SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)
6 settembre 2012
«Agricoltura – Organismi
geneticamente modificati – Direttiva 2002/53/CE – Catalogo comune delle varietà
delle specie di piante agricole – Organismi geneticamente modificati iscritti
nel catalogo comune – Regolamento (CE) n. 1829/2003 – Articolo 20 – Prodotti
esistenti – Direttiva 2001/18/CE – Articolo 26 bis – Misure intese a evitare la
presenza involontaria di organismi geneticamente modificati – Misure nazionali
che, nelle more dell’adozione di misure fondate sull’articolo 26 bis della
direttiva 2001/18/CE, vietano la messa in coltura di organismi geneticamente
modificati iscritti nel catalogo comune e autorizzati come prodotti esistenti»
Nella causa C‑36/11,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia
pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato con decisione del 14 gennaio
2011, pervenuta in cancelleria il 24 gennaio 2011, nel procedimento
Pioneer Hi Bred Italia Srl
contro
Ministero delle Politiche agricole alimentari e
forestali,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. J.‑C.
Bonichot, presidente di sezione, dalla sig.ra A. Prechal, dal sig. L. Bay Larsen
(relatore), dalla sig.ra C. Toader e dal sig. E. Jarašiūnas, giudici,
avvocato generale: sig. Y. Bot
cancelliere: sig.ra M. Ferreira,
amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito
all’udienza del 21 marzo 2012,
considerate le osservazioni presentate:
– per
la Pioneer Hi Bred Italia
Srl, da A. Police e F. Degni, avvocati;
– per
il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Varone e G. Aiello, avvocati
dello Stato;
– per
il governo spagnolo, da A. Rubio González, in qualità
di agente;
– per
la Commissione europea, da D. Bianchi e L. Pignataro‑Nolin,
in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale,
presentate all’udienza del 26 aprile 2012,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 La
domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 26
bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12
marzo 2001, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente
modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio (GU L 106, pag. 1), come modificata dalla direttiva
2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2008 (GU L 81, pag. 45; in prosieguo: la «direttiva 2001/18»),
letto alla luce della raccomandazione della Commissione 2003/556/CE, del 23
luglio 2003, recante orientamenti per lo sviluppo di strategie nazionali e
migliori pratiche per garantire la coesistenza tra colture transgeniche,
convenzionali e biologiche (GU L 189, pag. 36; in
prosieguo: la «raccomandazione del 23 luglio 2003»), e della raccomandazione
della Commissione del 13 luglio 2010, recante orientamenti per l’elaborazione
di misure nazionali in materia di coesistenza per evitare la presenza
involontaria di OGM nelle colture convenzionali e biologiche (GU C 200, pag. 1; in prosieguo: la «raccomandazione del 13
luglio 2010»).
2 Tale
domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Pioneer Hi Bred Italia Srl (in prosieguo:
la «Pioneer») e il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali
avente ad oggetto la legittimità di una nota di detto ministero in cui si
comunicava alla Pioneer che, nelle more dell’adozione, da parte delle Regioni,
di norme atte a garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche
e transgeniche, il ministero non poteva procedere all’istruttoria della
richiesta di detta società di essere autorizzata alla messa in coltura degli
ibridi di mais geneticamente modificati già iscritti nel Catalogo comune delle
varietà delle specie di piante agricole (in prosieguo: il «catalogo comune»).
Contesto
normativo
La
normativa dell’Unione
La
direttiva 2001/18
3
La direttiva 2001/18 regola l’emissione deliberata nell’ambiente di
organismi geneticamente modificati (OGM) nonché l’immissione in commercio degli
OGM come tali o contenuti in prodotti.
4
L’articolo 34 della direttiva 2001/18 fissa la data della trasposizione
di quest’ultima al più tardi al 17 ottobre 2002. L’articolo 36 abroga, alla
data del 17 ottobre 2002, la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, del 23 aprile
1990, sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente
modificati (GU L 117, pag. 15), e stabilisce che i
riferimenti a quest’ultima direttiva si intendono fatti alla direttiva 2001/18
secondo una tabella di correlazione contenuta in allegato.
5 Conformemente ai suoi considerando 18 e
28, la direttiva 2001/18, al pari, precedentemente, della direttiva 90/220,
instaura procedure e criteri armonizzati per la valutazione caso per caso dei
rischi potenziali derivanti dall’emissione deliberata nell’ambiente di OGM
nonché una procedura comunitaria di autorizzazione per l’immissione sul mercato
dei prodotti di cui trattasi, qualora l’uso previsto di questi ultimi comporti
un’emissione deliberata degli organismi nell’ambiente.
6
I considerando 50‑52 di tale direttiva recitano:
«50)
Le autorizzazioni esistenti rilasciate in base alla [direttiva 90/220]
dovrebbero essere rinnovate al fine di evitare disparità tra le autorizzazioni
rilasciate in base a detta direttiva e quelle rilasciate in base alla presente
direttiva e di tener pienamente conto delle condizioni relative alle
autorizzazioni previste dalla [direttiva 90/220].
51)
Tale rinnovo richiede un periodo transitorio durante il quale le
autorizzazioni rilasciate in base alla [direttiva 90/220] permangono valide.
52)
Al momento del rinnovo dell’autorizzazione dovrebbe essere possibile
rivedere tutte le condizioni dell’autorizzazione originaria, comprese quelle
attinenti al monitoraggio e alla durata dell’autorizzazione».
