SENTENZA DELLA CORTE (Seconda
Sezione)
13
gennaio 2022 (*)
«Rinvio
pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE –
Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausole
4 e 5 – Contratti di lavoro a tempo determinato nel settore
pubblico – Insegnanti di religione cattolica – Nozione di “ragioni
obiettive” per la giustificazione del rinnovo di simili contratti – Fabbisogno
permanente di personale supplente»
Nella
causa C‑282/19,
avente
ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi
dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale di Napoli (Italia), con ordinanza
del 13 febbraio 2019, pervenuta in cancelleria il 3 aprile 2019, nel
procedimento
YT,
ZU,
AW,
BY,
CX,
DZ,
EA,
FB,
GC,
IE,
JF,
KG,
LH,
MI,
NY,
PL,
HD,
OK
contro
Ministero
dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR,
Ufficio
Scolastico Regionale per la Campania,
con
l’intervento di:
Federazione
GILDA-UNAMS,
LA CORTE
(Seconda Sezione),
composta
da A. Arabadjiev, presidente della Prima Sezione, facente funzione di
presidente della Seconda Sezione, I. Ziemele, T. von Danwitz,
P.G. Xuereb e A. Kumin (relatore), giudici,
avvocato
generale: E. Tanchev
cancelliere:
A. Calot Escobar
vista la
fase scritta del procedimento,
considerate
le osservazioni presentate:
– per
YT, ZU, AW, BY, CX, DZ, EA, FB, GC, IE, JF, KG, LH, MI, NY e PL, da
S. Tramontano, avvocato;
– per
HD, da F. Sorrentino, avvocata;
– per
OK, da V. De Michele, avvocato;
– per
la Federazione GILDA-UNAMS, da T. de Grandis, avvocato;
– per
il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da
L. Fiandaca e P. Gentili, avvocati dello Stato;
– per
la Commissione europea, da G. Gattinara, M. van Beek e
C. Valero, in qualità di agenti,
sentite
le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 marzo
2021,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione delle clausole 4
e 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo
1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura in allegato alla direttiva
1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES,
UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175,
pag. 43), dell’articolo 1 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a),
della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce
un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di
condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16), e dell’articolo
21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la
«Carta»).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, YT,
ZU, AW, BY, CX, DZ, EA, FB, GC, IE, JF, KG, LH, MI, NY, PL, HD e OK (in
prosieguo: i «ricorrenti di cui al procedimento principale»), insegnanti di
religione cattolica presso istituti di istruzione pubblica, e, dall’altro, il
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – MIUR (Italia)
e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Campania (Italia), in merito alla loro
domanda di conversione del loro contratto di lavoro a tempo determinato in un
contratto di lavoro a tempo indeterminato.
Contesto
normativo
Diritto
dell’Unione
Direttiva
1999/70
3 Ai
sensi del considerando 14 della direttiva 1999/70:
«[L]e
parti contraenti hanno voluto concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo
determinato che stabilisce i principi generali e i requisiti minimi per i
contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato; hanno espresso
l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo
l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro
per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di
contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato».
Accordo
quadro
4 Il
secondo comma del preambolo dell’accordo quadro stabilisce che le parti
firmatarie di quest’ultimo «riconoscono che i contratti a tempo indeterminato
sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i
datori di lavoro e i lavoratori [e] che i contratti a tempo determinato
rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a
quelle dei lavoratori».
5 I
punti da 6 a 8 e 10 delle considerazioni generali dell’accordo quadro così
recitano:
«6. considerando
che i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune
dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori
interessati e a migliorare il rendimento;
7. considerando
che l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su
ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi;
8. considerando
che i contratti di lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica
dell’impiego in alcuni settori, occupazioni e attività atta a soddisfare sia i
datori di lavoro sia i lavoratori;
(...)
10. considerando
che il presente accordo demanda agli Stati membri e alle parti sociali la
formulazione di disposizioni volte all’applicazione dei principi generali, dei
requisiti minimi e delle norme in esso stesso contenuti, al fine di tener conto
della situazione di ciascuno Stato membro e delle circostanze relative a
particolari settori e occupazioni, comprese le attività di tipo stagionale».
6 Ai
sensi della clausola 1 dell’accordo quadro:
«L’obiettivo
del presente accordo quadro è:
a) migliorare la
qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di
non discriminazione;
b) creare un
quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una
successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato».
7 La
clausola 2 dell’accordo quadro, intitolata «Campo d’applicazione», al punto 1
prevede quanto segue:
«Il
presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto
di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti
collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».
8 La
clausola 3 dell’accordo quadro, intitolata «Definizioni», così dispone:
«1. Ai
fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica
una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra
il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da
condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il
completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.
(...)».
9 La
clausola 4 dell’accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione»,
al punto 1 prevede quanto segue:
«Per
quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non
possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo
indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di
lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».
10 La
clausola 5 dell’accordo quadro, intitolata «Misure di prevenzione degli abusi»,
così recita:
«1. Per
prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o
rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione
delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della
prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza
di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga
conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o
più misure relative a:
a) ragioni
obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata
massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato
successivi;
c) il numero dei
rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
2. Gli Stati
membri, previa consultazione delle parti sociali, e/o le parti sociali stesse
dovranno, se del caso, stabilire a quali condizioni i contratti e i rapporti di
lavoro a tempo determinato:
a) devono essere
considerati “successivi”;
b) devono essere
ritenuti contratti o rapporti a tempo indeterminato».
11 La
clausola 8 dell’accordo quadro, intitolata «Disposizioni di attuazione», è del
seguente tenore:
«1. Gli Stati
membri e/o le parti sociali possono mantenere o introdurre disposizioni più
favorevoli per i lavoratori di quelle stabilite nel presente [accordo quadro].
(...)».
Direttiva
2000/78
12 Il
considerando 24 della direttiva 2000/78 così recita:
«L’Unione
europea, nella dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e delle
organizzazioni non confessionali allegata all’atto finale del trattato di
Amsterdam, ha riconosciuto espressamente che rispetta e non pregiudica lo
status previsto nelle legislazioni nazionali per le chiese e le associazioni o
comunità religiose degli Stati membri e inoltre che rispetta lo status delle
organizzazioni filosofiche e non confessionali. In tale prospettiva, gli Stati
membri possono mantenere o prevedere disposizioni specifiche sui requisiti
professionali essenziali, legittimi e giustificati che possono essere imposti
per svolgervi un’attività lavorativa».
13 L’articolo
1 di tale direttiva dispone che essa mira a stabilire un quadro generale per la
lotta alle discriminazioni fondate, in particolare, sulla religione o le
convinzioni personali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di
lavoro, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della
parità di trattamento.
14 L’articolo
2, paragrafi 1 e 2, della direttiva succitata prevede quanto segue:
«1. Ai
fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si
intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su
uno dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Ai
fini del paragrafo 1:
a) sussiste
discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui
all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia
stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione
indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente
neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone
che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le
persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare
età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno
che:
i) tale
disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da
una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano
appropriati e necessari; (...)
(...)».
Diritto
italiano
15 L’articolo
3, commi 4, 7, 8 e 9, della legge del 18 luglio 2003, n. 186 – Norme
sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica degli istituti e
delle scuole di ogni ordine e grado (GURI n. 170, del 24 luglio 2003),
così dispone:
«4. Ciascun
candidato [a un concorso] deve (...) essere in possesso del riconoscimento di
idoneità (...) rilasciato dall’ordinario diocesano competente per territorio e
può concorrere soltanto per i posti disponibili nel territorio di pertinenza
della diocesi.
(...)
7. Le
commissioni compilano l’elenco di coloro che hanno superato il concorso,
valutando, oltre al risultato delle prove, esclusivamente i titoli (...). Il
dirigente regionale approva l’elenco ed invia all’ordinario diocesano
competente per territorio i nominativi di coloro che si trovano in posizione
utile per occupare i posti delle dotazioni organiche (...). Dall’elenco dei
docenti che hanno superato il concorso il dirigente regionale attinge per
segnalare all’ordinario diocesano i nominativi necessari per coprire i posti
che si rendano eventualmente vacanti nelle dotazioni organiche durante il
periodo di validità del concorso.
8. L’assunzione
con contratto di lavoro a tempo indeterminato è disposta dal dirigente
regionale, d’intesa con l’ordinario diocesano competente per territorio (...).
9. Ai
motivi di risoluzione del rapporto di lavoro previsti dalle disposizioni vigenti
si aggiunge la revoca dell’idoneità da parte dell’ordinario diocesano
competente per territorio divenuta esecutiva a norma dell’ordinamento canonico
(...)».
