Corte di Giustizia delle Comunità europee, 19 novembre
1991
C-6/90, C-9/90 Andrea Francovich
e a. – Repubblica
italiana
Nei procedimenti riuniti C-6/90 e C-9/90,
aventi ad oggetto
due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell' art.
177 del Trattato CEE, dalla Pretura circondariale di Vicenza (nel procedimento
C-6/90) e dalla Pretura circondariale di Bassano del Grappa (nel procedimento
C-9/90) nelle cause dinanzi ad esse pendenti
tra
Andrea Francovich
e
Repubblica italiana
e tra
Danila Bonifaci e altri
e
Repubblica italiana,
domande vertenti
sull' interpretazione dell' art. 189, terzo comma, del Trattato CEE e della direttiva
del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati
in caso di insolvenza del datore di lavoro (GU L 283, pag. 23),
composta dai
signori O. Due, presidente, Sir Gordon Slynn, R. Joliet, F.A Schockweiler,
F. Grévisse, P.J. Kapteyn, presidenti di sezione, G.F.
Mancini, J.C. Moitinho de Almeida, G.C. Rodríguez Iglesias, M. Díez
de Velasco e M. Zuleeg, giudici,
avvocato
generale: J. Mischo
cancelliere: D. Louterman, amministratore principale
considerate le
osservazioni scritte presentate:
- per Andrea Francovich e Danila Bonifaci e a., dagli avvocati Claudio Mondin, Aldo Campesan e
Alberto dal Ferro, del foro di Vicenza,
- per il
governo italiano, dall' avvocato dello Stato Oscar
Fiumara, in qualità di agente,
- per il
governo olandese dal sig. B.R. Bot, segretario
generale presso il ministero degli Affari esteri, in qualità di agente,
- per il
governo del Regno Unito, dal sig. J.E. Collins, del Treasury Solicitor' s Department, in qualità di agente, assistito dal sig.
Richard Plender, QC,
- per
vista la
relazione d' udienza,
sentite le
osservazioni orali del sig. Andrea Francovich e della
sig.ra Danila Bonifaci, del
governo italiano, del governo britannico, del governo tedesco, rappresentato
dall' avvocato Jochim Sedemund,
del foro di Colonia, in qualità di agente, e della Commissione, all' udienza
del 27 febbraio 1991,
ha pronunciato
la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
1. Con
ordinanze 9 luglio e 30 dicembre 1989, pervenute alla Corte rispettivamente l' 8 e il 15 gennaio 1990,
2. Tali
questioni sono state sollevate nell' ambito di
controversie tra Andrea Francovich e Danila Bonifaci e a. (in
prosieguo: i "ricorrenti") e
3. La
direttiva 80/987 è diretta a garantire ai lavoratori dipendenti un minimo
comunitario di tutela in caso di insolvenza del datore di lavoro, fatte salve
le norme più favorevoli esistenti negli Stati membri. A tal fine, essa
stabilisce in particolare garanzie specifiche per il pagamento di loro crediti
non pagati relativi alla retribuzione.
5. Il sig. Francovich, parte nella causa principale nel procedimento
C-6/90, aveva lavorato per l' impresa "CDN
Elettronica Snc" a Vicenza e aveva ricevuto a
tale titolo solo acconti sporadici sulla propria retribuzione. Egli ha quindi
proposto ricorso dinanzi al Pretore di Vicenza, che ha condannato l' impresa convenuta al pagamento di una somma di circa 6
milioni di LIT. Nel corso del processo di esecuzione,
l' ufficiale giudiziario del Tribunale di Vicenza ha
dovuto redigere un verbale di pignoramento infruttuoso. Il sig. Francovich ha allora fatto valere il diritto di ottenere
dallo Stato italiano le garanzie previste dalla direttiva 80/987 o, in via
subordinata, un indennizzo.