7
Per quanto riguarda gli OGM immessi in commercio come tali o contenuti
in prodotti, gli articoli 13‑24 della direttiva 2001/18 disciplinano
essenzialmente la procedura di valutazione e di autorizzazione dei prodotti
nuovi, il rinnovo dell’autorizzazione dei prodotti esistenti, il monitoraggio
dei prodotti autorizzati, la loro etichettatura nonché una clausola di
salvaguardia che consente l’adozione da parte degli Stati membri di misure
restrittive in caso di rischio per la salute umana o per l’ambiente.
8
Quanto, in particolare, al rinnovo, prima del 17 ottobre 2006, delle
autorizzazioni rilasciate anteriormente al 17 ottobre 2002 a norma della
direttiva 90/220, le sue modalità sono disciplinate dall’articolo 17 della
direttiva 2001/18, rubricato «Rinnovo dell’autorizzazione». In applicazione del
paragrafo 9 di tale disposizione, l’operatore interessato che abbia presentato
prima del 17 ottobre 2006 una notifica per il rinnovo di un’autorizzazione può
continuare a immettere in commercio gli OGM alle condizioni indicate in tale
autorizzazione in attesa di una decisione finale in merito al rinnovo
richiesto.
9
L’articolo 26 bis della direttiva 2001/18, rubricato «Misure volte ad
evitare la presenza involontaria di OGM», è formulato nei seguenti termini:
«1.
Gli Stati membri possono adottare tutte le misure opportune per evitare
la presenza involontaria di OGM in altri prodotti.
2.
La Commissione raccoglie e coordina le informazioni basate su studi
condotti a livello comunitario e nazionale, osserva gli sviluppi quanto alla
coesistenza negli Stati membri e, sulla base delle informazioni e delle
osservazioni, sviluppa orientamenti sulla coesistenza di colture geneticamente
modificate, convenzionali e organiche».
La raccomandazione del 23 luglio 2003
10
Il considerando 4 della raccomandazione del 23 luglio 2003 così recita:
«La procedura di concessione definitiva
dell’autorizzazione prevista dalla [direttiva 2001/18] comprende, se del caso,
misure specifiche in materia di coesistenza miranti alla protezione della
salute umana e dell’ambiente, la cui applicazione è obbligatoria».
11
Il punto 1.1 degli orientamenti allegati alla raccomandazione del 23
luglio 2003, intitolato «Il concetto di coesistenza», enuncia quanto segue:
«La coltivazione di [OGM] nell’Unione
europea non sarà priva di implicazioni sull’organizzazione della produzione
agricola. Da un lato, la possibile presenza accidentale (involontaria) di
colture transgeniche [GM] in colture non geneticamente modificate e viceversa
induce a interrogarsi su come si potrà garantire ai produttori la facoltà di
scegliere tra le diverse filiere di produzione. In linea di massima gli
agricoltori dovrebbero poter scegliere liberamente quale tipo di coltura
praticare, convenzionale, transgenica o biologica e nessuna di queste forme di
agricoltura dovrebbe essere esclusa nell’Unione europea.
D’altro canto, questa problematica è
legata anche alle scelte dei consumatori: per offrire ai consumatori europei
una reale possibilità di scelta tra cibi transgenici e non transgenici, è
necessario non solo poter contare su un sistema efficace di etichettatura e di
tracciabilità, ma anche su un settore agricolo in grado di fornire questi
diversi tipi di prodotti. La capacità dell’industria alimentare di offrire un’ampia
possibilità di scelta ai consumatori va di pari passo con la capacità del
settore agricolo di mantenere filiere di produzione separate.
La coesistenza si riferisce alla
possibilità per i conduttori agricoli di praticare una scelta tra colture
geneticamente modificate, produzione convenzionale e biologica, nel rispetto
degli obblighi regolamentari in materia di etichettatura o di standard di
purezza.
Se in un dato prodotto agricolo
destinato a non contenere [OGM] la presenza accidentale di [OGM] supera la
tolleranza stabilita nella normativa comunitaria, è obbligatorio indicare
nell’etichetta che si tratta di un prodotto contenente [OMG].
In questo caso può derivarne una perdita di reddito connessa a prezzi di
mercato inferiori o a difficoltà di vendita di tali prodotti. Inoltre, è
probabile che gli agricoltori debbano sostenere spese supplementari per
applicare sistemi di sorveglianza e misure intese a rendere minimo il rischio
di commistione tra colture modificate o non modificate geneticamente. Ne
consegue che la coesistenza ha attinenza, da un lato, con il potenziale impatto
economico della commistione tra colture OGM o non OGM e, dall’altro, con
l’individuazione di misure di gestione praticabili volte a minimizzare il
rischio di commistione e con il costo di tali misure.
(…)».
La raccomandazione del 13 luglio 2010
12
La raccomandazione del 13 luglio 2010 abroga e sostituisce la
raccomandazione del 23 luglio 2003.
13
Gli orientamenti allegati alla raccomandazione del 13 luglio 2010
riprendono e sviluppano le indicazioni fornite dagli orientamenti allegati alla
raccomandazione del 23 luglio 2003.
La direttiva 2002/53/CE
14
Il considerando 11 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13
giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante
agricole (GU L 193, pag. 1), come modificata dal
regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22
settembre 2003 (GU L 268, pag. 1; in prosieguo: la
«direttiva 2002/53»), recita:
«È necessario che le sementi e le piante
alle quali si applica la presente direttiva possano essere commercializzate
liberamente all’interno della Comunità dal momento della loro inserzione nel
catalogo comune».
