Corte di Giustizia delle Comunità europee, 4 dicembre
1974
C-41/74, Yvonne van Duyn – Ministero dell’Interno
avente ad oggetto
la domanda di pronunzia pregiudiziale proposta alla Corte dalla Chancery Division of the High Court of Justice d’Inghilterra, nel procedimento dinanzi ad essa
pendente tra
Yvonne van Duyn,
e
Home Office (
Ministero dell’Interno ),
Oggetto della causa
Domanda vertente sull' interpretazione dell' art. 48 del Trattato CEE e dell' art. 3 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964 64/221/CEE per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri giustificati da motivi d' ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica ( GU 4 aprile 1964, pag. 850 ),
Motivazione della sentenza
1 Con
ordinanza emessa dal Vice-Chancellor il 1° marzo 1974
e pervenuta in cancelleria il 13 giugno 1974,
2 Dette
questioni sono state sollevate nel corso d' un
procedimento instaurato da una cittadina olandese contro l' Home Office, che la
aveva rifiutato l' ingresso nel Regno Unito per assumere un impiego di
segretaria presso la “Church of Scientology”
( Chiesa Scientista).
3 Il permesso
d’entrata era stato negato, in quanto il Governo britannico ritiene socialmente
dannose le attività svolte dalla succitata organizzazione.
Sulla prima
questione
4 Con la prima
questione si chiede se l' art. 48 del Trattato CEE sia
direttamente efficace così da attribuire ai singoli diritti soggettivi che i giudici
nazionali devono tutelare.
5 L’art. 48, nn. 1 e 2, dispone che la libera circolazione dei lavoratori
è garantita entro la fine del periodo transitorio e ch’essa implica “l’abolizione
di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli
Stati membri, per quanto riguarda l' impiego, la
retribuzione e le altre condizioni di lavoro”.
6 Le suddette
disposizioni impongono agli Stati membri un obbligo preciso, che non richiede l’emanazione
d’alcun ulteriore provvedimento da parte delle istituzioni comunitarie o degli
Stati membri e che non lascia a questi ultimi alcuna discrezionalità nella sua
attuazione.
7 Il n. 3 dell’art.
48, nel definire i diritti spettanti ai lavoratori in forza del principio di
libera circolazione, fa salve le limitazioni giustificate da motivi d' ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica.
I
provvedimenti adottati per i motivi di cui sopra sono tuttavia soggetti al
controllo giurisdizionale. Di conseguenza, la facoltà d' uno
Stato membro di richiamarsi alla riserva contenuta nell' art. 48 non impedisce
che le norme dello stesso articolo con cui s' afferma il principio della libera
circolazione dei lavoratori attribuiscano ai singoli diritti soggettivi ch’essi
possono far valere in giudizio e che i giudici nazionali devono tutelare.
8 La prima
questione va pertanto risolta in senso affermativo.
Sulla seconda
questione
9 Con la
seconda questione si chiede se la direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964 n.
221 per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento
e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d' ordine
pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, sia direttamente efficace
così da attribuire ai singoli diritti soggettivi che i giudici nazionali devono
tutelare.
10 Risulta dal
provvedimento di rinvio che l' unica disposizione
della direttiva rilevante per il caso in esame e l' art. 3, n. 1, secondo cui “i
provvedimenti d' ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati
esclusivamente in relazione al comportamento personale dell' individuo nei
confronti del quale essi sono applicati”.
11 Il Regno Unito
ha osservato che, se l' art. 189 attribuisce ai
regolamenti, alle direttive e alle decisioni una diversa efficacia, è giusto
presumere che il Consiglio, emanando una direttiva invece di un regolamento,
abbia inteso adottare un provvedimento con effetti diversi da quelli d' un
regolamento, vale a dire non direttamente efficace.
12 Tuttavia,
se è vero che i regolamenti, in forza dell' art. 189,
sono direttamente applicabili e quindi atti, per natura, a produrre effetti
diretti, da ciò non si può inferire che le altre categorie di atti contemplate
dal suddetto articolo non possano mai produrre effetti analoghi.
Sarebbe in
contrasto con la forza obbligatoria attribuita dall' art.
189 alla direttiva d’escludere, in generale, la possibilità che l' obbligo da
essa imposta sia fatto valere dagli eventuali interessati.
In particolare,
nei casi in cui le autorità comunitarie abbiano, mediante direttiva, obbligato
gli Stati membri ad adottare un determinato comportamento, la portata dell' atto sarebbe ristretta se in singoli non potessero far
valere in giudizio la sua efficacia e se i giudici nazionali non potessero
prenderlo in considerazione come norma di diritto comunitario.