16 L’articolo
36, commi 1, 2 e 5, del decreto legislativo del 30 marzo 2001,
n. 165 – Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze
delle amministrazioni pubbliche (Supplemento ordinario alla GURI n. 106
del 9 maggio 2001), nella versione applicabile al procedimento principale (in
prosieguo: il «decreto legislativo n. 165/2001»), così disponeva:
«1. Per
le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche
amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a
tempo indeterminato (...).
2. Per
rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale le
amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili
di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle
leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, nel rispetto delle
procedure di reclutamento vigenti.
(...)
5. In
ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o
l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può
comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le
medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e
sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative».
17 L’articolo
5, commi 2 e 4‑bis, del decreto legislativo del 6 settembre 2001,
n. 368 – Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo
quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES
(GURI n. 235 del 9 ottobre 2001), nella versione applicabile al
procedimento principale (in prosieguo: il «decreto legislativo
n. 368/2001», così disponeva:
«2. Se
il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto
di durata inferiore a sei mesi nonché decorso il periodo complessivo di cui al
comma 4‑bis, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il
contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti
termini.
(...)
4‑bis. (...)
qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di
mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo
stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi
di proroghe e rinnovi, indipendentemente dai periodi di interruzione che
intercorrono tra un contratto e l’altro, il rapporto di lavoro si considera a
tempo indeterminato ai sensi del comma 2; (...)».
18 L’articolo
10, comma 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001 così disponeva:
«(...)
sono (...) esclusi dall’applicazione del presente decreto i contratti a tempo
determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente
[e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario; in prosieguo: “ATA”],
considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio
scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale
docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche
determinato. (...)».
19 Il
decreto legislativo del 15 giugno 2015, n. 81 – Disciplina organica
dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a
norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183
(Supplemento ordinario alla GURI n. 144 del 24 giugno 2015) (in prosieguo:
il «decreto legislativo n. 81/2015»), che ha abrogato e sostituito il
decreto legislativo n. 368/2001, ha ripreso, in sostanza, all’articolo 19,
la stessa disposizione di cui all’articolo 5, comma 4‑bis, di
quest’ultimo decreto legislativo. Tale articolo 19 era del seguente tenore:
«1. Al
contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non
superiore a trentasei mesi.
2 Fatte
salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi, (...) la durata dei
rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di
lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti,
conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e
indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non
può superare i trentasei mesi. (...) Qualora il limite dei trentasei mesi sia
superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti,
il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale
superamento».
20 L’articolo
29, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 81/2015 riprende, in
sostanza, il tenore letterale dell’articolo 10, comma 4‑bis, del decreto
legislativo n. 368/2001, nella misura in cui dispone che sono altresì
esclusi dal campo di applicazione del capo III del decreto legislativo
n. 81/2015, relativo al lavoro a tempo determinato, i contratti a tempo
determinato stipulati con il personale docente e ATA per il conferimento delle
supplenze.
21 L’articolo
309 del decreto legislativo del 16 aprile 1994, n. 297 – Approvazione
del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di
istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado (Supplemento ordinario
alla GURI n. 115 del 19 maggio 1994; in prosieguo: il «decreto legislativo
n. 297/1994»), così dispone:
«1. Nelle
scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado l’insegnamento della
religione cattolica è disciplinato dall’accordo tra la Repubblica Italiana e la
Santa Sede e relativo protocollo addizionale, (...) e dalle intese previste dal
predetto protocollo addizionale, punto 5, lettera b).
2. Per
l’insegnamento della religione cattolica il capo di istituto conferisce
incarichi annuali d’intesa con l’ordinario diocesano secondo le disposizioni
richiamate nel comma 1».
22 L’articolo
399 di tale decreto legislativo dispone che l’accesso ai ruoli del personale
docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei
artistici e gli istituti d’arte, ha luogo, per la metà dei posti a tal fine
annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per la
restante metà, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all’articolo 401.
Nel caso in cui la graduatoria di un concorso per titoli ed esami sia esaurita
e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno ad aggiungersi a quelli
assegnati alla corrispondente graduatoria permanente. Detti posti vanno
reintegrati in occasione della procedura concorsuale successiva.
23 L’articolo
1, comma 95, della legge del 13 luglio 2015, n. 107 – Riforma del
sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle
disposizioni legislative vigenti (GURI n. 162 del 15 luglio 2015; in
prosieguo: la «legge n. 107/2015»), dispone che, per l’anno scolastico
2015/2016, il MIUR è autorizzato ad attuare un piano straordinario di
assunzioni a tempo indeterminato di personale docente per le istituzioni
scolastiche statali di ogni ordine e grado, per la copertura di tutti i posti
comuni e di sostegno dell’organico «di diritto», rimasti vacanti e disponibili
all’esito delle operazioni di immissione in ruolo effettuate per il medesimo
anno scolastico ai sensi dell’articolo 399 del decreto legislativo
n. 297/1994, al termine delle quali sono soppresse le graduatorie dei
concorsi per titoli ed esami banditi anteriormente al 2012.
24 L’articolo
40, commi 1 e 5, del contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al
personale del comparto scuola, del 29 novembre 2007, integrato dal contratto
collettivo nazionale del lavoro del 19 aprile 2018, (Supplemento ordinario alla
GURI n. 292 del 17 dicembre 2007; in prosieguo: il «CCNL»), stabilisce
quanto segue:
«1. Al
personale di cui al presente articolo, si applicano le disposizioni di cui ai
commi 2, 3, e 4 dell’art. 25.
(...)
5. Gli
insegnanti di religione cattolica sono assunti secondo la disciplina di cui
all’art. 309 del decreto legislativo [n. 297/1994], mediante
contratto di incarico annuale che si intende confermato qualora permangano le
condizioni ed i requisiti prescritti dalle vigenti disposizioni di legge».
25 L’articolo
25, comma 3, del CCNL prevede quanto segue:
«I
rapporti individuali di lavoro a tempo indeterminato o determinato del
personale docente ed educativo degli istituti e scuole statali di ogni ordine e
grado, sono costituiti e regolati da contratti individuali, nel rispetto delle
disposizioni di legge, della normativa comunitaria e del contratto collettivo
nazionale vigente».
Procedimento
principale e questioni pregiudiziali
26 I
ricorrenti di cui al procedimento principale sono insegnanti di religione
cattolica assunti dal MIUR e impiegati presso istituti di istruzione pubblica
da svariati anni mediante una successione di contratti a tempo determinato.
27 Ritenendo
che tale successione di contratti a tempo determinato sia illegittima e
constatando di non aver potuto beneficiare del meccanismo di immissione in
ruolo previsto all’articolo 399 del decreto legislativo n. 297/1994, i
ricorrenti di cui al procedimento principale sostengono di essere vittime di
una discriminazione rispetto ai docenti di altre materie. Essi hanno pertanto
proposto ricorso dinanzi al giudice del rinvio al fine di ottenere, in forza
dell’articolo 5, commi 2 e 4‑bis, del decreto legislativo
n. 368/2001, la conversione dei loro attuali contratti in contratti a
tempo indeterminato o, in subordine, il risarcimento del danno subìto a causa
della stipulazione di una successione di contratti a tempo determinato.
28 La
Federazione GILDA‑UNAMS, associazione professionale e sindacale di
insegnanti, intervenuta nel procedimento principale in qualità di
organizzazione sindacale firmataria del CCNL, sostiene, in particolare, che gli
insegnanti di religione cattolica sono vittime di discriminazione per via
dell’impossibilità di conversione del loro rapporto di lavoro a tempo
determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, pur essendo essi in
possesso della stessa idoneità all’insegnamento degli altri docenti.
29 Il
giudice del rinvio ritiene che nessuna delle domande dei ricorrenti di cui al
procedimento principale possa essere accolta alla luce del diritto italiano.
30 A
tale riguardo, esso precisa anzitutto che, alla data di deposito del ricorso
dei ricorrenti di cui al procedimento principale, i loro rispettivi contratti
di lavoro avevano tutti una durata complessiva superiore ai 36 mesi. Orbene,
benché, in tal caso, in linea di principio, il decreto legislativo
n. 368/2001 preveda la conversione dei contratti a tempo determinato
successivi in contratto a tempo indeterminato, l’articolo 36, comma 5, del
decreto legislativo n. 165/2001 escluderebbe tuttavia espressamente una
tale conversione nel settore del pubblico impiego.
31 Esso
rileva poi che, sebbene la successione continuativa di contratti di lavoro a
tempo determinato oltre i 36 mesi possa inoltre, in forza dell’articolo 36,
comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, essere sanzionata mediante
il risarcimento del danno subìto dal lavoratore a causa di tale successione,
l’articolo 10, comma 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001
escluderebbe tuttavia una simile possibilità nel settore dell’insegnamento,
come l’articolo 29, comma 2, del decreto legislativo n. 81/2015 avrebbe
ulteriormente confermato.