15
L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva dispone quanto segue:
«1.
La presente direttiva riguarda l’ammissione delle varietà [in
particolare, di cereali, nel catalogo comune].
2.
Il [catalogo comune] viene compilato in base ai cataloghi nazionali
degli Stati membri».
16
L’articolo 4 della medesima direttiva così recita:
«1.
Gli Stati membri provvedono affinché una varietà venga ammessa solo ove
sia distinta, stabile e sufficientemente omogenea. Essa deve inoltre possedere
un valore agronomico e di utilizzazione soddisfacente.
(…)
4.
Nel caso di una varietà geneticamente modificata (...), la varietà può
essere ammessa solo se sono state adottate tutte le misure appropriate atte ad
evitare effetti nocivi sulla salute umana e sull’ambiente.
5.
Inoltre, se materiale derivato da una varietà vegetale è destinato ad
essere utilizzato [in un alimento o in un mangime rientrante nel regolamento
(CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre
2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati (GU L 268, pag. 1)], tale varietà può essere accettata
soltanto se è stata approvata in conformità di tale regolamento.
(…)».
17
L’articolo 7, paragrafi 1 e 4, così prevede:
«1.
Gli Stati membri stabiliscono che l’ammissione delle varietà sia
subordinata ad esami ufficiali, effettuati principalmente in campo e volti ad
accertare la rispondenza di caratteri sufficienti per descrivere la varietà.
(…)
(…)
4.a)
Nel caso di una varietà geneticamente modificata di cui all’articolo 4,
paragrafo 4, deve essere effettuata una valutazione del rischio per l’ambiente
analoga a quella prevista dalla [direttiva 90/220].
b) Le procedure atte a garantire che la
valutazione del rischio per l’ambiente e di altri elementi pertinenti siano equivalenti
a quella prevista dalla [direttiva 90/220] sono stabilite su proposta della
Commissione con regolamento del Consiglio fondato sulla pertinente base
giuridica del trattato. Finché tale regolamento non entrerà in vigore, le
varietà geneticamente modificate sono accettate ai fini dell’inclusione in un
catalogo nazionale soltanto dopo essere state ammesse alla commercializzazione
conformemente alla [direttiva 90/220].
(…)».
18
L’articolo 16 dispone:
«1.
Gli Stati membri vigilano affinché, con effetto a partire dalla data di
pubblicazione di cui all’articolo 17, le sementi delle varietà ammesse in
applicazione delle disposizioni della presente direttiva o in base a principi
corrispondenti a quelli stabiliti dalla presente direttiva non siano soggette
ad alcuna restrizione di mercato per quanto concerne la varietà.
2.
A richiesta di uno Stato membro questo può essere autorizzato (…) a
vietare l’impiego, in tutto o in parte del suo territorio, della varietà in
questione o a prescrivere le condizioni appropriate di coltivazione della
varietà e, nel caso di cui alla lettera c), le condizioni di impiego dei
prodotti derivanti dalla sua coltivazione:
a)
qualora sia appurato che la coltivazione di tale varietà possa risultare
dannosa dal punto di vista fitosanitario per la coltivazione di altre varietà o
specie;
(…)
c)
qualora sussistano valide ragioni, diverse da quelle già indicate o che
possono esserlo nel caso della procedura [di ammissione nel catalogo nazionale
delle varietà], per ritenere che la varietà presenta un rischio per la salute
umana o l’ambiente».
19
L’articolo 17 così prevede:
«Conformemente alle informazioni fornite
dagli Stati membri e via via che esse le pervengono,
la Commissione provvede a pubblicare nel [catalogo comune] tutte le varietà le
cui sementi e materiali di moltiplicazione, ai sensi dell’articolo 16, non sono
soggetti ad alcuna restrizione di commercializzazione per quanto concerne la
varietà (…). La pubblicazione indica gli Stati membri che hanno beneficiato di
un’autorizzazione in base all’articolo 16, paragrafo 2, o in base all’articolo
18.
(…)
La pubblicazione indica chiaramente le
varietà geneticamente modificate».
20
L’articolo 18 così dispone:
«Se è accertato che la coltivazione di
una varietà iscritta nel [catalogo comune] possa, in uno Stato membro, nuocere
dal punto di vista fitosanitario alla coltivazione di altre varietà o specie,
presentare un rischio per l’ambiente o per la salute umana, il suddetto Stato
membro può essere autorizzato, su sua richiesta (…), a vietare in tutto o in
parte del suo territorio la commercializzazione delle sementi o dei materiali
di moltiplicazione di tale varietà. In caso di pericolo imminente di
propagazione di organismi nocivi, di pericolo imminente per la salute umana o
per l’ambiente, questo divieto può essere fissato dallo Stato membro
interessato nella domanda depositata sin[o al] momento della decisione
definitiva che dovrà essere presa entro tre mesi (…)».
Il regolamento n. 1829/2003
21
Conformemente ai suoi considerando 7 e 11, il regolamento n. 1829/2003,
applicabile a decorrere dal 18 aprile 2004 in forza del suo articolo 49,
prevede una procedura comunitaria di autorizzazione unica, utilizzata, in
particolare, per i mangimi che contengono OGM o sono costituiti o prodotti a
partire da tali organismi nonché per gli OGM utilizzati come materiale di base
per la produzione di detti mangimi.