D’altra parte
l’art. 177, che autorizza i giudici nazionali a domandare alla Corte di
giustizia di pronunziarsi sulla validità e sull' interpretazione
di tutti gli atti compiuti dalle istituzioni, senza distinzione, implica il
fatto che singoli possano far valere tali atti dinanzi ai detti giudici.
E’ quindi
opportuno esaminare, caso per caso, se la natura, lo spirito e la lettera della
disposizione di cui trattasi consentano di riconoscerle efficacia immediata nei
rapporti fra gli stati membri ed i singoli.
13 Esigendo
che i provvedimenti d' ordine pubblico siano adottati
esclusivamente in considerazione del comportamento personale dell' interessato,
l' art. 3, n. 1, della direttiva n. 221/64 intende limitare il potere
discrezionale che le leggi interne normalmente concedono alle autorità
competenti in materia d' ammissione e d' espulsione degli stranieri.
L’obbligo
risultante dalla norma testè citata è assoluto ed
incondizionato; esso non richiede inoltre, per la sua stessa natura, alcun
provvedimento d' attuazione da parte delle istituzioni
comunitarie o degli Stati membri.
Da un altro
punto di vista, poichè l' obbligo
imposto agli Stati membri di non tener conto di fattori diversi dal
comportamento personale dell' interessato è ricollegato all' applicazione d'
una deroga ad uno dei principi fondamentali posti dal Trattato a tutela dei
singoli, il rispetto delle garanzie giurisdizionali degli interessati impone
ch' essi possano invocare tale obbligo, anche se contenuto in un atto normativo
non avente ipso jure efficacia diretta nel suo
insieme.
14 Eventuali
dubbi circa il significato e la precisa portata della norma in esame potranno
essere risolti in sede giurisdizionale, ove è possibile fra l'
altro utilizzare la procedura di cui all' art. 177 del Trattato.
15 La
questione va perciò risolta nel senso che l' art. 3,
n. 1, della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964 n. 221 crea in capo ai
singoli diritti soggettivi ch' essi possono far valere in giudizio negli Stati
membri e che i giudici nazionali devono tutelare.
Sulla terza
questione
16 Con la terza
questione si chiede se l' art. 48 del Trattato e l'
art. 3 della direttiva n. 221/64 vadano interpretati nel senso che
“uno Stato
membro, il quale è obbligato a fondare un provvedimento adottato per motivi d' ordine pubblico esclusivamente sulla condotta personale
dell' interessato, può ritenere elementi costitutivi della medesima
a ) la
precedente od attuale appartenenza a gruppi o ad organizzazioni che lo Stato
membro considera antisociali, pur senza vietarli a norma di legge,
b ) l' intenzione di lavorare nello Stato membro presso tali
gruppi od organizzazioni, tenuto conto del fatto che nessuna restrizione viene adottata
nei confronti dei cittadini di detto Stato che manifestino lo stesso proposito.
17 Al
riguardo, occorre anzitutto esaminare se la semplice appartenenza ad un gruppo
o ad un' organizzazione possa costituire un
comportamento personale ai sensi dell' art. 3 della direttiva n. 221/64.
E’ pacifico
che l' appartenenza passata non può, in generale,
giustificare il rifiuto di consentire ad una persona la libera circolazione
nell' ambito della Comunità. E’ però altrettanto vero che l' appartenenza
attuale ad un gruppo o ad un' organizzazione implica sia la partecipazione alle
sue attività, sia l' adesione ai suoi obiettivi e programmi. Essa può venir
considerata come un atto volontario dell' interessato
e, di conseguenza, fatta rientrare nella nozione di comportamento personale di
cui al già citato art. 3.
18 Con la
stessa questione viene poi chiesto quale rilievo assuma il fatto che lo Stato
membro, pur considerando antisociali le attività dell’organizzazione, cui l’interessato
aderisce, non le vieti a norma di legge.
E’ opportuno,
in proposito, sottolineare che la nozione d' ordine
pubblico nel contesto comunitario, specie in quanto autorizza una deroga al
principio fondamentale della libera circolazione dei lavoratori, va intesa in
senso stretto, col risultato d' escluderne qualsiasi valutazione unilaterale da
parte dei singoli Stati membri senza il controllo delle istituzioni comunitarie.
Non si può
tuttavia negare che la nozione di ordine pubblico varia da un Paese all' altro e da un' epoca all' altra. E’ perciò necessario
lasciare, in questa materia, alle competenti autorità nazionali un certo potere
discrezionale entro i limiti imposti dal Trattato.
19 Ne consegue
che uno Stato membro, le cui competenti autorità hanno decisamente preso
posizione contro le attività, da esse ritenute antisociali, d'
un certo gruppo organizzato ed hanno adottato provvedimenti volti ad
ostacolarne l' esercizio, può invocare ragioni d' ordine pubblico anche quando
non gli sembrino sussistere i presupposti per vietare a norma di legge le
predette attività.
20 Viene
infine sollevato il problema del se uno Stato membro possa vietare, per motivi d' ordine pubblico, che cittadini d' un altro Stato membro
svolgano nel suo territorio un' attività dipendente nell' ambito d' un gruppo o
d’un’organizzazione, quando esso non impone alcun analogo divieto ai propri
cittadini.
I diritti
soggetti alla riserva di cui sopra comprendono fra gli altri (art. 48, n. 3) il
diritto di rispondere ad offerte di lavoro effettive, il diritto di spostarsi
liberamente a tal fine nel territorio degli Stati membri ed il diritto di
prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgere un' attività dipendente.
La citata
riserva rende perciò legittima, nei casi in cui si applica, l'
imposizione del divieto d' ingresso o di soggiorno in uno Stato membro
ad un cittadino d' un altro Stato membro.
22 D’altra
parte, un principio di diritto internazionale, che il Trattato non ha
certamente reso inoperante nei rapporti fra gli Stati membri, impedisce ai
singoli Stati di negare ai propri cittadini l' ingresso
ed il soggiorno nel proprio territorio.
23 Di conseguenza,
uno Stato membro può, se le circostanze lo richiedono, rifiutarsi, per motivi d' ordine pubblico, d' applicare ad un cittadino d' un altro
Stato membro, che vuole svolgere una determinata attività subordinata, il
principio della libera circolazione dei lavoratori, senza con ciò essere
costretto ad imporre analoghi divieti ai propri cittadini.
24 L’art. 48
del Trattato CEE e l' art. 3, n. 1, della direttiva n.
221/64 vanno quindi interpretati nel senso che uno Stato membro, il quale
voglia adottare provvedimenti restrittivi giustificati da motivi d' ordine
pubblico, può ritenere elemento costitutivo del comportamento personale dell'
interessato l' appartenenza ad un gruppo o ad un' organizzazione le cui
attività sono considerate antisociali, ma non vietate a norma di legge,
indipendentemente dalla circostanza che nessuna restrizione viene adottata nei
confronti dei cittadini di detto Stato intenzionati a svolgere un' attività
simile a quella che il cittadino d' un altro Stato membro desidera svolgere
nell' ambito del predetto gruppo od organizzazione.
Decisione relativa alle
spese
25 Le spese sostenute dal Regno Unito e dalla Commissione delle Comunità europee, che hanno sottoposto osservazioni alla Corte, non possono dar luogo a rifusione. Nei confronti delle parti nella causa principale, il presente procedimento ha il carattere di un incidente sollevato nel corso della causa pendente dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi di statuire sulle spese.
Dispositivo
pronunziandosi
sulle questioni sottopostele dalla High Court of Justice con ordinanza 1 marzo
1974, afferma per diritto:
1 ) l' art. 48 del Trattato CEE è direttamente efficace negli
ordinamenti giuridici degli Stati membri e attribuisce ai singoli diritti
soggettivi che i giudici nazionali devono tutelare.
2 ) L’art. 3,
n. 1, della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964 n. 221 per il
coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il
soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d' ordine
pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, crea in capo ai singoli
diritti soggettivi che i medesimi possono far valere in giudizio e che i
giudici nazionali devono tutelare.
3 ) L’art. 48
del Trattato CEE e l’art. 3, n. 1, della direttiva n. 221/64 vanno interpretati
nel senso che uno Stato membro, il quale intenda adottare provvedimenti
restrittivi per motivi d' ordine pubblico, può
ritenere elemento costitutivo del comportamento personale dell' interessato
l’appartenenza ad un gruppo o ad un’organizzazione, le cui attività sono
considerate antisociali, ma non sono vietate a norma di legge. Tali
provvedimenti sono leciti anche quando nessuna restrizione viene imposta dallo
Stato ai propri cittadini intenzionati a svolgere nell' ambito
del citato gruppo od organizzazione un’attività analoga a quella che desidera
svolgere il cittadino d’un altro Stato membro.
(Seguono le firme)