6. Nella causa
C-9/90, la sig.ra Danila Bonifaci
e altre trentatré lavoratrici dipendenti hanno proposto un ricorso dinanzi al
Pretore di Bassano del Grappa, riferendo di aver lavorato in qualità di
lavoratrici dipendenti per la ditta "Gaia Confezioni Srl", dichiarata
fallita il 5 aprile 1985. Al momento della cessazione dei rispettivi rapporti
di lavoro, le ricorrenti erano creditrici di una somma di oltre 253 milioni di
LIT, che era stata ammessa al passivo dell' impresa
dichiarata fallita. Oltre cinque anni dopo il fallimento, nulla era stato loro
corrisposto e il curatore del fallimento aveva fatto loro sapere che una
ripartizione, anche parziale, in loro favore era assolutamente improbabile. Di
conseguenza, le ricorrenti hanno adito il suddetto giudice chiedendo che
"1) In
forza del sistema di diritto comunitario vigente, può il privato che sia stato
leso dalla mancata attuazione da parte dello Stato della direttiva 80/987 -
mancata attuazione accertata con sentenza di condanna della Corte di giustizia
- pretendere l' adempimento da parte dello Stato
stesso delle disposizioni in essa contenute che siano sufficientemente precise
e incondizionate invocando direttamente, nei confronti dello Stato membro
inadempiente, la normativa comunitaria per ottenere le garanzie che lo Stato
stesso doveva assicurare, e comunque rivendicare il risarcimento dei danni
subiti relativamente alle disposizioni che non godono di tale prerogativa?
2) Il
combinato disposto degli artt. 3 e 4 della direttiva 80/987 del Consiglio dev' essere interpretato nel senso che, nel caso in cui lo
Stato non si sia avvalso della facoltà di introdurre i limiti di cui all' art. 4, lo Stato stesso è tenuto al pagamento dei
diritti dei lavoratori subordinati nella misura stabilita dall' art. 3?
3) Nel caso di
risposta negativa alla domanda 2, stabilisca
8. Per una più
ampia illustrazione degli antefatti delle cause principali, dello svolgimento
del procedimento nonché delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa
rinvio alla relazione d' udienza. Questi elementi del
fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del
ragionamento della Corte.
9. La prima
questione sollevata dal giudice nazionale pone due problemi che occorre
esaminare separatamente. Essa riguarda, in primo luogo, l' efficacia
diretta delle norme della direttiva che definiscono i diritti dei lavoratori e,
in secondo luogo, l' esistenza e la portata della responsabilità dello Stato
per i danni derivanti dalla violazione degli obblighi ad esso incombenti in
forza del diritto comunitario.
Sull' efficacia
diretta delle disposizioni della direttiva che definiscono i diritti dei
lavoratori
10. La prima
parte della prima questione formulata dal giudice nazionale è diretta a
stabilire se le disposizioni della direttiva che definiscono i diritti dei
lavoratori debbano essere interpretate nel senso che gli interessati possono
far valere tali diritti nei confronti dello Stato dinanzi ai giudici nazionali
in mancanza di provvedimenti di attuazione adottati entro i termini.
11. Secondo
una giurisprudenza costante, lo Stato membro che non ha adottato entro i
termini i provvedimenti di attuazione imposti da una direttiva non può opporre
ai singoli l' inadempimento, da parte sua, degli
obblighi derivanti dalla direttiva stessa. Perciò, in tutti i casi in cui le
disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale,
incondizionate e sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere
richiamate, in mancanza di provvedimenti d' attuazione
adottati entro i termini, per opporsi a qualsiasi disposizione di diritto
interno non conforme alla direttiva, ovvero in quanto siano atte a definire
diritti che i singoli possono fare valere nei confronti dello Stato (sentenza
19 gennaio 1982, Becker, punti 24 e 25 della motivazione, causa 8/81, Racc.
pag. 53).