22
L’articolo 16, paragrafi 1, 2 e 7, del regolamento n. 1829/2003 dispone:
«1.
I mangimi [di cui al regolamento n. 1829/2003] non devono:
a) avere effetti nocivi sulla salute
umana, la salute degli animali o l’ambiente;
(...)
2.
Nessuno può immettere in commercio, usare o modificare un [mangime
geneticamente modificato rientrante nell’ambito di applicazione del regolamento
n. 1829/2003], a meno che per esso non sia stata rilasciata un’autorizzazione
conformemente alla presente sezione e a meno che non vengano rispettate le
pertinenti condizioni dell’autorizzazione.
(…)
7.
Il rilascio di un’autorizzazione ai sensi del presente regolamento non
pregiudica il disposto [della direttiva 2002/53, in particolare]».
23
L’articolo 20 del medesimo regolamento, rubricato «Status dei prodotti
esistenti», prevede quanto segue:
«1.
In deroga all’articolo 16, paragrafo 2, i prodotti che rientrano nel
campo d’applicazione della presente sezione e che sono stati legalmente immessi
sul mercato comunitario prima della data di applicazione del presente
regolamento, possono rimanere sul mercato e continuare ad essere utilizzati e
lavorati purché siano soddisfatte le seguenti condizioni:
a)
per quanto concerne i prodotti autorizzati in virtù delle [direttive
90/220 o 2001/18] (...), gli operatori responsabili della loro immissione in
commercio notificano alla Commissione la data in cui essi sono stati per la
prima volta immessi sul mercato comunitario, entro sei mesi dalla data di
applicazione del presente regolamento;
(…)
2.
La notifica di cui al paragrafo 1 è corredata degli elementi (...), a
seconda dei casi, [dei quali il regolamento n. 1829/2003 prescrive la
presentazione per le domande iniziali di autorizzazione sul suo fondamento].
(...)
(…)
4.
Entro nove anni dalla data in cui i prodotti indicati al paragrafo 1,
lettera a), sono stati immessi per la prima volta sul mercato, e comunque non
prima di tre anni a decorrere dalla data di applicazione del presente
regolamento, gli operatori responsabili della loro immissione in commercio
presentano una domanda conformemente all’articolo 23, che si applica per
analogia.
(…)
5.
I prodotti di cui al paragrafo 1 e i mangimi che li contengono o sono da
essi derivati sono soggetti alle disposizioni del presente regolamento, in
particolare del [suo articolo 34, che si applica] per analogia.
(…)».
24
L’articolo 23, rubricato «Rinnovo delle autorizzazioni», prevede, in
particolare, l’applicazione per analogia dell’articolo 17, paragrafo 2,
relativo alle modalità di trattamento, da parte dell’Autorità nazionale
competente e dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (in prosieguo:
l’«Autorità»), di una domanda iniziale di autorizzazione fondata sul
regolamento n. 1829/2003, nonché degli articoli 18 e 19, i quali enunciano,
rispettivamente, le condizioni in cui, da un lato, l’Autorità esprime un parere
sulla domanda e, dall’altro, viene adottata una decisione a livello
comunitario. L’articolo 18, paragrafo 3, prescrive in particolare che
l’Autorità, per preparare il suo parere, stabilisca se il mangime soddisfa i
criteri fissati all’articolo 16, paragrafo 1, vale a dire, segnatamente, se non
abbia effetti nocivi sulla salute umana, sulla salute degli animali o
sull’ambiente.
25
L’articolo 24, rubricato «Campo di applicazione» e compreso nella
sezione 2 intitolata «Etichettatura», dispone quanto segue:
«1.
La presente sezione si applica ai mangimi di cui [al regolamento n.
1829/2003].
2. La presente sezione non si applica ai
mangimi che contengono materiali che contengono, sono costituiti o sono
prodotti a partire da OGM presenti in una proporzione non superiore allo 0,9%
[del] mangime e per ciascun mangime di cui esso è composto, purché tale
presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile.
(...)».
26
L’articolo 34, rubricato «Misure d’emergenza», dispone:
«Quando sia manifesto che prodotti
autorizzati dal presente regolamento o conformemente allo stesso possono
comportare un grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o
per l’ambiente (...), sono adottate misure conformemente alle procedure
previste agli articoli 53 e 54 del regolamento (CE) n. 178/2002 [del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i
requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea
per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza
alimentare (GU L 31, pag. 1)]».
Il regolamento n. 178/2002
27
L’articolo 53 del regolamento n. 178/2002, rubricato «Misure urgenti per
alimenti e mangimi di origine comunitaria o importati da un paese terzo», è
così formulato:
«1.
Quando sia manifesto che alimenti o mangimi di origine comunitaria o
importati da un paese terzo possono comportare un grave rischio per la salute
umana, per la salute degli animali o per l’ambiente che non possa essere
adeguatamente affrontato mediante misure adottate dallo Stato membro o dagli
Stati membri interessati, la Commissione, agendo di propria iniziativa o su
richiesta di uno Stato membro, (…) adotta immediatamente, in funzione della
gravità della situazione, una o alcune delle seguenti misure:
[sospensione dell’immissione sul mercato
o dell’utilizzazione dell’alimento o del mangime di origine comunitaria,
sospensione delle importazioni dell’alimento o del mangime importati da un
paese terzo, determinazione di condizioni particolari e di qualsiasi altra
misura provvisoria adeguata per l’alimento o il mangime di origine comunitaria
o importato da un paese terzo].
