Tribunale di primo grado delle
Comunità europee (Seconda Sezione ampliata)
21 settembre 2005
T-306/01, Ahmed Ali Yusuf e
Al Barakaat International Foundation
– Consiglio dell’Unione europea e
Commissione delle Comunità europee
Nella causa T-306/01,
Ahmed Ali Yusuf, residente in Spånga (Svezia),
Al Barakaat International Foundation, con sede in Spånga,
rappresentati dagli aw.ti L. Silbersky e T. Olsson,
ricorrenti,
contro
Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dal sig. M. Vitsentzatos, dalle sig.re I. Rådestad ed E. Karlsson e dal sig. M. Bishop, in qualità di agenti,
e Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. A. Van Solinge, J. Enegren e C. Brown, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuti,
sostenuti da:
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato inizialmente dal
sig. J. Collins, successivamente dalla sig.ra R. Caudwell, in qualità di agenti,
quest'ultima assistita dalla sig.ra S. Moore, barrister, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
interveniente,
avente ad oggetto, inizialmente, una domanda di
annullamento, da un lato, del regolamento (CE) del Consiglio 6 marzo 2001, n.
467, che vieta l'esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan,
inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle
altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani delľAfghanistan, e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000
(GU L 67, pag. 1), e, dall'altro, del regolamento (CE) della Commissione 12
novembre 2001, n. 2199, che modifica per la quarta volta il regolamento n.
467/2001 (GU L 295, pag. 16), successivamente, una domanda di annullamento del
regolamento (CE) del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881, che impone specifiche
misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a
Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda
e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n.
467/2001 (GU L 139, pag. 9), II - 3545
IL TRIBUNALE DI
PRIMO GRADO
DELLE COMUNITÀ EUROPEE (Seconda
Sezione Ampliata),
composto dai sigg.
N.J. Forwood, presidente,
J. Pirrung, P. Mengozzi, A.W.H. Meij e M. Vilaras, giudici,
cancelliere: sig. H. Jung
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla
trattazione orale del 14 ottobre 2003,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Contesto normativo
1 Ai termini dell'art. 24, n. 1, della Carta delle Nazioni Unite firmata a San Francisco (Stati Uniti) il 26 giugno 1945, i membri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) «conferiscono al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, e riconoscono che il Consiglio di Sicurezza, nell'adempiere i suoi compiti inerenti a tale responsabilità, agisce in loro nome».
2 Ai sensi dell'art. 25 della Carta delle Nazioni Unite, «[i] Membri dell'[ONU] convengono di accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza in conformità alle disposizioni della presente Carta».
4 Secondo l'art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, «[i]n caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con la presente Carta e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale, prevarranno gli obblighi derivanti dalla presente Carta».
5 Ai termini dell'art. 11, n. 1, UE:
«L'Unione stabilisce ed attua una politica estera e di sicurezza comune estesa a tutti i settori della politica estera e di sicurezza i cui obiettivi sono i seguenti:
— difesa dei valori comuni, degli interessi fondamentali, dell'indipendenza e dell'integrità dell'Unione conformemente ai principi della Carta delle Nazioni
Unite;
— rafforzamento della sicurezza dell'Unione in tutte le sue forme;
— mantenimento della pace e rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite (...)».
6 Ai sensi dell'art. 301 CE:
«Quando una posizione comune o un'azione comune adottata in virtù delle disposizioni del Trattato sull'Unione europea relative alla politica estera e di sicurezza comune prevedano un'azione della Comunità per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più paesi terzi, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, prende le misure urgenti necessarie».
«Qualora, nei casi previsti all'articolo 301, sia ritenuta necessaria un'azione della Comunità, il Consiglio, in conformità della procedura di cui all'articolo 301, può adottare nei confronti dei paesi terzi interessati le misure urgenti necessarie in materia di movimenti di capitali e di pagamenti».
8 Ai termini dell'art. 307, primo comma, CE:
«Le disposizioni del presente Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall'altra».
9 Infine, l'art. 308 CE dispone come segue:
«Quando un'azione della Comunità risulti necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, senza che il presente Trattato abbia previsto i poteri d'azione a tal uopo richiesti, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e dopo aver consultato il Parlamento europeo, prende le disposizioni del caso».
Fatti
10 Il 15 ottobre 1999 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (in prosieguo: il «Consiglio di Sicurezza») ha adottato la risoluzione 1267 (1999), con cui esso ha, tra l'altro, condannato il fatto che continuino a essere ospitati e addestrati terroristi e che siano preparati atti terroristici in territorio afgano, ha riaffermato la sua convinzione che la repressione del terrorismo internazionale è essenziale al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e deplorato che i talibani continuino a dare rifugio a Usama bin Laden (Osama bin Laden nella maggior parte delle versioni italiane dei documenti adottati dalle istituzioni comunitarie) e a consentire a lui e ai suoi associati di dirigere dal territorio da loro occupato una rete di campi di addestramento di terroristi e di servirsi dell'Afghanistan come base per condurre operazioni terroristiche internazionali. Al paragrafo 2 di tale risoluzione, il Consiglio di Sicurezza ha imposto ai talibani di consegnare alle autorità competenti colui che è chiamato Osama bin Laden, senza ulteriore ritardo. Al fine di garantire il rispetto di tale obbligo, il paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999) dispone che tutti gli Stati dovranno in particolare «[c]ongelare i capitali e le altre risorse finanziarie specificamente derivanti da beni appartenenti ai talibani o da loro direttamente o indirettamente controllati, ovvero appartenenti a o controllati da ogni impresa di proprietà dei talibani o controllata dai talibani, quali definiti dal comitato costituito ai sensi del seguente paragrafo 6, e provvedere affinché né i capitali e le altre risorse finanziarie in questione, né altri capitali o risorse finanziarie in tal modo definiti siano messi a disposizione o stanziati a vantaggio dei talibani, o di qualsiasi impresa loro appartenente o da essi direttamente o indirettamente controllata, da parte di loro connazionali o di ogni altro soggetto che si trovi sul loro territorio, a meno che il comitato non abbia concesso una diversa autorizzazione, caso per caso, per motivi umanitari».
11 Al paragrafo 6 della risoluzione 1267 (1999) il Consiglio di Sicurezza ha deciso di istituire, in conformità all'art. 28 del suo regolamento interno provvisorio, un comitato del Consiglio di Sicurezza, composto di tutti i suoi membri (in prosieguo: il «comitato per le sanzioni»), incaricato specificamente di vegliare sull'attuazione, da parte degli Stati, delle misure imposte dal paragrafo 4, di individuare i capitali o altre risorse finanziarie di cui al citato paragrafo 4 e di esaminare le domande di deroga ' alle misure imposte dallo stesso paragrafo 4.
12 Ritenendo necessaria un'azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 15 novembre 1999 il Consiglio ha adottato la posizione comune 1999/727/PESC, relativa a misure restrittive contro i talibani (GU L 294, pag. 1). L'art. 2 di tale posizione comune prescrive il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie detenuti dai talibani all'estero, secondo quanto stabilito nella risoluzione 1267 (1999) del Consiglio di Sicurezza.
13 Il 14 febbraio 2000 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, il regolamento (CE) n. 337/2000, relativo al divieto dei voli e al congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell'Afghanistan (GU L 43, pag. 1).
14 Il dicembre 2000 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1333 (2000), la quale specificamente esige che i talibani ottemperino alla risoluzione 1267 (1999), in particolare cessando di offrire rifugio e addestramento ai terroristi internazionali e alle loro organizzazioni e consegnando Osama bin Laden alle autorità competenti affinché sia consegnato alla giustizia. Il Consiglio di Sicurezza ha deciso in particolare, di inasprire il divieto dei voli ed il congelamento dei capitali imposti dalla risoluzione 1267 (1999). Perciò il paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000) dispone che tutti gli Stati debbano, in particolare, «[c]ongelare senza indugio i capitali e le altre risorse finanziarie di Osama bin Laden e delle persone ed entità a lui associati, quali definite dal [comitato per le sanzioni], ivi compresa l'organizzazione Al-Qaeda, e i capitali derivanti dai beni appartenenti a Osama bin Laden e alle persone ed entità a lui associati o da loro direttamente o indirettamente controllati, e provvedere affinché né i capitali e le altre risorse finanziarie in questione né altri capitali o risorse finanziarie siano messi a disposizione o utilizzati direttamente o indirettamente da parte di loro connazionali o di qualsiasi altra persona che si trova sul loro territorio a beneficio di Osama bin Laden, dei suoi associati o di qualsiasi altra entità loro appartenente o da essi direttamente o indirettamente controllata, compresa l'organizzazione Al-Qaeda».
16 Al paragrafo 23 della risoluzione 1333 (2000), il Consiglio di Sicurezza ha deciso che le misure imposte sulla base, in particolare, del paragrafo 8 sarebbero state applicate per dodici mesi e che, alla fine di tale periodo, avrebbe valutato se fossero da prorogarsi per un nuovo periodo, alle medesime condizioni.
17 Ritenendo necessaria un'azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 26 febbraio 2001 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2001/154/PESC, concernente ulteriori misure restrittive nei confronti dei talibani e che modifica la posizione comune 96/746/PESC (GU L 57, pag. 1). L'art. 4 di tale posizione comune dispone quanto segue:
«I capitali e le altre risorse finanziarie appartenenti a Usama bin Laden e a persone e entità associate a quest'ultimo, quali definite dal [comitato per le sanzioni,] sono congelati e sarà vietato mettere a disposizione di Usama Bin Laden, delle persone o delle entità associate a quest'ultimo, quali definite dal [comitato per le sanzioni], capitali o altre risorse finanziarie, alle condizioni di cui alla [risoluzione 1333 (2000)]».
18 Il 6 marzo 2001 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, il. regolamento (CE) n. 467/2001, che vieta l'esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell'Afghanistan, e abroga il regolamento (CE) n. 337/2000 (GU L 67, pag. 1).
19 Ai termini del terzo 'considerando' di tale regolamento, le misure della risoluzione 1333 (2000) «rientrano nell'ambito di applicazione del Trattato e, pertanto, in particolare per evitare distorsioni della concorrenza, occorre una normativa comunitaria per attuare le decisioni pertinenti del Consiglio di Sicurezza, nella misura in cui esse riguardano il territorio della Comunità».
21 Ai termini dell'art. 2 del regolamento n. 467/2001:
«1. Sono congelati tutti i capitali e le altre risorse finanziarie, appartenenti a qualsiasi persona fìsica o giuridica, entità o organismo designati dal [comitato per le sanzioni] ed elencati nell'allegato I.
2. È vietato mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione dei talibani, delle persone, delle entità o degli organismi designati dal comitato per le sanzioni contro i talibani ed elencati nell'allegato I fondi o altre risorse finanziarie.
3. I paragrafi 1 e 2 non si applicano ai fondi e alle risorse finanziarie per i quali il comitato per le sanzioni contro i talibani ha concesso una deroga. Tali deroghe sono ottenute ricorrendo alle autorità competenti degli Stati membri elencate nell'allegato II».
24 Il 9 novembre 2001 il comitato per le sanzioni ha pubblicato un nuovo addendum al suo elenco dell'8 marzo 2001, che comprende in particolare i nomi dell'entità e delle tre persone che seguono:
— «Barakaat
International Foundation,
— «
— «Ali, Abdi
Abdulaziz, Drabantvagen 21,
17750
— «Ali, Yusaf
Ahmed, Hallbybybacken 15, 70
25 Con il regolamento (CE) della Commissione 12 novembre 2001, n. 2199, che modifica per la quarta volta il regolamento n. 467/2001 (GU L 295, pag. 16), i nomi dell'entità e delle tre persone fìsiche in questione sono stati aggiunti, assieme ad altri, all'allegato I del detto regolamento.
26 Il 16 gennaio 2002 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1390 (2002), che stabilisce le misure da applicare contro Osama bin Laden, i membri dell'organizzazione Al-Qaeda e i talibani ed altri individui, gruppi, imprese ed entità ad essi associati. Tale risoluzione prevede in sostanza, ai paragrafi 1 e 2, il mantenimento delle misure, segnatamente il congelamento dei capitali, imposte dal paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999) e dal paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000). A norma del paragrafo 3 della risoluzione 1390 (2002), queste misure saranno riesaminate dal Consiglio di Sicurezza dodici mesi dopo la loro adozione, periodo al termine del quale esso deciderà se mantenerle o perfezionarle.
27 Ritenendo necessaria un'azione della Comunità al fine di attuare tale risoluzione, il 27 maggio 2002 il Consiglio ha adottato la posizione comune 2002/402/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, dei membri dell'Organizzazione Al-Qaeda e dei talibani e di altri individui, gruppi, imprese ed entità ad essi associate e che abroga le posizioni comuni 96/746/PESC, 1999/727/ PESC, 2001/154/PESC e 2001/771/PESC (GU L 139, pag. 4). L'art. 3 di tale posizione comune prescrive, tra l'altro, la prosecuzione del congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche degli individui, gruppi, imprese e entità quali figurano nell'elenco predisposto dal comitato per le sanzioni secondo le risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (2000) del Consiglio di Sicurezza.
28 Il 27 maggio 2002 il Consiglio ha adottato, sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, il regolamento (CE) n. 881/2002, che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al- Qaeda e ai talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 (GU L 139, pag. 9).
29 Secondo il quarto 'considerando' di tale regolamento, poiché le misure previste, in particolare, dalla risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza «ricadono nell'ambito del Trattato, l'applicazione delle pertinenti decisioni del Consiglio di Sicurezza richiede una normativa comunitaria, nella misura in cui dette misure riguardano il territorio della Comunità, in particolare per evitare distorsioni della concorrenza».
31 Ai termini dell'art. 2 del regolamento n. 881/2002:
«1. Tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, o in possesso di, una persona fisica o giuridica, gruppo o entità designato dal comitato per le sanzioni ed elencato nell'allegato I sono congelati.
2. È vietato mettere direttamente o indirettamente fondi a disposizione di una persona fisica o giuridica, di un gruppo o di un'entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I, o stanziarli a loro vantaggio.
3. È vietato mettere direttamente o indirettamente risorse economiche a disposizione di una persona fisica o giuridica, ad un gruppo o ad un'entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I o destinarle a loro vantaggio, per impedire così facendo che la persona, il gruppo o l'entità in questione possa ottenere fondi, beni o servizi».
— «Barakaat International Foundation, Box 4036, Spanga, Stoccolma (Svezia); Rinkebytorget 1, 04, Spanga (Svezia)»;
— «Aden, Adirisak, Skaftingebacken 8, 16367 Spanga (Svezia), nato l'I giugno 1968»;
— «Ali, Abdi Adbulaziz, Drabantvagen 21,17750 Spanga (Svezia), nato l'I gennaio 1955»;
— «Ali, Yusaf Ahmed, Hallbybybacken 15, 70 Spånga (Svezia), nato il 20 novembre 1974».
33 Il 26 agosto 2002 il comitato per le sanzioni ha deciso di cancellare coloro che vengono chiamati «Abdi Abdulaziz Ali» e «Abdirisak Aden» dall'elenco delle persone, gruppi ed entità da sottoporsi a congelamento dei capitali e altre risorseeconomiche.
34 Di
conseguenza, il 4 settembre 2002
35 Ai sensi dell'art. 1, n. 2, del regolamento n. 1580/2002, sono depennati dall'elenco dell'allegato I del regolamento (CE) n. 881/2002, tra le altre, le seguenti persone:
— «Ali, Abdi Abdulaziz, Drabantvägen 21, 17750 Spånga, Svezia, data di nascita 1° gennaio 1955»;
— «Aden, Adirisak, Skäftingebacken 8, 16367 Spånga, Svezia, data di nascita 1° giugno 1968».
36 Il 20 dicembre 2002 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 1452 (2002), allo scopo di agevolare il rispetto degli obblighi in materia di lotta al terrorismo. Il paragrafo 1 di tale risoluzione prevede un certo numero di deroghe ed eccezioni al congelamento dei fondi e delle risorse economiche imposto dalle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002), che potranno essere accordate dagli Stati per motivi umanitari, previa approvazione del comitato per le sanzioni.
