Corte di Giustizia delle Comunità europee (Prima
Sezione), 14 gennaio 2010
C-304/08, Zentrale zur Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV
– Plus Warenhandelsgesellschaft mbH
Nel procedimento C‑304/08,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai
sensi dell’art. 234 CE, dal Bundesgerichtshof
(Germania), con decisione 5 giugno 2008, pervenuta in cancelleria il 9 luglio
2008, nella causa
Zentrale zur
Bekämpfung unlauteren Wettbewerbs eV
contro
Plus Warenhandelsgesellschaft
mbH,
composta dal sig. A. Tizzano (relatore),
presidente di sezione, facente funzione di presidente della Prima Sezione, dai
sigg. E. Levits, A. Borg Barthet, M. Ilešič e J.‑J. Kasel, giudici,
avvocato generale: sig.ra V. Trstenjak
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 giugno 2009,
considerate le osservazioni presentate:
– per
– per
– per
il governo tedesco, dal sig. M. Lumma e
dalla sig.ra J. Kemper, in qualità di
agenti;
– per
il governo belga, dal sig. T. Materne, in qualità di agente;
– per
il governo ceco, dal sig. M. Smolek, in
qualità di agente;
– per
il governo spagnolo, dal sig. F. Díez Moreno,
in qualità di agente;
– per
il governo italiano, dalla sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente,
assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato;
– per
il governo austriaco, dalla sig.ra A. Hable,
in qualità di agente;
– per
il governo polacco, dal sig. M. Dowgielewicz
nonché dalle sig.re K. Zawisza
e M. Laszuk, in qualità di agenti;
– per
il governo portoghese, dai sigg. L. Inez Fernandes e P. Mateus Calado nonché dalla sig.ra A. Barros, in qualità
di agenti;
– per
il governo finlandese, dalla sig.ra A. Guimaraes‑Purokoski,
in qualità di agente;
– per
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 3
settembre 2009,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda
l’interpretazione dell’art. 5, n. 2, della direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle pratiche
commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato
interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive
97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il
regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio
(«direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149,
pag. 22).
2 Tale
domanda è stata presentata
nell’ambito di una controversia tra
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 Il sesto, settimo e diciassettesimo ‘considerando’
della direttiva 2005/29 prevedono quanto segue:
«(6) La
presente direttiva ravvicina (…) le legislazioni degli Stati membri sulle
pratiche commerciali sleali, tra cui la pubblicità sleale, che ledono
direttamente gli interessi economici dei consumatori e, quindi, indirettamente
gli interessi economici dei concorrenti legittimi. Secondo il principio di
proporzionalità, la presente direttiva tutela i consumatori dalle conseguenze
di tali pratiche commerciali sleali allorché queste sono rilevanti, ma
riconosce che in alcuni casi l’impatto sui consumatori può essere trascurabile.
Essa non riguarda e lascia impregiudicate le legislazioni nazionali sulle
pratiche commerciali sleali che ledono unicamente gli interessi economici dei
concorrenti o che sono connesse ad un’operazione tra professionisti. Tenuto
pienamente conto del principio di sussidiarietà, gli Stati membri, ove lo
desiderino, continueranno a poter disciplinare tali pratiche, conformemente
alla normativa comunitaria. (…)
(7) La
presente direttiva riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è
quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori
relative a prodotti. Non riguarda le pratiche commerciali realizzate
principalmente per altri scopi, comprese ad esempio le comunicazioni
commerciali rivolte agli investitori, come le relazioni annuali e le
pubblicazioni promozionali delle aziende. Non riguarda i requisiti giuridici inerenti
al buon gusto e alla decenza che variano ampiamente tra gli Stati membri. Le
pratiche commerciali quali ad esempio le sollecitazioni commerciali per strada
possono essere indesiderabili negli Stati membri per motivi culturali. Gli
Stati membri dovrebbero di conseguenza poter continuare a vietare le pratiche
commerciali nei loro territori per ragioni di buon gusto e decenza
conformemente alle normative comunitarie, anche se tali pratiche non limitano
la libertà di scelta dei consumatori. In sede di applicazione della direttiva,
in particolare delle clausole generali, è opportuno tenere ampiamente conto
delle circostanze del singolo caso in questione.
(…)
(17) È
auspicabile che le pratiche commerciali che sono in ogni caso sleali siano
individuate per garantire una maggiore certezza del diritto. L’allegato I
riporta pertanto l’elenco completo di tali pratiche. Si tratta delle uniche
pratiche commerciali che si possono considerare sleali senza una valutazione
caso per caso in deroga alle disposizioni degli articoli da
4 L’art. 2 della direttiva 2005/29 prevede:
«Ai
fini della presente direttiva, si intende per:
(…)
d) “pratiche
commerciali tra imprese e consumatori” (in seguito denominate “pratiche
commerciali”): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione,
comunicazione commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in
essere da un professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o
fornitura di un prodotto ai consumatori;
(…)».
