tra i cittadini di uno Stato membro e i
cittadini di paesi terzi che non beneficiano ancora dello status di
soggiornanti di lungo periodo. Tali disposizioni mirano a creare condizioni di
concorrenza uniformi minime nell’Unione, a riconoscere che tali cittadini di
paesi terzi contribuiscono all’economia dell’Unione con il loro lavoro e i loro
versamenti di imposte e a fungere da garanzia per ridurre la concorrenza sleale
tra i cittadini di uno Stato membro e i cittadini di paesi terzi derivante
dall’eventuale sfruttamento di questi ultimi. Ai fini della presente direttiva
un lavoratore di un paese terzo dovrebbe essere definito, fatta salva
l’interpretazione del concetto di rapporto di lavoro in altre disposizioni del
diritto dell’Unione, come un cittadino di un paese terzo che è stato ammesso
nel territorio di uno Stato membro, che vi soggiorna regolarmente e a cui è ivi
consentito lavorare conformemente al diritto o alla prassi nazionale nel
contesto di un rapporto di lavoro retribuito.
(20) Tutti i
cittadini di paesi terzi che soggiornano e lavorano regolarmente negli Stati
membri dovrebbero beneficiare quanto meno di uno stesso insieme comune di
diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro
ospitante, a prescindere dal fine iniziale o dal motivo dell’ammissione. Il
diritto alla parità di trattamento nei settori specificati dalla presente
direttiva dovrebbe essere riconosciuto non solo ai cittadini di paesi terzi che
sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi, ma anche a coloro che
sono stati ammessi per altri motivi e che hanno ottenuto l’accesso al mercato
del lavoro di quello Stato membro in conformità di altre disposizioni del
diritto dell’Unione o nazionale, compresi i familiari di un lavoratore di un
paese terzo che sono ammessi nello Stato membro in conformità della direttiva
2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al
ricongiungimento familiare [(GU 2003, L 251, pag. 12)] (…).
(…)
(24) I
lavoratori di paesi terzi dovrebbero beneficiare della parità di trattamento
per quanto riguarda la sicurezza sociale. I settori della sicurezza sociale
sono definiti dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e
del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di
sicurezza sociale [(GU 2004, L 166, pag. 1, e rettifica GU 2004,
L 200, pag. 1)]. Le disposizioni della presente direttiva relative
alla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale dovrebbero
applicarsi anche ai lavoratori ammessi in uno Stato membro direttamente da un
paese terzo. La presente direttiva, tuttavia, non dovrebbe conferire ai
lavoratori di paesi terzi diritti maggiori di quelli che il diritto vigente
dell’Unione già prevede in materia di sicurezza sociale per i cittadini di
paesi terzi che si trovano in situazioni transfrontaliere. La presente
direttiva non dovrebbe neppure conferire diritti in relazione a situazioni che
esulano dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, ad esempio in
relazione a familiari soggiornanti in un paese terzo. La presente direttiva
dovrebbe conferire diritti soltanto in relazione ai familiari che raggiungono
lavoratori di un paese terzo per soggiornare in uno Stato membro sulla base del
ricongiungimento familiare ovvero ai familiari che già soggiornano regolarmente
in tale Stato membro.
(…)
(26) Il diritto
dell’Unione non limita la facoltà degli Stati membri di organizzare i
rispettivi regimi di sicurezza sociale. In mancanza di armonizzazione a livello
di Unione, spetta a ciascuno Stato membro stabilire le condizioni per la
concessione delle prestazioni di sicurezza sociale nonché l’importo di tali
prestazioni e il periodo durante il quale sono concesse. Tuttavia,
nell’esercitare tale facoltà, gli Stati membri dovrebbero conformarsi al
diritto dell’Unione».
4 L’articolo
1 della direttiva 2011/98, intitolato «Oggetto», è così formulato:
«1. La
presente direttiva stabilisce:
(…)
b) un insieme
comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente
in uno Stato membro, a prescindere dalle finalità dell’ingresso iniziale nel
territorio dello Stato membro in questione, sulla base della parità di
trattamento rispetto ai cittadini di quello Stato membro.
(...)».