37 Il 17 gennaio 2003 il Consiglio di Sicurezza ha adottato la risoluzione 1455 (2003), per il perfezionamento delle misure imposte al paragrafo 4, lett. b), della risoluzione 1267 (1999), al paragrafo 8, lett. c), della risoluzione 1333 (2000) e ai paragrafi 1 e 2 della risoluzione 1390 (2002). A norma del paragrafo 2 della risoluzione 1455 (2003), tali misure saranno nuovamente perfezionate entro dodici mesi o anche prima, ove occorra.
38
Ritenendo necessaria un'azione della Comunità al fine di attuare la risoluzione
1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza, il 27 febbraio 2003 il Consiglio ha
adottato la posizione comune 2003/140/PESC, concernente
deroghe alle misure restrittive imposte dalla posizione comune 2002/402
(GU L 53, pag. 62). L'art. 1 di tale posizione comune prevede che, nell'attuare
le misure di cui all'art. 3 della posizione comune 2002/402/PESC,
39 Il 27 marzo 2003 il Consiglio ha adottato il regolamento (CE) n. 561/2003, che modifica, per quanto riguarda le deroghe al congelamento dei capitali e delle risorse economiche, il regolamento n. 881/2002 (GU L 82, pag. 1). Al quarto 'considerando' di tale regolamento, il Consiglio fa presente che, alla luce della risoluzione 1452 (2002) del Consiglio di Sicurezza, occorre modificare le misure imposte dalla Comunità.
40 Ai termini dell'art. 1 del regolamento n. 561/2003:
«Nel regolamento (...) n. 881/2002 è inserito il seguente articolo:
"Articolo 2 bis
a) una qualsiasi delle autorità competenti degli Stati membri, elencate nell'allegato II, ha deciso, su richiesta della persona fisica o giuridica interessata, che i capitali o le risorse economiche in questione sono:
i) necessari per coprire le spese di base, compresi i pagamenti relativi a generi alimentari, affitti o ipoteche, medicinali e cure mediche, imposte, premi assicurativi e servizi pubblici;
ii) destinati esclusivamente al pagamento di onorari ragionevoli e al rimborso delle spese sostenute per le prestazioni legali;
iii) destinati esclusivamente al pagamento di diritti o di spese bancarie connessi alla normale gestione dei fondi o delle risorse economiche congelati
iv) necessari per coprire spese straordinarie; e
b) tale decisione è stata notificata al comitato per le sanzioni; e
c) i) per le decisioni di cui alla lettera a), punti i), ii) o iii), il comitato per le sanzioni non ha sollevato obiezioni al riguardo entro 48 ore dalla notifica;
oppure
ii) per le decisioni di cui alla lettera a), punto iv), esse sono state approvate dal comitato per le sanzioni.
2. Qualsiasi persona che desideri beneficiare delle disposizioni di cui al paragrafo 1 ne fa richiesta all'autorità competente dello Stato membro elencata nell'allegato II. L'autorità competente elencata nell'allegato II comunica senza indugio, per iscritto, alla persona che ha presentato la richiesta e a tutte le altre persone, a tutti gli altri organismi e a tutte le altre entità direttamente interessati, se la richiesta è stata accolta.
L'autorità competente comunica anche agli altri Stati membri se la richiesta di deroga in questione è stata accolta.
3. I fondi sbloccati e trasferiti all'interno della Comunità per il pagamento delle spese o autorizzati a norma del presente articolo non sono soggetti ad ulteriori misure restrittive a norma dell'articolo 2.
(...)"».
41 Il
19 maggio 2003
«Ali Ahmed YUSAF (alias Ali Galoul), Krälingegränd 33, S-16362 Spånga, Svezia; data di nascita 20 novembre 1974; luogo di nascita: Garbaharey, Somalia; nazionalità: svedese; passaporto svedese n. 1041635; numero di identificazione nazionale: 741120-1093».
Procedimento e conclusioni delle
parti
42 Con
atto depositato nella cancelleria del Tribunale il 10 dicembre 2001, registrato
con il numero di causa T-306/01, i sigg. Abdirisak
Aden, Abdulaziz Ali e Ahmed Yusuf,
nonché
— annullare il regolamento n. 2199/2001;
— annullare il regolamento n. 467/2001 e, in subordine, dichiararlo inapplicabile a norma dell'art. 241 CE;
— statuire sulle spese, il cui importo sarà determinato in seguito.
43 Nel medesimo atto, i richiedenti hanno chiesto, ai sensi dell'art. 243 CE, la sospensione dell'esecuzione del regolamento n. 2199/2001.
44 Con atto separato, depositato nella cancelleria del Tribunale il 10 dicembre 2001, i richiedenti hanno chiesto che si statuisca mediante procedimento accelerato, ai sensi dell'art. 76 bis del regolamento di procedura del Tribunale. Sentite le parti convenute, con decisione 22 gennaio 2002, il Tribunale (Prima Sezione) ha respinto tale istanza data la natura complessa e delicata delle questioni di diritto sollevate dalla causa.
45 Con lettera 24 gennaio 2002 della cancelleria del Tribunale, si informavano le parti che non poteva statuirsi sulla domanda di sospensione dell'esecuzione del regolamento n. 2199/2001, poiché quest'ultima non era stata formulata con atto separato, in conformità a quanto disposto dal regolamento di procedura. Nella medesima lettera è stato tuttavia precisato che la successiva presentazione di una domanda di misure provvisorie rimaneva sempre possibile, nel rispetto delle disposizioni del citato regolamento.
46 Con
i loro controricorsi, depositati presso la cancelleria del Tribunale il 19 febbraio 2002, il Consiglio e
— respingere il ricorso;
— condannare i ricorrenti alle spese.
47 Con atto depositato nella cancelleria del Tribunale l'8 marzo 2002, i ricorrenti hanno proposto un'istanza volta alla sospensione dell'esecuzione dei regolamenti n. 467/2001 e n. 2199/2001, per la parte che li riguarda, fino a quando non sia statuito sulla causa principale.
48 Le parti sono state sentite dal presidente del Tribunale il 22 marzo 2002, alla presenza del Regno di Svezia, rappresentato all'audizione.
49 Con ordinanza 7 maggio 2002 causa T-306/01 R, Aden e a./Consiglio e Commissione (Racc. pag. II-2387), il presidente del Tribunale ha respinto la domanda di provvedimenti provvisori per mancanza del requisito dell'urgenza, pur riservandosi la decisione sulle spese.
50 Con lettera della cancelleria del Tribunale 27 giugno 2002, le parti sono state invitate a presentare le loro osservazioni sulle conseguenze dell'abrogazione del regolamento n. 467/2001 e della sua sostituzione con il regolamento n. 881/2002.
51 Nelle loro osservazioni, depositate presso la cancelleria del Tribunale il 29 luglio 2002, i ricorrenti dichiarano di adeguare le proprie conclusioni, i propri motivi ed argomenti nel senso che d'ora in avanti sono diretti all'annullamento del regolamento n. 881/2002 (in prosieguo: il «regolamento impugnato»), adottato alla luce della risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza che mantiene le sanzioni decise contro di loro. Essi fanno notare che il ricorso iniziale diretto contro il regolamento n. 467/2001 deve intendersi divenuto senza oggetto, per effetto della sua abrogazione ad opera del regolamento impugnato.
52 Nelle sue osservazioni, depositate presso la cancelleria del Tribunale il 12 luglio 2002, il Consiglio riconosce che i ricorrenti sono legittimati ad estendere o adeguare le domande iniziali del loro ricorso così da essere ormai dirette all'annullamento del regolamento impugnato.
53
Nelle sue osservazioni, depositate presso la cancelleria del Tribunale il 10
luglio 2002,
54
Peraltro,
55
Inoltre,
56 Con ordinanza del presidente della Prima Sezione del Tribunale 12 luglio 2002, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è stato ammesso a intervenire a sostegno delle conclusioni delle parti convenute.
57 Con lettera della cancelleria del Tribunale 11 settembre 2002, i ricorrenti sono stati invitati a presentare le loro osservazioni sulle eventuali conseguenze da trarre, per quanto riguarda la prosecuzione del ricorso, dall'adozione del regolamento n. 1580/2002.
58 Poiché la composizione delle sezioni del Tribunale è stata modificata a partire dal nuovo anno giudiziario, con inizio il Io ottobre 2002, il giudice relatore è stato assegnato alla Seconda Sezione, alla quale, di conseguenza, è stato attribuito il presente procedimento.
59
Nelle loro osservazioni sulle conseguenze dell'adozione del regolamento n.
1580/2002, depositate presso la cancelleria del Tribunale l'11 novembre 2002, i
ricorrenti espongono, da un lato, che il loro ricorso non è più diretto contro
60 Con decisione 20 novembre 2002, il cancelliere del Tribunale ha negato di produrre agli atti i commenti dei ricorrenti espressi in queste stesse osservazioni, a proposito delle controrepliche del Consiglio e della Commissione, in ragione del fatto che commenti del genere non sono previsti dal regolamento di procedura.
61 Nella sua memoria d'intervento, depositata presso la cancelleria del Tribunale il 27 febbraio 2003, il Regno Unito chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso.
62 Con lettera della cancelleria del Tribunale 13 giugno 2003, il sig. Yusuf è stato invitato a presentare le sue osservazioni sulle conseguenze, per il proseguimento della procedura, dell'adozione del regolamento n. 866/2003.
63 Nelle sue osservazioni, depositate presso la cancelleria del Tribunale il 7 luglio 2003, il sig. Yusuf ha fatto presente, in sostanza, che le modifiche introdotte dal regolamento n. 866/2003 erano puramente redazionali e non dovevano avere alcuna incidenza sul seguito del procedimento.
64 Sentite le parti, il Tribunale, ai sensi dell'art. 51 del suo regolamento di procedura, ha rinviato la causa dinanzi ad una sezione composta di cinque giudici.
65 Su relazione del giudice relatore, il Tribunale (Seconda Sezione ampliata) ha deciso di avviare la fase orale e, nell'ambito delle misure di organizzazione del procedimento previste dall'art. 64 del regolamento di procedura, ha sottoposto un quesito scritto al Consiglio e alla Commissione, che vi hanno risposto nel termine assegnato.
66 Con ordinanza del presidente della Seconda Sezione ampliata del Tribunale 18 settembre 2003, la presente causa e la causa T-315/01, Kadi/Consiglio e Commissione, sono state riunite ai fini della fase orale, conformemente all'art. 50 del regolamento di procedura.
67 Con
lettera in data 8 ottobre 2003,
68
Poiché i sigg. Aden e Ali avevano informato il Tribunale, in conformità
all'art. 99 del regolamento di procedura, di rinunciare al ricorso e di aver
concluso un accordo con le parti convenute in ordine alle spese, il presidente
della Seconda Sezione ampliata del Tribunale, con ordinanza 9 ottobre
69 Con
atti separati depositati presso la cancelleria del Tribunale il 13 ottobre
2003, il sig. Yusuf e
70 All'udienza del 14 ottobre 2003 sono state sentite le difese orali e le risposte delle parti ai quesiti del Tribunale.
Sulle conseguenze procedurali
dell'adozione del regolamento impugnato
71 Le parti principali della controversia convengono di riconoscere che i ricorrenti sono legittimati ad adeguare le loro conclusioni e i loro motivi in modo che essi abbiano ad oggetto l'annullamento del regolamento impugnato, il quale abroga e sostituisce il regolamento n. 467/2001, come modificato dal regolamento n. 2199/2001. Nelle loro osservazioni depositate presso la cancelleria del Tribunale il 29 luglio 2002, i ricorrenti hanno in effetti dichiarato di adeguare in tal senso le conclusioni, i motivi e gli argomenti del loro ricorso.
73 Tale giurisprudenza è applicabile all'ipotesi in cui un regolamento che riguarda direttamente e individualmente un privato è sostituito, in corso di giudizio, da un regolamento che ha il medesimo oggetto.
74 Poiché tale ipotesi corrisponde perfettamente a quella della fattispecie, occorre accogliere la domanda dei ricorrenti, considerare che il loro ricorso è diretto all'annullamento del regolamento impugnato, nella parte in cui li riguarda, e consentire alle parti di riformulare le loro conclusioni, i loro motivi e argomenti alla luce di questo nuovo elemento.
75 Peraltro, i ricorrenti fanno valere che la loro domanda di annullamento del regolamento n. 467/2001 è da intendersi divenuta senza oggetto per effetto dell'abrogazione di tale regolamento ad opera del regolamento impugnato (v. precedente punto 51). Ciò premesso, non occorre più statuire su tale domanda né, quindi, sulla domanda di annullamento del regolamento n. 2199/2001, poiché anch'essa è divenuta priva di oggetto.
76 Da
quanto precede consegue che non occorre statuire sul ricorso nella parte in cui
esso è diretto contro
77 Tenuto conto di quanto precede, occorre considerare che
il presente ricorso è d'ora innanzi diretto unicamente contro il Consiglio,
sostenuto dalla Commissione e dal Regno Unito, e che ha ad oggetto solo la
domanda di annullamento del regolamento impugnato, nella parte in cui esso
riguarda il sig. Yusuf e
Nel merito
1. Sul
primo motivo, relativo all'incompetenza del Consiglio ad adottare il
regolamento impugnato
79 Il presente motivo è suddiviso in tre parti.
Sulla
prima parte
Argomenti delle parti
Nei loro ricorsi inizialmente diretti contro il regolamento n. 467/2001, i ricorrenti rilevavano che gli artt. 60 CE e 301 CE, in base ai quali era stato adottato tale regolamento, autorizzano il Consiglio unicamente a prendere misure nei confronti di paesi terzi e non, come avrebbe fatto nella fattispecie, contro cittadini di uno Stato membro residenti in tale Stato.
82 Poiché le sanzioni adottate dalle istituzioni comunitarie devono corrispondere esattamente a quelle adottate dal Consiglio di Sicurezza, i ricorrenti rilevavano che il regolamento n. 467/2001 era anch'esso diretto contro individui, allo scopo di combattere il terrorismo internazionale, e non contro paesi terzi. Secondo loro, siffatte misure non rientravano nella competenza della Comunità, a differenza delle misure di embargo commerciale contro l'Irak esaminate dal Tribunale nella sentenza 28 aprile 1998, causa T-184/95, Dorsch Consult/Consiglio e Commissione (Race. pag. II-667).
83 I ricorrenti sostengono anche che un'interpretazione degli arte. 60 CE e 301 CE che tratta cittadini comunitari come paesi terzi è contraria al principio di legalità espresso agli artt. 5 CE e 7 CE, nonché al principio secondo cui la normativa comunitaria deve essere certa e la sua applicazione prevedibile per gli amministrati (sentenza della Corte dicembre 1987, causa 348/85, Danimarca/Commissione, Race, pag. 5225).
84 Nelle loro osservazioni sulle conseguenze dell'abrogazione del regolamento n. 467/2001 e della sua sostituzione mediante il regolamento impugnato, adottato sulla base degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE, i ricorrenti aggiungono che neppure l'art. 308 CE, preso isolatamente o in combinato con gli artt. 60 CE e 301 CE, conferisce al Consiglio il potere di emettere sanzioni, dirette o indirette, nei confronti di cittadini dell'Unione. Un tale potere, infatti, non potrebbe essere ritenuto implicito o necessario alla realizzazione di uno degli scopi della Comunità, ai sensi dell'art. 308 CE. In particolare, non sussisterebbe alcuna relazione tra il congelamento dei beni dei ricorrenti e lo scopo in particolare di «evitare distorsioni della concorrenza», di cui al quarto 'considerando' del regolamento impugnato.