2.
Tuttavia, in casi urgenti, la Commissione può adottare in via
provvisoria le misure di cui al paragrafo 1, previa consultazione dello Stato
membro o degli Stati membri interessati e dopo averne informato gli altri Stati
membri.
Nel tempo più breve possibile e al più
tardi entro dieci giorni lavorativi, le misure adottate sono confermate,
modificate, revocate o prorogate (…). Le motivazioni della decisione della
Commissione sono pubblicate quanto prima».
28
L’articolo 54 del medesimo regolamento, rubricato «Altre misure
urgenti», è formulato nei seguenti termini:
«1.
Qualora uno Stato membro informi ufficialmente la Commissione circa la
necessità di adottare misure urgenti e qualora la Commissione non abbia agito
in conformità delle disposizioni dell’articolo 53, lo Stato membro può adottare
misure cautelari provvisorie. Esso ne informa immediatamente gli altri Stati
membri e la Commissione.
2.
Entro dieci giorni lavorativi, la Commissione sottopone la questione al
[Comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali] ai
fini della proroga, modificazione od abrogazione delle misure cautelari
provvisorie nazionali.
3.
Lo Stato membro può lasciare in vigore le proprie misure cautelari
provvisorie fino all’adozione delle misure comunitarie».
Il regolamento (CE) n. 641/2004
29
L’articolo 11 del regolamento (CE) n. 641/2004 della Commissione, del 6
aprile 2004, recante norme attuative del regolamento [n. 1829/2003] per quanto
riguarda la domanda di autorizzazione di nuovi alimenti e mangimi geneticamente
modificati, la notifica di prodotti preesistenti e la presenza accidentale o
tecnicamente inevitabile di materiale geneticamente modificato che è stato
oggetto di una valutazione del rischio favorevole (GU
L 102, pag. 14), compreso nella sezione 2 di quest’ultimo, intitolata
«Requisiti aggiuntivi per le notifiche di taluni prodotti immessi sul mercato
prima del 18 aprile 2004», così dispone:
«1.
(…), le notifiche di OGM immessi sul mercato ai sensi della parte C
della [direttiva 90/220] o della parte C della [direttiva 2001/18] devono
includere copia dell’autorizzazione rilasciata a norma delle stesse direttive.
2.
La data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea
dell’autorizzazione a norma della [direttiva 90/220] o della [direttiva 2001/18]
si considera come data in cui il prodotto è stato immesso sul mercato per la
prima volta, a meno che il notificante fornisca la prova verificabile del fatto
che il prodotto è stato immesso sul mercato per la prima volta in una data
successiva».
La normativa nazionale
30
L’articolo 1 del decreto legislativo n. 212, del 24 aprile 2001 (GURI n. 131, dell’8 giugno 2001; in prosieguo: il «decreto
legislativo n. 212/2001»), dispone quanto segue:
«(…)
«2.
(…) La messa in coltura dei prodotti sementieri
(…) è soggetta ad autorizzazione con provvedimento del Ministro delle politiche
agricole e forestali, di concerto con il Ministro dell’ambiente e del Ministro
della sanità, emanato previo parere della [Commissione per i prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate], nel quale
sono stabilite misure idonee a garantire che le colture derivanti da prodotti sementieri di varietà geneticamente modificate non entrino
in contatto con le colture derivanti da prodotti sementieri
tradizionali e non arrechino danno biologico all’ambiente circostante, tenuto
conto delle peculiarità agro‑ecologiche, ambientali e pedoclimatiche.
(...)
5.
Chi mette in coltura prodotti sementieri di
varietà geneticamente modificate senza l’autorizzazione di cui al comma 2, è
punito con la pena dell’arresto da sei mesi a tre anni o dell’ammenda fino a
100 milioni di lire. La stessa sanzione si applica in caso di revoca o
sospensione dell’autorizzazione.
(...)».
31
Il decreto legge n. 279, del 22 novembre 2004 (GURI
n. 280, del 29 novembre 2004), emendato e convertito in legge mediante la legge
n. 5, del 28 gennaio 2005 (GURI n. 22, del 28 gennaio
2005; in prosieguo: il «decreto legge n. 279/2004»), è diretto all’adozione di
misure di coesistenza in attuazione della raccomandazione del 23 luglio 2003.
32
L’articolo 3 di detto decreto legge prevede l’adozione di tali misure di
coesistenza con decreto di natura non regolamentare del Ministro delle
Politiche agricole alimentari e forestali, adottato d’intesa con la Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano ed emanato previo parere delle competenti Commissioni
parlamentari.
33
In forza del medesimo articolo 3 nonché dell’articolo 4 del decreto
legge n. 279/2004, l’emanando decreto di natura non regolamentare deve definire
le norme quadro per la coesistenza, in applicazione delle quali le regioni
approveranno i propri piani di coesistenza mediante l’adozione di provvedimenti
ad hoc.
34
In conformità dell’articolo 4,
comma 1, del decreto legge n. 279/2004, il piano di coesistenza è adottato, con
proprio provvedimento, da ciascuna regione e provincia autonoma e contiene le
regole tecniche per realizzare la coesistenza, prevedendo al contempo strumenti
che garantiscano la collaborazione degli enti territoriali locali, sulla base
dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.