5 L’art. 3, n. 1, di tale direttiva dispone
quanto segue:
«La presente direttiva si applica alle pratiche
commerciali sleali tra imprese e consumatori, come stabilite all’articolo 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione
commerciale relativa a un prodotto».
6 Ai sensi dell’art. 4 della summenzionata
direttiva:
«Gli Stati membri non limitano la libertà di
prestazione dei servizi né la libera circolazione delle merci per ragioni
afferenti al settore armonizzato dalla presente direttiva».
7 L’art. 5 della direttiva 2005/29, intitolato
«Divieto delle pratiche commerciali sleali», è formulato nel modo seguente:
«1. Le
pratiche commerciali sleali sono vietate.
2. Una
pratica commerciale è sleale se:
a) è
contraria alle norme di diligenza professionale,
e
b) falsa
o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico, in
relazione al prodotto, del consumatore medio che raggiunge o al quale è diretta
o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un
determinato gruppo di consumatori.
3. Le
pratiche commerciali che possono falsare in misura rilevante il comportamento
economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile,
particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a
motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un
modo che il professionista può ragionevolmente prevedere sono valutate
nell’ottica del membro medio di tale gruppo. Ciò lascia impregiudicata la
pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in dichiarazioni esagerate
o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere prese alla lettera.
4. In
particolare, sono sleali le pratiche commerciali:
a) ingannevoli
di cui agli articoli 6 e 7,
o
b) aggressive
di cui agli articoli 8 e 9.
5. L’allegato
I riporta l’elenco di quelle pratiche commerciali che sono considerate in ogni
caso sleali. Detto elenco si applica in tutti gli Stati membri e può essere
modificato solo mediante revisione della presente direttiva».
8 Infine, in conformità all’art. 19 della
direttiva 2005/29:
«Gli
Stati membri adottano e pubblicano le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 12
giugno 2007. (…)
Essi applicano tali disposizioni entro il 12
dicembre 2007. (…)».
La normativa nazionale
9 La legge tedesca contro la concorrenza sleale (Gesetz gegen den unlauteren Wettbewerb, BGBl. 2004 I, pag. 1414; in prosieguo: l’«UWG»), è
rivolta, ai sensi del suo art. 1, a tutelare i concorrenti, i consumatori,
nonché gli altri operatori del mercato dalla concorrenza sleale. Essa tutela al
tempo stesso l’interesse collettivo a una concorrenza non falsata.
10 L’art. 3 dell’UWG è formulato nel modo
seguente:
«Sono illecite le pratiche concorrenziali sleali che
risultino idonee ad alterare in misura non meramente irrilevante la concorrenza
a danno dei concorrenti, dei consumatori o degli altri operatori del mercato».
11 L’art. 4 dell’UWG dispone:
«In
particolare, agisce slealmente ai sensi dell’art. 3 colui che:
(…)
6. subordina
la partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco a premi all’acquisto
di una merce o di un servizio, a meno che il concorso o il gioco a premi siano
per natura collegati alla merce o al servizio;
(…)».
Causa principale e questione pregiudiziale
12 Risulta dalla decisione di rinvio che dal 16
settembre al 13 novembre 2004
13 Ritenendo tale pratica sleale ai sensi del combinato
disposto degli artt. 3 e 4, n. 6, dell’UWG, in quanto subordinava la
partecipazione dei consumatori ad un gioco a premi all’acquisto di merci,
14 Dopo essere stata condannta
in primo e in secondo grado,
15 Nella sua decisione di rinvio, tale giudice si
interroga circa la compatibilità di dette disposizioni nazionali con la
direttiva 2005/29, dal momento che esse prevedono un divieto generale dei
concorsi e dei giochi a premi con obbligo di acquisto. Orbene, una pratica
siffatta non è compresa tra quelle elencate all’allegato I di tale direttiva,
che sono le uniche ad essere vietate in qualsiasi caso a prescindere da un
pericolo concreto per gli interessi dei consumatori. Inoltre, secondo il
giudice del rinvio non è escluso che in tal modo l’UWG riconosca ai consumatori
una tutela più estesa di quella voluta dal legislatore
comunitario, nonostante la direttiva in parola abbia realizzato
un’armonizzazione completa della materia.