85 Nei loro controricorsi e memorie di intervento, le istituzioni e il Regno Unito hanno sostenuto, da un lato, che il dettato degli artt. 60 CE e 301 CE non consente di escludere l'adozione di sanzioni economiche nei confronti di individui o organizzazioni stabiliti nella Comunità, giacché misure del genere hanno lo scopo di interrompere o ridurre, totalmente o parzialmente, le relazioni economiche con uno o più paesi terzi. Bisognerebbe riconoscere, infatti, che i cittadini degli Stati membri possono, da soli o con altri, fornire capitali e risorse a paesi terzi, o a fazioni interne a questi, cosicché le misure finalizzate al controllo delle risorse economiche di tali cittadini avranno l'effetto di interrompere o ridurre le relazioni economiche con tali paesi terzi. I giudici comunitari avrebbero del resto implicitamente riconosciuto la legittimità di tale prassi [ordinanza del presidente della Seconda Sezione del Tribunale 2 agosto 2000, causa T-189/00 R, «Invest» Import und Export e Invest Commerce/Commissione, Racc. pag. II-2993, punto 34, confermata su impugnazione dall'ordinanza del presidente della Corte 13 novembre 2000, causa C-317/00 P(R), «Invest» Import und Export e Invest Commerce/Commissione, Racc. pag. I-9541, punti 26 e 27].
86 Dall'altro, tali parti hanno confutato la tesi dei ricorrenti secondo la quale non sussisteva alcun nesso tra le misure previste dal regolamento n. 467/2001 e l'Afghanistan, facendo notare i legami che esistevano all'epoca tra Osama bin Laden, Al-Qaeda e il regime dei talibani.
87 Nella sua controreplica e nelle sue osservazioni sulle conseguenze dell'abrogazione del regolamento n. 467/2001 e della relativa sostituzione con il regolamento impugnato, il Consiglio ha tuttavia rilevato che quest'ultimo regolamento si applicava ai terroristi e ai gruppi terroristici in generale, senza più stabilire legami con un paese o un territorio particolare. Così facendo, esso avrebbe rispecchiato la differenza tra la risoluzione 1333 (2000) del Consiglio di Sicurezza che riguardava i talibani e gli individui ed entità loro associati, e la risoluzione 1390 (2002), che, dato che l'«Emirato islamico d'Afghanistan» non esiste più, non ricollega più le sanzioni previste a un paese o a un territorio specifico, ma anch'essa riguarda i gruppi terroristici e i terroristi in generale.
88 Nel primo caso, il Consiglio avrebbe ritenuto che il regolamento n. 467/2001 rientrasse effettivamente negli artt. 60 CE e 301 CE, poiché sussisteva un evidente legame con l'Afghanistan. Giacché un siffatto legame non sussisteva più nell'ambito del regolamento impugnato, il Consiglio avrebbe considerato che occorreva integrarne il fondamento normativo aggiungendovi l'art. 308 CE. Il Consiglio sosteneva che questa modifica del fondamento normativo del nuovo regolamento rendeva inoperante la prima parte del primo motivo.
89 Invitato, mediante un quesito scritto del Tribunale, a prendere posizione, alla luce del parere della Corte 28 marzo 1996, 2/94 (Race. pag. I-1759, punti 29 e 30), sulla tesi dei ricorrenti esposta al precedente punto 84 e, in particolare, a indicare quali sono gli scopi della Comunità stabiliti dal Trattato CE che esso intende raggiungere tramite le disposizioni di cui al regolamento impugnato, il Consiglio ha risposto, in sostanza, che tali disposizioni perseguono uno scopo di coercizione economica e finanziaria che, a suo avviso, costituisce un obiettivo del Trattato CE.
91 Dopo la revisione conseguente al Trattato di Maastricht, gli artt. 60 CE e 301 CE definirebbero i compiti e le azioni della Comunità in materia di sanzioni economiche e finanziarie e offrirebbero un fondamento giuridico per il trasferimento espresso di competenze alla Comunità in vista del loro raggiungimento. Tali competenze sarebbero espressamente collegate e, di fatto, subordinate all'adozione di un atto ai sensi delle disposizioni del Trattato UE in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC). Orbene, uno degli obiettivi della PESC sarebbe, secondo il disposto dell'art. 11, n. 1, terzo trattino, UE, «il mantenimento della pace e [il] rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite».
92 Occorrerebbe dùnque ammettere che la coercizione economica e finanziaria per ragioni politiche, a fortiori nell'ambito dell'attuazione di una decisione vincolante del Consiglio di Sicurezza, costituisce un obiettivo espresso e legittimo del Trattato CE, ancorché marginale, indirettamente ricollegato agli obiettivi principali di tale Trattato, in particolare a quelli relativi alla libera circolazione dei capitali [art. 3, n. 1, lett. c), CE] e all'instaurazione di un regime di concorrenza non falsata [art. 3, n. 1, lett. g), CE], e legato al Trattato UE.
93 Nella fattispecie, l'art. 308 CE sarebbe stato incluso come fondamento normativo del regolamento impugnato, ad integrazione del fondamento costituito dagli artt. 60 CE e 301 CE, in modo da permettere l'adozione di misure non soltanto nei confronti di paesi terzi, ma anche nei confronti di persone ed entità non statali che non hanno necessariamente legami con il governo o il regime di tali paesi, in casi in cui il Trattato CE non prevede i poteri d'azione all'uopo necessari.
94
Procedendo in tal modo,
95 Il Consiglio sostiene che le situazioni in cui è stato fatto ricorso, nella fattispecie, all'art. 308 CE non sono diverse da quelle in cui tale disposizione è stata utilizzata, in passato, per realizzare, nel funzionamento del mercato comune, un obiettivo del Trattato CE, senza che il detto Trattato avesse previsto i poteri d'azione all'uopo necessari. In tal senso esso richiama:
— nel settore della politica sociale, le varie direttive che, sul fondamento dell'art. 235 del Trattato CE (divenuto art. 308 CE), talvolta integrato dall'art. 100 del Trattato CE (divenuto art. 94 CE), hanno esteso il principio della parità delle retribuzioni tra lavoratori di sesso maschile e femminile, come
previsto dall'art. 119 del Trattato CE (gli artt. 117-120
del Trattato CE sono stati sostituiti dagli artt. 136 CE - 43 CE), per erigerlo
a principio generale di parità di trattamento in tutti i settori in cui
potevano sussistere potenziali discriminazioni e per farne beneficiare i lavoratori
autonomi, compresi quelli del settore agricolo, e, in particolare, la direttiva
del Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del
principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto
riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e
le condizioni di lavoro (GU L 39, pag. 40); la direttiva del Consiglio 19
dicembre 1978, 79/7/CEE, relativa alla graduale attuazione del principio di
parità di trattamento tra gli uomini e le donne in materia di sicurezza sociale
(GU
— nel settore della libera circolazione delle persone, i vari atti che, sul fondamento dell'art. 235 del Trattato CE e dell'art. 51 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 42 CE), hanno esteso ai lavoratori autonomi, ai loro familiari e agli studenti i diritti riconosciuti ai lavoratori subordinati che si spostano all'interno della Comunità e, in particolare, il regolamento del Consiglio (CEE) 12 maggio 1981, n. 1390, che estende ai lavoratori non salariati e ai loro familiari il regolamento (CEE) n. 1408/71 relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità (GU L 143, pag. 1);
— più di recente, il regolamento (CE) del Consiglio 2 giugno 1997, n. 1035, che istituisce un Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia (GU L 151, pag. 1), adottato sul fondamento dell'art. 213 del Trattato CE (divenuto art. 284 CE) e dell'art. 235 del Trattato CE.
96
97 Il legislatore comunitario si sarebbe addirittura già avvalso, in passato, del fondamento normativo costituito dall'art. 235 del Trattato CE nel settore delle sanzioni. A questo proposito il Consiglio espone che, prima dell'inserimento nel Trattato CE degli artt. 301 CE e 60 CE, vari regolamenti del Consiglio che imponevano sanzioni commerciali hanno avuto come fondamento l'art. 113 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 133 CE) [v., ad esempio, il regolamento (CEE) del Consiglio 15 marzo 1982, n. 596, che modifica il regime di importazione di alcuni prodotti originari dell'URSS (GU L 72, pag. 15); il regolamento (CEE) del Consiglio 16 aprile 1982, n. 877, che sospende l'importazione di qualsiasi prodotto originario dell'Argentina (GU L 102, pag. 1), e il regolamento (CEE) del Consiglio 27 ottobre 1986, n. 3302, recante sospensione delle importazioni di monete d'oro della Repubblica sudafricana (GU L 305, pag.\ll)]. Tuttavia, tali misure, quando oltrepassavano il campo di applicazione della politica commerciale comune o riguardavano persone fisiche o giuridiche stabilite nella Comunità, si sarebbero fondate anche sull'art. 235 del Trattato CE. Ciò si sarebbe verificato, in particolare, con il regolamento (CEE) del Consiglio 7 dicembre 1992, n. 3541, che vieta di accogliere le richieste irachene in relazione a contratti e a transazioni la cui esecuzione è stata colpita dalla risoluzione 661 (1990) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dalle risoluzioni che ad essa si ricollegano (GU L 361, pag. 1), il cui art. 2 disporrebbe che «[è] vietato soddisfare o adottare qualsiasi disposizione volta a soddisfare qualunque richiesta presentata da (...) persone fisiche o giuridiche operanti direttamente o indirettamente per conto o a vantaggio di una o più persone fisiche o giuridiche in Irak».
98 Rispondendo
allo stesso quesito scritto del Tribunale,
99 Nel
caso di specie,
100
Peraltro, secondo
101
Poiché le disposizioni del titolo III, capitolo 4, del Trattato CE in materia
di movimenti di capitali non conferiscono alla Comunità alcun potere
particolare, l'art. 308 CE sarebbe stato ritenuto, nella fattispecie, il
fondamento normativo integrativo affinché
102 All'udienza, il Regno Unito ha illustrato che l'obiettivo comunitario a cui mira l'adozione del regolamento impugnato è l'applicazione uniforme all'interno della Comunità di obblighi concernenti restrizioni ai movimenti di capitali, imposti agli Stati membri dal Consiglio di Sicurezza.
103 Il Regno Unito rileva che la creazione di un mercato interno nel settore dei movimenti di capitali è uno degli obiettivi della Comunità enunciati all'art. 3 CE. Esso considera che l'applicazione uniforme di qualsiasi restrizione alla libera circolazione dei capitali nel mercato costituisce un aspetto essenziale della creazione di un mercato interno.
104 Se, invece, l'attuazione delle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza non avesse costituito l'oggetto di misure adottate a livello comunitario, ciò avrebbe creato, secondo il Regno Unito, un rischio di divergenze nell'eseguire il congelamento dei beni tra Stati membri. Se gli Stati membri avessero attuato singolarmente tali risoluzioni, differenze interpretative quanto alla portata degli obblighi ad essi incombenti sarebbero inevitabilmente apparse, creando disparità nel settore della libera circolazione dei capitali tra Stati membri, il che avrebbe comportato un rischio di distorsione della concorrenza.
105
Inoltre, il Regno Unito sostiene che misure dirette a congelare i capitali dei
privati allo scopo di interrompere le relazioni economiche con organizzazioni
terroristiche internazionali, anziché con paesi terzi, non possono essere
considerate ampliare «la sfera dei poteri della Comunità al di là dell'ambito
generale risultante dal complesso delle disposizioni del Trattato», secondo le
parole del parere 2/94, punto 89 supra. Conformemente
all'ambito del Trattato,
106 Il Regno Unito sostiene che il ricorso all'art. 308 CE nelle circostanze della fattispecie non differisce dall'uso che è stato fatto di tale disposizione in situazioni, in particolare nel settore della politica sociale, in cui tale articolo è servito a raggiungere altri obiettivi della Comunità quando il Trattato non forniva fondamenti normativi precisi (v. supra, punto 95).
Giudizio del Tribunale
107 Il regolamento n. 467/2001 e il regolamento impugnato sono stati adottati su fondamenti normativi in parte diversi: gli artt. 60 CE e 301 CE per il primo, gli arte. 60 CE, 301 CE e 308 CE per il secondo. Sebbene gli argomenti iniziali dei ricorrenti relativi all'assenza di fondamento normativo del regolamento n. 467/2001 siano divenuti privi di oggetto per effetto della sua abrogazione da parte del regolamento impugnato, il Tribunale ritiene appropriato esporre anzitutto i motivi per i quali li giudica, comunque, infondati, giacché tali molivi costituiscono una premessa al suo ragionamento applicato all'esame del fondamento normativo del regolamento impugnato.
— Sul fondamento normativo del regolamento n. 467/2001
108 Il regolamento n. 467/2001 è stato adottato sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE, disposizioni che legittimano il Consiglio a prendere le misure urgenti necessarie, in particolare, in materia di movimenti di capitali e di pagamenti, quando una posizione comune o un'azione comune adottata in virtù delle disposizioni del Trattato sull'Unione europea relative alla PESC prevedano un'azione della Comunità per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più paesi terzi.
109 Orbene, come si evince dal suo preambolo, il regolamento n. 467/2001 organizzava l'azione della Comunità prevista dalla posizione comune 2001/154, la quale era stata adottata nell'ambito della PESC e segnava la volontà dell'Unione e dei suoi Stati membri di valersi di uno strumento comunitario per attuare nella Comunità taluni aspetti delle sanzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza nei confronti dei talibani d'Afghanistan.
110 I ricorrenti tuttavia sostengono, in primo luogo, che le misure controverse nella fattispecie colpivano dei privati, per giunta cittadini di uno Stato membro, mentre gli artt. 60 CE e 301 CE autorizzano il Consiglio unicamente a prendere misure nei confronti di paesi terzi; in secondo luogo, che le misure controverse non avevano lo scopo di interrompere o ridurre le relazioni economiche con un paese terzo, ma quello di combattere il terrorismo internazionale e, in particolare, Osama bin Laden e, in terzo luogo, che le dette misure erano comunque sproporzionate rispetto all'obiettivo di cui agli artt. 60 CE e 301 CE.
111 Nessuno di tali argomenti può essere accolto.
112 Per quanto riguarda, in primo luogo, il tipo di misure che il Consiglio è legittimato a prendere ai sensi degli artt. 60 CE e 301 CE, il Tribunale considera che niente, nella formulazione di tali disposizioni, consente di escludere l'adozione di misure restrittive che colpiscono direttamente individui od organizzazioni, stabilite o meno nella Comunità, purché misure di tal genere mirino effettivamente a interrompere o a ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più paesi terzi.
113 Come giustamente sottolineato dal Consiglio, le misure controverse nella fattispecie rientravano fra ciò che si è concordato chiamare le «sanzioni intelligenti» (smart sanctions), comparse nella prassi dell'ONU nel corso degli anni 90. Sanzioni di tal sorta sostituiscono alle classiche misure di embargo commerciale generale dirette contro un paese misure più mirate e selettive, come le sanzioni economiche e finanziarie, i divieti di viaggiare, gli embargo sulle armi o su prodotti specifici, così da ridurre le sofferenze patite dalla popolazione civile del paese interessato, pur imponendo sanzioni vere e proprie al regime cui sono dirette e ai suoi dirigenti.
114 La prassi delle istituzioni comunitarie si è sviluppata nella stessa direzione, poiché il Consiglio ha poi considerato che gli artt. 60 CE e 301 CE gli consentivano di adottare misure restrittive nei confronti di entità o persone che controllano fisicamente una parte del territorio di un paese terzo [v., ad esempio, il regolamento (CE) del Consiglio 28 luglio 1998 n. 1705, relativo all'interruzione di alcune relazioni economiche con l'Angola per indurre la «União Nacional para a Independência Total de Angola» (UNITA) a rispettare gli obblighi assunti nell'ambito del processo di pace e che abroga il regolamento (CE) n. 2229/97 (GU L 215, pag. 1)] e contro entità o persone che controllano effettivamente l'apparato governativo di un paese nonché nei confronti di persone ed entità ad esse associate e che forniscono loro un sostegno economico [v., ad esempio, il regolamento (CE) del Consiglio 15 giugno 1999, n. 1294, relativo al congelamento dei capitali e al divieto degli investimenti in relazione alla Repubblica federale di Jugoslavia e che abroga i regolamenti (CE) n. 1295/98 e (CE) n. 1607/98 (GU L 153, pag. 63), e il regolamento (CE) del Consiglio 10 novembre 2000, n. 2488, relativo al mantenimento del congelamento di capitali relativi a Milosevic e alle persone a lui collegate e che abroga i regolamenti (CE) n. 1294/1999 e (CE) n. 607/2000 nonché l'articolo 2 del regolamento (CE) n. 926/98 (GU L 287, pag. 19)]. Tale evoluzione è del tutto compatibile con le misure di cui agli artt. 60 CE e 301 CE.