35
L’articolo 8 del medesimo decreto legge enuncia che, fino all’adozione
dei diversi piani di coesistenza, le colture transgeniche, ad eccezione di
quelle autorizzate per fini di ricerca e di sperimentazione, non sono
consentite.
36
Con sentenza n. 116 del 17 marzo 2006, pronunciata a seguito di un
ricorso proposto dalla Regione Marche, la Corte costituzionale ha dichiarato
costituzionalmente illegittimi, in particolare, gli articoli 3, 4 e 8 del
decreto legge n. 279/2004.
37
Riguardo, in particolare, a detto articolo 4, essa ha dichiarato che
tale articolo era lesivo della competenza legislativa delle regioni in materia
di agricoltura, in quanto spetta a queste ultime esercitare il potere di
disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza nei
diversi territori regionali, notoriamente differenziati dal punto di vista
morfologico e sul piano della rispettiva produzione.
38
Per quanto concerne l’articolo 8, la Corte costituzionale lo ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo in quanto appariva collegato in modo
inscindibile alle altre disposizioni ritenute illegittime.
39
Pertanto, rimangono in vigore gli articoli 1 e 2 del decreto legge n.
279/2004, dai quali emerge la volontà del legislatore di avvalersi della
possibilità di adottare le misure necessarie a evitare la presenza involontaria
di OGM nelle altre colture, ovverosia le colture convenzionali e biologiche.
40
In seguito alla sentenza n. 116 del 17 marzo 2006, il Ministro delle
Politiche agricole alimentari e forestali ha adottato la circolare n. 269 del
31 marzo 2006, nella quale considera che detta sentenza non rimette in
discussione la legittimità del divieto di coltivare OGM in attesa dell’adozione
di piani di coesistenza e che la dichiarazione di incostituzionalità
dell’articolo 8 del decreto legge n. 279/2004 deve essere intesa nel senso che,
permanendo il divieto di coltivare OGM, occorre prevedere l’esercizio da parte
dell’autorità regionale o provinciale della sua competenza in materia.
41
Al punto 4 della suddetta circolare è precisato che, una volta che le
regioni e le province autonome abbiano adottato le proprie disposizioni
relative alla coesistenza, la complessa procedura di autorizzazione
all’emissione di OGM ai fini della loro coltivazione deve ancora concludersi
positivamente, nel rispetto delle disposizioni contenute nel decreto
legislativo n. 212/2001, le quali richiedono il rilascio di un’autorizzazione
ministeriale.
42
Al punto 5 si conclude che la coltivazione di OGM resta non consentita
fino all’adozione degli strumenti normativi regionali idonei a garantire la
coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche e
all’individuazione di soluzioni adeguate tra regioni confinanti e che l’inosservanza
di tale divieto comporta l’applicazione delle sanzioni di cui all’articolo 1,
comma 5, del decreto legislativo n. 212/2001.
Procedimento principale e questione
pregiudiziale
43
Con decisione 98/294/CE, del 22 aprile 1998, concernente l’immissione in
commercio di granturco geneticamente modificato (Zea mays L. Linea MON 810) a norma
della direttiva 90/220 (GU L 131, pag. 32), la
Commissione autorizzava la commercializzazione delle linee pure ed ibride
provenienti dalla linea del mais MON 810, su
richiesta della Monsanto Europe SA (in prosieguo: la
«Monsanto Europe»), sul fondamento della direttiva
90/220.
44
L’11 luglio 2004, la Monsanto Europe
notificava alla Commissione, ai sensi, in particolare, dell’articolo 20,
paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1829/2003, le varietà del mais MON 810 quali «prodotti esistenti».
45
L’8 settembre 2004, la Commissione approvava l’iscrizione di 17 varietà
derivate dal mais MON 810 nel catalogo comune.
46
La Monsanto Europe non effettuava una notifica
all’autorità nazionale competente, prima del 17 ottobre 2006, ai sensi
dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva 2001/18.
47
Il 4 maggio 2007, la stessa chiedeva il rinnovo dell’autorizzazione
all’immissione sul mercato delle varietà del mais MON
810 sulla base dell’articolo 20, paragrafo 4, del regolamento n. 1829/2003.
48
La Pioneer è una società produttrice e distributrice, a livello
mondiale, di sementi convenzionali e geneticamente modificate.
49
Essa intende coltivare le varietà del mais MON
810 iscritte nel catalogo comune.
50
Il 18 ottobre 2006, essa presentava al Ministero delle Politiche
agricole alimentari e forestali una richiesta di autorizzazione alla messa in
coltura di tali varietà ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo n. 212/2001.
51
Con la nota n. 3734 del 12 maggio 2008, il Ministero delle Politiche
agricole alimentari e forestali – Dipartimento delle politiche di sviluppo
economico e rurale comunicava alla Pioneer di non poter procedere
all’istruttoria della sua richiesta di autorizzazione alla messa in coltura di
ibridi di mais geneticamente modificati, già iscritti nel catalogo comune,
«nelle more dell’adozione, da parte delle regioni, delle norme idonee a
garantire la coesistenza tra colture convenzionali, biologiche e transgeniche,
come previsto dalla circolare del Mipaaf [Ministero
delle Politiche agricole alimentari e forestali] del 31 marzo 2006».
52
Nell’ambito del suo ricorso diretto all’annullamento di detta nota, la
Pioneer ha contestato la necessità di un’autorizzazione nazionale per la
coltivazione di prodotti quali gli OGM iscritti nel catalogo comune.