32 Inoltre,
il giudice del rinvio sottolinea che i ricorrenti nel procedimento principale
non hanno potuto beneficiare dell’immissione in ruolo né in forza dell’articolo
399 del decreto legislativo n. 297/1994 né in forza della legge
n. 107/2015, la quale ha consentito una generale regolarizzazione del
personale docente precario, autorizzando la conclusione di contratti a tempo
indeterminato.
33 Da
tali elementi emergerebbe che il diritto italiano non prevede alcuna misura di
prevenzione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a
tempo determinato, ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro, per gli
insegnanti di religione cattolica impiegati presso istituti pubblici. Il
giudice del rinvio si chiede, pertanto, se il diritto italiano sia conforme al
diritto dell’Unione.
34 A
questo proposito, esso riferisce che, secondo la costante giurisprudenza della
Corte suprema di cassazione (Italia), l’articolo 10, comma 4‑bis, del
decreto legislativo n. 368/2001, che è lex specialis, esclude, nel settore
dell’insegnamento, la conversione dei contratti a tempo determinato, stipulati
per il conferimento delle supplenze, in contratti a tempo indeterminato.
35 Il
giudice del rinvio precisa altresì che, secondo la Corte costituzionale
(Italia), che ha eseguito un controllo di legittimità costituzionale
dell’articolo 10, comma 4‑bis, del decreto legislativo n. 368/2001 e
dell’articolo 36, comma 5, del decreto legislativo n. 165/2001, sarebbe
impossibile, nel settore del pubblico impiego, convertire un rapporto di lavoro
a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
36 Secondo
il giudice del rinvio, tale giurisprudenza sarebbe contraria a quella derivante
dalla sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto (C‑331/17, EU:C:2018:859),
con la quale la Corte avrebbe concluso che la clausola 5 dell’accordo quadro
deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in
forza della quale non sono applicabili al settore di attività delle fondazioni
lirico‑sinfoniche le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di
lavoro e intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti
a tempo determinato attraverso la conversione automatica di contratti a tempo
determinato in contratti a tempo indeterminato, nel caso in cui il rapporto di
lavoro perduri oltre una certa data, qualora non esista nessun’altra misura
effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni gli abusi constatati
in tale settore.
37 Infine,
il giudice del rinvio ricorda che l’insegnamento della religione cattolica è
subordinato al rilascio all’insegnante, da parte dell’ordinario diocesano, di
un «riconoscimento di idoneità» (in prosieguo: l’«idoneità» o il «titolo di
idoneità»), che non sia stato revocato. La revoca dell’idoneità costituirebbe
quindi un motivo valido di licenziamento, aspetto che comproverebbe
ulteriormente la precarietà del rapporto di lavoro di un insegnante di
religione cattolica.
38 Ciò
considerato, il Tribunale di Napoli (Italia) ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se il
diverso trattamento riservato ai soli insegnanti di religione cattolica, quali
gli istanti [nel procedimento principale], costituisca discriminazione per
motivi religiosi, ai sensi dell’articolo 21 della Carta (...) e della direttiva
[2000/78] ovvero se la circostanza che [l’]idoneità già in possesso del
lavoratore possa essere revocata sia ragione giustificatrice idonea perché solo
gli insegnanti di religione cattolica, quali gli istanti [nel procedimento
principale], siano trattati diversamente dagli altri docenti, non beneficiando
di alcuna misura ostativa prevista dalla Clausola 5 dell’accordo quadro (...);
2) in ipotesi di
ritenuta sussistenza di discriminazione diretta, ai sensi dell’articolo 2,
paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2000/78], per motivi religiosi
(articolo 1), nonché ai sensi della Carta (...), deve interrogarsi la Corte
circa gli strumenti che questo giudice può adoperare per eliminarne le
conseguenze, tenuto conto che tutti i docenti diversi dagli insegnanti di
religione cattolica sono stati destinatari del piano straordinario di
assunzioni di cui alla legge 107/15, ottenendo la immissione in ruolo con
conseguente contratto di lavoro a tempo indeterminato, e, dunque, se questo
giudice debba costituire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la
Amministrazione convenuta [nel procedimento principale];
3) se la
clausola 5 dell’accordo quadro (...) debba essere interpretata nel senso che
essa osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi, in forza
della quale le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro,
intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo
determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato
in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri
oltre una data precisa, non sono applicabili al settore scuola, con specifico
riferimento ai docenti di religione cattolica, in modo tale da consentire una
successione di contratti di lavoro a tempo determinato per un periodo di tempo
indefinito; in particolare se possa costituire ragione obiettiva ai sensi della
clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro la necessità d’intesa con
l’ordinario diocesano, ovvero, di contro, debba ritenersi una discriminazione
vietata ai sensi dell’articolo 21 della [Carta];
4) in ipotesi di
risposta positiva al quesito sub 3 se l’articolo 21 della [Carta], la clausola
4 dell’accordo quadro (...) e/o l’articolo 1 della direttiva [2000/78]
consentano la disapplicazione [delle] norme che impediscono la conversione
automatica di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo
indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri oltre una data precisa».
Sulla
competenza della Corte
39 Il
governo italiano, invocando l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, ritiene che la
Corte non sia competente a rispondere alle questioni pregiudiziali sottopostele
dal giudice del rinvio, in quanto tali questioni riguardano i rapporti tra
l’ordinamento giuridico della Repubblica italiana e un ordinamento giuridico
confessionale, nella fattispecie l’ordinamento giuridico della Chiesa
cattolica, rapporti che rientrano esclusivamente nell’ambito del diritto
interno.
40 L’articolo
17, paragrafo 1, TFUE imporrebbe un obbligo di rispetto dello status di cui
godono, in virtù del diritto nazionale, in particolare le chiese, che si
tradurrebbe in una non ingerenza nelle questioni strettamente religiose e che
sarebbe stato sancito dalla Corte EDU nella sua sentenza del 15 maggio 2012,
Fernández Martínez c. Spagna (CE:ECHR:2012:0515JUD005603007).
41 Nel
caso di specie, il rapporto di lavoro tra l’istituto scolastico di cui trattasi
e gli insegnanti di religione cattolica sarebbe disciplinato dall’Accordo di
revisione del Concordato, stipulato il 18 febbraio 1984 tra la Repubblica
italiana e la Santa Sede (in prosieguo: il «Concordato»), e dal suo protocollo
addizionale. Ai sensi del punto 5 di quest’ultimo, l’insegnamento della
religione cattolica sarebbe impartito da insegnanti che siano riconosciuti
idonei dall’autorità ecclesiastica, nominati, d’intesa con essa, dall’autorità
scolastica.
42 Secondo
il canone 804, § 2, del codice di diritto canonico, l’ordinario del luogo
veglierebbe a che coloro i quali sono deputati come insegnanti della religione
nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per
testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica. Sarebbe quindi
pacifico che esiste un nesso tra, da un lato, l’idoneità e, dall’altro,
l’assunzione e la permanenza dell’insegnante di religione cattolica nel
rapporto di lavoro.
43 Ne
conseguirebbe che la constatazione della sussistenza di una discriminazione, ai
sensi della direttiva 2000/78, nei confronti degli insegnanti di religione
cattolica degli istituti di istruzione pubblica comporterebbe necessariamente
un inadempimento dell’obbligo di non ingerenza che sarebbe espressamente
sancito dall’articolo 17 TFUE.
44 Ciò
premesso, il governo italiano sottolinea la facoltatività dell’insegnamento
della religione cattolica, come risulta, in particolare, dall’articolo 9, comma
2, del Concordato, confermata altresì dalla Corte costituzionale. Tale
facoltatività si ripercuoterebbe necessariamente sulla disciplina applicabile
al rapporto di lavoro degli insegnanti di religione cattolica. La «domanda» di
tale insegnamento sarebbe, in particolare, imprevedibile ed estremamente
mutevole nel tempo, anche a breve termine, poiché dipenderebbe in modo
integrale dalla scelta degli alunni e/o dei loro genitori di avvalersi o no di
detto insegnamento. Il governo italiano ne deduce che il rapporto di lavoro
degli insegnanti di religione cattolica deve essere improntato a speciale
flessibilità, con la conseguente necessità che circa il 30% degli insegnanti di
religione cattolica stipulino un contratto a tempo determinato.