115 Infatti, così come le sanzioni economiche o finanziarie
possono legittimamente colpire specificamente i dirigenti di un paese terzo,
anziché il paese in quanto tale, esse devono anche poter riguardare, in
qualsiasi luogo si trovino, gli individui e le entità che sono associati a tali
dirigenti o direttamente o indirettamente da loro controllati. Come giustamente
rilevato dalla Commissione, gli artt. 60 CE e 301 CE non fornirebbero uno
strumento efficace per fare pressione sui dirigenti che influenzano la politica
di un paese terzo se
116 Questa interpretazione, non contraria alla lettera degli artt. 60 CE e 301 CE, è giustificata sia da considerazioni di efficacia sia da preoccupazioni di ordine umanitario.
117 Per quanto attiene, in secondo luogo, all'obiettivo perseguito dal regolamento n. 467/2001, il Consiglio ha sostenuto, rinviando alle risoluzioni 1267 (1999) e 1333 (20,00) del Consiglio di Sicurezza, alla posizione comune 2001/154, nonché ai 'considerando' primo e secondo di tale regolamento e al suo stesso titolo, che le misure controverse erano essenzialmente dirette contro il regime dei talibani che, all'epoca, controllava di fatto l'80% del territorio afgano e si autoproclamava «Emirato islamico d'Afghanistan» e, secondariamente, contro persone ed entità che, attraverso transazioni economiche o finanziarie, aiutavano il detto regime a fornire rifugio e addestramento a terroristi internazionali e a loro organizzazioni, agendo così di fatto come agenti di tale regime o essendo ad esso strettamente legati.
118
Per quanto i ricorrenti addebitavano al regolamento n. 467/2001 di aver
riguardato Osama bin Laden, e non il regime dei talibani, il Consiglio ha aggiunto che Osama bin Laden era in realtà il capo e l'«eminenza grigia» del
regime dei talibani ed aveva il concreto potere in
Afghanistan. I suoi titoli temporali e religiosi di «Sheikh»
(capo) e di «Emir» (principe, leader, guida) e il
rango che egli occupava a fianco degli altri dignitari religiosi talibani avrebbero lasciato pochi dubbi al riguardo.
Peraltro, proprio prima dell'11 settembre 2001, Osama bin
Laden avrebbe prestato un giuramento di fedeltà (Bay'a) che istituiva un legame
religioso ufficiale tra lui e la direzione teocratica talibana.
Egli sarebbe quindi stato in una situazione paragonabile a quella di Milosevic
e dei membri del governo juogoslavo ai tempi delle
sanzioni economiche e finanziarie adottate dal Consiglio contro
119 Non occorre rimettere in discussione il merito di tali considerazioni sulle quali sussiste, in seno alla comunità internazionale, un largo consenso confermato, in particolare, dalle varie risoluzioni adottate all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza, che non sono state specificamente confutate, e neanche contestate, dai ricorrenti.
121 Infatti, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, le misure controverse avrebbero proprio lo scopo di interrompere o ridurre le relazioni economiche con un paese terzo, nell'ambito della lotta della comunità internazionale contro il terrorismo internazionale e, segnatamente, contro Osama bin Laden e la rete Al- Qaeda.
123 Il fatto che le misure controverse riguardassero anche transazioni che non hanno elementi transfrontalieri non è, invece, pertinente. Se il legittimo obiettivo di tali misure era quello di prosciugare le fonti di finanziamento dei talibani e del terrorismo internazionale che agisce dall'Afghanistan, esse dovevano necessariamente riguardare sia le transazioni internazionali sia quelle meramente interne, giacché le seconde come le prime potevano alimentare tale finanziamento, tenuto conto in particolare della libera circolazione delle persone e dei capitali e della scarsa trasparenza dei circuiti finanziari internazionali.
124 Da quanto precede si desume che, contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, il Consiglio era effettivamente competente ad adottare il regolamento n. 467/2001 sulla base degli artt. 60 CE e 301 CE.
— Sul fondamento normativo del regolamento impugnato
125 Diversamente dal regolamento n. 467/2001, il regolamento impugnato ha come fondamento normativo non soltanto gli artt. 60 CE e 301 CE, ma anche l'art. 308 CE. In ciò, esso rispecchia l'evoluzione della situazione internazionale nell'ambito della quale si sono via via inserite le sanzioni decretate dal Consiglio di Sicurezza e attuate dalla Comunità.
126 Adottata nell'ambito delle azioni finalizzate alla repressione del terrorismo internazionale, considerata essenziale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale (v. il suo settimo 'considerando'), la risoluzione 1333 (2000) del Consiglio di Sicurezza riguardava altrettanto specificamente il regime dei talibani che, all'epoca, controllava la maggior parte del territorio afgano e dava rifugio e assistenza a Osama bin Laden e ai suoi associati.
127 Come già esposto supra, è proprio questo legame espressamente stabilito con il territorio e il regime dirigente di un paese terzo che ha permesso al Consiglio di fondare il regolamento n. 467/2001 sugli artt. 60 CE e 301 CE.
128 Invece, la risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza è stata adottata, il 16 gennaio 2002, dopo la caduta di tale regime, conseguente all'intervento armato della coalizione internazionale in Afghanistan, cominciato nell'ottobre 2001. Di conseguenza, e sebbene riguardi ancora espressamente i talibani, essa non è più diretta contro il loro caduto regime, bensì direttamente contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda e le persone ed entità loro associate.
130
Mancando un siffatto legame, il Consiglio e
131 Infatti, l'art. 60, n. 1, CE dispone che il Consiglio, in conformità della procedura di cui all'art. 301 CE, può adottare, «nei confronti dei paesi terzi interessati», le misure urgenti necessarie in materia di movimenti di capitali e di pagamenti. L'art. 301 CE prevede espressamente la possibilità di un'azione della Comunità per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche «con uno o più paesi terzi».
132 D'altro canto, il fatto che tali articoli autorizzino l'adozione di «sanzioni intelligenti» nei confronti di individui o entità associati ai dirigenti di un paese terzo o da essi direttamente o indirettamente controllati (v., supra, punti 115 e 116) non consente di ritenere che le dette sanzioni possano ancora riguardare tali individui ed entità quando il regime dirigente del paese terzo di cui trattasi non esiste più. In circostanze del genere, infati, non sussistono più sufficienti legami tra tali individui o entità e un paese terzo.
133 Ne discende che, comunque, gli artt. 60 CE e 301 CE non costituivano, da soli, un fondamento normativo sufficiente per il regolamento impugnato.
134 Peraltro, contrariamente alla posizione espressa dalla Commissione nella proposta di regolamento del Consiglio che è all'origine del regolamento impugnato (v. supra, punto 129), il Consiglio ha considerato che neanche l'art. 308 CE costituiva, da solo, un fondamento normativo adeguato per permettere l'adozione del detto regolamento. Anche tali considerazioni vanno accolte.
136 Per quanto riguarda il primo presupposto di applicabilità dell'art. 308 CE, è pacifico che nessuna disposizione del Trattato CE prevede l'adozione di misure, del tipo di quelle previste dal regolamento impugnato, volte alla lotta contro il terrorismo internazionale e, in particolare, all'imposizione di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di individui ed entità sospettati di contribuire al suo finanziamento, senza stabilire un qualche legame con il territorio o il regime dirigente di un paese terzo. Questo primo presupposto ricorre dunque nel caso di specie.
137 Per quanto concerne il secondo presupposto di applicabilità dell'art. 308 CE, secondo la giurisprudenza citata al precedente punto 135, perché esso sia soddisfatto, occorre che la lotta contro il terrorismo internazionale e, in particolare, l'imposizione di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di individui ed entità sospettati di contribuire al suo finanziamento, possano ricollegarsi a uno degli obiettivi assegnati dal Trattato alla Comunità.
138 Nella fattispecie, il preambolo del regolamento impugnato è particolarmente laconico al riguardo. Tutt'al più, il Consiglio ha affermato, al quarto 'considerando' di tale regolamento, che le misure richieste ai sensi della risoluzione 1390 (2002) e della posizione comune 2002/402 «ricadeva] no nell'ambito del Trattato» e che occorreva una normativa comunitaria «in particolare per evitare distorsioni della concorrenza».
139 Quanto alla petizione di principio secondo cui le misure di cui trattasi «ricadono nel Trattato», va subito rilavato, invece, che nessuno degli obiettivi del Trattato esplicitamente enunciati agli artt. 2 CE e 3 CE sembra potersi realizzare tramite le misure in questione.
141 Quanto all'obiettivo di instaurare un regime inteso a garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato interno [art. 3, n. 1, lett. g), CE], l'affermazione dell'esistenza di un rischio di distorsione della concorrenza — alla prevenzione del quale tale regolamento, secondo il detto 'considerando', sarebbe rivolto — non è convincente.
142 Le norme in materia di concorrenza contenute nel Trattato CE si rivolgono alle imprese e agli Stati membri quando questi violano la parità di condizioni concorrenziali tra le imprese (v., per quanto riguarda l'art. 87 CE, sentenza della Corte 2 luglio 1974, causa 173/73, Italia/Commissione, Racc. pag. 709, punto 26, e, per quanto riguarda l'art. 81 CE, sentenza della Corte 12 luglio 1984, causa 170/83, Hydrotherm, Race. pag. 2999, punto 11).
143 Orbene, nel caso di specie, da un Iato, non si asserisce che gli individui o le entità interessati dal regolamento impugnato lo sono in quanto imprese ai sensi delle norme sulla concorrenza del Trattato CE.
144 Dall'altro, non viene fornita alcuna spiegazione che faccia capire come la concorrenza tra le imprese possa essere pregiudicata dall'attuazione, a livello della Comunità o dei suoi Stati membri, delle misure restrittive specifiche prescritte nei confronti di talune persone ed entità dalla risoluzione 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza.
145 Le
considerazioni che precedono non sono rimesse in discussione dal nesso che
147
Bisogna aggiungere che, se la semplice constatazione di un rischio di disparità
tra le normative nazionali e del rischio astratto di ostacoli alla libera
circolazione dei capitali o di distorsioni di concorrenza che possono derivarne
fosse sufficiente a giustificare la scelta dell'art. 308 CE, in combinato
disposto con l'art. 3, n. 1, lett. c) e g), CE, come fondamento normativo di un
regolamento, non solo le disposizioni del capo 3 del titolo VI
del Trattato CE, relative al ravvicinamento delle legislazioni, sarebbero
private di effetto utile, ma il controllo giurisdizionale del rispetto del fondamento
normativo potrebbe essere privato di qualsiasi efficacia. Si impedirebbe allora
al giudice comunitario di esercitare il compito, incombentegli
ai sensi dell'art. 220 CE, di assicurare il rispetto del diritto
nell'interpretazione e nell'applicazione del Trattato (v„ in tal senso, a
proposito dell'art.
148 Ad ogni modo, gli elementi di valutazione forniti al Tribunale non consentono di considerare che il regolamento impugnato contribuisce effettivamente a prevenire un rischio di ostacoli alla libera circolazione dei capitali o di rilevanti distorsioni della concorrenza.
149 Il
Tribunale rileva, in particolare, che, contrariamente a quanto sostengono
150 Ciò premesso, le misure controverse nel caso di specie non possono essere legittimate in base all'obiettivo di cui all'art. 3, n. 1, lett. c) e g), CE.
151 Inoltre, i vari esempi di ricorso al fondamento normativo integrativo costituito dall'art. 308 CE richiamati dal Consiglio (v. supra, punti 95 e 97) si rivelano non pertinenti nella fattispecie. Da un lato, infatti, non si evince da tali esempi che le condizioni d'applicazione dell'art. 308 CE, in particolare quella relativa alla realizzazione di un obbiettivo della Comunità, non ricorrevano nelle fattispecie interessate. Dall'altro, gli atti normativi di cui trattasi in tali esempi non sono stati contestati a questo proposito dinanzi alla Corte, in particolare nella causa che ha dato luogo alla sentenza Delbar, punto 96 supra. In ogni caso, secondo una costante giurisprudenza, una mera prassi del Consiglio non può derogare norme del Trattato e non può di conseguenza creare un precedente che vincoli le istituzioni della Comunità quanto alla determinazione del corretto fondamento normativo (sentenza della Corte 23 febbraio 1988, causa 68/86, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. 855, punto 24, e parere della Corte 15 novembre 1994,1/94, Racc. pag. I-5267, punto 52).
152 Da tutto quanto precede discende che la lotta contro il terrorismo internazionale e, più in particolare, l'imposizione di sanzioni economiche e finanziarie, quali il congelamento dei capitali, nei confronti di individui ed entità sospettati di contribuire al suo finanziamento non può essere ricollegata ad alcun obiettivo esplicitamente assegnato alla Comunità dagli artt. 2 CE e 3 CE.
153
Oltre agli obiettivi del Trattato esplicitamente enunciati agli artt. 2 CE e 3
CE,
154
Contrariamente a quanto sostiene
155 Se certamente si può affermare che tale obiettivo dell'Unione deve ispirare l'azione della Comunità nel settore delle sue competenze, come la politica commerciale comune, ciò non basta, invece, a fondare l'adozione di misure ai sensi dell'art. 308 CE, soprattutto in settori in cui le competenze comunitarie sono marginali ed elencate restrittivamente dal Trattato.
156
Infine, non si può interpretare l'art. 308 CE nel senso che esso autorizza in
modo generale le istituzioni a fondarsi su tale articolo per realizzare un
obiettivo del Trattato UE. In particolare, il Tribunale considera che la
coesistenza dell'Unione e della Comunità come ordinamenti giuridici integrati
ma distinti, nonché l'architettura costituzionale dei pilastri, voluti dagli
autori dei trattati attualmente in vigore, non autorizzano
né le istituzioni né gli Stati membri a fondarsi sulla «clausola di
flessibilità» costituita dall'art. 308 CE per ovviare alla mancanza di una competenza
della Comunità necessaria alla realizzazione di un obiettivo dell'Unione. Una
diversa interpretazione significherebbe, in ultima analisi, rendere tale disposizione
applicabile a tutte le misure rientranti nella PESC e nella cooperazione di
polizia e giudiziaria in materia penale (GAI), di guisa che
157 Si deve dunque rilevare che, come gli artt. 60 CE e 301 CE isolatamente considerati, l'art. 308 CE non costituisce, da solo, un fondamento normativo sufficiente per il regolamento impugnato.
158 Sia nei 'considerando' del regolamento impugnato sia nelle sue difese scritte, il Consiglio ha tuttavia sostenuto che l'art. 308 CE, in combinato disposto con gli artt. 60 CE e 301 CE, gli conferisce il potere di adottare un regolamento comunitario che riguarda la lotta al finanziamento del terrorismo internazionale, ingaggiata dall'Unione e dagli Stati membri in base alla PESC, e che a tal fine impone sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di privati, senza stabilire legami con il territorio o con il regime dirigente di un paese terzo. Tali considerazioni meritano di essere condivise.
160 Si deve infatti constatare che gli artt. 60 CE e 301 CE sono disposizioni assolutamente particolari del Trattato CE poiché prevedono espressamente che un'azione della Comunità possa risultare necessaria per realizzare non uno degli obiettivi della Comunità, determinati dal Trattato CE, ma uno degli obiettivi specificamente assegnati all'Unione dall'art. 2 UE, ossia l'attuazione di una politica estera e di sicurezza comune.
161 Nell'ambito degli artt. 60 CE e 301 CE, l'azione della Comunità è quindi in realtà un'azione dell'Unione attuata sul fondamento del pilastro comunitario dopo che il Consiglio ha adottato una posizione comune o un'azione comune a titolo della PESC.