16 Il Bundesgerichtshof formula
altresì nella sua decisione di rinvio talune osservazioni in merito alla
ricevibilità del suo rinvio pregiudiziale.
17 A tale riguardo, detto giudice precisa che,
nonostante la direttiva 2005/29 non sia stata ancora trasposta in diritto tedesco
e sebbene in tal sede non sia prevista alcuna modifica o abrogazione delle
disposizioni dell’UWG di cui trattasi nella causa principale, egli è
cionondimeno tenuto, in forza della giurisprudenza risultante dalla sentenza 4
luglio 2006, Adelener e a. (causa C‑212/04,
Racc. pag. 6057), ad interpretare il diritto interno conformemente
alla direttiva 2005/29 a partire dal 12 dicembre 2007, cioè dalla data ultima
entro la quale, in base all’art. 19 di tale direttiva, doveva essere
assicurata l’applicazione delle disposizioni nazionali di trasposizione.
18 Inoltre, se è indubbiamente vero che la pubblicità
censurata risulta addirittura essere anteriore all’entrata in vigore della
direttiva 2005/29, cioè il 12 giugno 2005, il giudice del rinvio spiega che in
considerazione del fatto che l’inibitoria presentata dalla Wettbewerbszentrale
riguarda infrazioni future, il ricorso in «Revision»
potrà essere accolto esclusivamente nel caso in cui l’inibitoria possa essere
parimenti richiesta sulla base del diritto vigente alla data di pronuncia della
sua decisione.
19 Alla luce di quanto sopra considerato, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il procedimento e
di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’art. 5, n. 2, della direttiva
2005/29 (…) possa essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa
nazionale in forza della quale una pratica commerciale, con la quale si
subordina la partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco promozionale
all’acquisto di una merce o di un servizio, è in via di principio
illecita a prescindere dal fatto che tale operazione pubblicitaria leda
concretamente gli interessi dei consumatori».
Sulla questione
pregiudiziale
20 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede,
in sostanza, se la direttiva 2005/29 debba essere interpretata nel senso che
essa osta ad una normativa nazionale, come l’UWG, che preveda un divieto di
principio, senza tener conto delle circostanze specifiche di ogni singolo caso,
delle pratiche commerciali che subordinano la partecipazione dei consumatori ad
un concorso o ad un gioco a premi all’acquisto di una merce o di un servizio.
Sulla ricevibilità
21 Il governo spagnolo eccepisce l’irricevibilità
della domanda di pronuncia pregiudiziale in quanto la direttiva 2005/29 non è
applicabile ad una situazione come quella di cui alla causa principale.
22 Secondo tale governo, poiché la controversia vede opposte
due società di diritto tedesco, la situazione di cui alla causa principale è
caratterizzata dal fatto che tutti gli elementi si collocano all’interno di un
solo Stato membro per cui le disposizioni della direttiva 2005/29 non sono
applicabili alla controversia di cui alla causa principale (v. sentenza 21
ottobre 1999, causa C‑97/98, Jägerskiöld,
Racc. pag. I‑7319, pag. 45). In via subordinata, il
governo spagnolo afferma, in sostanza, che la direttiva 2005/29 non è
applicabile alla causa principale poiché i fatti che l’hanno fatta sorgere si
sono verificati non solo prima della scadenza del termine per la trasposizione
della direttiva in parola, ma addirittura prima della sua adozione. Di
conseguenza,
23 Tali argomenti, tuttavia, non possono essere
accolti.
24 Al riguardo, occorre innanzitutto ricordare che, secondo
costante giurisprudenza, nell’ambito della cooperazione tra
25 Ne consegue che la presunzione di rilevanza inerente
alle questioni proposte in via pregiudiziale dai giudici nazionali può essere
esclusa solo in casi eccezionali e, segnatamente, qualora risulti
manifestamente che la sollecitata interpretazione delle disposizioni del
diritto comunitario considerate in tali questioni non abbia alcun rapporto con
la realtà o con l’oggetto della causa principale (v., segnatamente, sentenze 15
dicembre 1995, causa C‑415/93, Bosman,
Racc. pag. I‑4921, punto 61, nonché 1° aprile 2008, causa C‑212/06,
Governo della Comunità francese e Governo vallone, Racc. pag. I‑1683,
punto 29).
26 Orbene, ciò non sembra avvenire nel caso di specie.
27 Anzitutto, per quanto riguarda il riferimento da
parte del governo spagnolo alla citata sentenza Jägerskiöld,
per far valere l’assenza di dimensione comunitaria della controversia
all’origine della presente domanda di pronuncia pregiudiziale, è sufficiente
constatare che quella sentenza riguardava l’interpretazione delle disposizioni
del Trattato CE relative alla libera prestazione di servizi che, come rammentato
dalla Corte al punto 42 della stessa sentenza, non sono applicabili ad attività
i cui elementi si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro.