12. Occorre
quindi chiedersi se le disposizioni della direttiva 80/987 che definiscono i
diritti dei lavoratori siano incondizionate e sufficientemente precise. Tale
esame deve riguardare tre aspetti, e cioè la determinazione dei beneficiari
della garanzia stabilita da detta disposizione, il contenuto di tale garanzia
e, infine, l' identità del soggetto tenuto alla
garanzia. Al riguardo si pone in particolare la questione se lo Stato possa
essere considerato tenuto alla garanzia per non aver adottato, entro il termine
prescritto, i necessari provvedimenti di attuazione.
13. Per quanto
riguarda, innanzitutto, la determinazione dei beneficiari della garanzia, va
rilevato che, in base all' art. 1, n. 1, la direttiva
si applica ai diritti dei lavoratori subordinati derivanti da contratti di
lavoro o da rapporti di lavoro ed esistenti nei confronti di datori di lavoro
che si trovino in stato di insolvenza ai sensi dell' art. 2, n. 1, ossia della
disposizione che precisa le ipotesi in cui un datore di lavoro dev' essere considerato in stato di insolvenza. L' art. 2, n. 2, rinvia al diritto nazionale per la
determinazione delle nozioni di "lavoratore subordinato" e di
"datore di lavoro". Infine l' art. 1, n. 2,
dispone che gli Stati membri possono, in via eccezionale e a determinate
condizioni, escludere dall' ambito di applicazione della direttiva talune
categorie di lavoratori elencati nell' allegato della direttiva.
14. Queste
disposizioni sono sufficientemente precise e incondizionate per consentire al
giudice nazionale di stabilire se un soggetto possa essere o no considerato
beneficiario della direttiva. Infatti, il giudice deve solo verificare, in
primo luogo, se l' interessato abbia lo status di
lavoratore subordinato in forza del diritto nazionale e se non sia escluso, a
norma dell' art. 1, n. 2, e del suo allegato I, dall' ambito di applicazione
della direttiva (v., per quanto riguarda le condizioni richieste per una
siffatta esclusione, le sentenze 2 febbraio 1989, Commissione/Italia, punti
18-23 della motivazione, causa 22/87, cit., e 8 novembre 1990,
Commissione/Grecia, punti 11-26 della motivazione, causa C-53/88, Racc. pag.
I-3917); in secondo luogo, se ci si trovi in una delle ipotesi di insolvenza di
cui all' art. 2 della direttiva.
15. Per quanto
riguarda poi il contenuto della garanzia, l' art. 3
della direttiva dispone che dev' essere garantito il
pagamento dei crediti non pagati risultanti da contratti di lavoro o da rapporti
di lavoro e relativi alla retribuzione per il periodo situato prima di una data
stabilita dallo Stato membro che, al riguardo, può scegliere fra tre
possibilità e cioè: a) la data in cui è insorta l' insolvenza del datore di
lavoro; b) quella del preavviso di licenziamento del lavoratore subordinato
interessato, comunicato a causa dell' insolvenza del datore di lavoro; c)
quella in cui è insorta l' insolvenza del datore di lavoro o quella della
cessazione del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro del lavoratore
subordinato interessato, avvenuta a causa dell' insolvenza del datore di
lavoro.
18. Nella
fattispecie, il risultato che la direttiva di cui trattasi prescrive è la
garanzia del pagamento ai lavoratori dei crediti non pagati in caso di
insolvenza del datore di lavoro. Il fatto che gli artt. 3 e 4, nn. 1 e 2, concedano agli Stati membri una certa
discrezionalità per quanto concerne i metodi di fissazione di questa garanzia e
la limitazione del suo importo non pregiudica il carattere preciso e
incondizionato del risultato prescritto.