162
Occorre rilevare, al riguardo, che, ai termini dell'art. 3 UE, l'Unione dispone
di un quadro istituzionale unico che assicura la coerenza e la continuità delle
azioni svolte per il perseguimento dei suoi obiettivi, rispettando e
sviluppando nel contempo l'acquis comunitario.
L'Unione assicura in particolare la coerenza globale della sua azione esterna
nell'ambito delle politiche in materia di relazioni esterne, di sicurezza, di
economia e di sviluppo. Il Consiglio e
163 Orbene, proprio come i poteri d'azione previsti dal Trattato CE possono rivelarsi insufficienti per permettere alle istituzioni di agire per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, anche i poteri in materia di sanzioni economiche e finanziarie previsti dagli artt. 60 CE e 301 CE, ossia l'interruzione o la riduzione delle relazioni economiche con uno o più paesi terzi, in particolare per quanto attiene ai movimenti di capitali e ai pagamenti, possono rivelarsi insufficienti per consentire alle istituzioni di raggiungere l'obiettivo della PESC, che rientra nel Trattato UE, per il quale tali disposizioni sono state specificamente inserite nel Trattato CE.
164 Bisogna dunque ammettere che, nel particolare contesto considerato dagli artt. 60 CE e 301 CE, il ricorso al fondamento normativo supplementare costituito dall'art. 308 CE si giustifica, in nome dell'esigenza di coerenza di cui all'art. 3 UE, quando tali disposizioni non conferiscono alle istituzioni comunitarie la competenza necessaria, in materia di sanzioni economiche e finanziarie, ad agire per raggiungere lo scopo perseguito dall'Unione e dai suoi Stati membri a titolo della PESC.
165 Può quindi verificarsi che una posizione comune o un'azione comune adottate in ossequio alla PESC richiedano alla Comunità misure di sanzioni economiche e finanziarie che vanno al di là di quelle, esplicitamente previste dagli artt. 60 CE e 301 CE, che consistono nell'interruzione o riduzione delle relazioni economiche con uno o più paesi terzi, in particolare per quanto riguarda i movimenti di capitali e i pagamenti.
167 Nel caso di specie, la lotta contro il terrorismo internazionale e il relativo finanziamento rientra incontestabilmente tra gli obiettivi dell'Unione in ossequio alla PESC, definiti all'art. 11 UE, anche quando non riguarda specificamente i paesi terzi o i loro dirigenti.
168 È pacifico, peraltro, che la posizione comune 2002/402 è stata adottata dal Consiglio, all'unanimità, nell'ambito di tale lotta e che essa prescrive l'imposizione da parte della Comunità di sanzioni economiche e finanziarie nei confronti di privati sospettati di contribuire al finanziamento del terrorismo internazionale, senza bisogno di stabilire legami con il territorio o il regime dirigente di un paese terzo.
169 Ciò posto, il ricorso all'art. 308 CE per integrare i poteri di sanzioni economiche e finanziarie conferiti alla Comunità dagli artt. 60 CE e 301 CE si giustifica considerando che, nel mondo attuale, gli Stati non possono più essere ritenuti la sola fonte di minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Non si può impedire all'Unione e al suo pilastro comunitario, così come alla comunità internazionale, di adeguarsi a queste nuove minacce tramite l'imposizione di sanzioni economiche e finanziarie non solo nei confronti dei paesi terzi, ma anche di persone, gruppi, imprese o entità associate che sviluppano un'attività terroristica internazionale o pregiudicano altrimenti la pace e la sicurezza internazionale.
170 Le istituzioni e il Regno Unito hanno pertanto sostenuto a buon diritto che il Consiglio era competente ad adottare il regolamento impugnato, il quale attua nella Comunità le sanzioni economiche e finanziarie previste dalla posizione comune 2002/402, sul fondamento costituito dal combinato disposto degli artt. 60 CE, 301 CE e 308 CE.
171 Ne discende che la prima parte del primo motivo dev'essere respinta.
Sulla
seconda parte
Argomenti delle parti
172 Nell'ambito della seconda parte del primo motivo, i ricorrenti sostengono che la facoltà attribuita alla Commissione, innanzi tutto in base all'art. 10, n. 1, del regolamento n. 467/2001, poi in base all'art. 7, n. 1, del regolamento impugnato, ha una portata molto più estesa di quella di una semplice competenza di esecuzione di un regolamento del Consiglio e quindi viola l'art. 202 CE. A loro parere, infatti, una decisione della Commissione di inserire una persona nell'allegato I del regolamento impugnato va, di fatto, a modificare il suo art. 2.
173 Il
Consiglio e
Giudizio del Tribunale
174 La seconda parte del primo motivo è divenuta priva di oggetto a seguito dell'abrogazione del regolamento n. 467/2001 e della relativa sostituzione con il regolamento impugnato. Se è vero, infatti, che i ricorrenti erano stati inizialmente inclusi nell'allegato I del regolamento n. 467/2001 dal regolamento della Commissione n. 2199/2001, adottato su delega del Consiglio ai sensi dell'art. 10, n. 1, del primo dei detti regolamenti, la loro inserzione nell'allegato I del regolamento impugnato è oramai un fatto del regolamento impugnato stesso, adottato dal Consiglio senza un nuovo intervento della Commissione.
175 Le modifiche inserite dal regolamento n. 866/2003 (precedente punto 41) sono meramente redazionali, come riconosciuto dal sig. Yusuf (punto 63 supra), e vanno quindi considerate esercizio di una semplice competenza esecutiva, la cui delega alla Commissione è conforme all'art. 202 CE.
176 Ne consegue che la seconda parte del motivo dev'essere respinta.
Sulla
terza parte
Argomenti delle parti
177 Nell'ambito della terza parte del primo motivo, i ricorrenti sostengono che non rientrava nelle competenze del Consiglio delegare ad un organo esterno alla Comunità — nel caso di specie, il comitato per le sanzioni — un potere decisionale in materia di diritti civili ed economici degli Stati membri e dei loro cittadini.
178 II Regno Unito ribatte che, nel caso di specie, non vi sono deleghe di competenze comunitarie agli organi delle Nazioni Unite, ma, al contrario, le istituzioni avrebbero agito esclusivamente per assicurare il rispetto, da parte degli Stati membri della Comunità, dei loro obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite, i quali prevalgono su qualunque altro obbligo, secondo quanto dispone l'art. 103 di tale Carta.
Giudizio del Tribunale
179 Le decisioni adottate nel caso di specie dal comitato per le sanzioni nei confronti dei ricorrenti sono state prese su delega del Consiglio di Sicurezza, utilizzando le informazioni raccolte sotto la sua propria responsabilità. Peraltro, le risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza non rappresentano l'esercizio di poteri delegati dalla Comunità, ma l'esercizio che il Consiglio di Sicurezza fa dei propri poteri in virtù della Carta delle Nazioni Unite. La circostanza che le istituzioni comunitarie, in seguito all'adozione della posizione comune 2002/402, abbiano ritenuto di doversi conformare a tali decisioni e risoluzioni, nell'esercizio delle loro competenze proprie, è, al riguardo, irrilevante.
180 La terza parte del motivo in esame risulta così fondata su una premessa errata e deve pertanto essere respinta.
2. Sul
secondo motivo, relativo alla violazione dell'art. 249 CE
Argomenti
delle parti
181 I ricorrenti sostengono che il regolamento impugnato, poiché lede direttamente i diritti dei privati e prescrive l'applicazione di sanzioni individuali, non ha portata generale ed è quindi contrario all'art. 249 CE. Il presupposto della portata generale, previsto da tale articolo, osterebbe, infatti, a che casi singoli siano disciplinati, come nella fattispecie, tramite un regolamento. Tale presupposto discenderebbe dal principio generale di uguaglianza di fronte alla legge e sarebbe una conditio sine qua non per evitare che il diritto comunitario entri in conflitto con le leggi costituzionali degli Stati membri o con i principi generali in materia di diritti dell'uomo e di libertà fondamentali. Il modus operandi di emanare una norma per mezzo di un elenco sarebbe contrario anche ai principi di legalità e di certezza del diritto.
182 Nella loro replica, i ricorrenti evidenziano che gli individui e le entità cui si rivolge il regolamento impugnato non sono usciti da una cerchia qualunque di persone astrattamente designate, ma corrispondono nome per nome alle persone che compaiono nell'elenco del comitato per le sanzioni. Non sussisterebbe neppure una situazione oggettivamente determinata, descritta con condizioni formulate in maniera generale, che potrebbe spiegare il motivo per il quale i nomi dei ricorrenti compaiono proprio nell'allegato I del regolamento impugnato. Ciò premesso, l'atto impugnato non dovrebbe essere esaminato come un regolamento, ma come un complesso di decisioni individuali, ai sensi della sentenza della Corte 13 maggio 1971, cause riunite 41/70-44/70, International Fruit e a./Commissione (Race. pag. 411).
183 Le istituzioni ed il Regno Unito sostengono che il regolamento impugnato ha realmente portata generale.
Giudizio
del Tribunale
184 Ai termini dell'art. 249, secondo comma, CE, il regolamento ha portata generale ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri, mentre la decisione è obbligatoria solo per i destinatari in essa indicati.
185
Secondo una costante giurisprudenza, il criterio distintivo va quindi ricercato
nella portata generale ovvero individuale dell'atto di cui trattasi. La caratteristica
essenziale della decisione consiste nella limitatezza dei destinatari ai quali
è diretta, mentre il regolamento, che ha natura essenzialmente normativa, è
applicabile a situazioni oggettivamente considerate, comportando effetti
giuridici nei confronti di categorie di persone considerate astrattamente e nel
loro complesso. Peraltro, la natura normativa di un atto non viene meno ove sia
possibile determinare, con maggiore o minor precisione, il numero o anche
l'identità dei destinatari in un determinato momento, purché la qualità di
destinatario dipenda da una situazione obiettiva di diritto o
di fatto definita dall'atto in relazione alla sua finalità (sentenze della Corte 14 dicembre 1962, cause rinite
19/62-22/62, Fédération nationale de la boucherie
en gros e a./Consiglio, Race. pag. 917, punto 2; 11
luglio 1968, causa 6/68, Zuckerfabrik Watenstedt/Consiglio, Race. pag.
186 Nella fattispecie, il regolamento impugnato ha incontestabilmente portata generale, poiché vieta a chiunque di mettere a disposizione di determinate persone capitali o risorse economiche. Il fatto che tali persone siano specificamente designate nell'allegato I di tale regolamento, cosicché sembra che quest'ultimo le riguardi direttamente e individualmente, ai sensi dell'art. 230, quarto comma, CE, non pregiudica per niente la generalità di tale divieto che vale erga omnes, come si evince in particolare dall'art. 11, ai termini del quale il regolamento impugnato si applica:
— nel territorio della Comunità, compreso il suo spazio aereo,
— a bordo di tutti gli aeromobili e di tutti i natanti sotto la giurisdizione di uno Stato membro,
— a tutti i cittadini di uno Stato membro che si trovano altrove,
— a tutte le persone giuridiche, a tutti i gruppi o entità registrati o costituiti conformemente alla legislazione di uno Stato membro, e
— a tutte le persone giuridiche, a tutti i gruppi o entità operanti all'interno della Comunità.
188 Infatti, un atto che ha ad oggetto il congelamento dei capitali degli autori di atti terroristici, presi in considerazione come categoria generale ed astratta, sarebbe una decisione se i destinatari fossero una o più persone nominalmente designate. Al contrario, un atto che ha ad oggetto il congelamento dei capitali di una o più persone nominalmente designate è effettivamente un regolamento qualora si rivolga in maniera generale ed astratta all'insieme di persone che possono materialmente detenere i capitali in questione. Questo è precisamente il caso nella fattispecie.
189 Il secondo motivo va pertanto respinto.
3. Sul
terzo motivo, relativo alla violazione dei diritti fondamentali dei ricorrenti
Argomenti
delle parti
190 I ricorrenti, che rinviano sia all'art. 6, n. 2, UE sia alla giurisprudenza della Corte (sentenze 12 novembre 1969, causa 29/69, Stauder, Race. pag. 419; 17 dicembre 1970, causa 11/70, Internationale Handelsgesellschaft, Race. pag. 1125, e 14 maggio 1974, causa 4/73, Nold/Commissione, Race. pag. 491, punto 13), sostengono che il regolamento impugnato viola i loro diritti fondamentali, segnatamente il loro diritto a disporre dei propri beni e i diritti della difesa, garantiti dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in quanto tale regolamento gli impone pesanti sanzioni, al contempo civili e penali, senza che essi siano stati previamente sentiti o messi in condizione di difendersi e senza che il detto atto sia stato sottoposto a un qualche sindacato giurisdizionale.
191
Per quanto riguarda in particolare l'asserita violazione dei diritti della
difesa, i ricorrenti sottolineano che non sono stati informati dei motivi delle
sanzioni loro inflitte, che non gli sono stati comunicati i mezzi di prova e le
circostanze loro addebitate e che non hanno neanche avuto modo di spiegarsi
(sentenze ella Corte 23 ottobre 1974, causa 17/74, Transocean
Marine Paint/Commissione, Racc. pag. 1063; 7 giugno
1983, cause riunite 100/80-103/80, Musique Diffusion française e a./ Commissione,
Racc. pag. 1825, punto 14; 10 luglio 1986, causa 40/85, Belgio/ Commissione,
Racc. pag. 2321, e 27 giugno 1991, causa C-49/88, Al-Jubail
Fertilizer e Saudi Arabian Fertilizer/Consiglio,
Racc. pag. I-3187). La loro inclusione nell'elenco dell'allegato I del
regolamento impugnato sarebbe esclusivamente motivata dal fatto che sono stati
inseriti nell'elenco elaborato dal comitato per le sanzioni sulla base delle
informazioni comunicate dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali
o regionali. Né il Consiglio né
192
Per quanto riguarda in particolare l'asserita violazione del diritto ad un
controllo giurisdizionale, i ricorrenti rilevano che, nella sentenza 27
novembre 2001, causa C-424/99, Commissione/Austria (Race. pag.
Í-9285, punto 45),
193
Nel caso di specie, né
194 Lo
stesso varrebbe per il Consiglio di Sicurezza ed il suo comitato per le
sanzioni, che sarebbero organi politici davanti ai quali
sono autorizzati a presentarsi solo gli Stati. Nella fattispecie, il comitato
per le sanzioni avrebbe comunicato al governo svedese che non era possibile
procedere ad un esame nel merito della richiesta dei ricorrenti di ritirare i
loro nomi dall'elenco elaborato da tale comitato. Tale richiesta sarebbe però
stata comunicata ai quindici membri del comitato per le sanzioni come proposta
di decisione. Tre membri soltanto di tale comitato, ossia gli Stati Uniti, il Regno
Unito e
195 Quanto al controllo esercitato dal Tribunale nell'ambito del ricorso in esame, i ricorrenti obiettano che un ricorso di annullamento, che riguarda solo la legittimità del regolamento impugnato in quanto tale, non consente un'analisi nel merito della legittimità delle sanzioni alla luce dei diritti fondamentali di cui si lamenta la violazione. Inoltre, tenuto conto della tecnica legislativa utilizzata, consistente nell'elaborazione di elenchi di persone ed entità colpite da tali sanzioni, un siffatto esame del merito sarebbe privato di significato, poiché limitato all'accertamento della corrispondenza dei nomi contenuti in tali elenchi con quelli contenuti negli elenchi del comitato per le sanzioni.
196 I ricorrenti rilevano tuttavia taluni errori o irregolarità da cui sarebbe viziato il regolamento impugnato. Infatti, l'entità «Barakaat International, Hallbybacken 15, 70 Spånga, Svezia», menzionata nell'allegato I di tale regolamento, alla voce «Persone giuridiche, gruppi ed entità», sarebbe la stessa entità che la ricorrente Al Barakaat, di cui alla stessa voce. I ricorrenti spiegano della Al Barakaat ha trasferito la sua sede sociale. Peraltro, l'indirizzo indicato sarebbe, in sé, sbagliato.