45 Inoltre,
il governo italiano ricorda che l’articolo 351 TFUE prevede che le
disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti
da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958, tra uno o più
Stati membri, da una parte, e uno o più Stati terzi, dall’altra. Orbene,
l’Accordo del 1984 avrebbe modificato il Concordato del 1929, il cui articolo
36 prevedeva già che l’insegnamento della religione cattolica fosse affidato a
personale che avesse ottenuto l’approvazione dell’autorità ecclesiastica o,
comunque, che fosse munito di un certificato di idoneità rilasciato
dall’ordinario diocesano, la cui revoca era sufficiente a privare l’insegnante
dell’idoneità a insegnare.
46 A
questo proposito, occorre ricordare, in primo luogo, che, a norma dell’articolo
17, paragrafo 1, TFUE, l’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le
chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in
virtù del diritto nazionale.
47 Da
tale disposizione non consegue tuttavia, come ha dichiarato la Corte, che una
differenza di trattamento contenuta in una normativa nazionale, che prevede la
concessione a taluni lavoratori di un giorno festivo destinato a consentire la
celebrazione di una festa religiosa, sia esclusa dall’ambito di applicazione
della direttiva 2000/78 e che la conformità di una tale differenza di
trattamento a questa direttiva esuli da un sindacato giurisdizionale effettivo
(sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation, C‑193/17,
EU:C:2019:43, punto 31).
48 Allo
stesso modo, la suddetta disposizione non può implicare che un’eventuale
differenza di trattamento, contenuta nella normativa nazionale che prevede
sanzioni in caso di abuso nell’utilizzo di una successione di contratti a tempo
determinato negli istituti di istruzione pubblica tra gli insegnanti di
religione cattolica di tali istituti e gli altri docenti, sia esclusa dall’ambito
di applicazione sia di tale direttiva sia dell’accordo quadro.
49 Infatti,
da un lato, la formulazione dell’articolo 17 TFUE corrisponde, in
sostanza, a quella della dichiarazione n. 11 sullo status delle chiese e
delle organizzazioni non confessionali, allegata all’atto finale del Trattato
di Amsterdam. Orbene, il fatto che quest’ultima sia esplicitamente citata al
considerando 24 della direttiva 2000/78 mette in risalto che il legislatore
dell’Unione ha necessariamente tenuto conto di detta dichiarazione al momento
di adottare la suddetta direttiva (sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco
Investigation, C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 32 e giurisprudenza ivi
citata).
50 Dall’altro
lato, l’articolo 17 TFUE esprime, certo, la neutralità dell’Unione nei
confronti dell’organizzazione, da parte degli Stati membri, dei loro rapporti
con le chiese e le associazioni o comunità religiose (sentenze del 17 aprile
2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 58; dell’11 settembre
2018, IR, C‑68/17, EU:C:2018:696, punto 48, e del 22 gennaio 2019, Cresco
Investigation, C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 33).
51 Tuttavia,
occorre constatare che le disposizioni nazionali di cui al procedimento
principale non sono dirette a organizzare i rapporti tra uno Stato membro e le
chiese, nella fattispecie la chiesa cattolica, ma riguardano le condizioni di
lavoro degli insegnanti di religione cattolica presso gli istituti pubblici
(v., per analogia, sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation, C‑193/17,
EU:C:2019:43, punto 33).
52 Esiste
senz’altro, come sostiene la Repubblica italiana, un nesso tra, da un lato,
l’idoneità rilasciata agli insegnanti di religione cattolica e, dall’altro,
l’assunzione e la permanenza di tali insegnanti nel rapporto di lavoro. Tuttavia,
non soltanto il rilascio e la revoca di tale idoneità, nonché le conseguenze
che possono derivarne, presentano un nesso con l’assunzione e la permanenza di
detti insegnanti nel rapporto di lavoro, ma inoltre la competenza
dell’ordinario diocesano non è messa in discussione dalle disposizioni
menzionate nelle questioni pregiudiziali e permarrà, a prescindere dal fatto
che i ricorrenti nel procedimento principale riescano o no a ottenere la
conversione del loro contratto a tempo determinato in contratto a tempo
indeterminato. Inoltre, l’applicazione dell’accordo quadro ai fatti di cui al
procedimento principale non richiede una pronuncia sulla facoltatività
dell’insegnamento della religione cattolica.
53 Ne
consegue che nel procedimento principale non è in discussione lo «status» di
cui godono, in virtù del diritto italiano, le chiese menzionate all’articolo
17, paragrafo 1, TFUE, quale, nel caso di specie, la Chiesa cattolica.
54 La
competenza della Corte nella presente causa non può essere rimessa in
discussione neppure dall’articolo 351, paragrafo 1, TFUE, ai sensi del quale
«[l]e disposizioni dei trattati non pregiudicano i diritti e gli obblighi
derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per
gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più
Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra».
55 Occorre
ricordare, a tale riguardo, che tale disposizione mira a consentire agli Stati
membri di rispettare i diritti che, in conformità del diritto internazionale,
gli Stati terzi vantano sulla base delle suddette convenzioni precedenti
[parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore), del 16 maggio 2017,
EU:C:2017:376, punto 254 e giurisprudenza ivi citata].
56 Orbene,
come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 43 delle conclusioni, detta
disposizione non è pertinente ai fini del procedimento principale, in quanto
gli accordi conclusi con la Santa Sede o ad essa connessi riguardano la
competenza degli ordinari diocesani a emettere e revocare l’idoneità
all’insegnamento della religione cattolica, competenza che non è messa in
discussione, come risulta dal punto 52 della presente sentenza, dalle
disposizioni menzionate nelle questioni pregiudiziali, in particolare dalla
clausola 5 dell’accordo quadro.
57 Ciò
posto, si deve ritenere che la Corte sia competente a statuire sulla domanda di
pronuncia pregiudiziale.
Sulle
questioni pregiudiziali
58 Con
le questioni pregiudiziali poste, che è opportuno esaminare congiuntamente, il
giudice del rinvio chiede, in sostanza, da un lato, se il divieto di
discriminazione fondata sulla religione, ai sensi della direttiva 2000/78 e
dell’articolo 21 della Carta, nonché la clausola 5 dell’accordo quadro debbano
essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che
esclude gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di istruzione
pubblica dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo
a una successione di contratti a tempo determinato, e, dall’altro, se tale
clausola debba essere interpretata nel senso che la necessità di un’idoneità
rilasciata da un’autorità ecclesiastica al fine di consentire a tali insegnanti
di impartire l’insegnamento della religione cattolica costituisca una «ragione
obiettiva» ai sensi del punto 1, lettera a), della medesima clausola.
59 Occorre
ricordare anzitutto che, conformemente all’articolo 1 della direttiva 2000/78,
e come risulta sia dal titolo e dal preambolo sia dal contenuto e dalla finalità
della stessa, tale direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta
alle discriminazioni fondate, segnatamente, sulla religione per quanto concerne
l’occupazione e le condizioni di lavoro, al fine di rendere effettivo negli
Stati membri il principio della parità di trattamento, offrendo ad ogni persona
una tutela efficace contro le discriminazioni fondate, in particolare, su tale
motivo di discriminazione (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2021,
Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny
Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C‑16/19, EU:C:2021:64, punto
32).
60 Tale
direttiva concretizza dunque, nel settore da essa disciplinato, il principio
generale di non discriminazione ora sancito dall’articolo 21 della Carta
(sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im. dra
J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w
Krakowie, C‑16/19, EU:C:2021:64, punto 33).
61 Ne
consegue che, quando è investita di una questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione
del principio generale di non discriminazione in base alla religione, quale
sancito dall’articolo 21 della Carta, nonché delle disposizioni della direttiva
2000/78, le quali attuano tale articolo 21 e contribuiscono alla realizzazione
degli obiettivi del medesimo, nel contesto di una controversia tra un singolo e
un’amministrazione pubblica, la Corte esamina tale questione alla luce di tale
direttiva (v., in tal senso, sentenza del 13 novembre 2014, Vital Pérez, C‑416/13,
EU:C:2014:2371, punto 25 e giurisprudenza ivi citata).
62 Ai
sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, per «principio
della parità di trattamento» si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione
diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1 della stessa
direttiva. L’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva precisa
che sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei
motivi di cui all’articolo 1 della medesima direttiva, tra i quali figura la
religione, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto lo sia un’altra
persona che si trovi in una situazione analoga. A norma dell’articolo 2,
paragrafo 2, lettera b), della stessa, sussiste discriminazione indiretta
quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono
mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano
una determinata religione rispetto ad altre persone.