28 Per contro, nella causa principale, contrariamente
alle disposizioni del Trattato di cui si trattava nella causa all’origine della
citata sentenza Jägerskiöld, l’applicazione della
direttiva 2005/29 non è subordinata alla presenza di un elemento di estraneità.
Infatti, in forza dell’art. 3, n. 1, di tale direttiva essa si
applica a qualsiasi pratica commerciale sleale attuata da un’impresa nei
confronti dei consumatori.
29 Per quanto riguarda poi l’argomento secondo cui la
direttiva 2005/29 non si applicherebbe alla controversia principale in quanto i
fatti che l’hanno originata si sono verificati prima dell’adozione di tale
direttiva, occorre rilevare, da un canto, che, secondo la giurisprudenza della
Corte, dalla data in cui una direttiva è entrata in vigore i giudici degli
Stati membri devono astenersi per quanto possibile dall’interpretare il diritto
interno in un modo che rischierebbe di compromettere gravemente, dopo la
scadenza del termine di attuazione, la realizzazione del risultato perseguito
da questa direttiva (v., in particolare, sentenza 23 aprile 2009, cause riunite
C‑261/07 e C‑299/07, VTB-VAB e Galatea, non ancora pubblicata nella
Raccolta, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).
30 Nella fattispecie, un siffatto obbligo di astensione
era applicabile, per lo meno, al momento dell’adozione della decisione di
rinvio, ossia il 5 giugno 2008, data alla quale non solo la direttiva 2005/29
era entrata in vigore, ma alla quale, per giunta, era scaduto il termine di
trasposizione di essa, fissato al 12 dicembre 2007.
31 D’altro canto, e in ogni caso, risulta espressamente
dalla decisione di rinvio che, poiché l’azione inibitoria riguarda anche
infrazioni future, l’esito del ricorso in «Revision»
proposto dalla Plus dipende dall’accertamento del fatto che l’azione inibitoria
in esame possa essere accolta sulla base del diritto applicabile al momento in
cui, con la pronuncia della presente sentenza, interverrà la decisione che
statuisce sulla controversia principale.
32 Pertanto, come rilevato dall’avvocato generale ai
paragrafi 49‑57 delle sue conclusioni, l’interpretazione della direttiva
2005/29 richiesta dal giudice del rinvio va ritenuta utile al medesimo al fine
di consentirgli di pronunciarsi nella controversia di cui è adito.
33 Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo cui
le pratiche di promozione delle vendite di cui alla causa principale non
sarebbero contemplate dalla direttiva 2005/29 in quanto esse sono state oggetto
di una proposta di regolamento della Commissione, è sufficiente rilevare che
tale circostanza non può, da sola, escludere – in particolare tenuto conto del
fatto che tale proposta è stata ritirata nel 2006 e non ha quindi portato
all’adozione di un regolamento – che tali pratiche possano costituire, allo
stato attuale del diritto comunitario, pratiche commerciali sleali ai sensi di
tale direttiva e rientrare nel campo di applicazione della medesima.
34 Ciò premesso, la domanda di pronuncia pregiudiziale
deve essere ritenuta ricevibile.
Nel merito
35 Per risolvere la questione proposta, occorre
anzitutto stabilire se le pratiche oggetto del divieto di cui alla causa
principale, che collegano l’acquisto di merci o di servizi alla partecipazione
dei consumatori ad un gioco o a un concorso, costituiscano pratiche commerciali
ai sensi dell’art. 2, lett. d), della direttiva 2005/29 e siano, di
conseguenza, assoggettate alle previsioni di quest’ultima.
36 A tale proposito, è opportuno rilevare che
l’art. 2, lett. d), della direttiva 2005/29 definisce, utilizzando
una formulazione particolarmente ampia, la nozione di pratica commerciale come
«qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione
commerciale ivi compresi la pubblicità e il marketing, posta in essere da un
professionista, direttamente connessa alla promozione, vendita o fornitura di
un prodotto ai consumatori».
37 Orbene, occorre constatare che campagne
promozionali, come quelle in esame nella causa principale, che subordinano la
partecipazione gratuita del consumatore ad una lotteria all’acquisto di una
determinata quantità di merci o servizi, si iscrivono chiaramente nel contesto
della strategia commerciale di un operatore e sono rivolte direttamente alla
promozione e allo smercio delle sue vendite. Ne deriva che esse costituiscono pratiche commerciali ai sensi dell’art. 2,
lett. d), della direttiva 2005/29 e ricadono, conseguentemente, nella sua
sfera di applicazione (v., per analogia, in materia di offerte congiunte,
sentenza VTB-VAB e Galatea, cit., punto 50).