19. Infatti, come hanno messo in rilievo
20. Per quanto
riguarda la facoltà, di cui all' art. 4, n. 2, di
limitare tale garanzia, occorre rilevare che una siffatta facoltà non esclude
che si possa determinare la garanzia minima. Infatti, dalla formulazione di tale
articolo risulta che gli Stati membri hanno la facoltà di limitare le garanzie
accordate ai lavoratori a taluni periodi anteriori alla data di cui all' art. 3. Questi periodi sono stabiliti in relazione a
ciascuna delle tre date contemplate all' art. 3, onde
è possibile, in ogni caso, determinare fino a che punto lo Stato membro avrebbe
potuto ridurre la garanzia prevista dalla direttiva a seconda della data che
avrebbe scelto se avesse attuato la direttiva.
21. Quanto all' art. 4, n. 3, secondo il quale gli Stati membri possono
fissare un massimale per la garanzia di pagamento al fine di evitare il
versamento di somme eccedenti il fine sociale della direttiva, e quanto all'
art.
22. Va quindi
constatato che le disposizioni controverse sono incondizionate e
sufficientemente precise per quanto riguarda il contenuto della garanzia.
23. Per quanto
riguarda infine l' identità di chi è tenuto alla
garanzia, l' art. 5 della direttiva stabilisce che:
"Gli Stati fissano le modalità di organizzazione, di finanziamento
e di funzionamento degli organismi di garanzia nel rispetto, in particolare,
dei seguenti principi:
a) il
patrimonio degli organismi deve essere indipendente dal capitale di esercizio
dei datori di lavoro e essere costituito in modo da non poter essere
sequestrato in un procedimento in caso di insolvenza;
b) i datori di
lavoro devono contribuire al finanziamento, a meno che quest'
ultimo non sia integralmente assicurato dai pubblici poteri;
c) l' obbligo di pagamento, a carico degli organismi esiste
indipendentemente dall' adempimento degli obblighi di contribuire al
finanziamento".
24. E' stato
sostenuto che, poiché la direttiva prevede la possibilità di finanziamento
integrale degli organismi di garanzia da parte dei pubblici poteri, è
inammissibile che uno Stato membro possa neutralizzare gli effetti della
direttiva sostenendo che avrebbe potuto porre a carico di altri soggetti, in
parte o in toto, l' onere finanziario gravante su di
esso.
25. Tale
ragionamento non può essere condiviso. Dalla formulazione della direttiva
risulta che lo Stato membro è tenuto a predisporre tutto un sistema
istituzionale di garanzia appropriato. In forza dell' art.
5, lo Stato membro dispone di un' ampia discrezionalità quanto all'
organizzazione, al funzionamento e al finanziamento degli organismi di
garanzia. Occorre mettere in rilievo che il fatto, invocato dalla Commissione,
che la direttiva preveda come una possibilità, fra le altre, che un sistema del
genere sia finanziato integralmente dai pubblici poteri non può significare che
si possa identificare lo Stato come debitore dei crediti non pagati. L' obbligo di pagamento è a carico degli organismi di
garanzia e solo esercitando il suo potere di organizzare il sistema di garanzia
lo Stato può disporre il finanziamento integrale degli organismi di garanzia da
parte dei pubblici poteri. In questa ipotesi lo Stato si accolla un obbligo che
in linea di principio non gli incombe.
26. Ne
consegue che, anche se le disposizioni controverse della direttiva sono
sufficientemente precise e incondizionate per quanto riguarda la determinazione
dei beneficiari della garanzia e il contenuto della garanzia stessa, questi
elementi non sono sufficienti perché i singoli possano far valere tali
disposizioni dinanzi ai giudici nazionali. Infatti, da un lato, queste
disposizioni non precisano l' identità di chi è tenuto
alla garanzia e, dall' altro, lo Stato non può essere considerato debitore per
il solo fatto di non aver adottato entro i termini i provvedimenti di
attuazione.
27. Si deve
pertanto risolvere la prima parte della prima questione dichiarando che le disposizioni
della direttiva 80/987 che definiscono i diritti dei lavoratori devono essere
interpretate nel senso che gli interessati non possono far valere tali diritti
nei confronti dello Stato dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di
provvedimenti di attuazione adottati entro i termini.