53
Essa ha contestato peraltro l’interpretazione dell’articolo 26 bis della
direttiva 2001/18 secondo la quale la coltivazione di OGM in Italia non sarebbe
consentita fino all’adozione degli strumenti normativi regionali idonei a
garantire la coesistenza fra colture transegeniche,
convenzionali e biologiche.
54
In tali circostanze, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il
procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se, qualora lo Stato membro abbia
ritenuto di subordinare il rilascio dell’autorizzazione alle coltivazioni di
OGM, ancorché iscritti nel [catalogo comune], a misure di carattere generale
idonee a garantire la coesistenza con colture convenzionali o biologiche,
l’articolo 26 bis della [direttiva 2001/18], letto alla luce della
[raccomandazione del 23 luglio 2003] e della sopravvenuta [raccomandazione del
13 luglio 2010], debba essere interpretato nel senso che, nel periodo
antecedente l’adozione delle misure generali:
a)
l’autorizzazione debba essere rilasciata, avendo ad oggetto OGM iscritti
nel [catalogo comune];
b)
ovvero, l’esame dell’istanza di autorizzazione debba essere sospeso in
attesa dell’adozione delle misure di carattere generale;
c)
ovvero, l’autorizzazione debba essere rilasciata, con le prescrizioni
idonee ad evitare nel caso concreto il contatto, anche involontario, delle
colture transgeniche autorizzate con le colture convenzionali o biologiche
circostanti».
Sulla
questione pregiudiziale
Osservazioni
preliminari
55
Al fine di stabilire la portata della questione pregiudiziale occorre,
in limine, determinare il contesto normativo del procedimento principale.
56
In primo luogo, si deve constatare che per le varietà del mais MON 810 non si è proceduto alla notifica per il rinnovo
dell’autorizzazione entro la data del 17 ottobre 2006, di cui all’articolo 17,
paragrafo 2, della direttiva 2001/18.
57
In secondo luogo, si deve constatare che l’impiego e la
commercializzazione di sementi delle varietà del maïs MON
810 sono autorizzati su un duplice fondamento.
58
Sono autorizzati in quanto le varietà in causa costituiscono «prodotti
esistenti» ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003, essendo
state notificate come tali alla Commissione, conformemente ai paragrafi 1,
lettera a), e 4 di detto articolo, l’11 luglio 2004, ossia anteriormente al 18
ottobre 2004, e avendo costituito oggetto di una domanda di rinnovo
d’autorizzazione il 4 maggio 2007, ossia entro i nove anni previsti a tal fine
con decorrenza dal 5 maggio 1998, data della pubblicazione nella Gazzetta
ufficiale della decisione 98/294, e scadenza il 5 maggio 2007, conformemente
all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento n. 641/2004.
59
L’impiego e la commercializzazione di sementi delle varietà del mais MON 810 sono autorizzati altresì perché tali varietà sono
state iscritte nel catalogo comune disciplinato dalla direttiva 2002/53.
60
Occorre peraltro rilevare che, sebbene le varietà del mais MON 810 siano autorizzate ai sensi dell’articolo 20 del
regolamento n. 1829/2003 e iscritte nel catalogo comune in applicazione della
direttiva 2002/53, trova applicazione l’articolo 26 bis di quest’ultima.
61
Si osservi, infine, che solo la raccomandazione del 23 luglio 2003 è
pertinente ratione temporis
nel procedimento principale.
62
Così delimitato il contesto giuridico di quest’ultimo, si deve ritenere
che, con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chieda, in
sostanza, se la messa in coltura di OGM quali le varietà del mais MON 810 possa essere assoggettata a una procedura nazionale
di autorizzazione quando l’impiego e la commercializzazione di dette varietà
sono autorizzati ai sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 e tali
varietà sono state iscritte nel catalogo comune previsto dalla direttiva
2002/53. Il medesimo giudice chiede pure se l’articolo 26 bis della direttiva
2001/18 consenta a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul
proprio territorio di tali OGM nelle more dell’adozione di misure di
coesistenza dirette a evitare la presenza accidentale di OGM in altre colture.
Sull’obbligo di richiedere
un’autorizzazione nazionale
63
Il regolamento n. 1829/2003 enuncia, al considerando 1, che la libera
circolazione degli alimenti e dei mangimi sicuri e sani costituisce un aspetto
essenziale del mercato interno. L’articolo 19, paragrafo 5, del medesimo
regolamento precisa che l’autorizzazione concessa conformemente alle procedure
di quest’ultimo è valida in tutta l’Unione.
64
Da parte sua, la direttiva 2002/53 enuncia, al considerando 11, che è
necessario che le sementi e le piante alle quali si applica tale direttiva
possano essere commercializzate liberamente all’interno dell’Unione dal momento
della loro inserzione nel catalogo comune. Il suo articolo 16, paragrafo 1,
prescrive, di conseguenza, agli Stati membri di vigilare affinché, con effetto
a partire dalla data di pubblicazione nel catalogo comune, le sementi delle
varietà ammesse in applicazione delle disposizioni di detta direttiva non siano
soggette ad alcuna restrizione di mercato per quanto concerne la varietà.
65
Risulta, quindi, che il regolamento n. 1829/2003 e la direttiva 2002/53
mirano entrambi a consentire il libero impiego e la libera commercializzazione
degli OGM sull’intero territorio dell’Unione, in quanto autorizzati
conformemente al primo e iscritti nel catalogo comune in applicazione della
seconda.