63 Inoltre,
secondo la giurisprudenza della Corte, dato che la Corte EDU, in particolare
nella sua sentenza del 15 maggio 2012, Fernández Martínez c. Spagna
(CE:ECHR:2012:0515JUD005603007), e, successivamente, la Carta attribuiscono
alla nozione di «religione» un’accezione ampia, poiché includono in tale
nozione la libertà per le persone di manifestare la propria religione, si deve
ritenere che il legislatore dell’Unione abbia inteso mantenere lo stesso
approccio nell’adottare la direttiva 2000/78, cosicché occorre interpretare la
nozione di «religione» di cui all’articolo 1 di tale direttiva nel senso che
essa comprende sia il forum internum, ossia il fatto di avere convinzioni, sia
il forum externum, ossia la manifestazione pubblica della fede religiosa
(sentenza del 14 marzo 2017, G 4S Secure Solutions, C‑157/15,
EU:C:2017:203, punto 28).
64 Orbene,
nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la
normativa nazionale di cui al procedimento principale priva gli insegnanti di
religione cattolica degli istituti di istruzione pubblica, quali i ricorrenti
nel procedimento principale, della possibilità di convertire il loro contratto
di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato
e/o di ottenere un risarcimento per il danno subìto a causa della successione
di contratti a tempo determinato non già in considerazione della loro
religione, bensì, al pari degli altri docenti di tali istituti, per il fatto
che essi rientrano nel settore dell’insegnamento pubblico. Inoltre, se, a
differenza di questi ultimi, essi non hanno beneficiato delle procedure
applicabili in forza dell’articolo 399 del decreto legislativo n. 297/1994
né del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge n. 107/2015
non è per questo motivo, ma per via della durata annuale dei loro incarichi,
che non consentiva il loro inserimento nelle graduatorie permanenti, il quale
era necessario per le immissioni in ruolo avvenute a tali titoli. Infine, una
tale durata non ha alcun nesso con il rilascio dell’idoneità e la professione
di fede necessari per l’insegnamento della religione cattolica, né con la
possibilità di revoca di tale idoneità, giacché tali elementi riguardano anche
gli insegnanti di religione cattolica assunti a tempo indeterminato.
65 Pertanto,
ammettendo che gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di
istruzione pubblica si trovino in una situazione analoga a quella dei docenti
di altre materie in questi stessi istituti, titolari di un contratto a tempo
determinato e che abbiano beneficiato di detto articolo 399 o di detto piano,
una simile differenza di trattamento non è fondata sulla religione, ma riguarda
soltanto la disciplina applicabile al rapporto di lavoro.
66 Infine,
il giudice del rinvio non si è interrogato sull’eventuale sussistenza di una
discriminazione indiretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b),
della direttiva 2000/78, e la domanda di pronuncia pregiudiziale non contiene
elementi che consentano di ritenere che il criterio apparentemente neutro
previsto nella normativa di cui al procedimento principale metta, di fatto, in
una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una
determinata religione.
67 Tuttavia,
come rilevato dalla Commissione, il pregiudizio lamentato dai ricorrenti nel
procedimento principale, derivante esclusivamente dall’impossibilità di
avvalersi degli strumenti di tutela previsti nel diritto nazionale per
sanzionare l’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato, è oggetto di
una normativa specifica dell’Unione, ossia quella prevista dall’accordo quadro.
68 Ciò
considerato, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio per
risolvere la controversia di cui è investito, si devono riformulare le
questioni pregiudiziali esclusivamente alla luce delle pertinenti disposizioni
dell’accordo quadro e ritenere che, con le sue questioni, tale giudice chieda,
in sostanza, se la clausola 5 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel
senso che essa osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di
religione cattolica dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il
ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, e se la
necessità di un’idoneità rilasciata da un’autorità ecclesiastica costituisca
una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a),
dell’accordo quadro. Nel caso in cui la normativa nazionale non preveda alcuna
misura idonea a prevenire, ai sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo
quadro, o a sanzionare gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, detto giudice si chiede se
la clausola 4 dell’accordo quadro consenta di disapplicare le norme che
impediscono la conversione automatica di un contratto a tempo determinato in un
contratto a tempo indeterminato, qualora il rapporto di lavoro si protragga
oltre un certo periodo.
69 In
via preliminare, si deve ricordare che dalla stessa formulazione della clausola
2, punto 1, dell’accordo quadro risulta che l’ambito d’applicazione di
quest’ultimo è concepito in senso ampio, poiché riguarda in generale i
«lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di
lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in
vigore di ciascuno Stato membro». Inoltre, la definizione della nozione di
«lavorator[i] a tempo determinato» ai sensi della clausola 3, punto 1,
dell’accordo quadro include tutti i lavoratori, senza operare distinzioni
basate sulla natura pubblica o privata del loro datore di lavoro (ordinanza del
21 settembre 2016, Popescu, C‑614/15, EU:C:2016:726, punto 33).
70 Atteso
che l’accordo quadro non esclude alcun settore particolare dal suo ambito di
applicazione, esso si applica quindi anche al personale assunto nel settore
dell’insegnamento impartito presso istituti pubblici (v., in tal senso,
sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, C‑61/13,
C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 69).
71 Ne
consegue che lavoratori quali i ricorrenti nel procedimento principale,
impiegati dal MIUR e i cui contratti di lavoro sono conclusi a tempo
determinato, rientrano nell’ambito di applicazione dell’accordo quadro.
72 Per
quanto concerne la clausola 4 dell’accordo quadro, va ricordato che, per
costante giurisprudenza, poiché il principio di non discriminazione è stato
attuato e concretizzato dall’accordo quadro solo per quanto riguarda le
differenze di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a
tempo indeterminato che si trovano in situazioni comparabili, le eventuali
differenze di trattamento tra determinate categorie di personale a tempo
determinato non rientrano nell’ambito del principio di non discriminazione
sancito da detto accordo quadro (v., in tal senso, sentenza del 21 novembre
2018, Viejobueno Ibáñez e de la Vara González, C‑245/17, EU:C:2018:934,
punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
73 In
particolare, la clausola 4 dell’accordo quadro mira a dare applicazione al
principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo
determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura
venga utilizzato da un datore di lavoro per privare tali lavoratori di diritti
riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 17 marzo 2021,
Consulmarketing, C‑652/19, EU:C:2021:208, punto 49 e giurisprudenza ivi
citata).
74 Orbene,
il fatto che taluni lavoratori a tempo determinato, come i ricorrenti nel procedimento
principale, non possano beneficiare di una conversione del loro contratto di
lavoro in contratto a tempo indeterminato, mentre altri lavoratori
dell’insegnamento pubblico che insegnano altre materie e si trovano in una
situazione comparabile potevano farlo, costituisce appunto una differenza di
trattamento tra due categorie di lavoratori a tempo determinato.
75 Ne
consegue che, in una situazione del genere, il giudice del rinvio non può
disapplicare le norme nazionali che impediscono, nel caso degli insegnanti di
religione cattolica degli istituti di istruzione pubblica, la conversione
automatica di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo
indeterminato qualora il rapporto di lavoro si protragga oltre una certa data
sulla base della clausola 4 dell’accordo quadro, dal momento che tale
situazione non rientra nell’ambito di tale clausola.
76 Quanto
alla clausola 5 dell’accordo quadro, occorre ricordare che tale clausola ha lo
scopo di attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso, vale a dire
delimitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo
determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori,
prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la
precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti (sentenza del 3
giugno 2021, Instituto Madrileño de Investigación y Desarrollo Rural, Agrario y
Alimentario, C‑726/19, EU:C:2021:439, punto 26 e giurisprudenza ivi
citata).
77 Come
risulta dal secondo comma del preambolo dell’accordo quadro nonché dai punti da
6 a 8 delle considerazioni generali di detto accordo quadro, infatti, il
beneficio della stabilità dell’impiego è inteso come un elemento portante della
tutela dei lavoratori, laddove soltanto in alcune circostanze i contratti di
lavoro a tempo determinato sono atti a rispondere alle esigenze sia dei datori
di lavoro sia dei lavoratori [v., in tal senso, sentenza del 3 giugno 2021,
Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca − MIUR
e a. (Ricercatori universitari), C‑326/19, EU:C:2021:438, punto 65 e
giurisprudenza ivi citata].
78 Pertanto,
la clausola 5 dell’accordo quadro impone, al suo punto 1, agli Stati membri, al
fine di prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti o rapporti
di lavoro a tempo determinato, l’adozione effettiva e vincolante di almeno una
delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga
norme equivalenti. Le misure così elencate al punto 1, lettere da a) a c), di
tale clausola, in numero di tre, attengono, rispettivamente, a ragioni
obiettive per la giustificazione del rinnovo di simili contratti o rapporti di
lavoro, alla durata massima totale di tali contratti o rapporti di lavoro
successivi e al numero massimo di rinnovi di questi ultimi (sentenza del 24
giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19,
EU:C:2021:514, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).