197 Del pari, l'entità «Somali Network AB, Hallbybacken 15, 70 Spånga, Svezia», menzionata alla medesima voce dell'allegato I del regolamento impugnato, in precedenza di proprietà di t re dei ricorrenti iniziali, i sigg. Aden, Ali e Yusuf, e la cui attività consisteva nella vendita di schede telefoniche, avrebbe cessato la sua attività alla fine del 2000, sarebbe stata ceduta nell'estate 2001 e la sua ragione sociale sarebbe stata cambiata in «Trä & Inredningsmontage i Kärrtorp» il 4 ottobre 2001.1 nuovi azionisti non avrebbero alcun legame con i ricorrenti e sembrerebbero esercitare la loro attività nel settore dell'edilizia. Poiché il comitato per le sanzioni ha ugualmente inserito tale entità nell'elenco il 9 novembre 2001, sarebbe evidente la lacunosità della sua documentazione e l'assenza di controlli caso per caso.
198 I
ricorrenti aggiungono che
199 Il primo ricorrente, sig. Yusuf, chiede di essere ascoltato dal Tribunale a titolo di offerta di prova. Egli chiede anche l'audizione di Sir Jeremy Greenstock, presidente del comitato per le sanzioni all'epoca in cui sono state adottate le sanzioni contro di lui.
200 Nella loro replica, i ricorrenti contestano peraltro l'argomento secondo il quale il Consiglio sarebbe obbligato ad attuare le sanzioni disposte dal Consiglio di Sicurezza perché esse si imporrebbero agli Stati membri della Comunità in forza della Carta delle Nazioni Unite.
201 Secondo i ricorrenti, non esistono impegni assoluti ai sensi dell'art. 25 della Carta delle Nazioni Unite e l'art. 103 di tale Carta è vincolante solo in diritto internazionale pubblico e non implica in nessun caso che i membri delle Nazioni Unite debbano disapplicare le proprie leggi.
202 Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sarebbero direttamente applicabili negli Stati membri dell'ONU, ma dovrebbero essere recepite nel loro diritto interno, in conformità con le loro disposizioni costituzionali e con i principi fondamentali del diritto. Tali disposizioni, qualora ostino ad un siffatto recepimento, dovrebbero essere anzitutto modificate per renderlo possibile.
204
Inoltre, si evincerebbe dall'art. 24, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite che
spetta sempre al Consiglio di Sicurezza agire conformemente agli obiettivi e ai
principi delle Nazioni Unite. Presupposto per l'impegno dei membri dell'ONU ai
sensi dell'art. 25 della Carta sarebbe che le competenze del Consiglio di
Sicurezza ad adottare decisioni vincolanti discendano da altre disposizioni
della medesima Carta. Poiché
207 II
Consiglio e
208 Tanto meno, secondo le istituzioni, i diritti nazionali possono ostacolare i provvedimenti di esecuzione adottati a norma della Carta delle Nazioni Unite. Se un membro dell'ONU avesse la possibilità di modificare il contenuto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, non sarebbe possibile mantenerne l'uniformità di applicazione, indispensabile per garantirne l'efficacia.
209
210
Sebbene
211 Il
Consiglio generalizza tale affermazione sostenendo che, allorché
213 Il
Consiglio sottolinea, inoltre, che, quando
214 Nella fattispecie, il regolamento impugnato sarebbe stato emanato al fine di attuare, nell'ordinamento giuridico comunitario, le risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza, mediante il recepimento automatico dell'intero elenco di persone o entità che sarebbe stato elaborato dal comitato per le sanzioni conformemente alle procedure applicabili, senza poter esercitare nessun poter discrezionale autonomo, come emergerebbe chiaramente sia dal preambolo del regolamento impugnato sia dal suo art. 7, n. 1.
215
Secondo il Consiglio e
216 Secondo il Consiglio, accadrebbe lo stesso anche se il regolamento impugnato dovesse essere ritenuto lesivo dei diritti fondamentali dei ricorrenti. Il Consiglio ritiene, infatti, che l'«effetto di liceità» valga anche nei confronti dei diritti fondamentali che, come prevedono gli strumenti giuridici internazionali, possono essere temporaneamente sospesi in caso di emergenza.
217 Poiché i ricorrenti hanno contestato, nella loro replica, la conformità delle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza all'art. 1, n. 3, della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio risponde che occorre supporre che, nell'ambito degli speciali poteri attribuitigli dal capitolo VII di tale Carta, il Consiglio di Sicurezza ha proceduto alla ponderazione dei diritti fondamentali delle vittime delle sanzioni con quelli delle vittime del terrorismo, e in particolare il diritto di questi ultimi alla vita.
218
Peraltro, il Consiglio e
219 Ad
ogni modo, il Consiglio e
224 Secondo il Consiglio, la controversia tra le parti non verte sull'esistenza stessa di un diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo, ma sulla portata del sindacato giurisdizionale che risulta giustificato o adeguato nella fattispecie.
Giudizio
del Tribunale
Osservazioni preliminari
226 Il Tribunale può pronunciarsi utilmente sul motivo attinente all'asserita violazione dei diritti fondamentali dei ricorrenti solamente qualora esso rientri nel suo sindacato giurisdizionale e possa portare, se fondato, all'annullamento del regolamento impugnato.
227 Orbene, nella fattispecie, le istituzioni e il Regno Unito sostengono, in sostanza, che non ricorra nessuna di queste due condizioni, perché gli obblighi assunti dalla Comunità e dai suoi Stati membri in forza della Carta delle Nazioni Unite prevalgono su ogni altro obbligo di diritto internazionale, comunitario o nazionale. L'esame degli argomenti di tali parti risulta quindi essere la premessa a qualsiasi analisi degli argomenti dei ricorrenti.
229 Tale esame determina, infatti, quello relativo alla portata del sindacato di legittimità, in particolare rispetto ai diritti fondamentali, che il Tribunale ha il compito di esercitare su atti comunitari che attuano siffatte risoluzioni e al quale si procederà quindi in secondo luogo.
Sul legame tra l'ordinamento giuridico
internazionale creato dalle Nazioni Unite e l'ordinamento giuridico nazionale o
comunitario
231 Si deve constatare che, dal punto di vista del diritto internazionale, gli obblighi degli Stati membri dell'ONU ai sensi della Carta delle Nazioni Unite prevalgono incontestabilmente su qualsiasi altro obbligo di diritto interno o di diritto internazionale pattizio, ivi compreso, per quelli tra di essi che sono membri del Consiglio d'Europa, sugli obblighi derivanti dalla CEDU e, per quelli tra di essi che sono anche membri della Comunità, sui loro obblighi derivanti dal Trattato CE.
232
Per quanto riguarda, in primo luogo, i rapporti tra
233
Per quanto riguarda, in secondo luogo, i rapporti tra
234 Tale prevalenza si estende alle decisioni contenute in
una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, a norma dell'art. 25 della Carta
delle Nazioni Unite, ai termini del quale i membri dell'ONU convengono di
accettare e di eseguire le decisioni del Consiglio di Sicurezza. Secondo
235 Per quanto riguarda in particolare i rapporti tra gli obblighi degli Stati membri della Comunità assunti in forza della Carta delle Nazioni Unite e i loro obblighi assunti in forza del diritto comunitario, occorre aggiungere che, a termini del primo comma dell'art. 307 CE, «[l]e disposizioni del presente Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse, anteriormente al 1 ° gennaio 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall'altra».
236 Secondo una giurisprudenza costante della Corte, tale disposizione è diretta a precisare, conformemente ai principi del diritto internazionale, che l'applicazione del Trattato CE non pregiudica l'impegno assunto dallo Stato membro interessato di rispettare i diritti degli Stati terzi risultanti da una convenzione anteriore, e di osservare i relativi obblighi (sentenza della Corte 28 marzo 1995, causa C-324/93, Evans Medicai e Macfarlan Smith, Racc. pag. I-563, punto 27; v. anche sentenze della Corte 27 febbraio 1962, causa 10/61, Commissione/Italia, Race. pag. 1; 2 agosto 1993, causa C-158/91, Levy, Racc. pag. 1-4287, e 14 gennaio 1997, causa C-124/95, Centro-Com, Race. pag. I-81, punto 56).
237
Orbene, cinque dei sei Stati firmatari del Trattato che istituisce
238
Per giunta, l'art. 224 del Trattato che istituisce
239 Le
risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza ai sensi del capitolo VII della
Carta delle Nazioni Unite hanno quindi effetti vincolanti per tutti gli Stati
membri della Comunità, che devono dunque, in tale qualità, prendere tutte le
misure necessarie ad assicurare la loro esecuzione (conclusioni dell'avvocato
generale Jacobs relative alla sentenza della Corte 30 luglio 1996, causa
C-84/95, Bosphorus, Racc. pag. I-
240 Da quanto precede discende altresì che, tanto in esecuzione delle norme di diritto internazionale generale quanto in esecuzione delle disposizioni specifiche del Trattato, gli Stati membri hanno la facoltà, e anche l'obbligo, di disapplicare qualsiasi disposizione di diritto comunitario, seppur di diritto primario o un principio generale di tale diritto, che ostacoli la buona esecuzione dei loro obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.
241 Infatti, nella sentenza Centro-Com,
punto 236 supra,
242
Per contro, discende dalla giurisprudenza (v. sentenza Dorsch
Consult/Consiglio e Commissione, punto 82 supra, punto 74) che, a differenza dei suoi Stati membri,
243
Ciò posto,
245 Essi non hanno potuto, a causa di un negozio concluso tra loro, trasferire alla Comunità più poteri di quanti ne avessero né sottrarsi agli obblighi esistenti nei confronti di paesi terzi in base alla detta Carta (v., per analogia, sentenza della Corte 12 dicembre 1972, cause riunite 21/72-24/72, International Fruit Company e a., Race. pag. 1219; in prosieguo: la «sentenza International Fruit», punto 11).
246 Al
contrario, la loro intenzione di rispettare gli impegni derivanti da tale Carta
si desume dalle disposizioni dello stesso Trattato che istituisce
247 Quest'ultima disposizione, benché parli unicamente degli obblighi degli Stati membri, implica l'obbligo delle istituzioni della Comunità di non ostacolare l'adempimento degli impegni degli Stati membri derivanti dalla detta Carta (sentenza della Corte 14 ottobre 1980, causa 812/79, Burgoa, Racc. pag. 2787, punto 9).
248
Occorre altresì sottolineare che, poiché le competenze necessarie
all'attuazione degli impegni degli Stati membri derivanti dalla Carta delle
Nazioni Unite sono state trasferite alla Comunità, gli Stati membri si sono
obbligati, in diritto internazionale pubblico, a che
249 Ciò premesso, occorre rammentare, da un lato, che, a termini dell'art. 48, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite, le decisioni del Consiglio di Sicurezza sono eseguite dai membri delle Nazioni Unite «direttamente o mediante la loro azione nelle organizzazioni internazionali competenti di cui siano Membri», e, dall'altro, che secondo la giurisprudenza (sentenze Poulsen e Diva Navigation, punto 210 supra, punto 9, e Racice, punto 210 supra, punto 45; v., anche, sentenza della Corte 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn, Racc. pag. 1337, punto 22), le competenze della Comunità devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale e che, perciò, il diritto comunitario va interpretato, e la sua sfera d'applicazione circoscritta, alla luce delle norme pertinenti del diritto internazionale.
250 Gli Stati membri, nell'attribuire tali competenze alla Comunità, hanno dunque segnato la loro volontà di vincolarla agli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite (v., per analogia, sentenza International Fruit, punto 15).
251 Dopo
l'entrata in vigore del Trattato che istituisce
252 È
cosi, in particolare, che l'art.
253 Ne
deriva che, in tutti i casi in cui, in forza del Trattato CE,
254 Al
termine di questo ragionamento, occorre considerare, da un
Iato, che
255 Orbene, nella fattispecie, il Consiglio ha constatato, nella posizione comune 2002/402, adottata in esecuzione delle disposizioni del titolo V del Trattato UE, che un'azione della Comunità, nei limiti dei poteri ad essa attribuiti dal Trattato CE, era necessaria per attuare determinate misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, dei membri dell'organizzazione Al-Qaeda nonché dei talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associate, conformemente alle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002) del Consiglio di Sicurezza.
256
257
Occorre quindi riconoscere la fondatezza degli argomenti dedotti dalle
istituzioni, riassunti supra al punto 206, tenendo
presente che non è in forza del diritto internazionale generale, come
sostengono le parti, bensì in forza dello stesso Trattato CE che
258 Per contro, gli argomenti dei ricorrenti fondati, da un lato, sull'autonomia dell'ordinamento giuridico comunitario rispetto all'ordinamento giuridico creato dalle Nazioni Unite e, dall'altro, sulla necessità di un'attuazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza nel diritto interno degli Stati membri, conformemente alle disposizioni costituzionali e ai principi generali di tale diritto, devono essere respinti.
Sulla portata del controllo di legittimità il cui esercizio spetta al Tribunale
261
Come
262 Nella fattispecie, tale principio si esprime nel diritto che conferisce ai ricorrenti l'art. 230, quarto comma, CE di sottoporre al controllo del Tribunale la legittimità del regolamento impugnato, purché li riguardi direttamente ed individualmente, e di dedurre a sostegno del loro ricorso qualsiasi motivo relativo all'incompetenza, alla violazione delle forme sostanziali, alla violazione del Trattato CE o di qualsiasi norma di diritto riguardante la sua applicazione, o a uno sviamento di potere.
263 La questione che si pone nella fattispecie è però quella di sapere se esistano limiti strutturali, imposti dal diritto internazionale generale o dal Trattato CE stesso, al sindacato giurisdizionale che il Tribunale ha il compito di esercitare su tale regolamento.
264 Occorre infatti ricordare che il regolamento impugnato, adottato alla luce della posizione comune 2002/402, costituisce l'attuazione, a livello comunitario, dell'obbligo che incombe agli Stati membri, in quanto membri dell'ONU, di dare esecuzione, eventualmente mediante un atto comunitario, alle sanzioni contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda, i talibani e altri persone, gruppi, imprese ed entità associati, che sono state decise e poi inasprite da varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. I 'considerando' di tale regolamento fanno espresso riferimento alle risoluzioni 1267 (1999), 1333 (2000) e 1390 (2002).
265 Ciò premesso, come sostengono a giusto titolo le istituzioni, queste ultime hanno agito in base ad una competenza vincolata, sicché esse non disponevano di alcun margine di discrezionalità autonomo. In particolare, esse non potevano né modificare direttamente il contenuto delle risoluzioni di cui trattasi né prevedere un meccanismo che potesse dar luogo ad una modifica del genere.
266 Qualsiasi controllo della legittimità interna del regolamento impugnato, in particolare rispetto alle disposizioni o ai principi generali del diritto comunitario in materia di tutela dei diritti fondamentali, implicherebbe dunque la verifica da parte del Tribunale, in via incidentale, della legittimità delle dette risoluzioni. Nell'ipotesi in esame, infatti, la fonte dell'illegittimità fatta valere dai ricorrenti non andrebbe ricercata nell'adozione del regolamento impugnato, ma nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che hanno decretato le sanzioni (v., per analogia, sentenza Dorsch Consult/Consiglio e Commissione, punto 82 supra, punto 74).
268 Le istituzioni e il Regno Unito invitano il Tribunale a declinare per principio qualunque competenza a procedere a un siffatto controllo indiretto della legittimità di tali risoluzioni che, in quanto norme di diritto internazionale vincolanti per gli Stati membri della Comunità, s'imporrebbero nei suoi confronti come nei confronti di tutte le istituzioni della Comunità. Tali parti ritengono, in sostanza, che il controllo del Tribunale dovrebbe limitarsi, da un lato, alla verifica del rispetto delle regole di forma, di procedura e di competenza che s'imponevano, nella fattispecie, alle istituzioni comunitarie e, dall'altro, alla verifica dell'adeguatezza é della proporzionalità dei provvedimenti comunitari controversi rispetto alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che essi attuano.