Sulla
responsabilità dello Stato per danni derivanti dalla violazione degli obblighi
ad esso incombenti in forza del diritto comunitario
28. Con la
seconda parte della prima questione il giudice nazionale mira
a stabilire se uno Stato membro sia tenuto a risarcire i danni derivanti ai
singoli dalla mancata attuazione della direttiva 80/987.
29. Il giudice
nazionale pone così il problema dell' esistenza e
della portata di una responsabilità dello Stato per danni derivanti dalla
violazione degli obblighi che ad esso incombono in forza del diritto
comunitario.
30. Questo
problema dev' essere esaminato alla luce del sistema
generale del Trattato e dei suoi principi fondamentali.
a) Sul principio
della responsabilità dello Stato
31. Va
innanzitutto ricordato che il Trattato CEE ha istituito un ordinamento
giuridico proprio, integrato negli ordinamenti giuridici degli Stati membri e
che si impone ai loro giudici, i cui soggetti sono non soltanto gli Stati
membri, ma anche i loro cittadini e che, nello stesso modo in cui impone ai
singoli degli obblighi, il diritto comunitario è altresì volto a creare diritti
che entrano a far parte del loro patrimonio giuridico; questi diritti sorgono non
solo nei casi in cui il Trattato espressamente li menziona, ma anche in
relazione agli obblighi che il Trattato impone ai singoli, agli Stati membri e
alle istituzioni comunitarie (v. sentenze 5 febbraio 1963, Van Gend & Loos, causa 26/62,
Racc. pag. 3, e 15 luglio 1964, Costa, causa 6/64, pag. 1127).
32. Va altresì
ricordato che, come risulta da una giurisprudenza costante, è compito dei
giudici nazionali incaricati di applicare, nell' ambito
delle loro competenze, le norme del diritto comunitario, garantire la piena
efficacia di tali norme e tutelare i diritti da esse attribuiti ai singoli (v.
in particolare sentenza 9 marzo 1978, Simmenthal,
punto 16 della motivazione, causa 106/77, Racc. pag. 629, e sentenza 19 giugno
1990, Factortame, punto 19 della motivazione, cuasa C-213/89, Racc. pag. I-2433).
33. Va
constatato che sarebbe messa a repentaglio la piena efficacia delle norme
comunitarie e sarebbe infirmata la tutela dei diritti da esse riconosciuti se i
singoli non avessero la possibilità di ottenere un risarcimento ove i loro
diritti siano lesi da una violazione del diritto comunitario imputabile ad uno
Stato membro.
34. La
possibilità di risarcimento a carico dello Stato membro è particolarmente
indispensabile qualora, come nella fattispecie, la piena efficacia delle norme
comunitarie sia subordinata alla condizione di un' azione
da parte dello Stato e, di conseguenza, i singoli, in mancanza di tale azione,
non possano far valere dinanzi ai giudici nazionali i diritti loro riconosciuti
dal diritto comunitario.
35. Ne
consegue che il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai
singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al
sistema del Trattato.
37. Da tutto
quanto precede risulta che il diritto comunitario impone il principio secondo
cui gli Stati membri sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle
violazioni del diritto comunitario ad essi imputabili.
b) Sulle
condizioni della responsabilità dello Stato
38. Se la
responsabilità dello Stato è così imposta dal diritto comunitario, le
condizioni in cui essa fa sorgere un diritto a risarcimento dipendono dalla
natura della violazione del diritto comunitario che è all' origine
del danno provocato.
39. Qualora,
come nel caso di specie, uno Stato membro violi l' obbligo,
ad esso incombente in forza dell' art. 189, terzo comma, del Trattato, di
prendere tutti i provvedimenti necessari a conseguire il risultato prescritto
da una direttiva, la piena efficacia di questa norma di diritto comunitario
esige che sia riconosciuto un diritto a risarcimento ove ricorrano tre
condizioni.
40. La prima
di queste condizioni è che il risultato prescritto dalla direttiva implichi l' attribuzione di diritti a favore dei singoli. La seconda
condizione è che il contenuto di tali diritti possa essere individuato sulla
base delle disposizioni della direttiva. Infine, la terza condizione è l' esistenza di un nesso di causalità tra la violazione
dell' obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai soggetti lesi.
41. Tali
condizioni sono sufficienti per far sorgere a vantaggio dei singoli un diritto
ad ottenere un risarcimento, che trova direttamente il suo fondamento nel diritto
comunitario.
42. Con questa
riserva, è nell' ambito delle norme del diritto
nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le
conseguenze del danno provocato. Infatti, in mancanza di una disciplina
comunitaria, spetta all' ordinamento giuridico interno
di ciascuno Stato membro designare il giudice competente e stabilire le
modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela
dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario (v. le seguenti
sentenze: 22 gennaio 1976, Russo, causa 60/75, Racc. pag. 45; 16 dicembre 1976,
Rewe, causa 33/76, Racc. pag. 1989; 7 luglio 1981, Rewe, causa 158/80, Racc. pag. 1805).
43. Occorre
rilevare inoltre che le condizioni, formali e sostanziali, stabilite dalle
diverse legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono
essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura
interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente
impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (v. per quanto
concerne la materia analoga del rimborso di imposte riscosse in violazione del
diritto comunitario, in particolare la sentenza 9 novembre 1983, San Giorgio,
causa 199/82, Racc. pag. 3595).
44. Nella
fattispecie, la violazione del diritto comunitario da parte di uno Stato membro
a seguito della mancata attuazione entro i termini della direttiva 80/987 è
stata accertata con una sentenza della Corte. Il risultato prescritto da tale
direttiva comporta l' attribuzione ai lavoratori
subordinati del diritto ad una garanzia per il pagamento di loro crediti non
pagati relativi alla retribuzione. Come risulta dall' esame
della prima parte della prima questione, il contenuto di tale diritto può
essere individuato sulla base delle disposizioni della direttiva.
45. Stando
così le cose, spetta al giudice nazionale garantire, nell' ambito
delle norme di diritto interno relative alla responsabilità, il diritto dei
lavoratori ad ottenere il risarcimento dei danni che siano stati loro provocati
a seguito della mancata attuazione della direttiva.
46. La
questione sollevata dal giudice nazionale va pertanto risolta nel senso che uno
Stato membro è tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla mancata
attuazione della direttiva 80/987.
Sulla seconda
e sulla terza questione
47. Alla luce
della soluzione data alla prima questione pregiudiziale non occorre
pronunciarsi sulla seconda e sulla terza questione.
Decisione relativa alle
spese
Sulle spese
48. Le spese
sostenute dai governi italiano, britannico, olandese e
tedesco, nonché dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno presentato
osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle
parti nella causa principale il presente procedimento ha il carattere di un
incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, a cui spetta quindi statuire
sulle spese.
Dispositivo
Per questi
motivi,
pronunciandosi sulle
questioni ad essa sottoposte dalla Pretura di Vicenza (nella causa C-6/90) e
dalla Pretura di Bassano del Grappa (nella causa C-9/90) rispettivamente con
ordinanze 9 luglio e 30 dicembre 1989, dichiara:
1) Le
disposizioni della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE,
concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative
alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di
lavoro, che definiscono i diritti dei lavoratori devono essere interpretate nel
senso che gli interessati non possono far valere tali diritti nei confronti
dello Stato dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di
attuazione adottati entro i termini.
2) Uno Stato
membro è tenuto a risarcire i danni derivanti ai singoli dalla mancata
attuazione della direttiva 80/987/CEE.
(Seguono le firme)