79 Gli
Stati membri dispongono, a tale riguardo, di un margine di discrezionalità, dal
momento che possono scegliere di far ricorso a una o più delle misure elencate
nella clausola 5, punto 1, lettere da a) a c), dell’accordo quadro oppure a
norme equivalenti esistenti. In tal modo la clausola 5, punto 1, dell’accordo
quadro assegna agli Stati membri un obiettivo generale, consistente nella
prevenzione di simili abusi, lasciando loro al contempo la scelta dei mezzi per
conseguirlo, purché essi non rimettano in discussione lo scopo o l’effetto
utile di tale accordo quadro (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios
Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 46 e
giurisprudenza ivi citata).
80 Come
emerge dalla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro e conformemente al terzo
comma del preambolo nonché ai punti 8 e 10 delle considerazioni generali del
medesimo, è nell’ambito dell’attuazione dell’accordo quadro che gli Stati
membri hanno facoltà, in quanto ciò sia oggettivamente giustificato, di tener
conto delle esigenze particolari relative ai settori di attività e/o alle
categorie specifici di lavoratori in questione (sentenza del 25 ottobre 2018,
Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).
81 Inoltre,
la clausola 5 dell’accordo quadro non prevede sanzioni specifiche nell’ipotesi
in cui siano stati nondimeno constatati abusi. In un caso del genere, spetta
alle autorità nazionali adottare misure che siano non soltanto proporzionate,
ma altresì sufficientemente effettive e dissuasive da garantire la piena
efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro (v., in tal
senso, sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua,
C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).
82 Pertanto,
la clausola 5 dell’accordo quadro non enuncia un obbligo generale degli Stati
membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo
determinato in un contratto a tempo indeterminato. Infatti, la clausola 5,
punto 2, dell’accordo quadro lascia, in linea di principio, agli Stati membri
il compito di determinare a quali condizioni i contratti o i rapporti di lavoro
a tempo determinato vadano considerati come conclusi a tempo indeterminato. Da
ciò discende che l’accordo quadro non prescrive le condizioni in presenza delle
quali si possa fare uso dei contratti a tempo indeterminato (sentenza del 3
giugno 2021, Instituto Madrileño de Investigación y Desarrollo Rural, Agrario y
Alimentario, C‑726/19, EU:C:2021:439, punto 49 e giurisprudenza ivi
citata).
83 D’altra
parte, affinché una simile normativa nazionale possa essere considerata
conforme all’accordo quadro, l’ordinamento giuridico interno dello Stato membro
interessato deve tuttavia prevedere un’altra misura effettiva per prevenire e,
se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti di
lavoro a tempo determinato (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios
Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 48 e
giurisprudenza ivi citata).
84 Ne
consegue che, quando si sia verificato un ricorso abusivo a una successione di
contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, deve potersi applicare una
misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori
al fine di sanzionare debitamente tale abuso e rimuovere le conseguenze della
violazione del diritto dell’Unione. Infatti, secondo i termini stessi
dell’articolo 2, primo comma, della direttiva 1999/70, gli Stati membri devono
«prendere tutte le disposizioni necessarie per essere sempre in grado di
garantire i risultati prescritti da [tale] direttiva» (sentenza del 24 giugno
2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514,
punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
85 Pertanto,
si deve ritenere che, nel caso di specie, se risulta che non esiste, nella
normativa nazionale di cui al procedimento principale, nessun’altra misura
effettiva per prevenire e sanzionare gli abusi eventualmente constatati nei
confronti del personale del settore dell’insegnamento pubblico della regione
cattolica, una simile situazione sarebbe idonea a pregiudicare l’obiettivo e
l’effetto utile della clausola 5 dell’accordo quadro.
86 A
tale riguardo, occorre ricordare che non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione
delle disposizioni di diritto interno, compito che incombe ai giudici nazionali
competenti, i quali devono determinare se le prescrizioni di cui alla clausola
5 dell’accordo quadro siano soddisfatte dalle disposizioni della normativa nazionale
applicabile (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona
Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).
87 Incombe
pertanto, nel caso di specie, al giudice del rinvio valutare entro quali limiti
le condizioni per l’applicazione nonché l’effettiva attuazione delle
disposizioni rilevanti del diritto interno costituiscano una misura adeguata
per prevenire e, se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo di una successione
di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (sentenza del 24 giugno
2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514,
punto 51 e giurisprudenza ivi citata).
88 Tuttavia
la Corte, statuendo su rinvio pregiudiziale, può eventualmente apportare
precisazioni per guidare tali giudici nella loro valutazione (sentenza del 19
marzo 2020, Sánchez Ruiz e a., C‑103/18 e C‑429/18,
EU:C:2020:219, punto 91 e giurisprudenza ivi citata).
89 Dall’ordinanza
di rinvio emerge, da un lato, che la normativa nazionale di cui al procedimento
principale consente l’assunzione, nel settore dell’insegnamento pubblico della
religione cattolica, di un gran numero di docenti mediante una successione di
contratti di lavoro a tempo determinato, senza prevedere alcuno dei limiti di cui
alla clausola 5, punto 1, lettere b) e c), dell’accordo quadro quanto alla
durata massima totale di tali contratti o al numero di rinnovi dei medesimi e,
dall’altro, che i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in detto
settore sono espressamente esclusi dall’ambito di applicazione delle
disposizioni nazionali che consentono la conversione di contratti di questo
tipo, stipulati in successione oltre una determinata durata, in contratti di
lavoro a tempo indeterminato nonché, eventualmente, il risarcimento del danno
subìto a seguito di una simile successione.
90 Inoltre,
secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, i ricorrenti nel
procedimento principale non sarebbero neppure destinatari delle procedure
applicabili ai sensi dell’articolo 399 del decreto legislativo n. 297/1994
né del piano straordinario di assunzione di docenti a tempo indeterminato
istituito dal MIUR, i quali sono stati equiparati dalla Corte a una forma di
trasformazione di contratti di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo
indeterminato (sentenza dell’8 maggio 2019, Rossato e Conservatorio di Musica
F. A. Bonporti, C‑494/17, EU:C:2019:387, punti da 32 a 36).
91 Ciò
premesso, occorre verificare se il ricorso, nel settore dell’insegnamento
pubblico della religione cattolica, a una successione di contratti di lavoro a
tempo determinato possa essere giustificato dall’esistenza, nel diritto
nazionale, di ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera
a), dell’accordo quadro, e, più in particolare, se il rilascio dell’idoneità da
parte dell’ordinario diocesano al fine di consentire all’insegnante di
religione cattolica di insegnare tale materia possa costituire una simile ragione
obiettiva.
92 Si
deve infatti rilevare che, come indica il punto 7 delle considerazioni generali
dell’accordo quadro, le parti firmatarie di quest’ultimo hanno ritenuto che
l’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato basata su «ragioni
obiettive» sia un modo di prevenire gli abusi (sentenza del 3 giugno 2021,
Instituto Madrileño de Investigación y Desarrollo Rural, Agrario y Alimentario,
C‑726/19, EU:C:2021:439, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).
93 Per
quanto riguarda la nozione di «ragioni obiettive», ai sensi della clausola 5,
punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, essa deve essere intesa nel senso che
si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una
determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare
contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo
determinato. Dette circostanze possono risultare, segnatamente, dalla
particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati
conclusi contratti di tal genere, dalle caratteristiche ad esse inerenti o,
eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale
di uno Stato membro (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e
Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 59 e giurisprudenza ivi
citata).
94 Al
contrario, una disposizione nazionale che si limitasse ad autorizzare, in modo
generale e astratto, attraverso una norma legislativa o regolamentare, il
ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato non
sarebbe conforme agli obblighi precisati al precedente punto. Infatti, una
simile disposizione puramente formale non consente di stabilire criteri
oggettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di simili contratti
risponda effettivamente a un’esigenza reale, se esso sia idoneo a conseguire
l’obiettivo perseguito e sia necessario a tale effetto. La suddetta
disposizione comporta dunque un rischio concreto di determinare un ricorso
abusivo a tale tipo di contratti e, pertanto, non è compatibile con l’obiettivo
e con l’effetto utile dell’accordo quadro (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y
Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punti 60 e 61
e giurisprudenza ivi citata).
95 Il
governo italiano avanza vari argomenti volti a dimostrare l’esistenza, nel caso
di specie, di circostanze precise e concrete tali da giustificare il ricorso a
una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per gli insegnanti
di religione cattolica degli istituti pubblici, circostanze scaturenti
principalmente dal rapporto tra la Repubblica italiana e la Santa Sede nonché
dalla flessibilità organizzativa richiesta per l’insegnamento della religione
cattolica.