269 Si deve riconoscere che una siffatta limitazione di competenze s'impone come corollario dei principi sopra esposti, nell'ambito dell'esame dei rapporti tra l'ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l'ordinamento giuridico comunitario.
270 Come già esposto, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse sono state adottate in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. In tale contesto, la determinazione di ciò che costituisce una minaccia contro la pace e la sicurezza internazionale, nonché dei provvedimenti necessari a mantenerle o a ristabilirle, rientra nell'esclusiva responsabilità del Consiglio di Sicurezza e sfugge, in quanto tale, alla competenza delle autorità e dei giudici nazionali comunitari, fatto salvo unicamente il diritto naturale di legittima difesa, individuale o collettiva, di cui all'art. 51 della detta Carta.
271 Dal momento che, agendo in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza, tramite il suo comitato per le sanzioni, decide che i capitali di determinate persone o entità devono essere congelati, la sua decisione s'impone a tutti i membri delle Nazioni Unite, a norma dell'art. 48 della Carta.
272
Alla luce di quanto esposto ai precedenti punti 243-
273 Da un lato, una competenza del genere sarebbe incompatibile con gli impegni assunti dagli Stati membri in base alla Carta delle Nazioni Unite, in particolare ai suoi artt. 25, 48 e 103, nonché con l'art. 27 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
274 Dall'altro, una tale competenza sarebbe contraria sia alle disposizioni del Trattato CE, in particolare agli artt. 5 CE, 10 CE, 297 CE e 307, primo comma, CE, sia a quelle del Trattato UE, in particolare all'art. 5 UE, ai sensi del quale il giudice comunitario esercita le proprie attribuzioni alle condizioni e ai fini previsti dalle disposizioni dei Trattati CE e UE. Essa sarebbe, inoltre, incompatibile con il principio secondo il quale le competenze della Comunità e, pertanto, quelle del Tribunale devono venir esercitate nel rispetto del diritto internazionale (sentenze Poulsen e Diva Navigation, punto 210 supra, punto 9, e Racke, punto 210 supra, punto 45).
275 Occorre aggiungere che, alla luce in particolare dell'art. 307 CE e dell'art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, il fatto che siano menomati i diritti fondamentali tutelati dall'ordinamento giuridico comunitario, o i principi di tale ordinamento, non può sminuire la validità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza né la sua efficacia nel territorio della Comunità (v., per analogia, sentenze della Corte Internationale Handelsgesellschaft, punto 190 supra, punto 3; 8 ottobre 1986, causa 234/85, Keller, Racc. pag. 2897, punto 7, e 17 ottobre 1989, cause riunite 97/87-99/87, Dow Chemical Ibèrica e a./Commissione, Racc. pag. 3165, punto 38).
276 Si deve dunque considerare che le controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza si sottraggono in via di principio al sindacato giurisdizionale del Tribunale e che quest'ultimo non ha il potere di rimettere in causa, seppur in via incidentale, la loro legittimità alla luce del diritto comunitario. Al contrario, il Tribunale è tenuto, per quanto possibile, ad interpretare e applicare tale diritto in modo che sia compatibile con gli obblighi degli Stati membri derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite.
277 II Tribunale ha tuttavia il potere di controllare, in via incidentale, la legittimità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse alla luce dello ius cogens, inteso come un ordinamento pubblico internazionale che s'impone nei confronti di tutti i soggetti del diritto internazionale, compresi gli organi dell'ONU, e al quale non è possibile derogare.
278 Bisogna
rilevare, al riguardo, che
279
280 Tali principi s'impongono sia ai membri dell'ONU sia ai suoi organi. Infatti, a termini dell'art. 24, n. 2, della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza deve, nell'adempiere i suoi compiti inerenti alla responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, agire «in conformità ai fini ed ai principi delle Nazioni Unite». I poteri sanzionatori che il Consiglio di Sicurezza possiede nell'esercizio di tale responsabilità devono quindi essere usati nel rispetto del diritto internazionale e, in particolare, dei fini e dei principi delle Nazioni Unite.
281 Il
diritto internazionale consente così di considerare che esiste
un limite al principio dell'effetto vincolante delle risoluzioni del Consiglio
di Sicurezza: esse devono rispettare le norme imperative fondamentali dello ius cogens. In caso contrario,
per quanto improbabile, esse non vincolerebbero gli Stati membri dell'ONU né, pertanto,
282 II sindacato giurisdizionale incidentale esercitato dal Tribunale nell'ambito di un ricorso di annullamento di un atto comunitario adottato, senza esercizio di alcun margine discrezionale, allo scopo di attuare una risoluzione del Consiglio di Sicurezza può dunque estendersi all'eventuale verifica del rispetto delle norme superiori del diritto internazionale appartenenti allo ius cogens e, in particolare, delle norme imperative che riguardano la tutela universale dei diritti dell'uomo, cui né gli Stati membri né le organizzazioni dell'ONU possono derogare, poiché esse costituiscono «principi inderogabili del diritto internazionale consuetudinario» (parere consultivo della Corte internazionale di giustizia 8 luglio 1996, Liceità della minaccia o dell'impiego di armi nucleari, Race. 1996, pag. 226, punto 79; v, altresì, in tal senso, conclusioni dell'avvocato generale Jacobs relative alla sentenza Bosphorus, punto 239 supra, paragrafo 65).
283 È alla luce di tali considerazioni generali che occorre esaminare i motivi relativi alla violazione dei diritti fondamentali dei ricorrenti.
Sulle asserite violazioni dei diritti fondamentali dei ricorrenti
284 Gli argomenti elaborati dai ricorrenti in ordine all'asserita violazione dei loro diritti fondamentali possono essere rubricati sotto tre voci: violazione dei loro diritti a disporre dei propri beni, violazione dei diritti della difesa e violazione del loro diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo.
— Sull'asserita violazione del diritto dei ricorrenti di disporre dei propri beni
285 I ricorrenti lamentano una violazione del loro diritto di disporre dei propri beni tutelato dall'ordinamento giuridico comunitario.
286 Tuttavia, poiché la pretesa violazione deriverebbe esclusivamente dal congelamento dei capitali dei ricorrenti, deciso dal Consiglio di Sicurezza tramite il suo comitato per le sanzioni e attuato nella Comunità dal regolamento impugnato senza esercizio di alcun potere discrezionale, in linea di massima è solo in base allo standard di tutela universale dei diritti fondamentali della persona umana che rientrano nello ius cogens che occorre esaminare le censure sollevate dal ricorrente, conformemente ai principi già definiti in precedenza.
287 Poiché la portata e l'intensità del congelamento dei capitali dei ricorrenti sono variate nel corso del tempo (v. in successione, l'art. 2 del regolamento n. 467/2001, l'art. 2 del regolamento n. 881/2002 nella sua versione originaria e, infine, l'art. 2 bis del regolamento impugnato, come inserito dall'art. 1 del regolamento n. 561/2003), occorre peraltro precisare che, nell'ambito del presente ricorso di annullamento, il sindacato giurisdizionale del Tribunale deve riguardare unicamente lo stato della normativa attualmente in vigore. Infatti, in sede di contenzioso di annullamento, il giudice comunitario tiene normalmente conto degli avvenimenti che incidono, in corso di causa, sull'oggetto stesso della controversia, quali l'abrogazione, la proroga, la sostituzione o la modifica dell'atto impugnato (v., oltre alle sentenze Alpha Steel/ Commissione, Fabrique de fer de Charleroi e Dillinger Huttenwerke/Commissione e CCRE/Commissione, punto 72 supra, l'ordinanza della Corte 8 marzo 1993, causa C-123/92, Lezzi Pietro/Commissione, Racc. pag. I-809, punti 8-11). Tutte le parti si sono dichiarate d'accordo sul punto all'udienza.
288 Occorre dunque valutare se il congelamento dei capitali previsto dal regolamento impugnato, come modificalo dal regolamento n. 561/2003 e, indirettamente, dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza attuate da tali regolamenti, violi i diritti fondamentali dei ricorrenti.
289 Secondo il Tribunale, non è questo il caso della presente fattispecie alla luce dello standard di tutela universale dei diritti fondamentali della persona umana appartenenti allo ius cogens, senza che in questa sede occorra distinguere tra la situazione dell'entità Al Barakaat, come persona giuridica, e quella del sig. Yusuf, come persona fisica.
291 Le espresse possibilità di esenzioni e di deroghe che accompagnano il congelamento dei capitali delle persone iscritte nell'elenco del comitato per le sanzioni dimostrano chiaramente che tale misura non ha né lo scopo né l'effetto di assoggettare tali persone ad un trattamento disumano o degradante.
292 Inoltre, occorre rilevare che, sebbene l'art 17, n. 1, della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, disponga che «[o]gni individuo ha il diritto ad avere una proprietà sua personale o in comune con altri», l'art. 17, n. 2, della detta Dichiarazione universale precisa che «[n]essun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua proprietà».
293 Quindi, nei limiti in cui il rispetto del diritto alla proprietà privata debba essere considerato facente parte delle norme imperative del diritto internazionale generale, solo una privazione arbitraria di tale diritto potrebbe, in ogni caso, essere considerata contraria allo ius cogens.
294 Orbene, si deve constatare che i ricorrenti non sono stati arbitrariamente privati di tale diritto.
295 Infatti, in primo luogo, il congelamento dei loro capitali è un aspetto delle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza contro Osama bin Laden, la rete Al-Qaeda, i talibani e altre persone, gruppi, imprese ed entità associati.
297 Nel preambolo della risoluzione 1390 (2002), il Consiglio di Sicurezza ha in particolare condannato categoricamente gli attacchi terroristici commessi l'11 settembre 2001, dichiarandosi determinato a prevenire qualsiasi atto di questo tipo; ha preso atto che Osama bin Laden e la rete Al-Qaeda proseguivano le loro attività di sostegno al terrorismo internazionale; ha condannato la rete Al-Qaeda e i gruppi terroristici associati per gli innumerevoli atti terroristici criminali da essi commessi con lo scopo di uccidere molti civili innocenti e di distruggere beni e ha nuovamente riaffermato che gli atti di terrorismo internazionale costituivano una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.
298 È alla luce di tali circostanze che riveste un'importanza significativa l'obiettivo perseguito dalle sanzioni, che è segnatamente quello, ai sensi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza 28 settembre 2001, 1373 (2001), cui rinvia il terzo 'considerando' del regolamento impugnato, di lottare con tutti i mezzi, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, contro le minacce alla pace e alla sicurezza internazionale da parte di atti di terrorismo. Le misure di cui trattasi perseguirebbero quindi un obiettivo d'interesse generale fondamentale per la comunità internazionale.
302 Tenuto conto di tali circostanze, il congelamento dei capitali delle persone ed entità sospettate, in base alle informazioni comunicate dagli Stati membri delle Nazioni Unite e controllate dal Consiglio di Sicurezza, di essere legate ad Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e di avere partecipato al finanziamento, alla pianificazione, alla preparazione o all'esecuzione di atti terroristici non può passare per una lesione arbitraria, inadeguata o sproporzionata dei diritti fondamentali degli interessati.
303 Discende da quanto precede che gli argomenti che i ricorrenti traggono dall'asserita violazione dei loro diritti a disporre dei propri beni devono essere respinti.
— Sull'asserita violazione dei diritti della difesa
304 Gli argomenti che i ricorrenti deducono dall'asserita violazione dei diritti della difesa riguardano essenzialmente il fatto che n o n sarebbero stati ascoltati né messi in grado di difendersi prima dell'adozione delle sanzioni decretate nei loro confronti. Ciò premesso, i ricorrenti sottolineano che n o n sono stati informati né dei motivi né delle giustificazioni di tali sanzioni.
306 Per quanto riguarda, in primo luogo, il preteso diritto dei ricorrenti di essere ascoltati dal comitato per le sanzioni prima dalla loro inclusione nell'elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni controverse del Consiglio di Sicurezza, si deve constatare che u n siffatto diritto non è previsto dalle risoluzioni di cui trattasi.
307 Peraltro, nessuna norma imperativa appartenente all'ordinamento pubblico internazionale sembra imporre una preventiva audizione degli interessati in circostanze analoghe a quelle della fattispecie, in cui il Consiglio di Sicurezza, agendo sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, decide, tramite il suo comitato per le sanzioni, che i capitali di taluni individui o entità sospettati di contribuire al finanziamento del terrorismo internazionale debbano essere congelati.
308 È indubbio, del resto, che un'audizione dei ricorrenti precedente alla loro inclusione nel detto elenco avrebbe compromesso l'efficacia delle sanzioni e si sarebbe quindi rivelata incompatibile con l'obiettivo d'interesse generale perseguito. Una misura di congelamento dei capitali deve, per sua stessa natura, poter beneficiare di un effetto sorpresa e applicarsi con effetto immediato. Pertanto, una misura del genere non può essere preventivamente notificata prima di essere attuata.
309 Bisogna nondimeno rilevare che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse, e i successivi regolamenti che hanno dato loro attuazione all'interno della Comunità, sebbene non prevedano un diritto di audizione individuale, instaurano un meccanismo di riesame delle situazioni individuali, prevedendo che gli interessati possano rivolgersi al comitato per le sanzioni, ricorrendo alle loro autorità nazionali, allo scopo di ottenere la propria cancellazione dall'elenco delle persone colpite dalle sanzioni oppure una deroga al congelamento dei capitali (v., in particolare, precedenti punti 11, 21, 36 e 38-40).
310 Il comitato per le sanzioni è un organo ausiliario del Consiglio di Sicurezza, composto da rappresentanti degli Stati che sono membri del Consiglio di Sicurezza. Esso è diventato un importante organo permanente responsabile della supervisione quotidiana dell'applicazione delle sanzioni e può promuovere un'interpretazione e un'applicazione coerenti delle risoluzioni da parte della comunità internazionale (conclusioni dell'avvocato generale Jacobs relative alla sentenza Bosphorus, punto 189 supra, paragrafo 46).
311 Per quanto riguarda, in particolare, una richiesta di riesame di un caso individuale, al fine di ottenere la cancellazione dell'interessato dall'elenco delle persone colpite dalle sanzioni, le «direttive per la condotta dei lavori del [comitato delle sanzioni]», adottate il 7 novembre 2002 e emendate il 10 aprile 2003 (v. precedente punto 67), prevedono, al punto 7, quanto segue:
«a) Fermi restando i procedimenti pendenti, un richiedente [persona, gruppo, impresa o entità incluso nell'elenco riepilogativo del comitato] può presentare al governo del paese di residenza o cittadinanza una richiesta di riesame del suo caso. A tal fine, il richiedente deve giustificare la sua domanda di cancellazione dall'elenco, fornire le informazioni pertinenti e chiedere un sostegno a tale richiesta.
b) Il governo cui è presentata la richiesta (il "governo interpellato") esamina tutte le informazioni pertinenti e contatta in forma bilaterale il governo o i governi che ha o hanno proposto l'iscrizione nell'elenco (il "governo o i governi proponenti") per richiedere ulteriori informazioni e consultarsi sulla richiesta di cancellazione dall'elenco.
c) Anche il governo o i governi che avevano originariamente chiesto l'iscrizione possono chiedere ulteriori informazioni al paese di residenza o di cittadinanza del richiedente. Il governo interpellato e il governo o i governi proponenti possono, all'occorrenza, consultare il presidente del comitato nel corso di tali consultazioni bilaterali.
d) Qualora il governo interpellato, dopo aver esaminato le informazioni integrative, desideri accogliere una richiesta di cancellazione dall'elenco, deve cercare di convincere il governo o i governi proponenti a presentare al comitato, congiuntamente o separatamente, una richiesta di cancellazione. Il governo interpellato può presentare al comitato una richiesta di cancellazione non accompagnata da una richiesta del governo o dei governi proponenti, nell'ambito del procedimento di approvazione tacita.
e) Il comitato adotta le sue decisioni all'unanimità. Qualora il comitato non raggiunga l'unanimità su una determinata questione, il presidente dà inizio a ulteriori consultazioni se, a suo giudizio, potranno facilitare l'accordo. Qualora, dopo tali consultazioni, non si raggiunga ancora l'unanimità, la questione può essere sottoposta al Consiglio di sicurezza. Data la specificità dell'informazione, il presidente può incoraggiare gli scambi bilaterali tra gli Stati membri interessati al fine di chiarire la questione prima di adottare una decisione».