5 L’articolo
2 di tale direttiva, intitolato «Definizioni», enuncia:
«Ai fini
della presente direttiva, si intende per:
a) “cittadino
di un paese terzo” chi non è cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 20,
paragrafo 1, TFUE;
b) “lavoratore
di un paese terzo” un cittadino di un paese terzo, ammesso nel territorio di
uno Stato membro, che soggiorni regolarmente e sia autorizzato a lavorare in
tale Stato membro nel quadro di un rapporto di lavoro retribuito conformemente
al diritto o alla prassi nazionale;
c) “permesso
unico” un permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità di uno Stato membro
che consente a un cittadino di un paese terzo di soggiornare regolarmente nel
territorio di quello Stato membro a fini lavorativi;
(...)».
6 L’articolo
3 di tale direttiva, intitolato «Ambito di applicazione», prevede, al paragrafo
1, quanto segue:
«La
presente direttiva si applica:
(…)
c) ai cittadini
di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a
norma del diritto dell’Unione o nazionale».
7 Ai
sensi dell’articolo 12 della medesima direttiva, intitolato «Diritto alla
parità di trattamento»:
«1. I
lavoratori dei paesi terzi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettere b e c),
beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato membro
in cui soggiornano per quanto concerne:
(…)
e) i settori
della sicurezza sociale definiti nel regolamento [n. 883/2004];
(…)
2. Gli
Stati membri possono limitare la parità di trattamento:
(…)
b) limitando
diritti conferiti ai lavoratori di paesi terzi ai sensi del paragrafo 1,
lettera e), senza restringerli per i lavoratori di paesi terzi che svolgono o
hanno svolto un’attività lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono
registrati come disoccupati.
Inoltre, gli Stati
membri possono decidere che il paragrafo 1, lettera e), per quanto concerne i
sussidi familiari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati
autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non
superiore a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a
scopo di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito lavorare in
forza di un visto;
c) in ordine al
paragrafo 1, lettera f), per quanto concerne le agevolazioni fiscali, limitando
l’applicazione ai casi in cui i familiari del lavoratore di un paese terzo per
i quali si chiedono le agevolazioni abbiano il domicilio o la residenza
abituale nel territorio dello Stato membro interessato;
(…)».
8 L’articolo
3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento n. 883/2004, come modificato
dal regolamento (CE) n. 988/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio,
del 16 settembre 2009 (GU 2009, L 284, pag. 43) (in
prosieguo: il «regolamento n. 883/2004), prevede che quest’ultimo
si applichi a tutte le legislazioni relative alle prestazioni familiari. Lo
stesso regolamento non si applica, invece, secondo il disposto del suo articolo
3, paragrafo 5, lettera a), all’assistenza sociale e medica.
Diritto
italiano
9 Dall’ordinanza
di rinvio risulta che il decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 – Norme
in materia previdenziale, per il miglioramento delle gestioni degli enti
portuali ed altre disposizioni urgenti (GURI n. 61 del 14 marzo 1988),
convertito dalla legge 13 maggio 1988, n. 153 (GURI n. 112 del 14
maggio 1988) (in prosieguo: la «legge n. 153/1988»), ha istituito
l’assegno per il nucleo familiare, di importo commisurato al numero di figli
minori di 18 anni e al reddito del nucleo familiare stesso (in prosieguo:
l’«assegno per il nucleo familiare»).
10 L’articolo
2, comma 6, della legge n. 153/1988 dispone:
«Il
nucleo familiare è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente
ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati, (…), di età inferiore a
18 anni compiuti ovvero, senza limite di età, qualora si trovino, a causa di
infermità o difetto fisico o mentale, nell’assoluta e permanente impossibilità
di dedicarsi ad un proficuo lavoro. Del nucleo familiare possono far parte,
alle stesse condizioni previste per i figli ed equiparati, anche i fratelli, le
sorelle ed i nipoti di età inferiore a 18 anni compiuti ovvero senza limiti di
età, qualora si trovino, a causa di infermità o di difetto fisico o mentale,
nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro,
nel caso in cui essi siano orfani di entrambi i genitori e non abbiano
conseguito il diritto a pensione ai superstiti».
