Corte di Giustizia dell’Unione
europea (Quarta Sezione)
4 luglio 2013 - C‑312/11,
Commento alla decisione
di
Federico Girelli
(per
gentile concessione dell’Osservatorio
AIC)
Nella causa C‑312/11,
avente ad oggetto il ricorso per
inadempimento, ai sensi dell’articolo 258 TFUE, proposto il 20 giugno
2011,
Commissione europea, rappresentata da J. Enegren e C.
Cattabriga, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata da G. Palmieri, in qualità
di agente, assistita da C. Gerardis, avvocato dello Stato, con domicilio eletto
in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta da L. Bay Larsen, facente funzione
di presidente della Quarta Sezione, J.‑C. Bonichot, C. Toader, A. Prechal
e E. Jarašiūnas (relatore), giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la fase scritta del procedimento,
vista la decisione, adottata dopo aver
sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con il suo ricorso la Commissione
europea chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, non
imponendo a tutti i datori di lavoro di prevedere soluzioni ragionevoli
applicabili a tutti i disabili, è venuta meno al suo obbligo di recepire
correttamente e completamente l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del
Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la
parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU
L 303, pag. 16).
Contesto normativo
Il diritto internazionale
2. La convenzione delle Nazioni Unite
sui diritti delle persone con disabilità, che è stata approvata a nome della
Comunità europea dalla decisione 2010/48/CE del Consiglio, del 26 novembre 2009
(GU 2010, L 23, pag. 35; in prosieguo: la «convenzione dell’ONU»), al
considerando e) statuisce quanto segue:
«Riconoscendo che la disabilità è un
concetto in evoluzione e che la disabilità è il risultato dell’interazione tra persone
con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la
loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con
gli altri».
3. Ai sensi dell’articolo 1 di
tale convenzione:
«Scopo della presente Convenzione è
promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i
diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con
disabilità e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità.
Per persone con disabilità si intendono
coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o
sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare
la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza
con gli altri».
4. Ai sensi dell’articolo 2, quarto
comma, di tale convenzione «per “accomodamento ragionevole” si intendono le
modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere
sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi
particolari, per garantire alle persone con disabilità il godimento o
l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e
delle libertà fondamentali».
Il diritto dell’Unione
5. I considerando 11, 16, 17, 20 e 21
della direttiva 2000/78 sono così redatti:
«(11) La discriminazione basata su
religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può
pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato CE, in
particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di
protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la
coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle
persone.
(…)
(16) La messa a punto di misure per
tener conto dei bisogni dei disabili sul luogo di lavoro ha un ruolo importante
nel combattere la discriminazione basata sull’handicap.
(17) La presente direttiva non
prescrive l’assunzione, la promozione o il mantenimento dell’occupazione né
prevede la formazione di un individuo non competente, non capace o non
disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione, fermo
restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per i disabili.
(…)
(20) È opportuno prevedere misure
appropriate, ossia misure efficaci e pratiche destinate a sistemare il luogo di
lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio sistemando i locali o adattando le
attrezzature, i ritmi di lavoro, la ripartizione dei compiti o fornendo mezzi
di formazione o di inquadramento.
(21) Per determinare se le misure in
questione danno luogo a oneri finanziari sproporzionati, è necessario tener
conto in particolare dei costi finanziari o di altro tipo che esse comportano,
delle dimensioni e delle risorse finanziarie dell’organizzazione o dell’impresa
e della possibilità di ottenere fondi pubblici o altre sovvenzioni».
6. L’articolo 1 della direttiva
2000/78 è del seguente tenore:
«La presente direttiva mira a
stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla
religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze
sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine
di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di
trattamento».
7. Ai sensi dell’articolo 2 di tale
direttiva, intitolato «Nozione di discriminazione»:
«1. Ai fini della presente
direttiva, per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui
all’articolo 1.
2. Ai fini del paragrafo 1:
a) sussiste discriminazione diretta
quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all’articolo 1, una
persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe
trattata un’altra in una situazione analoga;
b) sussiste discriminazione
indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente
neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone
che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le
persone portatrici di un particolare handicap, le persone di una particolare
età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno
che:
i) tale disposizione, tale criterio
o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i
mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; o che
ii) nel caso di persone portatrici
di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona o
organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla
legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi
di cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale
disposizione, tale criterio o tale prassi.
(…)».
8. L’articolo 3 della direttiva
2000/78 circoscrive l’ambito di applicazione della stessa nel modo seguente:
«1. Nei limiti dei poteri conferiti
alla Comunità, la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del
settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto
pubblico, per quanto attiene:
(…)
c) all’occupazione e alle condizioni
di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione;
(…)».
9. L’articolo 5 della direttiva
in parola recita:
«Per garantire il rispetto del principio
della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli.
Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in
funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili
di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché
possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da
parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione
non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da
misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei
disabili».
Il diritto italiano
10 L’articolo 3 della legge
n. 104 ‑ Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate, del 5 febbraio 1992 (Supplemento ordinario
alla GURI n. 39 del 17 febbraio 1992; in prosieguo: la «legge
n. 104/1992»), prevede quanto segue:
«1. È persona handicappata colui che
presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o
progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di
integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale
o di emarginazione.
2. La persona handicappata ha
diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e
alla consistenza della minorazione, alla capacità complessiva individuale
residua e alla efficacia delle terapie riabilitative.
(…)».
11 L’articolo 8 di tale legge prevede
come metodi di inserimento e di integrazione sociale della persona handicappata
«misure atte a favorire la piena integrazione nel mondo del lavoro, in forma
individuale o associata, e la tutela del posto di lavoro anche attraverso
incentivi diversificati».
12 Ai sensi dell’articolo 17, commi 1
e 5, della succitata legge:
«1. Le regioni (…) realizzano
l’inserimento della persona handicappata negli ordinari corsi di formazione
professionale dei centri pubblici e privati e garantiscono agli allievi
handicappati che non siano in grado di avvalersi dei metodi di apprendimento
ordinari l’acquisizione di una qualifica (…). A tal fine forniscono ai centri
[di formazione professionale] i sussidi e le attrezzature necessarie.
(…)
5. (…) [U]na quota del fondo comune
(…) è destinata ad iniziative di formazione e di avviamento al lavoro in forme
sperimentali, quali tirocini, contratti di formazione, iniziative territoriali
di lavoro guidato, corsi prelavorativi (…)».
13 L’articolo 18 della legge
n. 104/1992 così recita:
«1. Le regioni, entro sei mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge, disciplinano l’istituzione e la
tenuta dell’albo regionale degli enti, istituzioni, cooperative sociali, di
lavoro, di servizi, e dei centri di lavoro guidato, associazioni ed
organizzazioni di volontariato che svolgono attività idonee a favorire
l’inserimento e l’integrazione lavorativa di persone handicappate.
(…)
4. I rapporti dei comuni, dei
consorzi tra comuni e tra comuni e province, delle comunità montane e delle
unità sanitarie locali con gli organismi di cui al comma 1 sono regolati da
convenzioni conformi allo schema tipo (…).
(…)
6. Le regioni possono provvedere con
proprie leggi:
a) a disciplinare le agevolazioni
alle singole persone handicappate per recarsi al posto di lavoro e per l’avvio
e lo svolgimento di attività lavorative autonome;
b) a disciplinare gli incentivi, le
agevolazioni e i contributi ai datori di lavoro anche ai fini dell’adattamento
del posto di lavoro per l’assunzione delle persone handicappate».
14 L’articolo 20, comma 1, della legge
n. 104/1992 così dispone:
«La persona handicappata sostiene le
prove d’esame nei concorsi pubblici e per l’abilitazione alle professioni con
l’uso degli ausili necessari e nei tempi aggiuntivi eventualmente necessari in
relazione allo specifico handicap».
15 L’articolo 4, commi 1 e 2, della
legge n. 381 ‑ Disciplina delle cooperative sociali, dell’8 novembre
1991 (GURI n. 283 del 3 dicembre 1991, pag. 3; in prosieguo: la
«legge n. 381/1991), prevede quanto segue:
«1. Nelle cooperative (…) si
considerano persone svantaggiate gli invalidi fisici, psichici e sensoriali
(…).
2. Le persone svantaggiate (…)
devono costituire almeno il trenta per cento dei lavoratori della cooperativa
e, compatibilmente con il loro stato soggettivo, essere socie della cooperativa
stessa (…)».
16 La legge n. 68 ‑ Norme
per il diritto al lavoro dei disabili, del 12 marzo 1999 (Supplemento ordinario
alla GURI n. 68 del 23 marzo 1999; in prosieguo: la «legge
n. 68/1999»), riguarda il trattamento dei disabili sul lavoro. L’articolo
1, commi 1 e 7, della predetta legge dispone quanto segue:
«1. La presente legge ha come
finalità la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle
persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di
collocamento mirato. Essa si applica:
a) alle persone in età lavorativa
affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di
handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa
superiore al 45 per cento, accertata dalle competenti commissioni per il
riconoscimento dell’invalidità civile in conformità alla tabella indicativa
delle percentuali di invalidità per minorazioni e malattie invalidanti
approvata (…) sulla base della classificazione internazionale delle menomazioni
elaborata dalla Organizzazione mondiale della sanità;
b) alle persone invalide del lavoro
con un grado di invalidità superiore al 33 per cento (…);
c) alle persone non vedenti o
sordomute (…);
d) alle persone invalide di guerra,
invalide civili di guerra e invalide per servizio (…).
(…)
7. I datori di lavoro, pubblici e
privati, sono tenuti a garantire la conservazione del posto di lavoro a quei
soggetti che, non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano
acquisito per infortunio sul lavoro o malattia professionale eventuali
disabilità».
17 Ai sensi dell’articolo 2 di detta
legge, per «collocamento mirato dei disabili» si intende:
«(…) quella serie di strumenti
tecnici e di supporto che permettono di valutare adeguatamente le persone con
disabilità nelle loro capacità lavorative e di inserirle nel posto adatto,
attraverso analisi di posti di lavoro, forme di sostegno, azioni positive e
soluzioni dei problemi connessi con gli ambienti, gli strumenti e le relazioni
interpersonali sui luoghi quotidiani di lavoro e di relazione».
18 L’articolo 3 della medesima legge,
riguardante le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva, così recita:
«1. I datori di lavoro pubblici e
privati sono tenuti ad avere alle loro dipendenze lavoratori appartenenti alle
categorie di cui all’articolo 1 nella seguente misura:
a) sette per cento dei lavoratori
occupati, se occupano più di 50 dipendenti;
b) due lavoratori, se occupano da 36
a 50 dipendenti;
c) un lavoratore, se occupano da 15
a 35 dipendenti
2. Per i datori di lavoro privati
che occupano da 15 a 35 dipendenti l’obbligo di cui al comma 1 si applica solo
in caso di nuove assunzioni.
3. Per i partiti politici, le
organizzazioni sindacali e le organizzazioni che, senza scopo di lucro, operano
nel campo della solidarietà sociale, dell’assistenza e della riabilitazione, la
quota di riserva si computa esclusivamente con riferimento al personale
tecnico-esecutivo e svolgente funzioni amministrative e l’obbligo di cui al
comma 1 insorge solo in caso di nuova assunzione.
4. Per i servizi di polizia, della
protezione civile, il collocamento dei disabili è previsto nei soli servizi
amministrativi.
(…)
6. Agli enti pubblici economici si
applica la disciplina prevista per i datori di lavoro privati.
(…)».
19 L’articolo 7, comma 1, della legge
n. 68/1999 così dispone:
«Ai fini dell’adempimento
dell’obbligo previsto dall’articolo 3 i datori di lavoro assumono i lavoratori
facendone richiesta di avviamento agli uffici competenti ovvero attraverso la
stipula di convenzioni ai sensi dell’articolo 11 (…)».
20 L’articolo 10, commi 2 e 3, di tale
legge prevede quanto segue:
«2. Il datore di lavoro non può
chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni.
3. Nel caso di aggravamento delle condizioni
di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, il
disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui
affidate con il proprio stato di salute. Nelle medesime ipotesi il datore di
lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del disabile
per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare ad essere
utilizzato presso l’azienda. Qualora si riscontri una condizione di
aggravamento (…) incompatibile con la prosecuzione dell’attività lavorativa, o
tale incompatibilità sia accertata con riferimento alla variazione
dell’organizzazione del lavoro, il disabile ha diritto alla sospensione non
retribuita del rapporto di lavoro fino a che l’incompatibilità persista. Durante
tale periodo il lavoratore può essere impiegato in tirocinio formativo (…)».
21 In forza dell’articolo 11, comma 1,
della medesima legge,
«Al fine di favorire l’inserimento
lavorativo dei disabili, gli uffici competenti (…) possono stipulare con il
datore di lavoro convenzioni aventi ad oggetto la determinazione di un
programma mirante al conseguimento degli obiettivi occupazionali di cui alla
presente legge».
22 Gli articoli 13 e 14 della legge
n. 68/1999 prevedono, rispettivamente, agevolazioni per i datori di lavoro
che assumono talune categorie di disabili nell’ambito delle convenzioni
descritte all’articolo 11 di tale legge e la creazione di un fondo regionale
per l’occupazione dei disabili destinato al finanziamento dei programmi
regionali d’inserimento lavorativo e dei relativi servizi.
23 Il decreto legislativo n. 81 –
Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia
di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, del 9 aprile
2008 (Supplemento ordinario alla GURI n. 101 del 30 aprile 2008; in
prosieguo: il «decreto legislativo n. 81/2008»), al suo articolo 42,
riguardante l’adeguamento delle mansioni alla condizione della persona
interessata, dispone quanto segue:
«1. Il datore di lavoro (…) attua le
misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano
un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a
mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il
trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza.
(…)».
Procedimento precontenzioso
24 Il 15 dicembre 2006 la Commissione
inviava alla Repubblica italiana una lettera di diffida in cui comunicava a
tale Stato membro le lacune rilevate nella trasposizione della direttiva
2000/78, assegnandogli un termine di due mesi per presentare osservazioni.
25 Nelle sue lettere di risposta del
16 febbraio 2007 e del 16 e 18 giugno 2008 la Repubblica italiana ammetteva
talune delle lacune rilevate nella lettera di diffida e annunciava l’adozione
di provvedimenti per porvi rimedio. Tuttavia, essa contestava le censure
riguardanti la trasposizione dell’articolo 5 della direttiva 2000/78, facendo
valere che la Commissione non aveva tenuto sufficientemente conto delle
soluzioni previste in favore dei disabili nella legge n. 68/1999.
26 Il 29 ottobre 2009 la Commissione,
non completamente soddisfatta di tali risposte, emetteva un parere motivato
riconfermando le sue censure in merito all’attuazione del principio della
parità di trattamento in materia di occupazione previsto, a favore dei
disabili, dall’articolo 5 della direttiva 2000/78.
27 La Repubblica italiana rispondeva
al parere motivato con una nota del 13 gennaio 2010 in cui ribadiva la sua
posizione.
28 In tale contesto la Commissione
proponeva il ricorso in esame.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
29 Nell’atto introduttivo del suo
ricorso la Commissione espone che la direttiva 2000/78 è stata recepita in
Italia, in termini generali, con il decreto legislativo n. 216 ‑
Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia
di occupazione e di condizioni di lavoro, del 9 luglio 2003 (GURI n. 187
del 13 agosto 2003, pag. 4; in prosieguo: il «decreto legislativo
n. 216/2003»). Tale decreto legislativo non conterrebbe tuttavia tutte le misure
di applicazione della direttiva in questione e, in particolare, quelle relative
all’articolo 5 della stessa. Le disposizioni concernenti il trattamento delle
persone disabili in materia di occupazione figurerebbero infatti nella legge
n. 68/1999.
30 A parere della Commissione nella
legislazione italiana non esiste alcuna disposizione che recepisca l’obbligo
generale previsto dall’articolo 5 della direttiva 2000/78.
31 Pur ammettendo che le disposizioni
della legge n. 68/1999, sotto taluni profili, offrono garanzie ed
agevolazioni persino superiori a quelle prescritte dall’articolo 5 della
direttiva 2000/78, la Commissione osserva tuttavia che tali garanzie ed
agevolazioni non concernono tutti i disabili, non gravano su tutti i datori di
lavoro e non riguardano neppure tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro.
32 La Commissione rileva anzitutto che
la legge n. 68/1999 si applica solo ad alcune tipologie di disabili ivi
identificate.
33 Inoltre, la Commissione sostiene
che numerose disposizioni contenute nella legge n. 68/1999 riguardano solo
talune categorie di imprese e, quindi, di datori di lavoro.
34 Infine, la Commissione considera
che tale legge non indica soluzioni ragionevoli a favore dei disabili in
relazione a tutti i diversi aspetti del rapporto di lavoro.
35 D’altra parte, l’attuazione delle
soluzioni previste dalla legge n. 68/1999 sarebbe affidata all’adozione di
ulteriori provvedimenti da parte delle autorità locali o alla conclusione di
apposite convenzioni tra queste e i datori di lavoro e non conferirebbe quindi
ai disabili diritti invocabili direttamente in giudizio.
36 La Repubblica italiana chiede il
rigetto del ricorso. Nel suo controricorso essa afferma che la Commissione non
ha effettuato un esame completo della legislazione nazionale e regionale in
vigore in materia di tutela dei disabili, limitandosi ad affermare
genericamente che le garanzie della legge n. 68/1999 non concernono tutti
di disabili e tutti i datori di lavoro, mentre la legislazione italiana in
materia è particolarmente avanzata e non è di competenza esclusiva dello Stato.
37 A tale proposito, essa cita, oltre
alla legge n. 68/1999, le leggi n. 104/1992 e n. 381/1991, il
decreto legislativo n. 81/2008 nonché il decreto del Presidente della
Repubblica n. 333 ‑ Regolamento di esecuzione per l’attuazione della
legge 12 marzo 1999, n. 68, recante norme per il diritto al lavoro dei
disabili, del 10 ottobre 2000 (GURI n. 270 del 18 novembre 2000,
pag. 2; in prosieguo: il «decreto n. 333/2000»). Inoltre,
esisterebbero leggi regionali volte a disciplinare, in applicazione della legge
n. 104/1992, l’istituzione e la tenuta dell’albo regionale degli enti che
svolgono attività idonee a favorire l’inserimento e l’integrazione lavorativa
delle persone disabili.
38 In primo luogo, per quanto riguarda
la censura della Commissione secondo cui la legislazione italiana si
applicherebbe solo a talune categorie di disabili, la Repubblica italiana fa
osservare che la Commissione non esplica in alcun modo il concetto uniforme di
«handicap» che tutti gli Stati membri dovrebbero tenere in considerazione e che
né la direttiva 2000/78 né la giurisprudenza della Corte forniscono una
definizione di disabilità o di handicap che abbia un contenuto concreto e specifico.
39 Secondo la Repubblica italiana, la
sentenza dell’11 luglio 2006, Chacón Navas (C‑13/05,
Racc. pag. I‑6467), citata dalla Commissione nel suo ricorso,
contiene una definizione di handicap sufficientemente generica da consentirne
un adattamento secondo i principi di adeguatezza e di proporzionalità insiti
nell’articolo 5 della direttiva 2000/78. Tale articolo preciserebbe che le
forme di tutela devono essere predisposte in funzione delle esigenze delle
situazioni concrete e cioè a seconda del livello di gravità dell’handicap. Di
conseguenza, si richiederebbe agli Stati membri di prevedere, nelle loro
legislazioni nazionali, forme di tutela dei disabili con riferimento al livello
del limite derivante da minorazioni fisiche, mentali o psichiche alla partecipazione
della persona alla vita professionale.
40 La Repubblica italiana considera
che la legge n. 104/1992 fornisce un concetto di disabilità pienamente
conforme a quello scaturente dalla normativa dell’Unione, nonché un concetto di
adeguatezza e proporzionalità delle misure da adottare alla gravità
dell’handicap che si ritrova testualmente nell’articolo 5 della direttiva
2000/78.
41 Per quanto riguarda la legge
n. 68/1999, la cui applicazione sarebbe limitata a talune categorie di
disabili, la Repubblica italiana afferma che tali categorie sono definite non
in base ad un criterio proprio del legislatore italiano, ma sulla base di un
rinvio alla classificazione internazionale delle menomazioni elaborata
dall’Organizzazione mondiale della sanità.
42 Sul punto, essa osserva che il
concetto di «handicap» non è esclusivamente giuridico e proprio del diritto
dell’Unione, ma costituisce un concetto di natura scientifica e sociale di
portata mondiale, assunto come criterio unico dalla legislazione italiana per
l’elaborazione delle tabelle percentuali di invalidità contenute nella legge
n. 68/1999. Tali tabelle percentuali, utilizzate per qualificare le
disabilità in relazione all’attività lavorativa esercitata, costituirebbero un
punto di riferimento obiettivo, conforme al principio di proporzionalità
stabilito dall’articolo 5 della direttiva 2000/78, che ha consentito l’adozione
di misure agevolative diverse e più o meno intense a seconda del grado di
disabilità e di gravità dell’handicap, che giungono fino all’assunzione
obbligatoria per le persone il cui livello di handicap sia superiore ad una
determinata percentuale.
43 La legge n. 104/1992, a sua
volta, disciplinerebbe con disposizioni immediatamente operative, di natura
dettagliata e concreta, l’integrazione sociale di qualsiasi disabile e le
modalità di attuazione di tale integrazione, la formazione professionale e
l’inserimento professionale. Tale legge si applicherebbe a tutti i disabili e a
tutti i datori di lavoro.
44 In secondo luogo, in merito alla censura
secondo cui le disposizioni della legge n. 68/1999 riguarderebbero solo
taluni datori di lavoro, la Repubblica italiana ammette che tale legge si
applica esclusivamente alle imprese aventi almeno quindici dipendenti,
imponendo loro l’assunzione obbligatoria di persone aventi una determinata
percentuale di handicap. Essa considera che l’esistenza di tale limite
all'applicazione della suddetta legge sia tuttavia giustificata poiché, per
assumere un disabile, è necessario che il datore di lavoro abbia determinate
caratteristiche dimensionali e operative. Tale limite sarebbe conforme al
principio di proporzionalità.
45 Ciò non significherebbe però che le
imprese con meno di quindici dipendenti non siano assoggettate a norme
particolari destinate a eliminare le disparità di trattamento collegate alla
disabilità.
46 In terzo luogo, per quanto riguarda
la censura della Commissione relativa all’assenza di soluzioni ragionevoli in
favore dei disabili riguardo a tutti gli aspetti del rapporto di lavoro, la
Repubblica italiana afferma che la legge n. 68/1999 prevede convenzioni di
inserimento lavorativo. Esse sarebbero concluse tra il datore di lavoro e il
servizio provinciale per i disabili territorialmente competente e
indicherebbero i tempi e le modalità di assunzione. Potrebbero essere stipulate
anche convenzioni con i datori di lavoro non soggetti agli obblighi previsti
dalla legge n. 68/1999.
47 Inoltre, la Repubblica italiana
sottolinea che i servizi competenti possono concedere ai datori di lavoro
privati taluni incentivi, cioè un contributo corrispondente ad una determinata
percentuale del costo salariale del lavoratore disabile e il rimborso
forfettario parziale delle spese necessarie alla trasformazione del posto di
lavoro. Tali incentivi potrebbero essere estesi anche ai datori di lavoro
privati che, pur non essendo soggetti agli obblighi previsti dalla legge
n. 68/1999, procedono all’assunzione a tempo indeterminato di persone
disabili.
48 La Repubblica italiana aggiunge che
le regioni svolgono una politica attiva per l’inserimento lavorativo e la
formazione professionale dei disabili.
49 In merito alle soluzioni in favore
dei disabili, la Repubblica italiana sostiene che il decreto legislativo
n. 81/2008, applicabile a tutti i disabili, prevede l’adeguamento delle
mansioni alla condizione dell’interessato. A tale proposito, essa fa
riferimento anche alla legge n. 381/1991, che disciplina il funzionamento
delle cooperative sociali finalizzate all’inserimento lavorativo dei disabili
all’interno di tali cooperative.
50 D’altra parte, secondo la
Repubblica italiana, è priva di fondamento l’affermazione della Commissione
secondo cui i disabili non potrebbero far valere direttamente dinanzi ad un
giudice i diritti che la legislazione italiana attribuisce loro. Il decreto
legislativo n. 216/2003 avrebbe infatti previsto una tutela
giurisdizionale, sul piano civile, del principio di parità di trattamento,
senza distinzione in funzione della gravità dell’handicap. Sul piano del
diritto pubblico, il decreto n. 333/2000 prevederebbe un sistema
sanzionatorio a vari livelli in caso di inottemperanza agli obblighi previsti
dalla legge n. 68/1999.
51 La Commissione afferma nella sua
memoria di replica che la Repubblica italiana, nel corso del procedimento
precontenzioso, non ha mai menzionato l’esistenza nel suo ordinamento giuridico
nazionale di disposizioni diverse da quelle contenute nella legge
n. 68/1999 e tali da integrare le misure da questa previste. Nella sua
corrispondenza, la convenuta avrebbe sempre sostenuto come le disposizioni
della legge n. 68/1999 fossero del tutto sufficienti ad assicurare la
piena attuazione dell’articolo 5 della direttiva 2000/78.
52 La Commissione ritiene, al
contrario, che le disposizioni citate dalla Repubblica italiana non possano essere
considerate, neppure se prese nel loro insieme, misure sufficienti di
attuazione dell’articolo 5 della direttiva 2000/78 e che, pertanto, non
rimettano in discussione la fondatezza delle censure formulate nella presente
causa.
53 In definitiva, la Commissione
considera che il sistema italiano di promozione dell’integrazione lavorativa
dei disabili è essenzialmente fondato su un insieme di incentivi, agevolazioni
e iniziative a carico delle autorità pubbliche e riposa solo in minima parte su
obblighi imposti ai datori di lavoro. Orbene, l’articolo 5 della direttiva
2000/78, letto alla luce dei considerando 20 e 21, introdurrebbe un sistema di
obblighi a carico dei datori di lavoro, che non possono essere sostituiti da
incentivi e aiuti forniti dalle autorità pubbliche.
54 Nella controreplica la Repubblica
italiana critica la Commissione per aver interpretato troppo letteralmente
l’articolo 5 della direttiva 2000/78, con un’impostazione essenzialmente
difforme da quella contenuta nell’atto introduttivo del ricorso di tale
istituzione e più radicale ed estesa di quella che potrebbe desumersi dalla
mera lettura delle parole utilizzate in tale articolo e da un’impostazione
ragionevole e proporzionata.
55 D’altra parte, la Repubblica
italiana considera che non vi è nulla nel testo della direttiva 2000/78 che
giustifichi la posizione della Commissione secondo cui l’unica modalità
accettabile ed idonea a dare applicazione all’articolo 5 di tale direttiva
sarebbe l’imposizione di obblighi a carico dei datori di lavoro nei confronti
di tutti i lavoratori disabili, e non quella consistente nell’organizzare un
sistema pubblico e privato atto ad affiancare il datore di lavoro e il
disabile.
Giudizio della Corte
56 Per quanto riguarda la censura della
Commissione secondo cui la legislazione italiana si applicherebbe solo a taluni
disabili, occorre rammentare che, se è vero che la nozione di «handicap» non è
definita nella stessa direttiva 2000/78, la Corte ha tuttavia già dichiarato,
ai punti 38 e 39 della sentenza dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11
e C‑337/11, non ancora pubblicata nella Raccolta), che, alla luce della
Convenzione dell’ONU, tale nozione deve essere intesa nel senso che si
riferisce ad una limitazione risultante in particolare da menomazioni fisiche,
mentali o psichiche durature che, in interazione con barriere di diversa
natura, possono ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona
interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori.
57 Di conseguenza, l’espressione
«disabile» utilizzata nell’articolo 5 della direttiva 2000/78 deve essere
interpretata come comprendente tutte le persone affette da una disabilità
corrispondente alla definizione enunciata nel punto precedente.
58 Per quanto riguarda poi la censura
della Commissione secondo cui la legislazione italiana non rispetterebbe
l’obbligo di prevedere «soluzioni ragionevoli» nel senso di tale articolo 5,
occorre rammentare che, in conformità dell’articolo 2, quarto comma, della
Convenzione dell’ONU, gli «accomodamenti ragionevoli» sono «le modifiche e gli
adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato
o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per
garantire alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di
uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà
fondamentali». Ne consegue che tale disposizione contempla un’ampia definizione
della nozione di «accomodamenti ragionevoli» (sentenza HK Danmark, cit., punto
53).
59 In tal senso, per quanto riguarda
la direttiva 2000/78, la Corte ha giudicato, al punto 54 della citata sentenza
HK Danmark, che tale concetto deve essere inteso nel senso che si riferisce
all’eliminazione delle barriere di diversa natura che ostacolano la piena ed
effettiva partecipazione delle persone disabili alla vita professionale su base
di uguaglianza con gli altri lavoratori.
60 Dal testo dell’articolo 5 della
direttiva 2000/78, letto in combinato disposto con i considerando 20 e 21,
risulta che gli Stati membri devono stabilire nella loro legislazione un
obbligo per i datori di lavoro di adottare provvedimenti appropriati, cioè
provvedimenti efficaci e pratici, ad esempio sistemando i locali, adattando le
attrezzature, i ritmi di lavoro o la ripartizione dei compiti in funzione delle
esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad
un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di ricevere una formazione,
senza imporre al datore di lavoro un onere sproporzionato. Tali provvedimenti,
come ha giudicato la Corte al punto 64 della citata sentenza HK Danmark,
possono anche consistere in una riduzione dell’orario di lavoro.
61 Occorre sottolineare che l’obbligo
imposto dall’articolo 5 della direttiva 2000/78 di adottare, ove ve ne sia
necessità, provvedimenti adeguati, riguarda tutti i datori di lavoro. Tali
provvedimenti non devono, tuttavia, imporre loro un onere sproporzionato.
62 Ne consegue che, contrariamente
agli argomenti della Repubblica italiana esposti al punto 55 della presente
sentenza, per trasporre correttamente e completamente l’articolo 5 della
direttiva 2000/78 non è sufficiente disporre misure pubbliche di incentivo e di
sostegno, ma è compito degli Stati membri imporre a tutti i datori di lavoro
l’obbligo di adottare provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle
esigenze delle situazioni concrete, a favore di tutti i disabili, che
riguardino i diversi aspetti dell’occupazione e delle condizioni di lavoro e
che consentano a tali persone di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere
una promozione o di ricevere una formazione.
63 Orbene, nel caso di specie occorre
osservare che la legge n. 104/1992 prevede che l’inserimento lavorativo e
l’integrazione sociale dei disabili siano realizzati tramite misure che
consentano di favorire il loro pieno inserimento nel mondo del lavoro, in forma
individuale o associata, nonché la tutela del loro impiego. Essa comporta
disposizioni relative all’integrazione scolastica e alla formazione
professionale e prevede in particolare aiuti a carico delle regioni. D’altra
parte, la legge n. 104/1992 attribuisce alle regioni la competenza a
regolamentare le agevolazioni ai singoli disabili per recarsi al posto di
lavoro e per l’avvio e lo svolgimento di attività lavorative autonome, nonché
gli incentivi, le agevolazioni e i contribuiti accordati ai datori di lavoro,
anche al fine di adattare il posto di lavoro. Da tale legge quadro non risulta
che essa garantisce che tutti i datori di lavoro siano tenuti ad adottare
provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni
concrete, a favore dei disabili, come esige l’articolo 5 della direttiva
2000/78.
64 Quanto alla legge n. 381/1991,
essa contiene norme relative alle cooperative sociali, i cui dipendenti, ai
sensi di tale legge, devono essere almeno per il 30% persone svantaggiate. La
suddetta legge, destinata all’inserimento lavorativo dei disabili attraverso
tali strutture, non contiene neanch’essa disposizioni che impongano a tutti i
datori di lavoro l’obbligo di adottare provvedimenti appropriati, in funzione
delle esigenze delle situazioni concrete, ai sensi dell’articolo 5 della
direttiva 2000/78.
65 Per quanto riguarda la legge
n. 68/1999, essa ha lo scopo esclusivo di favorire l’accesso all’impiego
di taluni disabili e non è volta a disciplinare quanto richiesto dall’articolo
5 della direttiva 2000/78.
66 Per quanto riguarda il decreto
legislativo n. 81/2008, occorre rilevare che esso disciplina solo un
aspetto dei provvedimenti appropriati richiesti dall’articolo 5 della direttiva
2000/78, cioè l’adeguamento delle mansioni alla disabilità dell’interessato.
67 Emerge da quanto precede che la
legislazione italiana, anche se valutata nel suo complesso, non impone all’insieme
dei datori di lavoro l’obbligo di adottare, ove ve ne sia necessità,
provvedimenti efficaci e pratici, in funzione delle esigenze delle situazioni
concrete, a favore di tutti i disabili, che riguardino i diversi aspetti
dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, al fine di consentire a tali
persone di accedere ad un lavoro, di svolgerlo, di avere una promozione o di
ricevere una formazione. Pertanto, essa non assicura una trasposizione corretta
e completa dell’articolo 5 della direttiva 2000/78.
68 Di conseguenza, occorre dichiarare
che la Repubblica italiana, non avendo imposto a tutti i datori di lavoro di
prevedere, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, soluzioni
ragionevoli applicabili a tutti i disabili, è venuta meno al suo obbligo di
recepire correttamente e completamente l’articolo 5 della direttiva 2000/78.
Sulle spese
69 A norma dell’articolo 138,
paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la parte soccombente è
condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha
fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, va condannata alle
spese.
Per questi motivi, la Corte (Quarta
Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, non
avendo imposto a tutti i datori di lavoro di prevedere, in funzione delle
esigenze delle situazioni concrete, soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i
disabili, è venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e
completamente l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre
2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia
di occupazione e di condizioni di lavoro.
2) La Repubblica italiana è
condannata alle spese.