312 Il Tribunale constata che, adottando tali direttive, il Consiglio di Sicurezza ha voluto tener conto, per quanto possibile, dei diritti fondamentali delle persone incluse nell'elenco del comitato per le sanzioni e in particolare dei diritti della difesa.
314 Certamente la procedura sopra descritta non conferisce direttamente agli interessati stessi il diritto di farsi ascoltare dal comitato per le sanzioni, unica autorità competente a pronunciarsi, su richiesta di uno Stato, sul riesame dei loro casi, che dipendono quindi, essenzialmente, dalla tutela diplomatica che gli Stati accordano ai propri cittadini.
315 Una siffatta limitazione del diritto di essere direttamente e personalmente ascoltati dall'autorità competente non può tuttavia essere ritenuta inammissibile alla luce delle norme imperative dell'ordinamento pubblico internazionale. Al contrario, trattandosi di confutare il merito di decisioni che dispongono il congelamento dei capitali di persone o entità sospettate di contribuire al finanziamento del terrorismo internazionale, adottate dal Consiglio di Sicurezza tramite il suo comitato per le sanzioni, ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, in base ad informazioni comunicate dagli Stati e dalle organizzazioni regionali, è normale che il diritto degli interessati di essere ascoltati sia strutturato nell'ambito di un procedimento amministrativo a vari livelli in cui le autorità nazionali di cui all'allegato II del regolamento impugnato svolgono un ruolo essenziale.
316 Lo stesso diritto comunitario riconosce d'altro canto la legittimità di un'organizzazione procedurale di tal genere, in relazione a sanzioni economiche che riguardano dei privati (v., per analogia ordinanza «Invest» Import und Export e Invest Commerce/Commissione, punto 85 supra).
317 Va aggiunto che, come giustamente rilevato dal Regno Unito all'udienza, gli interessati hanno la possibilità di proporre un ricorso giurisdizionale fondato sul diritto interno, e persino direttamente sul regolamento impugnato e sulle risoluzioni pertinenti del Consiglio di Sicurezza da esso attuate, contro un eventuale rifiuto abusivo dell'autorità nazionale competente di sottoporre il loro caso al comitato per le sanzioni al fine di un riesame (v., per analogia, ordinanza del presidente del Tribunale 15 maggio 2003, causa T-47/03 R, Sison/Consiglio, Racc. pag. II-2047, punto 39).
318 Nella fattispecie, del resto, i ricorrenti sono stati effettivamente ascoltati dal comitato per le sanzioni, tramite il governo svedese, e la loro audizione è stata così utile che due dei ricorrenti iniziali, i sigg. Aden e Ali, sono stati cancellati dall'elenco delle persone cui si applica il congelamento dei capitali e, di conseguenza, anche dall'elenco dell'allegato I del regolamento impugnato (v. precedenti punti 33-35). A questo proposito occorre citare il punto 11 della relazione 2002 del comitato per le sanzioni:
«Nella
sua undicesima riunione, I'11 febbraio 2002, dopo aver esaminato due note
verbali in cui
319 Resta, comunque, che la possibilità per i ricorrenti di esprimersi utilmente circa la realtà e la pertinenza dei fatti che hanno condotto al congelamento dei loro capitali e circa gli elementi di prova ritenuti a loro carico risulta categoricamente esclusa. Questi fatti ed elementi di prova, essendo classificati come riservati o segreti dallo Stato che li ha resi noti al comitato per le sanzioni, non vengono ovviamente loro comunicati, come non vengono peraltro comunicati agli Stati membri dell'ONU destinatari delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza controverse.
321 Ne consegue che devono essere respinti gli argomenti che i ricorrenti traggono dall'asserita violazione del loro diritto di essere ascoltati dal comitato per le sanzioni prima di essere inclusi nell'elenco delle persone i cui capitali devono essere congelati in esecuzione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.
323 È vero che la giurisprudenza in materia di diritto di diritto al contraddittorio non può essere estesa alle procedure legislative comunitarie, che culminano nell'adozione di provvedimenti normativi che implicano scelte di politica economica e si applicano alla generalità degli operatori interessati (sentenza del Tribunale 11 dicembre 1996, causa T-521/93, Atlanta e a./CE, Racc. pag. II-1707, punto 70, confermata su impugnazione con sentenza della Corte 14 ottobre 1999, causa C-104/97 P, Atlanta/Comunità europea, Racc. pag. I-6983, punti 31-38).
324 Nella fattispecie, tuttavia, il regolamento impugnato non è di natura esclusivamente normativa. Pur applicandosi alla generalità degli operatori economici interessati (v. precedente punto 186), esso riguarda direttamente ed individualmente i ricorrenti, che sono peraltro indicati per nome come destinatari delle sanzioni. La giurisprudenza citata al precedente punto non è quindi pertinente.
325 Occorre dunque ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, il rispetto dei diritti della difesa in qualsiasi procedimento promosso nei confronti di una persona e che possa sfociare in un atto per essa lesivo costituisce un principio fondamentale del diritto comunitario che dev'essere garantito anche in mancanza di qualsiasi norma riguardante il procedimento di cui trattasi. Tale principio impone che i destinatari di una sanzione siano messi in condizione di esprimere la propria opinione in merito agli addebiti sui quali la sanzione si fonda (sentenze della Corte 29 giugno 1994, causa C-135/92, Fiskano/Commissione, Racc. pag. I-2885, punti 39 e 40; 24 ottobre 1996, causa C-32/95 P, Commissione/Lisrestal e a., Racc. pag. I- 5373, punto 21, e 21 settembre 2000, causa C-462/98 P, Mediocurso/Commissione, Racc. pag. I-7183, punto 36).
326 II
Consiglio e
327 Di fatto, secondo la giurisprudenza, il rispetto delle garanzie offerte dall'ordinamento giuridico comunitario, fra cui il diritto dell'interessato a far conoscere il proprio punto di vista, è correlato all'esercizio di un potere discrezionale dell'autorità che ha emanato l'atto controverso (sentenza della Corte 21 novembre 1991, causa C-269/90, Technische Universität München, Racc. pag. I-5469, punto 14).
328 Orbene, nella fattispecie, come si evince dalle osservazioni preliminari sul legame tra l'ordinamento giuridico internazionale creato dalle Nazioni Unite e l'ordinamento giuridico comunitario precedentemente formulate, le istituzioni comunitarie erano tenute a recepire nell'ordinamento giuridico comunitario risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e decisioni del comitato per le sanzioni che non le autorizzavano in nessun modo, in fase di concreta attuazione, a prevedere un qualunque meccanismo comunitario di esame o di riesame delle sanzioni individuali, giacché sia la sostanza delle misure controverse sia i meccanismi di riesame (v. precedenti punti 309 e seguenti) erano interamente di competenza del Consiglio di Sicurezza e del suo comitato per le sanzioni. Di conseguenza, le istituzioni comunitarie non disponevano di alcun potere d'indagine, di alcuna possibilità di controllo dei fatti considerati dal Consiglio di Sicurezza e dal comitato per le sanzioni, di alcun margine di discrezionalità in relazione a tali fatti né di alcuna libertà discrezionale quanto all'opportunità di adottare sanzioni nei confronti dei ricorrenti. Il principio di diritto comunitario relativo al diritto al contraddittorio non si può applicare in circostanze del genere in cui un'audizione dell'interessato non potrebbe in nessun caso portare l'istituzione a rivedere la propria posizione.
329 Ne consegue che le istituzioni comunitarie non erano tenute ad ascoltare i ricorrenti prima dell'adozione del regolamento impugnato.
330 Gli argomenti che i ricorrenti deducono dalla pretesa violazione del loro diritto di essere ascoltati dalle istituzioni comunitarie prima dell'adozione del regolamento impugnato devono pertanto essere respinti.
331 Discende da quanto precede che gli argomenti dei ricorrenti relativi all'asserita violazione dei diritti della difesa devono essere respinti.
— Sull'asserita violazione del diritto ad un ricorso giurisdizionale effettivo
333 Nella fattispecie, i ricorrenti hanno potuto proporre un ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale ai sensi dell'art. 230 CE.
334 Nell'ambito di tale ricorso, il Tribunale esercita un controllo completo sulla legittimità del regolamento impugnato per quanto attiene al rispetto, da parte delle istituzioni comunitarie, delle norme di competenza nonché delle norme di legittimità esterna e delle forme sostanziali imposte al loro operato.
335 Il Tribunale controlla parimenti la legittimità del regolamento impugnato alla luce delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che tale regolamento deve attuare, segnatamente sotto il profilo dell'adeguatezza formale e sostanziale, della coerenza interna e della proporzionalità del primo rispetto alle seconde.
336 Pronunciandosi a titolo di tale controllo, il Tribunale dichiara che i pretesi errori di identificazione dei ricorrenti e di due altre entità, da cui sarebbe viziato il regolamento impugnato (v. supra, punti 196 e 197), sono irrilevanti ai fini della presente controversia, poiché non è messo in discussione che i ricorrenti sono proprio, rispettivamente, una delle persone fìsiche e una delle entità incluse il 9 novembre 2001 nell'elenco del comitato per le sanzioni (v. supra, punto 24). Lo stesso dicasi per il fatto che le autorità svedesi di polizia avrebbero ritenuto in regola, dopo verifica, la contabilità della seconda ricorrente (v. supra, punto 198).
337 Nell'ambito del ricorso di annullamento in esame, il Tribunale si è inoltre riconosciuto competente a controllare la legittimità del regolamento impugnato e, indirettamente, la legittimità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza di cui trattasi, alla luce delle norme superiori del diritto internazionale appartenenti allo ius cogens, segnatamente delle norme imperative sulla tutela universale dei diritti della persona umana.
338 Per contro, come già fatto presente al precedente punto 276, non spetta al Tribunale controllare indirettamente la conformità delle stesse controverse risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ai diritti fondamentali tutelati dall'ordinamento giuridico comunitario.
339 Al Tribunale non spetta neanche verificare l'assenza di errori di valutazione dei fatti e degli elementi di prova che il Consiglio ha considerato a sostegno delle misure adottate né, fatto salvo l'ambito limitato definito al precedente punto 337, controllare indirettamente l'opportunità e la proporzionalità di tali misure. Un siffatto controllo non potrebbe essere esercitato senza sconfinare nelle prerogative del Consiglio di Sicurezza ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite in materia di determinazione, in primo luogo, di una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale e, in secondo luogo, delle misure adeguate per farvi fronte o rimediarvi. Del resto, sapere se un individuo o un'organizzazione rappresenti una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, così come sapere quali misure vadano prese nei confronti degli interessati per bloccare tale minaccia, implica una valutazione politica e giudizi di valore che, in via di principio, attengono alla competenza dell'autorità cui la comunità internazionale ha affidato la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.
340 Si deve quindi constatare che, nei limiti appena esposti al precedente punto 339, i ricorrenti non dispongono di alcun rimedio giurisdizionale, poiché il Consiglio di Sicurezza non ha ritenuto opportuno individuare un giudice internazionale indipendente con il compito di decidere, in diritto e in fatto, dei ricorsi diretti contro le decisioni individuali adottate dal comitato per le sanzioni.
341 Tuttavia, va necessariamente riconosciuto del pari che una lacuna del genere nella tutela giurisdizionale dei ricorrenti non è di per sé contraria allo ius cogens.
343 Nella fattispecie, il Tribunale considera che la limitazione del diritto dei ricorrenti di adire un giudice, derivante dall'immunità di giurisdizione di cui godono in via di principio, nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri delle Nazioni Unite, le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza adottate ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite secondo i principi pertinenti del diritto internazionale (in particolare gli artt. 25 e 103 della Carta), è inerente a tale diritto, garantito dallo ius cogens.
344 Una siffatta limitazione è giustificata sia in base alla natura delle decisioni che il Consiglio di Sicurezza è portato ad adottare ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite sia in base allo scopo legittimo perseguito. Nelle circostanze del caso di specie, l'interesse dei ricorrenti a ottenere che un giudice esamini nel merito la loro causa non è sufficiente a prevalere sull'interesse generale fondamentale a che la pace e la sicurezza internazionale siano mantenute a fronte di una minaccia chiaramente identificata dal Consiglio di Sicurezza, conformemente alle disposizioni della Carta delle Nazioni Unite. A questo proposito bisogna attribuire un'importanza significativa al fatto che, lungi dal prevedere misure dall'applicazione di durata illimitata o indeterminata, le risoluzioni via via adottate dal Consiglio di Sicurezza hanno sempre previsto un meccanismo di riesame dell'opportunità di mantenere tali misure dopo un lasso di tempo di 12 o 18 mesi al massimo (v. precedenti punti 16, 26, 37 e 313).
345 Infine, il Tribunale rileva che, in mancanza di un giudice internazionale competente a controllare la legittimità degli atti del Consiglio di Sicurezza, la costituzione di un organo quale il comitato per le sanzioni e la possibilità, prevista dai testi, di rivolgervisi in qualsiasi momento per riesaminare ogni caso individuale, attraverso un meccanismo formalizzato che coinvolge sia il «governo interpellato» sia il «governo proponente» (v. precedenti punti 310 e 311), rappresentano un altro ragionevole rimedio per tutelare adeguatamente i diritti fondamentali dei ricorrenti riconosciuti dallo ius cogens.
346 Discende da quanto precede che gli argomenti dei ricorrenti relativi all'asserita violazione del loro diritto ad un controllo giurisdizionale effettivo devono essere respinti.
347 Poiché nessuno dei motivi e degli argomenti dei ricorrenti è stato accolto, e poiché il Tribunale si ritiene sufficientemente informato dai documenti versati agli atti e dalle indicazioni fornite dalle parti all'udienza, il ricorso dev'essere respinto, senza che occorra accogliere la richiesta di audizione del primo ricorrente e di Sir Jeremy Greenstock, ex presidente del comitato per le sanzioni (v. supra, punto 199).
Sulle spese
348 Ai
termini dell'art. 87, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente
è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Ai sensi dell'art. 87, n.
4, primo comma, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa
sopportano le proprie spese. Ai sensi dell'art. 87, n.
349
Considerate le circostanze della fattispecie e le conclusioni delle parti, si
procederà ad una corretta applicazione di tali disposizioni decidendo che i
ricorrenti sopporteranno, oltre alle proprie, le spese del Consiglio nonché
quelle sostenute dalla Commissione fino al 10 luglio 2002, ivi comprese le
spese attinenti all'istanza di provvedimenti urgenti. Il Regno Unito e
Per questi motivi
IL TRIBUNALE (Seconda Sezione
Ampliata)
dichiara e statuisce:
1)
Non occorre decidere sulle domande di annullamento del regolamento (CE) del
Consiglio 6 marzo 2001, n. 467, che vieta l'esportazione di talune merci e
servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il
congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei talibani dell'Afghanistan, e abroga il regolamento (CE) n.
337/2000, e del regolamento (CE) della Commissione 12 novembre 2001, n. 2199,
che modifica per la quarta volta il regolamento n. 467/200.
2) Il ricorso è respinto nella parte in cui
è diretto contro il regolamento (CE) del Consiglio 27 maggio 2002, n. 881, che
impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed
entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai talibani e abroga
il regolamento (CE) n. 467/2001.
3) I ricorrenti sono condannati a sopportare,
oltre alle proprie, le spese del Consiglio nonché quelle sostenute dalla
Commissione sino al 10 luglio 2002, ivi comprese le spese afferenti al
procedimento sommario.
4) Il Regno Unito di Gran Bretagna e
Irlanda del Nord e
Forwood Pirrung Mengozzi
Meij Vilaras
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 21 settembre 2005.
Il cancelliere
H. Jung
Il presidente
J. Pirrung