11 Conformemente
all’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988, non fanno parte
del nucleo familiare di cui a tale legge il coniuge ed i figli ed equiparati di
cittadino straniero che non abbiano la residenza nel territorio della
Repubblica italiana, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia
riservato un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani
ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti
di famiglia.
12 Il
recepimento della direttiva 2011/98 nel diritto nazionale è avvenuto con il
decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 40 – Attuazione della direttiva
2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un
permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e
lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti
per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato
membro (GURI n. 68 del 22 marzo 2014) (in prosieguo: il «decreto
legislativo n. 40/2014»), che ha istituito il «permesso unico di lavoro».
Procedimento
principale e questione pregiudiziale
13 WS
è un cittadino di paese terzo titolare, dal 9 dicembre 2011, di un permesso di
soggiorno per lavoro subordinato e, dal 28 dicembre 2015, di un permesso unico
di lavoro ai sensi del decreto legislativo n. 40/2014. Nei periodi da
gennaio a giugno 2014 e da luglio 2014 a giugno 2016, sua moglie e i suoi due
bambini hanno risieduto nel loro paese d’origine, lo Sri Lanka.
14 Poiché
l’INPS ha rifiutato, sul fondamento dell’articolo 2, comma 6 bis, della
legge n. 153/1988, di versargli l’assegno per il nucleo familiare
relativamente a tali periodi, WS ha proposto ricorso dinanzi al Tribunale del
lavoro di Alessandria (Italia), dinanzi al quale ha dedotto una violazione
dell’articolo 12 della direttiva 2011/98 e il carattere discriminatorio di tale
diniego. Il Tribunale adito ha respinto il ricorso.
15 WS
ha impugnato la decisione di rigetto di detto giudice dinanzi alla Corte
d’appello di Torino (Italia), la quale ha accolto tale appello considerando che
l’articolo 12 della direttiva 2011/98 non fosse stato trasposto nel diritto
interno e che l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988 non
fosse compatibile con tale direttiva.
16 Avverso
tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio, la
Corte suprema di cassazione (Italia), sollevando un unico motivo, vertente
sulla falsa applicazione dell’articolo 12 della direttiva 2011/98 e del decreto
legislativo n. 40/2014.
17 Il
giudice del rinvio espone che la soluzione della controversia principale
dipende dall’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della
direttiva 2011/98 e dalla questione se tale disposizione implichi che i
familiari del cittadino di paese terzo titolare di un permesso unico e del
diritto all’erogazione dell’assegno per il nucleo familiare, di cui
all’articolo 2 della legge n. 153/1988, siano inclusi nel novero dei
familiari beneficiari di tale prestazione pur risiedendo fuori dal territorio
italiano.
18 Detto
giudice precisa, al riguardo, che il nucleo familiare individuato dall’articolo
2 della legge n. 153/1988 non solo è base di calcolo dell’assegno in
oggetto, ma ne è anche il beneficiario, per il tramite del titolare della
retribuzione o della pensione cui l’assegno accede. Quest’ultimo costituisce
un’integrazione economica di cui beneficiano, in particolare, tutti i
prestatori di lavoro che svolgono la loro attività sul territorio italiano, purché
abbiano un nucleo familiare che produce redditi non superiori ad una
determinata soglia. Per il periodo compreso tra il 1º luglio 2018 e il 30
giugno 2019, il suo importo, nella misura intera, era di EUR 137,50 al
mese per redditi annui fino a EUR 14 541,59. A corrisponderlo è il
datore di lavoro, contestualmente alla retribuzione.