96 Per
quanto riguarda il primo aspetto, il governo italiano sottolinea, anzitutto,
che l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche è una
peculiarità del sistema educativo italiano. Il legame di speciale fiducia che
deve esistere tra l’insegnante di tale materia e l’ordinario diocesano comporta
la necessaria valutazione del candidato all’insegnamento della religione
cattolica da parte del vescovo stesso al fine di impedire che l’insegnamento
sia contrario alle prescrizioni dell’accordo concluso tra la Repubblica
italiana e la Santa Sede, dando al vescovo diocesano la possibilità di
valutare, anno dopo anno, l’idoneità di ciascun insegnante.
97 Tale
governo si basa poi sul fatto che un insegnante di religione cattolica potrebbe
insegnare tale materia solo in seguito al rilascio dell’idoneità da parte del
vescovo diocesano, il quale valuta se l’insegnante in questione presenti i
requisiti previsti dal diritto canonico e se tale idoneità possa essere
mantenuta nel tempo. A questo proposito, il governo italiano precisa che la
«ragione obiettiva», ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a),
dell’accordo quadro, deriverebbe non già dall’eventuale revoca di una simile
idoneità, bensì dalla necessità di rispettare il Concordato nonché di
dispensare un insegnamento della religione cattolica che sia conforme ai suoi
principi, in particolare al fine di soddisfare le aspettative degli alunni e
dei loro genitori.
98 Inoltre,
concorrendo, conformemente al Concordato, in piena autonomia, in particolare
alla determinazione dei profili degli insegnanti, al riconoscimento della loro
idoneità e alla loro designazione, la Chiesa cattolica assumerebbe le
responsabilità connesse ai tratti confessionali di un insegnamento nei cui
riguardi lo Stato rimane aperto e disponibile ma non diviene partecipe. Quest’ultimo
riconoscerebbe il valore della cultura religiosa e terrebbe conto del fatto che
i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico italiano, pur
mantenendo la distanza propria di uno Stato laico pluralista che non si
identificherebbe con nessuna confessione religiosa.
99 Per
quanto riguarda il secondo aspetto, il governo italiano afferma che l’elevato
numero di contratti a tempo determinato nel settore dell’insegnamento della
religione cattolica assicurerebbe la flessibilità conseguente alla
facoltatività di tale insegnamento, il che consentirebbe di adeguare il numero
necessario di insegnanti semplicemente non rinnovando un dato numero di
contratti annuali, anziché risolvendo contratti a tempo indeterminato. Tale
approccio, che consentirebbe quindi di rispondere in modo adeguato alla
contrazione della domanda di insegnamento della religione cattolica dovuta a
detta facoltatività, sarebbe approvato dalla Corte costituzionale e
costituirebbe, inoltre, un’espressione della salvaguardia degli interessi
finanziari e organizzativi dello Stato.
100 Per
quanto attiene, in primo luogo, all’argomento relativo al legame di speciale
fiducia che deve esistere tra l’insegnante di religione cattolica e il vescovo
diocesano, è sufficiente constatare che tale legame riguarda tanto gli
insegnanti che hanno stipulato un contratto a tempo indeterminato quanto quelli
titolari di un contratto a tempo determinato, sicché tale argomento non può
essere invocato per giustificare il ricorso abusivo ai contratti a tempo
determinato.
101 Per
quanto attiene, in secondo luogo, alla salvaguardia della cultura religiosa e
del patrimonio storico italiano, occorre rilevare che, per quanto tale
obiettivo possa essere considerato meritevole di tutela costituzionale, il
governo italiano non spiega tuttavia come il perseguimento di detto obiettivo
possa giustificare l’assunzione del 30% degli insegnati di religione cattolica
per mezzo di contratti a tempo determinato (v., in tal senso, sentenza del 25
ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 45).
102 Ciò
posto, occorre nondimeno constatare, in terzo luogo, che non è escluso che il
settore dell’insegnamento pubblico della religione cattolica richieda un
costante adeguamento tra il numero di lavoratori ivi impiegati e il numero di
potenziali utenti, come sottolinea il governo italiano, il che comporta, per il
datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione. In tal senso,
l’assunzione temporanea di un lavoratore al fine di soddisfare le esigenze
provvisorie e specifiche del datore di lavoro in termini di personale può, in
via di principio, costituire una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5,
punto 1, lettera a), dell’accordo quadro (sentenza del 25 ottobre 2018,
Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 47).
103 A tale
riguardo, il servizio scolastico deve essere organizzato in modo da garantire
un adeguamento costante tra il numero di docenti e il numero di alunni. Orbene,
non si può negare che tale adeguamento dipenda da un insieme di fattori, taluni
dei quali possono, in una certa misura, essere difficilmente controllabili o
prevedibili, quali, in particolare, i flussi migratori esterni ed interni o le
scelte di indirizzi scolastici da parte degli alunni (v., in tal senso, sentenza
del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, da C‑61/13 a C‑63/13
e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 94).
104 Fattori
del genere attestano, nel settore dell’insegnamento di cui trattasi nel
procedimento principale, un’esigenza particolare di flessibilità che, come
menzionato al punto 102 della presente sentenza, è idonea, in tale specifico
settore, a giustificare oggettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1,
lettera a), dell’accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di
lavoro a tempo determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda
scolastica ed evitare di esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale
settore, al rischio di dover immettere in ruolo un numero di docenti
significativamente superiore a quello effettivamente necessario per adempiere i
propri obblighi in materia (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13,
da C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 95).
105 Non si
può invece ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere
rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti che
rientrano nella normale attività del settore dell’insegnamento. Come più volte
statuito dalla Corte, il rinnovo di contratti o di rapporti di lavoro a tempo
determinato per far fronte a esigenze che, di fatto, hanno carattere non già
provvisorio ma permanente e durevole non è giustificato ai sensi della clausola
5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, dal momento che un tale utilizzo
dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato si scontra
direttamente con la premessa sulla quale si fonda il suddetto accordo quadro,
vale a dire il fatto che i contratti di lavoro a tempo indeterminato
costituiscono la forma comune dei rapporti di lavoro, anche se i contratti di
lavoro a tempo determinato rappresentano una caratteristica dell’impiego in
alcuni settori o per determinate occupazioni e attività (sentenza del 24 giugno
2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514,
punto 62 e giurisprudenza ivi citata).
106 L’osservanza
della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro esige pertanto che
sia verificato concretamente che il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a
tempo determinato successivi miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una
disposizione nazionale come quella di cui al procedimento principale non sia
utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore
di lavoro in materia di personale (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios
Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 63 e
giurisprudenza ivi citata).
107 Occorre
a tal fine esaminare di volta in volta tutte le circostanze del caso, prendendo
in considerazione, in particolare, il numero di detti contratti successivi
stipulati con la stessa persona oppure per lo svolgimento di uno stesso lavoro,
al fine di escludere che contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato,
sebbene apparentemente conclusi per soddisfare un’esigenza di personale
sostitutivo, siano utilizzati in modo abusivo dai datori di lavoro (sentenza
del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19,
EU:C:2021:514, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).
108 L’esistenza
di una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a),
dell’accordo quadro esclude quindi, in linea di principio, l’esistenza di un
abuso, a meno che un esame globale delle circostanze sottese al rinnovo dei
contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato di cui trattasi riveli che
le prestazioni richieste al lavoratore non corrispondono a una mera esigenza
temporanea (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13, da
C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 103).
109 Di
conseguenza, il solo fatto che la normativa nazionale di cui trattasi nel
procedimento principale possa essere giustificata da una «ragione obiettiva» ai
sensi di tale disposizione non può essere sufficiente a renderla ad essa
conforme, se risulta che l’applicazione concreta di detta normativa conduce,
nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a
tempo determinato (sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo e a., C‑22/13,
da C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 104).
110 Orbene,
da un lato, la normativa nazionale di cui al procedimento principale non
subordina ad alcuna condizione di tale natura la deroga da essa introdotta alle
norme di diritto comune applicabili ai contratti di lavoro e intese a
sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo
determinato. Dall’altro, la conclusione dei contratti di lavoro in successione
di cui al procedimento principale non sembra rispondere a mere esigenze
provvisorie del datore di lavoro, ma sembra piuttosto rientrare nelle necessità
della gestione ordinaria del medesimo. Per di più, i diversi contratti di
lavoro a tempo determinato con i quali i ricorrenti nel procedimento principale
sono stati assunti hanno dato luogo allo svolgimento di mansioni simili, se non
identiche, per svariati anni, cosicché si può ritenere che tali rapporti di
lavoro abbiano soddisfatto un fabbisogno non già provvisorio, bensì, al
contrario, duraturo, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio
verificare.
111 Per
quanto riguarda, in quarto luogo, l’argomento relativo agli interessi
finanziari dello Stato, va ricordato che la Corte ha già dichiarato che,
sebbene considerazioni di bilancio possano costituire il fondamento delle
scelte di politica sociale di uno Stato membro e influenzare la natura o la
portata delle misure che esso intende adottare, esse non costituiscono
tuttavia, di per sé, un obiettivo perseguito da tale politica e, pertanto, non
possono giustificare l’assenza di qualsiasi misura di prevenzione del ricorso
abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi
della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro (sentenza del 25 ottobre 2018,
Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 55).
112 Per
quanto riguarda, in quinto luogo, la questione se la necessità del rilascio dell’idoneità
di cui devono essere titolari gli insegnanti di religione cattolica per
insegnare tale materia possa costituire una «ragione obiettiva» ai sensi della
clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, si deve constatare che
dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che tale idoneità è rilasciata
una sola volta, nel momento in cui l’autorità scolastica presenta il proprio
elenco di candidati, e a prescindere dalla durata dell’incarico affidato
all’insegnante di religione cattolica in questione. Il rilascio di detta
idoneità a tutti gli insegnanti di religione cattolica, indipendentemente dal
fatto che essi abbiano stipulato un contratto a tempo indeterminato o un
contratto a tempo determinato, costituisce quindi, come già indicato al punto
64 della presente sentenza, un aspetto indipendente dalla durata degli
incarichi affidati agli insegnanti di religione cattolica.
113 Analogamente,
la revoca dell’idoneità costituisce una causa di risoluzione del rapporto di
lavoro sia per gli insegnanti di religione cattolica immessi in ruolo sia per
quelli che, come i ricorrenti nel procedimento principale, sono titolari solo
di un contratto a tempo determinato, e non costituisce quindi una «ragione
obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro.
114 Infine,
poiché il rilascio dell’idoneità non presenta alcun nesso con l’istituzione di
misure riconosciute come volte a perseguire obiettivi legittimi di politica
sociale come quelle, ad esempio, dirette alla tutela della gravidanza e della
maternità o alla conciliazione tra la vita professionale e la vita familiare,
esso non può essere considerato funzionale al perseguimento di un obiettivo di
politica sociale, atteso che la nozione di «ragione obiettiva» di cui alla clausola
5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro comprende, come risulta dalla
giurisprudenza ricordata al punto 93 della presente sentenza, il perseguimento
di un simile obiettivo (v., in tal senso, sentenza del 26 novembre 2014,
Mascolo e a., C‑22/13, da C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13,
EU:C:2014:2401, punti 92 e 93 e giurisprudenza ivi citata).
115 Ne
consegue che l’idoneità non costituisce una «ragione obiettiva» ai sensi della
clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro.
116 Pertanto,
e sempreché non esistano «norme equivalenti per la prevenzione degli abusi», ai
sensi della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, circostanza questa che
spetta al giudice del rinvio verificare, una normativa nazionale come quella di
cui al procedimento principale nel settore dell’insegnamento pubblico della
religione cattolica non è idonea a prevenire o a sanzionare gli abusi derivanti
dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo
determinato.
117 A tale
riguardo, spetta alle autorità giurisdizionali dello Stato membro interessato
garantire il rispetto della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro, vegliando
a che i lavoratori i quali abbiano subìto un abuso in conseguenza dell’utilizzo
di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato non siano
dissuasi, nella speranza di continuare a lavorare nel settore determinato, dal
far valere dinanzi alle autorità nazionali, ivi incluse quelle giurisdizionali,
i diritti derivanti dall’attuazione, da parte della normativa nazionale, di
tutte le misure preventive di cui alla clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro
(sentenza del 25 ottobre 2018, Sciotto, C‑331/17, EU:C:2018:859, punto 68
e giurisprudenza ivi citata).
118 In
particolare, spetta al giudice adito, quanto più possibile e qualora si sia
verificato un utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a
tempo determinato, interpretare e applicare le pertinenti disposizioni di
diritto interno in modo da sanzionare debitamente tale abuso e da eliminare le
conseguenze della violazione del diritto dell’Unione [sentenza dell’11 febbraio
2021, M. V. e a. (Successione di contratti di lavoro a tempo
determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto 69 e
giurisprudenza ivi citata].
119 Nel caso
di specie, dal momento che la normativa nazionale di cui al procedimento
principale contiene norme applicabili ai contratti di lavoro di diritto comune
dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo
determinato, prevedendo la conversione automatica di un contratto a tempo
determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro
perduri oltre un certo periodo, un’applicazione di tali norme nel procedimento
principale potrebbe costituire una misura preventiva di un simile abuso, ai
sensi della clausola 5 dell’accordo quadro.
120 Ciò
premesso, occorre tuttavia ricordare che la Corte ha statuito che la clausola
5, punto 1, dell’accordo quadro non è incondizionata e sufficientemente precisa
da poter essere invocata da un singolo dinanzi a un giudice nazionale. Una tale
disposizione del diritto dell’Unione, priva di effetto diretto, non può quindi
essere fatta valere, in quanto tale, nell’ambito di una controversia rientrante
nel diritto dell’Unione, al fine di escludere l’applicazione di una
disposizione di diritto nazionale ad essa contraria. Pertanto, un giudice
nazionale non è tenuto a disapplicare una disposizione di diritto nazionale
contraria a detta clausola (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios
Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 75 e
giurisprudenza ivi citata).
121 Ciò
precisato, occorre ricordare che, nell’applicare il diritto interno, i giudici
nazionali devono interpretarlo quanto più possibile alla luce del testo e dello
scopo della direttiva in questione, onde conseguire il risultato perseguito da
quest’ultima e conformarsi pertanto all’articolo 288, terzo comma, TFUE
(sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona Agua, C‑550/19,
EU:C:2021:514, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).
122 L’obbligo
di interpretazione conforme del diritto nazionale è infatti inerente al sistema
del Trattato FUE, in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare,
nell’ambito delle rispettive competenze, la piena efficacia del diritto
dell’Unione quando risolvono le controversie ad essi sottoposte [sentenza
dell’11 febbraio M. V. e a. (Successione di contratti di lavoro a
tempo determinato nel settore pubblico), C‑760/18, EU:C:2021:113, punto
66 e giurisprudenza ivi citata].
123 Certamente,
l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una
direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del
suo diritto interno trova il proprio limite nei principi generali del diritto,
in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, e non
può servire da fondamento a un’interpretazione contra legem del diritto
nazionale (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios Públicos e Acciona
Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).
124 Il
principio di interpretazione conforme richiede nondimeno che i giudici
nazionali facciano tutto quanto compete loro, prendendo in considerazione il
diritto interno nella sua interezza e applicando i metodi di interpretazione
riconosciuti da quest’ultimo, al fine di garantire la piena efficacia della
direttiva di cui trattasi e pervenire a una soluzione conforme allo scopo
perseguito da quest’ultima (sentenza del 24 giugno 2021, Obras y Servicios
Públicos e Acciona Agua, C‑550/19, EU:C:2021:514, punto 78 e
giurisprudenza ivi citata). Pertanto, spetta al giudice del rinvio
verificare se una simile interpretazione conforme delle disposizioni nazionali
sia possibile.
125 Alla
luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle
questioni pregiudiziali poste dichiarando che la clausola 5 dell’accordo quadro
deve essere interpretata nel senso, da un lato, che essa osta a una normativa
nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di
insegnamento pubblico dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il
ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, qualora non
esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che
sanzioni detto ricorso abusivo, e, dall’altro, che la necessità di un titolo di
idoneità rilasciato da un’autorità ecclesiastica al fine di consentire a tali
insegnanti di impartire l’insegnamento della religione cattolica non
costituisce una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera
a), dell’accordo quadro, nella misura in cui tale titolo di idoneità è
rilasciato una sola volta, e non prima di ogni anno scolastico che dà luogo alla
stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato.
Sulle
spese
126 Nei
confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce
un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire
sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni
alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per
questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:
La
clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18
marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del
28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato, deve essere interpretata nel senso, da un lato, che essa
osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione
cattolica degli istituti di insegnamento pubblico dall’applicazione delle norme
dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo
determinato, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento
giuridico interno che sanzioni detto ricorso abusivo, e, dall’altro, che la
necessità di un titolo di idoneità rilasciato da un’autorità ecclesiastica al
fine di consentire a tali insegnanti di impartire l’insegnamento della religione
cattolica non costituisce una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5,
punto 1, lettera a), di tale accordo quadro, nella misura in cui tale titolo di
idoneità è rilasciato una sola volta, e non prima di ogni anno scolastico che
dà luogo alla stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato.
Firme
* Lingua processuale:
l’italiano.