66
Risulta peraltro, alla luce dei considerando 9, 33 e 34 del regolamento
n. 1829/2003 nonché degli articoli 4, paragrafi 4 e 5, e 7, paragrafo 4, della
direttiva 2002/53, che le condizioni imposte da questi due atti normativi,
rispettivamente, per un’autorizzazione o un’iscrizione nel catalogo comune
rispondono alle necessità di tutela della salute e dell’ambiente.
67
Quanto ai prodotti esistenti il cui impiego e commercializzazione sono
autorizzati in virtù dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003, il
legislatore dell’Unione ha considerato, in sostanza, che tali necessità fossero
soddisfatte provvisoriamente, al momento della notifica di tali prodotti, per
effetto della valutazione operata in fase di autorizzazione anteriore a norma
della direttiva 90/220 o della direttiva 2001/18.
68
Mediante il rinvio effettuato dall’articolo 20, paragrafo 4, del
regolamento n. 1829/2003 all’articolo 23 e, tramite quest’ultimo, agli articoli
18 e 19 del medesimo regolamento, lo stesso legislatore ha poi assimilato i
prodotti esistenti a prodotti autorizzati inizialmente sul fondamento del
regolamento n. 1829/2003 sotto il profilo della valutazione dei rischi per la
salute e per l’ambiente in fase di richiesta di rinnovo delle autorizzazioni.
69
Emerge da tali constatazioni che, allo stato attuale del diritto
dell’Unione, uno Stato membro non è libero di subordinare a un’autorizzazione
nazionale, fondata su considerazioni di tutela della salute o dell’ambiente, la
coltivazione di OGM autorizzati in virtù del regolamento n. 1829/2003 ed
iscritti nel catalogo comune in applicazione della direttiva 2002/53.
70
Al contrario, un divieto o una limitazione della coltivazione di tali
prodotti possono essere decisi da uno Stato membro nei casi espressamente
previsti dal diritto dell’Unione.
71
Fra tali eccezioni figurano, da un lato, le misure adottate in
applicazione dell’articolo 34 del regolamento n. 1829/2003 nonché quelle
disposte ai sensi degli articoli 16, paragrafo 2, o 18 della direttiva 2002/53,
disposizioni che non sono oggetto del procedimento principale, e, dall’altro,
le misure di coesistenza prese a titolo dell’articolo 26 bis della direttiva
2001/18.
Sul divieto di coltivazione di OGM nelle
more dell’adozione di misure di coesistenza
72
Si deve constatare per prima cosa che, come sottolineano il governo
spagnolo e la Commissione, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 prevede
solo una facoltà per gli Stati membri di introdurre misure di coesistenza.
73
Pertanto, nell’ipotesi in cui uno Stato membro si astenesse da
qualsivoglia intervento nel settore, un divieto di coltivazione di OGM potrebbe
protrarsi per un periodo di tempo illimitato e costituire un mezzo per aggirare
le procedure previste agli articoli 34 del regolamento n. 1829/2003 nonché 16,
paragrafo 2, e 18 della direttiva 2002/53.
74
Un’interpretazione dell’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 che
consenta agli Stati membri di emanare un tale divieto sarebbe dunque contraria
al sistema istituito dal regolamento n. 1829/2003 e dalla direttiva 2002/53,
sistema che consiste nel garantire la libera e immediata circolazione dei
prodotti autorizzati a livello comunitario e iscritti nel catalogo comune, una
volta che le necessità di tutela della salute e dell’ambiente siano state prese
in considerazione nel corso delle procedure di autorizzazione e di iscrizione.
75
In definitiva, l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 può dar luogo a
restrizioni, e perfino a divieti geograficamente delimitati, solo per effetto
delle misure di coesistenza realmente adottate in osservanza delle loro
finalità. Tale disposizione non consente, pertanto, agli Stati membri di
decidere una misura come quella oggetto del procedimento principale la quale,
nelle more dell’adozione di misure di coesistenza, vieta in via generale la
coltivazione di OGM autorizzati ai sensi della normativa dell’Unione e iscritti
nel catalogo comune.
76
Alla luce del complesso delle considerazioni precedenti, occorre
rispondere alla questione sollevata nel senso che:
–
la messa in coltura di OGM quali le varietà del mais MON
810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione
quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai
sensi dell’articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 e le medesime varietà sono
state iscritte nel catalogo comune previsto dalla direttiva 2002/53;
–
l’articolo 26 bis della direttiva 2001/18 non consente a uno Stato
membro di opporsi in via generale alla messa in coltura sul suo territorio di
tali OGM nelle more dell’adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la
presenza accidentale di OGM in altre colture.
Sulle
spese
77
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa
costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta
quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi,
la Corte (Quarta Sezione) dichiara:
La messa in coltura di organismi
geneticamente modificati quali le varietà del mais MON
810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione
quando l’impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai
sensi dell’articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi
geneticamente modificati, e le medesime varietà sono state iscritte nel
catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla
direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo
comune delle varietà delle specie di piante agricole, emendata con il
regolamento n. 1829/2003.
L’articolo 26 bis della direttiva
2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001,
sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati e
che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla
direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo
2008, non consente a uno Stato membro di opporsi in via generale alla messa in
coltura sul suo territorio di tali organismi geneticamente modificati nelle
more dell’adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenza
accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture