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SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

17 luglio 2014

«Rinvio pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Accesso alla professione di avvocato – Facoltà di respingere l’iscrizione all’albo dell’ordine degli avvocati di cittadini di uno Stato membro che abbiano acquisito la qualifica professionale di avvocato in un altro Stato membro – Abuso del diritto»

Nelle cause riunite C‑58/13 e C‑59/13,

aventi ad oggetto le domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio Nazionale Forense (Italia), con decisioni del 29 settembre 2012, pervenute in cancelleria il 4 febbraio 2013, nei procedimenti

Angelo Alberto Torresi (C‑58/13),

Pierfrancesco Torresi (C‑59/13)

contro

Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da V. Skouris, presidente, K. Lenaerts, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, L. Bay Larsen (relatore), E. Juhász e M. Safjan, presidenti di sezione, A. Rosas, D. Šváby, M. Berger, S. Rodin, F. Biltgen e K. Jürimäe, giudici,

avvocato generale: N. Wahl

cancelliere: A. Impellizzeri, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 febbraio 2014,

considerate le osservazioni presentate:

–        per i sigg. Torresi, da C. Torresi, avvocato;

–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino, avvocato dello Stato;

–        per il governo spagnolo, da A. Rubio González e S. Centeno Huerta, in qualità di agenti;

–        per il governo austriaco, da A. Posch, in qualità di agente;

–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

–        per il governo rumeno, da R.‑H. Radu, R.‑I. Hatieganu e A.‑L. Crişan, in qualità di agenti;

–        per il Parlamento europeo, da M. Gómez‑Leal e L. Visaggio, in qualità di agenti;

–        per il Consiglio dell’Unione europea, da A. Vitro e P. Mahnič Bruni, in qualità di agenti;

–        per la Commissione europea, da E. Montaguti e H. Støvlbæk, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 10 aprile 2014,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione e sulla validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU L 77, pag. 36).

2        Tali domande sono state proposte nell’ambito di due controversie tra, rispettivamente, i sigg. Torresi e il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata (in prosieguo: il «Consiglio dell’ordine di Macerata») in merito al rifiuto, da parte di quest’ultimo, di accogliere le domande di iscrizione dei ricorrenti nella sezione speciale dell’albo degli avvocati.

 Contesto normativo

 Diritto dell’Unione

3        Il considerando 6 della direttiva 98/5 è formulato nei seguenti termini:

«considerando che un’azione comunitaria è giustificata anche dal fatto che alcuni Stati membri già consentono ad avvocati provenienti da altri Stati membri di esercitare attività professionali, sotto forma diversa dalla prestazione di servizi, sul proprio territorio con il loro titolo professionale d’origine; che, tuttavia, negli Stati membri che riconoscono tale diritto le modalità del suo esercizio sono profondamente diverse in relazione, ad esempio, al campo di attività e all’obbligo di iscrizione presso le autorità competenti; che una siffatta disparità di situazioni dà luogo a disparità di trattamento e a distorsioni della concorrenza fra gli avvocati degli Stati membri e costituisce un ostacolo alla loro libera circolazione; che solo una direttiva che stabilisca le condizioni per l’esercizio della professione, sotto forma diversa dalla prestazione di servizi, da parte degli avvocati che esercitano la loro attività con il loro titolo professionale di origine, è in grado di risolvere questi problemi e di dare, in tutti gli Stati membri, identiche possibilità agli avvocati ed agli utenti del diritto».

4        Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, di tale direttiva, essa ha lo scopo di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato, come libero professionista o come lavoratore subordinato, in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale.

5        L’articolo 2 della direttiva 98/5, intitolato «Diritto di esercitare la professione con il proprio titolo professionale di origine», al comma 1 dispone quanto segue:

«Gli avvocati hanno il diritto di esercitare stabilmente le attività di avvocato precisate all’articolo 5 in tutti gli altri Stati membri con il proprio titolo professionale di origine».

6        L’articolo 3 della stessa direttiva, intitolato «Iscrizione presso l’autorità competente», ai paragrafi 1 e 2 così prevede:

«1.      L’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro.

2.      L’autorità competente dello Stato membro ospitante procede all’iscrizione dell’avvocato su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine. Essa può esigere che l’attestato dell’autorità competente dello Stato membro di origine non sia stato rilasciato prima dei tre mesi precedenti la sua presentazione. Essa dà comunicazione dell’iscrizione all’autorità competente dello Stato membro di origine».

 Diritto italiano

7        La Repubblica italiana ha trasposto la direttiva 98/5 nel proprio diritto interno con il decreto legislativo del 2 febbraio 2001, n. 96 (supplemento ordinario alla GURI n. 79 del 4 aprile 2001; in prosieguo: il «decreto legislativo 96/2001»). L’articolo 6 di quest’ultimo, intitolato «Iscrizione», enuncia quanto segue:

«1.      Per l’esercizio permanente in Italia della professione di avvocato, i cittadini degli Stati membri in possesso di uno dei titoli di cui all’articolo 2, sono tenuti ad iscriversi in una sezione speciale dell’albo costituito nella circoscrizione del tribunale in cui hanno fissato stabilmente la loro residenza o il loro domicilio professionale, nel rispetto della normativa relativa agli obblighi previdenziali.

2.      L’iscrizione nella sezione speciale dell’albo è subordinata alla iscrizione dell’istante presso la competente organizzazione professionale dello Stato membro di origine.

3.      La domanda di iscrizione deve essere corredata dai seguenti documenti:

a)      certificato di cittadinanza di uno Stato membro della Unione europea o dichiarazione sostitutiva;

b)      certificato di residenza o dichiarazione sostitutiva ovvero dichiarazione dell’istante con la indicazione del domicilio professionale;

c)      attestato di iscrizione alla organizzazione professionale dello Stato membro di origine, rilasciato in data non antecedente a tre mesi dalla data di presentazione, o dichiarazione sostitutiva.

(…)

6.      Il Consiglio dell’ordine, entro trenta giorni dalla data di presentazione della domanda o dalla sua integrazione, accertata la sussistenza delle condizioni richieste, qualora non ostino motivi di incompatibilità, ordina l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo e ne dà comunicazione alla corrispondente autorità dello Stato membro di origine.

7.      Il rigetto della domanda non può essere pronunciato se non dopo avere sentito l’interessato. La deliberazione è motivata ed è notificata in copia integrale entro quindici giorni all’interessato ed al procuratore della Repubblica (…).

8.      Qualora il Consiglio dell’ordine non abbia provveduto sulla domanda nel termine di cui al comma 6, l’interessato può, entro dieci giorni dalla scadenza di tale termine, presentare ricorso al Consiglio Nazionale Forense, il quale decide sul merito dell’iscrizione.

9.      Con l’iscrizione nella sezione speciale dell’albo, l’avvocato stabilito acquista il diritto di elettorato attivo, con esclusione di quello passivo.

(…)».

8        In forza del regio decreto‑legge del 27 novembre 1933, n. 1578, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, come ulteriormente modificata (Gazzetta Ufficiale n. 24, del 30 gennaio 1934), qualsiasi decisione del Consiglio Nazionale Forense può essere impugnata per motivi di legittimità dinanzi alle sezioni unite della Corte suprema di cassazione.

 Procedimento principale e questioni pregiudiziali

9        I sigg. Torresi, dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza in Italia, hanno ottenuto entrambi una laurea in giurisprudenza in Spagna e, il 1° dicembre 2011, sono stati iscritti come avvocati nell’albo dell’Ilustre Colegio de Abogados de Santa Cruz de Tenerife [ordine degli avvocati di Santa Cruz de Tenerife (Spagna)].

10      Il 17 marzo 2012 i sigg. Torresi hanno presentato al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Macerata, a norma dell’articolo 6 del decreto legislativo 96/2001, una domanda di iscrizione nella sezione speciale dell’albo degli avvocati riservata agli avvocati che hanno ottenuto la qualifica in uno Stato membro diverso dall’Italia e sono stabiliti in Italia (in prosieguo: gli «avvocati stabiliti»).

11      Il Consiglio dell’ordine di Macerata non ha deciso in merito alle domande entro il termine di 30 giorni previsto all’articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 96/2001.

12      Con ricorsi presentati rispettivamente il 19 e il 20 aprile 2012, i sigg. Torresi hanno pertanto adito il Consiglio Nazionale Forense per ottenere una decisione in merito alle loro domande di iscrizione. A sostegno dei loro ricorsi, hanno fatto valere che le iscrizioni richieste erano soggette alla sola condizione imposta dalla normativa in vigore, vale a dire la presentazione del «certificato di iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine», che, nella fattispecie, è il Regno di Spagna.

13      Il Consiglio Nazionale Forense ritiene tuttavia che la situazione di un soggetto che, una volta ottenuta una laurea in giurisprudenza in uno Stato membro, si rechi in un altro Stato membro allo scopo di acquisirvi il titolo di avvocato, per poi fare immediatamente ritorno nel primo Stato membro al fine di svolgervi un’attività professionale, appaia estranea agli obiettivi della direttiva 98/5 e possa costituire un abuso del diritto.

14      Il Consiglio Nazionale Forense, nutrendo dubbi quanto all’interpretazione e alla validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5, ricordando che la propria competenza a presentare domande di rinvio pregiudiziale è stata riconosciuta dalla Corte (sentenza Gebhard, C‑55/94, EU:C:1995:411), ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se l’art. 3 della [direttiva 98/5], alla luce del principio generale del divieto di abuso del diritto e dell’art. 4, paragrafo 2, TUE relativo al rispetto delle identità nazionali, debba essere interpretato nel senso di obbligare le autorità amministrative nazionali ad iscrivere nell’elenco degli avvocati stabiliti cittadini italiani che abbiano realizzato contegni abusivi del diritto dell’Unione, ed osti ad una prassi nazionale che consenta a tali autorità di respingere le domande di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti qualora sussistano circostanze oggettive tali da ritenere realizzata la fattispecie dell’abuso del diritto dell’Unione, fermi restando, da un lato, il rispetto [dei principi] di proporzionalità e non discriminazione e, dall’altro, il diritto dell’interessato di agire in giudizio per far valere eventuali violazioni del diritto di stabilimento, e dunque la verifica giurisdizionale dell’attività dell’amministrazione.

2)      In caso di risposta negativa [alla prima questione], se l’art. 3 della [direttiva 98/5], così interpretato, debba ritenersi invalido alla luce dell’art. 4, paragrafo 2, TUE nella misura in cui consente l’elusione della disciplina di uno Stato membro che subordina l’accesso alla professione forense al superamento di un esame di Stato laddove la previsione di siffatto esame è disposta dalla Costituzione di detto Stato e fa parte dei principi fondamentali a tutela degli utenti delle attività professionali e della corretta amministrazione della giustizia».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Sulla competenza della Corte

15      In via preliminare, i sigg. Torresi sostengono, segnatamente, che il Consiglio Nazionale Forense non è un organo giurisdizionale e non ha pertanto il diritto di adire la Corte di un rinvio pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE. In particolare, esso eserciterebbe funzioni giurisdizionali solo ove intervenga in materia disciplinare e non ove si occupi della gestione degli albi degli avvocati, materia in cui eserciterebbe solo una funzione meramente amministrativa. Pertanto, quando è adito ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, del decreto legislativo 96/2001, sarebbe chiamato a decidere in merito all’iscrizione in quanto organo amministrativo di rango superiore rispetto al Consiglio dell’ordine locale che ha omesso di statuire entro il termine previsto al paragrafo 6 del medesimo articolo.

16      I sigg. Torresi, invocando la sentenza Wilson (C‑506/04, EU:C:2006:587), fanno altresì valere che il Consiglio Nazionale Forense non soddisfa il requisito di imparzialità, dal momento che i suoi membri sono avvocati eletti da ciascun Consiglio dell’ordine locale, compreso quello che è parte nel procedimento principale. Di conseguenza, sussisterebbe il rischio che la soluzione della questione ad esso sottoposta sia influenzata da un interesse pratico, come quello di limitare le iscrizioni, piuttosto che ispirata dall’applicazione delle norme di diritto.

17      A tale riguardo, va rammentato che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, per valutare se l’organo del rinvio possieda le caratteristiche di una «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE, la Corte tiene conto di un insieme di elementi, quali il fondamento legale dell’organo, il suo carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del procedimento, il fatto che l’organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente (v., in particolare, sentenze Miles e a., C‑196/09, EU:C:2011:388, punto 37, e giurisprudenza citata, nonché Belov, C‑394/11, EU:C:2013:48, punto 38).

18      Per quanto riguarda, più in particolare, l’indipendenza dell’organo di rinvio, tale requisito presuppone che detto organo sia tutelato da pressioni o da interventi dall’esterno idonei a mettere a repentaglio l’indipendenza di giudizio dei suoi membri riguardo alle controversie loro sottoposte (v. sentenza Wilson, EU:C:2006:587, punto 51).

19      Inoltre, per stabilire se un organo nazionale cui la legge affida funzioni di natura diversa debba essere qualificato come «giurisdizione» ai sensi dell’articolo 267 TFUE, è necessario accertare quale sia la natura specifica delle funzioni che esso esercita nel particolare contesto normativo in cui è indotto a rivolgersi alla Corte. I giudici nazionali possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essi sia pendente una lite e se essi siano stati chiamati a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a risolversi in una pronuncia di carattere giurisdizionale (v. sentenza Belov, EU:C:2013:48, punti 39 e 41).

20      Per quanto riguarda i primi cinque elementi richiamati al punto 17 della presente sentenza, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che il Consiglio Nazionale Forense è stato istituito per legge e ha carattere permanente. Inoltre, dal momento che la competenza di quest’ultimo a decidere in merito ai ricorsi contro le decisioni adottate dai Consigli dell’ordine locali è prevista dalla legge, che non è di natura opzionale e che le decisioni che esso adotta nell’esercizio della propria competenza hanno efficacia esecutiva, ne risulta che la giurisdizione di tale organo è obbligatoria. È infine pacifico, da un lato, che la procedura applicabile dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, ampiamente ispirata alle norme della procedura civile, è di natura contraddittoria nelle sue fasi sia scritta che orale e, dall’altro, che tale organo statuisce in diritto.

21      Quanto al requisito dell’indipendenza, occorre, in primo luogo, rilevare che, in particolare dalle indicazioni del governo italiano, risulta che, sebbene il Consiglio Nazionale Forense sia un organo composto da consiglieri eletti dai membri dei diversi Consigli dell’ordine locali tra gli avvocati ammessi al patrocinio dinanzi alla Corte suprema di cassazione, e sebbene i membri di tali Consigli siano essi stessi eletti dagli avvocati iscritti all’albo dell’ordine degli avvocati interessato, la carica di consigliere nazionale è incompatibile, in particolare, con quella di membro di un Consiglio dell’ordine degli avvocati locale.

22      In secondo luogo, risulta che il Consiglio Nazionale Forense è soggetto alle garanzie previste dalla Costituzione italiana in materia di indipendenza e di imparzialità dei giudici. Inoltre esso esercita le proprie funzioni in piena autonomia, senza vincoli di subordinazione nei confronti di alcuno e senza ricevere ordini o istruzioni da alcuna fonte. Peraltro ad esso sono pienamente applicabili le disposizioni del codice di procedura civile italiano in materia di astensione e ricusazione.

23      In terzo luogo, come confermato in udienza dal governo italiano, a differenza di un Consiglio dell’ordine degli avvocati locale che, nell’ambito del procedimento avviato dal ricorso contro una decisione del Consiglio dell’ordine medesimo, è una parte dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, quest’ultimo non può essere parte nel procedimento avviato dinanzi alla Corte suprema di cassazione contro la decisione in merito al ricorso avverso il Consiglio dell’ordine interessato. Il Consiglio Nazionale Forense possiede pertanto, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte (v. sentenza Wilson, EU:C:2006:587, punto 49), la posizione di terzietà rispetto all’autorità che ha adottato la decisione oggetto del ricorso.

24      Infine, dal fascicolo risulta che, secondo una prassi costante, il consigliere nazionale proveniente dal Consiglio dell’ordine degli avvocati interessato dalla domanda di iscrizione non fa parte del collegio giudicante del Consiglio Nazionale Forense, fatta salva la piena applicabilità delle norme che disciplinano l’astensione e la ricusazione previste dal codice di procedura civile italiano. In udienza il governo italiano ha dichiarato che, sebbene uno dei membri del Consiglio Nazionale Forense fosse iscritto all’ordine degli avvocati di Macerata, egli si è tuttavia astenuto dal partecipare ai procedimenti relativi ai sigg. Torresi.

25      Alla luce di ciò si deve constatare che il Consiglio Nazionale Forense soddisfa i requisiti di indipendenza e di imparzialità che caratterizzano una giurisdizione ai sensi dell’articolo 267 TFUE.

26      Per quanto concerne il requisito richiamato al punto 19 della presente sentenza, vale a dire quello secondo cui un organo del rinvio può adire la Corte solo nell’esercizio di una funzione giurisdizionale, si deve constatare che, contrariamente a quanto sostenuto dai sigg. Torresi, quando il Consiglio Nazionale Forense è adito, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, del decreto legislativo 96/2001, di un ricorso presentato contro l’omessa decisione da parte del Consiglio dell’ordine entro 30 giorni dalla data di presentazione di una domanda di iscrizione alla sezione speciale dell’albo degli avvocati, esso non si limita a statuire su tale domanda al posto del Consiglio dell’ordine interessato. Infatti, come risulta in particolare dalle spiegazioni del governo italiano e dalle relazioni delle udienze relative ai risorsi presentati dai sigg. Torresi contro il Consiglio dell’ordine di Macerata, che si sono tenute il 29 settembre 2012 dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, quest’ultimo è chiamato a pronunciarsi sul merito della decisione tacita del Consiglio dell’ordine di cui trattasi, nella misura in cui essa respinge la domanda di iscrizione dell’interessato. In tal caso, se il ricorso è accolto, il Consiglio Nazionale Forense si pronuncia sul merito della domanda di iscrizione.

27      È altresì pacifico che la presentazione di un ricorso ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, del decreto legislativo 96/2001 dà avvio ad un procedimento in cui le parti sono chiamate ad esporre i loro argomenti per iscritto e oralmente, durante un’udienza pubblica e con l’assistenza di un avvocato. Il pubblico ministero interviene in udienza per presentare le proprie conclusioni. Nella fattispecie, dalle relazioni d’udienza menzionate al punto precedente risulta che il pubblico ministero ha concluso nel senso del rigetto dei ricorsi dei sigg. Torresi. Il Consiglio Nazionale Forense statuisce in camera di consiglio, con una decisione che presenta sia la forma sia la denominazione sia il contenuto di una sentenza pronunciata in nome del popolo italiano.

28      Infine, come ricordato al punto 23 della presente sentenza, quando il Consiglio dell’ordine degli avvocati locale, la cui decisione è oggetto di un ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense, è parte in un procedimento dinanzi a quest’ultimo, qualora la decisione con cui si è statuito su tale ricorso sia a sua volta oggetto di un ricorso dinanzi alla Corte suprema di cassazione, il Consiglio Nazionale Forense non è parte nel procedimento dinanzi alla Corte suprema di cassazione stessa. In realtà, come risulta in particolare dalla sentenza di tale giudice, pronunciata a sezioni unite il 22 dicembre 2011 ed invocata dai sigg. Torresi nelle loro osservazioni scritte, è il Consiglio dell’ordine degli avvocati interessato ad essere parte nel procedimento dinanzi alla Corte suprema di cassazione.

29      Ne risulta che il Consiglio Nazionale Forense è, nella fattispecie, competente a dirimere la controversia di cui è stato adito ed è chiamato a statuire nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in una decisione avente natura giurisdizionale.

30      Alla luce dell’insieme delle suesposte considerazioni, occorre constatare che il Consiglio Nazionale Forense, esercitando il controllo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 8, del decreto legislativo 96/2001, costituisce una giurisdizione ai sensi dell’articolo 267 TFUE e che, di conseguenza, la Corte è competente a rispondere alle questioni che esso le ha sottoposto.

 Sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali

31      I sigg. Torresi e il Consiglio dell’Unione europea sostengono che, tenuto conto della giurisprudenza univoca della Corte in materia, le questioni sollevate dal Consiglio Nazionale Forense rientrano nella dottrina dell’acte éclairé e sono pertanto irricevibili.

32      A tale riguardo, occorre ricordare che, anche in presenza di una giurisprudenza della Corte che risolve il punto di diritto considerato, i giudici nazionali mantengono la completa libertà di adire la Corte qualora lo ritengano opportuno (v. sentenza Cilfit e a., 283/81, EU:C:1982:335, punti da 13 a 15), senza che il fatto che le disposizioni di cui si chiede l’interpretazione siano già state interpretate dalla Corte abbia l’effetto di ostacolare una nuova pronuncia da parte della stessa (v., in tal senso, sentenza Boxus e a., da C‑128/09 a C‑131/09, C‑134/09 e C‑135/09, EU:C:2011:667, punto 32).

33      Ne consegue che le domande di pronuncia pregiudiziale sono ricevibili.

 Sulla prima questione

34      Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 3 della direttiva 98/5 debba essere interpretato nel senso che osta a che le competenti autorità di uno Stato membro rifiutino, a motivo di un abuso del diritto, l’iscrizione nell’albo degli avvocati stabiliti di cittadini di tale Stato membro che, dopo aver conseguito una laurea all’interno di quest’ultimo, si siano recati in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e abbiano in seguito fatto ritorno al primo Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui è stata acquisita la qualifica professionale.

35      Occorre anzitutto ricordare che, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 98/5, essa ha lo scopo di facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale.

36      A tale riguardo, la Corte ha già avuto modo di constatare che tale direttiva istituisce un meccanismo di mutuo riconoscimento dei titoli professionali degli avvocati migranti che desiderino esercitare con il titolo conseguito nello Stato membro di origine (v. sentenza Lussemburgo/Parlamento e Consiglio, C‑168/98, EU:C:2000:598, punto 56).

37      Inoltre, come emerge dal suo considerando 6, con la direttiva 98/5 il legislatore dell’Unione ha inteso, in particolare, porre fine alle disparità tra le norme nazionali relative ai requisiti d’iscrizione presso le autorità competenti, da cui derivavano ineguaglianze ed ostacoli alla libera circolazione (v. sentenze Commissione/Lussemburgo, C‑193/05, EU:C:2006:588, punto 34, e Wilson, EU:C:2006:587, punto 64).

38      In tale contesto, l’articolo 3 della direttiva 98/5 provvede ad armonizzare completamente i requisiti preliminari richiesti ai fini di esercitare il diritto di stabilimento conferito da tale direttiva, prevedendo che l’avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello nel quale ha acquisito la sua qualifica professionale deve iscriversi presso l’autorità competente di detto Stato membro, la quale è tenuta a procedere a tale iscrizione «su presentazione del documento attestante l’iscrizione di questi presso la corrispondente autorità competente dello Stato membro di origine» (v., in tal senso, sentenze Commissione/Lussemburgo, EU:C:2006:588, punti 35 e 36, nonché Wilson, EU:C:2006:587, punti 65 e 66).

39      A tale proposito, la Corte ha già statuito che la presentazione all’autorità competente dello Stato membro ospitante di un certificato di iscrizione presso l’autorità competente dello Stato membro di origine risulta l’unico requisito cui dev’essere subordinata l’iscrizione dell’interessato nello Stato membro ospitante, che gli consente di esercitare la sua attività in quest’ultimo Stato membro con il suo titolo professionale di origine (v. sentenze Commissione/Lussemburgo, EU:C:2006:588, punto 37, e Wilson, EU:C:2006:587, punto 67).

40      Occorre pertanto rilevare che i cittadini di uno Stato membro quali i sigg. Torresi, che presentano all’autorità competente di tale Stato membro il loro certificato di iscrizione presso l’autorità competente di un altro Stato membro, soddisfano, in linea di principio, tutti i requisiti necessari per essere iscritti, avvalendosi del titolo professionale conseguito in quest’ultimo Stato membro, all’albo degli avvocati stabiliti del primo Stato membro.

41      Tuttavia, secondo il giudice del rinvio, i sigg. Torresi non potrebbero, nel caso di specie, avvalersi dell’articolo 3 della direttiva 98/5, dal momento che l’acquisizione della qualifica professionale di avvocato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana avrebbe il solo scopo di eludere l’applicazione del diritto di quest’ultima che disciplina l’accesso alla professione di avvocato e costituirebbe pertanto un abuso del diritto di stabilimento, contrario agli obiettivi di tale direttiva.

42      A tale riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione (v., in particolare, sentenze Halifax e a., C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68, nonché SICES e a., C‑155/13, EU:C:2014:145, punto 29).

43      In particolare, quanto alla lotta contro l’abuso della libertà di stabilimento, uno Stato membro ha il diritto di adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato FUE, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi abusivamente alle norme delle loro leggi nazionali (v. sentenza Inspire Art, C‑167/01, EU:C:2003:512, punto 136).

44      L’accertamento dell’esistenza di una pratica abusiva richiede che ricorrano un elemento oggettivo e un elemento soggettivo (v. sentenza SICES e a., EU:C:2014:145, punto 31).

45      Per quanto riguarda l’elemento oggettivo, deve risultare da un insieme di circostanze oggettive che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, l’obiettivo perseguito da tale normativa non è stato raggiunto (v. sentenza SICES e a., EU:C:2014:145, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

46      Quanto all’elemento soggettivo, deve risultare che sussiste una volontà di ottenere un vantaggio indebito derivante dalla normativa dell’Unione mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento (v., in tal senso, sentenza O. e B., C‑456/12, EU:C:2014:135, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

47      Come ricordato al punto 35 della presente sentenza, lo scopo della direttiva 98/5 consiste nel facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello nel quale è stata acquisita la qualifica professionale.

48      A tale riguardo, si deve considerare che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di scegliere, da un lato, lo Stato membro nel quale desiderano acquisire il loro titolo professionale e, dall’altro, quello in cui hanno intenzione di esercitare la loro professione è inerente all’esercizio, in un mercato unico, delle libertà fondamentali garantite dai Trattati (v., in tal senso, sentenza Commissione/Spagna, C‑286/06, EU:C:2008:586, punto 72).

49      Pertanto, il fatto che un cittadino di uno Stato membro che ha conseguito una laurea in tale Stato si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato e faccia in seguito ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato, con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica è stata acquisita, costituisce uno dei casi in cui l’obiettivo della direttiva 98/5 è conseguito e non può costituire, di per sé, un abuso del diritto di stabilimento risultante dall’articolo 3 della direttiva 98/5.

50      Inoltre, il fatto che il cittadino di uno Stato membro abbia scelto di acquisire un titolo professionale in un altro Stato membro, diverso da quello in cui risiede, allo scopo di beneficiare di una normativa più favorevole non consente, di per sé, come rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 91 e 92 delle conclusioni, di concludere nel senso della sussistenza di un abuso del diritto.

51      Peraltro, una siffatta constatazione non può essere inficiata dal fatto che la presentazione di una domanda di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante ha avuto luogo poco tempo dopo il conseguimento del titolo professionale nello Stato membro di origine. Come infatti rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 93 e 94 delle conclusioni, l’articolo 3 della direttiva 98/5 non prevede in alcun modo che l’iscrizione, presso l’autorità competente dello Stato membro ospitante, di un avvocato che intende esercitare in uno Stato membro diverso da quello in cui ha acquisito la sua qualifica professionale possa essere subordinata alla condizione che venga svolto un periodo di pratica come avvocato nello Stato membro di origine.

52      Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 3 della direttiva 98/5 dev’essere interpretato nel senso che non può costituire una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica professionale è stata acquisita.

 Sulla seconda questione

53      Con la sua seconda questione il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 3 della direttiva 98/5 sia invalido in ragione dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.

54      A tale riguardo, occorre anzitutto ricordare che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE, l’Unione è tenuta a rispettare l’identità nazionale degli Stati membri, insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale.

55      Il Consiglio Nazionale Forense ritiene che l’articolo 3 della direttiva 98/5, consentendo ai cittadini italiani che ottengano il loro titolo professionale di avvocato in uno Stato membro diverso dalla Repubblica italiana di esercitare la loro professione nella Repubblica italiana, abbia l’effetto di aggirare l’articolo 33, paragrafo 5, della Costituzione italiana, che subordina l’accesso alla professione di avvocato al superamento di un esame di Stato. Di conseguenza, tale disposizione del diritto derivato dell’Unione, dal momento che consentirebbe di aggirare una normativa che fa parte dell’identità nazionale italiana, violerebbe l’articolo 4, paragrafo 2, TUE e dovrebbe pertanto essere considerata invalida.

56      A tale proposito, occorre rilevare che l’articolo 3 della direttiva 98/5 riguarda unicamente il diritto di stabilirsi in uno Stato membro per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine. Tale disposizione non disciplina l’accesso alla professione di avvocato né l’esercizio di tale professione con il titolo professionale rilasciato nello Stato membro ospitante.

57      Ne risulta necessariamente che una domanda di iscrizione all’albo degli avvocati stabiliti, presentata ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 98/5, non è tale da consentire di eludere l’applicazione della legislazione dello Stato membro ospitante relativa all’accesso alla professione di avvocato.

58      Pertanto, come riconosciuto in udienza dal governo italiano, si deve ritenere che l’articolo 3 della direttiva 98/5, consentendo ai cittadini di uno Stato membro che ottengano il loro titolo professionale di avvocato in un altro Stato membro di esercitare la professione di avvocato nello Stato di cui sono cittadini con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro di origine, non sia comunque tale da incidere sulle strutture fondamentali, politiche e costituzionali né sulle funzioni essenziali dello Stato membro di origine ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE.

59      Di conseguenza, l’analisi della seconda questione sollevata non ha rivelato alcun elemento tale da inficiare la validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5.

 Sulle spese

60      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

1)      L’articolo 3 della direttiva 98/5/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 1998, volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica, dev’essere interpretato nel senso che non può costituire una pratica abusiva il fatto che il cittadino di uno Stato membro si rechi in un altro Stato membro al fine di acquisirvi la qualifica professionale di avvocato a seguito del superamento di esami universitari e faccia ritorno nello Stato membro di cui è cittadino per esercitarvi la professione di avvocato con il titolo professionale ottenuto nello Stato membro in cui tale qualifica professionale è stata acquisita.

2)      L’analisi della seconda questione sollevata non ha rivelato alcun elemento tale da inficiare la validità dell’articolo 3 della direttiva 98/5.