19 Il
giudice del rinvio indica altresì che la Corte suprema di cassazione ha già
avuto modo di evidenziare, nella sua giurisprudenza, la duplice natura
dell’assegno per il nucleo familiare. Da un lato, tale assegno, raccordato al
reddito di qualsiasi natura del nucleo familiare e diretto a garantire un
reddito sufficiente alle famiglie che ne siano sprovviste, ha natura di
trattamento previdenziale. In coerenza con i criteri generali del sistema della
sicurezza sociale nel quale tale assegno si inserisce, la tutela per le
famiglie dei lavoratori in servizio si realizza mediante l’integrazione della
retribuzione rapportata al lavoro prestato. L’assegno, finanziato dai contributi
versati da tutti i datori di lavoro, cui si aggiunge il concorso integrativo
dello Stato, è anticipato dal datore di lavoro, che è autorizzato a porre a
conguaglio quanto versato con il proprio debito contributivo. Dall’altro lato,
tale assegno è una forma di assistenza sociale, in quanto il reddito preso a
parametro viene elevato, all’occorrenza, per comprendere soggetti colpiti da
infermità o difetti fisici o mentali ovvero minorenni che abbiano difficoltà
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età. Si
tratta, ad ogni modo, secondo il giudice del rinvio, di una misura che rientra
nell’ambito di applicazione dell’articolo 12, paragrafo l, lettera e), della
direttiva 2011/98.
20 Il
giudice del rinvio sottolinea che i componenti del nucleo familiare assumono un
rilievo essenziale nella struttura del trattamento dell’assegno e sono
considerati esserne i sostanziali beneficiari. Dalla circostanza, tuttavia, che
la legge individua i familiari componenti il nucleo familiare quali sostanziali
beneficiari di una prestazione economica che ha diritto di ricevere il titolare
della retribuzione a cui accede l’assegno, nasce il dubbio se l’articolo 12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 osti ad una disposizione come
l’articolo 2, comma 6 bis, della legge n. 153/1988. Il dubbio si
appunta in particolare sull’interpretazione di tale direttiva alla luce degli
obiettivi enunciati ai suoi considerando 20 e 24.
21 È
in tale contesto che la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se
l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 (…)
nonché il principio di parità di trattamento tra titolari di permesso unico di
soggiorno e di lavoro e cittadini nazionali, debbano essere interpretati nel
senso che ostano a una legislazione nazionale in base alla quale, al contrario
di quanto previsto per i cittadini dello Stato membro, nel computo degli
appartenenti al nucleo familiare, al fine del calcolo dell’assegno per il
nucleo familiare, vanno esclusi i familiari del lavoratore titolare del
permesso unico ed appartenente a Stato terzo, qualora gli stessi risiedano
presso il paese terzo d’origine».
Sulla
questione pregiudiziale
22 Con
la sua questione il giudice del rinvio domanda, in sostanza, se l’articolo 12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 debba essere interpretato nel
senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale,
ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza
sociale, non vengono presi in considerazione i familiari del titolare di un
permesso unico, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della medesima direttiva,
che risiedano non già nel territorio di tale Stato membro, bensì in un paese
terzo, mentre vengono presi in considerazione i familiari del cittadino di
detto Stato membro residenti in un paese terzo.
23 Occorre
ricordare che, come enuncia il considerando 26 della direttiva 2011/98, il diritto
dell’Unione non limita la facoltà degli Stati membri di organizzare i loro
regimi di sicurezza sociale. In mancanza di armonizzazione a livello di Unione,
spetta a ciascuno Stato membro stabilire le condizioni per la concessione delle
prestazioni di sicurezza sociale nonché l’importo di tali prestazioni e il
periodo per il quale sono concesse. Tuttavia, nell’esercitare tale facoltà, gli
Stati membri devono conformarsi al diritto dell’Unione (v., in tal senso,
sentenza del 5 ottobre 2010, Elchinov, C‑173/09,
EU:C:2010:581, punto 40).
24 L’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98, in combinato disposto con
l’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), della stessa, impone agli Stati membri
di far beneficiare della parità di trattamento, per quanto concerne i settori
della sicurezza sociale definiti nel regolamento n. 883/2004, i cittadini
di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi a
norma del diritto dell’Unione o nazionale. Ebbene, è questo il caso di un
cittadino di paese terzo, titolare di un permesso unico, ai sensi dell’articolo
2, lettera c), della direttiva 2001/98, dato che, in forza di detta
disposizione, il permesso unico consente a un tale cittadino di soggiornare
regolarmente a fini lavorativi nel territorio dello Stato membro che l’ha
rilasciato (v., in tal senso, sentenza del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16,
EU:C:2017:485, punto 27).
25 Tuttavia,
ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, lettera b), primo comma, della
direttiva 2011/98, gli Stati membri possono limitare i diritti conferiti
dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della medesima direttiva ai
lavoratori di paesi terzi, se questi non svolgono o hanno svolto un’attività
lavorativa per un periodo minimo di sei mesi e sono registrati come
disoccupati. Inoltre, conformemente al secondo comma del medesimo articolo 12,
paragrafo 2, lettera b), gli Stati membri possono decidere che l’articolo 12,
paragrafo 1, lettera e), della citata direttiva, per quanto concerne i sussidi
familiari, non si applichi ai cittadini di paesi terzi che sono stati
autorizzati a lavorare nel territorio di uno Stato membro per un periodo non
superiore a sei mesi, ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi a
soggiornarvi a scopo di studio o ai cittadini di paesi terzi cui è consentito
lavorare in forza di un visto (sentenza del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16,
EU:C:2017:485, punto 28).
26 Così,
analogamente alla direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003,
relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di
lungo periodo (GU 2004, L 16, pag. 44), la direttiva 2011/98 prevede,
in favore di taluni cittadini di paesi terzi, un diritto alla parità di
trattamento, che costituisce la regola generale, ed elenca le deroghe a tale
diritto che gli Stati membri hanno la facoltà di istituire, da interpretare
invece restrittivamente. Tali deroghe possono dunque essere invocate solo
qualora gli organi competenti nello Stato membro interessato per l’attuazione
di tale direttiva abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersi delle
stesse (sentenza del 21 giugno 2017, Martinez Silva, C‑449/16,
EU:C:2017:485, punto 29).
27 A
tal riguardo, si deve constatare che non risulta da alcuna delle deroghe ai
diritti conferiti dall’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva
2011/98, previste all’articolo 12, paragrafo 2, di quest’ultima, una
possibilità per gli Stati membri di escludere dal diritto alla parità di
trattamento il lavoratore titolare di un permesso unico i cui familiari
risiedono non già nel territorio dello Stato membro interessato, bensì in un
paese terzo. Al contrario, dalla chiara formulazione dello stesso articolo 12,
paragrafo 1, lettera e), come ricordata al punto 24 della presente sentenza,
risulta che un tale lavoratore deve beneficiare del diritto alla parità di
trattamento.
28 Inoltre,
mentre l’articolo 12, paragrafo 2, lettera c), di detta direttiva dispone che
gli Stati membri possono prevedere limiti alla parità di trattamento per quanto
concerne le agevolazioni fiscali, restringendone l’applicazione ai casi in cui
i familiari del lavoratore di paese terzo per i quali si chiedono le
agevolazioni abbiano il domicilio o la residenza abituale nel territorio dello
Stato membro interessato, una simile deroga non è prevista per quanto riguarda
le prestazioni di sicurezza sociale. Risulta quindi che il legislatore
dell’Unione non ha inteso escludere il titolare di un permesso unico i cui
familiari non risiedono nel territorio dello Stato membro interessato dal
diritto alla parità di trattamento previsto dalla direttiva 2011/98 e che ha
precisato i casi in cui tale diritto può essere limitato, per tale motivo,
dagli Stati membri.
29 Poiché
il giudice del rinvio nutre dubbi sull’interpretazione dell’articolo 12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 alla luce dei considerando 20
e 24 di quest’ultima, occorre constatare che il considerando 20 della direttiva
2011/98 enuncia che il diritto alla parità di trattamento dovrebbe essere
riconosciuto non solo ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno
Stato membro a fini lavorativi, ma anche a coloro che sono stati ammessi per
altri motivi, compresi i familiari ammessi in conformità della direttiva
2003/86, che vi siano stati poi autorizzati a lavorare in virtù di altre
disposizioni del diritto dell’Unione o nazionale.
30 Tuttavia
si deve rilevare, da un lato, che dalla formulazione del considerando 20 della
direttiva 2011/98 risulta che quest’ultimo, nell’elencare i cittadini di paesi
terzi ammessi a fini diversi da quelli lavorativi e, successivamente,
autorizzati a lavorare in virtù di altre disposizioni del diritto dell’Unione o
nazionale, si riferisce, in particolare, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato
generale al paragrafo 53 delle sue conclusioni, alla situazione in cui i
familiari di un lavoratore di paese terzo titolare di un permesso unico
beneficiano direttamente del diritto alla parità di trattamento previsto
all’articolo 12 della direttiva in parola. Vale a dire, beneficiano di tale
diritto nella loro qualità di lavoratori, sebbene siano potuti entrare nello
Stato membro ospitante per il fatto di essere familiari di un lavoratore
cittadino di paese terzo.
31 Dall’altro
lato, quanto al considerando 24 della direttiva 2011/98, va constatato che esso
è volto a precisare, tra l’altro, che tale direttiva non accorda essa stessa,
al di là della parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro
ospitante, diritti in materia di sicurezza sociale ai cittadini di paesi terzi
titolari di un permesso unico. Pertanto, essa non impone di per sé, come rileva
l’avvocato generale al paragrafo 55 delle sue conclusioni, agli Stati membri di
corrispondere prestazioni di sicurezza sociale ai familiari che non risiedono
nello Stato membro ospitante. In ogni caso, si deve osservare che il contenuto
di tale considerando, e in particolare della sua ultima frase, non è stato
ripreso in alcuna delle disposizioni di detta direttiva.
32 Orbene,
il preambolo di un atto dell’Unione non ha alcun valore giuridico vincolante e
non può essere invocato né per derogare alle disposizioni stesse dell’atto in
questione, né per interpretare queste disposizioni in un senso manifestamente
contrario al loro tenore letterale (v., in tal senso, sentenze del 19 novembre
1998, Nilsson e a., C‑162/97, EU:C:1998:554, punto 54, e del 19
dicembre 2019, Puppinck e a./Commissione, C‑418/18 P,
EU:C:2019:1113, punto 76).
33 Di
conseguenza, dai suddetti considerando non si può desumere che la direttiva
2011/98 debba essere interpretata nel senso che il titolare di un permesso
unico i cui familiari non risiedono nel territorio dello Stato membro
interessato, bensì in un paese terzo, è escluso dal diritto alla parità di
trattamento previsto da tale direttiva.
34 Peraltro,
nella misura in cui l’INPS e il governo italiano fanno valere che l’esclusione
del titolare di un permesso unico i cui familiari non risiedono nel territorio
dello Stato membro interessato sarebbe conforme all’obiettivo di integrazione
perseguito dalla direttiva 2011/98, in quanto l’integrazione presuppone una
presenza in tale territorio, occorre constatare che, come rilevato già
dall’avvocato generale ai paragrafi 62 e 63 delle sue conclusioni, risulta in particolare
dai considerando 2, 19 e 20 nonché dall’articolo 1, paragrafo 1, lettera b), di
tale direttiva che quest’ultima tende a favorire l’integrazione dei cittadini
di paesi terzi garantendo loro un trattamento equo grazie alla previsione di un
insieme comune di diritti, basato sulla parità di trattamento con i cittadini
dello Stato membro ospitante. La direttiva mira altresì a creare condizioni
uniformi minime nell’Unione, a riconoscere che i cittadini di paesi terzi
contribuiscono all’economia dell’Unione con il loro lavoro e i loro versamenti
di imposte e a fungere da garanzia per ridurre la concorrenza sleale tra i
cittadini di uno Stato membro e i cittadini di paesi terzi derivante
dall’eventuale sfruttamento di questi ultimi.
35 Ne
consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dall’INPS e dal governo
italiano, escludere dal diritto alla parità di trattamento il titolare di un
permesso unico, qualora i suoi familiari non risiedano, durante un periodo che
può essere temporaneo, come dimostrano i fatti della controversia principale,
nel territorio dello Stato membro interessato, non può essere considerato
conforme a tali obiettivi.
36 L’INPS
e il governo italiano adducono anche che l’esclusione del titolare di un
permesso unico i cui familiari non risiedono nel territorio dello Stato membro
interessato dal diritto alla parità di trattamento previsto dalla direttiva
2011/98 sarebbe confermata dall’articolo 1 del regolamento (UE)
n. 1231/2010 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010,
che estende il regolamento n. 883/2004 e il regolamento (CE)
n. 987/2009 ai cittadini di paesi terzi cui tali regolamenti non siano già
applicabili unicamente a causa della nazionalità (GU 2010, L 344,
pag. 1), il quale dispone che il regolamento n. 883/2004 e il
regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
16 settembre 2009, che stabilisce le modalità di applicazione del regolamento
n. 883/2004 (GU 2009, L 284, pag. 1), si applicano ai cittadini
di paesi terzi cui tali regolamenti non siano già applicabili unicamente a
causa della nazionalità, nonché ai loro familiari e superstiti, purché risiedano
legalmente nel territorio di uno Stato membro e si trovino in una situazione
che non sia confinata, in tutti i suoi aspetti, all’interno di un solo Stato
membro.
37 Tuttavia,
anche se, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale ai paragrafi 58 e 59
delle sue conclusioni, l’articolo 1 del regolamento n. 1231/2010 ha lo
scopo di creare un diritto alla parità di trattamento espressamente a favore
dei familiari di un cittadino di paese terzo che risiedano nel territorio di
uno Stato membro e che si trovino in una situazione contemplata da tale
regolamento, non se ne può affatto dedurre che il legislatore dell’Unione abbia
inteso escludere dal diritto alla parità di trattamento previsto dalla
direttiva 2011/98 il titolare di un permesso unico i cui familiari non
risiedano nel territorio dello Stato membro interessato.
38 Contrariamente
a quanto sostengono l’INPS e il governo italiano, una tale esclusione non può
neppure trovare un fondamento nel mero fatto che, per quanto riguarda i
cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, che beneficiano di uno
status privilegiato, la direttiva 2003/109 prevede, al suo articolo 11,
paragrafo 2, che lo Stato membro interessato possa limitare la parità di
trattamento, per quanto riguarda le prestazioni sociali, ai casi in cui il
familiare per cui essi chiedono la prestazione abbia eletto dimora o risieda
abitualmente nel suo territorio. Infatti, come risulta dal punto 26 della
presente sentenza, le deroghe al diritto alla parità di trattamento previsto
dalla direttiva 2011/98 devono essere interpretate restrittivamente. Orbene, la
deroga contenuta all’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2003/109 non è
prevista dalla direttiva 2011/98. Ne consegue che non può ammettersi che le
deroghe elencate nella direttiva 2011/98 siano interpretate in maniera da
includerne una supplementare per il solo motivo che tale ulteriore deroga
figura in un altro atto di diritto derivato.
39 Di
conseguenza, fatte salve le deroghe consentite dall’articolo 12, paragrafo 2,
lettera b), della direttiva 2011/98, uno Stato membro non può rifiutare o
ridurre il beneficio di una prestazione di sicurezza sociale al titolare di un
permesso unico per il fatto che i suoi familiari o taluni di essi risiedono non
nel suo territorio, bensì in un paese terzo, quando invece accorda tale
beneficio ai propri cittadini indipendentemente dal luogo in cui i loro
familiari risiedano.
40 Per
quanto concerne la controversia principale, occorre constatare, in primo luogo,
che il giudice del rinvio indica esso stesso che l’assegno per il nucleo
familiare ha la natura di un trattamento previdenziale cui è applicabile
l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98. Infatti, si
tratta, secondo quanto detto giudice indica, di una prestazione in contanti
concessa al di fuori di qualsiasi valutazione individuale e discrezionale delle
necessità del richiedente, sulla base di una situazione definita per legge,
finalizzata a compensare carichi di famiglia. Una tale prestazione costituisce
una prestazione di sicurezza sociale, rientrante nel novero delle prestazioni
familiari di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera j), del regolamento
n. 883/2004 (v., al riguardo, sentenza del 21 giugno 2017, Martinez Silva,
C‑449/16, EU:C:2017:485, punti da 20 a 25).
41 In
secondo luogo, il medesimo giudice afferma che il nucleo familiare costituisce
la base di calcolo dell’importo di tale assegno. L’INPS e il governo italiano
sostengono, al riguardo, che l’omessa considerazione dei familiari non residenti
nel territorio della Repubblica italiana incide solo sull’entità dell’importo,
essendo quest’ultimo pari a zero, come precisato dall’INPS in udienza, se tutti
i familiari risiedono fuori dal territorio nazionale.
42 Orbene,
occorre osservare che tanto l’omesso versamento dell’assegno per il nucleo
familiare quanto la riduzione dell’importo di quest’ultimo, a seconda che tutti
i familiari o alcuni di essi non risiedano nel territorio della Repubblica
italiana, sono contrari al diritto alla parità di trattamento di cui
all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98, dal momento
che integrano una disparità di trattamento tra i titolari di permesso unico e i
cittadini italiani.
43 Nonostante
il diverso avviso dell’INPS al riguardo, una tale disparità di trattamento non
può essere giustificata dal fatto che i titolari di permesso unico e i
cittadini dello Stato membro ospitante si troverebbero in situazioni differenti
in ragione dei loro rispettivi legami con tale Stato, essendo tale
giustificazione contraria all’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della
direttiva 2011/98 che, conformemente agli obiettivi di quest’ultima ricordati
al punto 34 della presente sentenza, impone una parità di trattamento tra loro
in materia di sicurezza sociale.
44 Allo
stesso modo, come discende da una giurisprudenza costante, neanche le eventuali
difficoltà di controllo sulla situazione dei beneficiari per quanto riguarda le
condizioni di concessione dell’assegno per il nucleo familiare qualora i familiari
non risiedano nel territorio dello Stato membro interessato, eccepite dall’INPS
e dal governo italiano, possono giustificare una disparità di trattamento (v.,
per analogia, sentenza del 26 maggio 2016, Kohll e Kohll-Schlesser, C‑300/15, EU:C:2016:361,
punto 59 e giurisprudenza ivi citata).
45 In
terzo luogo, il giudice del rinvio sottolinea che, secondo il diritto
nazionale, sono i familiari i sostanziali beneficiari dell’assegno per il
nucleo familiare. Tuttavia, il beneficio di tale assegno non può per questo
essere rifiutato al titolare di un permesso unico i cui familiari non risiedano
nel territorio della Repubblica italiana. Infatti, se è vero che sono i
familiari che beneficiano di detto assegno, ciò che costituisce l’oggetto
stesso di una prestazione familiare, dalle indicazioni fornite dal medesimo
giudice, esposte ai punti 18 e 19 della presente sentenza, risulta che
l’assegno è versato al lavoratore o pensionato, componente a propria volta del
nucleo familiare.
46 Ne
consegue che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98
osta a una disposizione, come l’articolo 2, comma 6 bis, della legge
n. 153/1998, secondo la quale non fanno parte del nucleo familiare ai
sensi di tale legge il coniuge nonché i figli ed equiparati del cittadino di
paese terzo che non abbiano la residenza nel territorio della Repubblica
italiana, salvo che dallo Stato di cui lo straniero è cittadino sia riservato
un trattamento di reciprocità nei confronti dei cittadini italiani ovvero sia stata
stipulata convenzione internazionale in materia di trattamenti di famiglia.
47 Tutto
ciò considerato, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che
l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98 deve essere
interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro in
forza della quale, ai fini della determinazione dei diritti a una prestazione
di sicurezza sociale, non vengono presi in considerazione i familiari del
titolare di un permesso unico, ai sensi dell’articolo 2, lettera c), della
medesima direttiva, che risiedano non già nel territorio di tale Stato membro,
bensì in un paese terzo, mentre vengono presi in considerazione i familiari del
cittadino di detto Stato membro residenti in un paese terzo.
Sulle
spese
48 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per
questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:
L’articolo
12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/CE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa a una procedura unica di
domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi
terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un
insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano
regolarmente in uno Stato membro, deve essere interpretato nel senso che esso
osta a una normativa di uno Stato membro in forza della quale, ai fini della
determinazione dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono
presi in considerazione i familiari del titolare di un permesso unico, ai sensi
dell’articolo 2, lettera c), della medesima direttiva, che risiedano non già
nel territorio di tale Stato membro, bensì in un paese terzo, mentre vengono
presi in considerazione i familiari del cittadino di detto Stato membro
residenti in un paese terzo.
Firme
* Lingua
processuale: l’italiano.