38 Tale
conclusione non può essere
rimessa in discussione tramite l’argomentazione esposta dal governo ceco e
austriaco, secondo cui le disposizioni dell’UWG di cui trattasi nella causa
principale, contrariamente a quelle della direttiva 2005/29, sarebbero
principalmente dirette non alla tutela dei consumatori, ma a quella dei concorrenti
contro pratiche commerciali sleali attuate da taluni operatori, cosicché tali
disposizioni non ricadrebbero nell’ambito di applicazione della direttiva.
39 Infatti, come è stato sottolineato al punto 36 della
presente sentenza, la direttiva 2005/29 è caratterizzata da un ambito di
applicazione per materia particolarmente ampio che si estende a qualsiasi
pratica commerciale in collegamento diretto con la promozione, la vendita o la
fornitura di un prodotto ai consumatori. In tal modo, come risulta dal sesto
‘considerando’ di tale direttiva, sono escluse da detto ambito di applicazione
soltanto le normative nazionali relative alle pratiche commerciali sleali che
ledono «unicamente» gli interessi economici dei concorrenti o che sono connesse
ad un’operazione tra professionisti.
40 Orbene, come ha rilevato l’avvocato generale ai
paragrafi 65 e 66 delle sue conclusioni, ciò evidentemente non accade nel caso
delle disposizioni nazionali in esame nella causa principale, poiché gli
artt. 1, 3 e 4 dell’UWG sono espressamente diretti alla tutela dei
consumatori e non esclusivamente a quella dei concorrenti e degli altri attori
sul mercato.
41 Ciò detto, occorre rammentare poi che la direttiva
2005/29 realizza un’armonizzazione completa a livello comunitario delle norme
relative alla pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei
consumatori. Pertanto, come prevede espressamento
l’art. 4 della medesima, gli Stati membri non possono adottare misure più
restrittive di quelle definite dalla direttiva in parola, neppure al fine di
assicurare un livello superiore di tutela dei consumatori (sentenza VTB-VAB e
Galatea, cit., punto 52).
42 Si deve poi rilevare che l’art. 5 della
direttiva 2005/29 prevede il divieto delle pratiche commerciali sleali e indica
i criteri che consentono di determinare un siffatto carattere di slealtà.
43 Così, conformemente al n. 2 di tale
disposizione, una pratica commerciale è sleale se è contraria alle norme di
diligenza professionale e falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il
comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio.
44 Quanto al n. 4 di detto articolo esso definisce
due categorie precise di pratiche commerciali sleali, e cioè le «pratiche
ingannevoli» e le «pratiche aggressive» che soddisfano i criteri specificati,
rispettivamente, dagli artt. 6 e 7 nonché 8 e 9 della direttiva 2005/29.
In forza di tali disposizioni, siffatte pratiche sono vietate in particolare
quando, tenuto conto delle caratteristiche e circostanze del caso, inducano o
siano idonee ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di
natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
45 Infine, la direttiva 2005/29 prevede anche, al suo
allegato I, un elenco esaustivo di 31 pratiche commerciali che, conformemente
all’art. 5, n. 5, di tale direttiva, sono considerate sleali «in ogni
caso». Di conseguenza, come espressamente precisato dal diciassettesimo
‘considerando’ della direttiva, si tratta delle uniche pratiche commerciali che
si possono considerare sleali senza una valutazione caso per caso ai sensi
delle disposizioni degli articoli 5‑9 della direttiva 2005/29.
46 Pertanto, è alla luce del contenuto e dell’economia
generale delle disposizioni della direttiva 2005/29 – ricordate ai punti che
precedono – che vanno esaminate le questioni sollevate dal giudice del rinvio.
47 Al riguardo è giocoforza rilevare che,
nell’introdurre un divieto assoluto delle pratiche che subordinano la
partecipazione dei consumatori ad un gioco o ad un concorso all’acquisto di
merci o di servizi, un normativa nazionale come quella oggetto della causa
principale non soddisfa i requisiti posti dalla direttiva 2005/29.
48 Infatti, da un lato, l’art. 4, n. 6,
dell’UWG vieta qualsiasi operazione commerciale che colleghi l’acquisto di
merci o servizi alla partecipazione dei consumatori ad un concorso o ad un
gioco a premi, con la sola eccezione di quelle riguardanti un gioco o un
concorso per natura collegati alla merce o al servizio di cui trattasi. In
altri termini, detto tipo di pratica è vietato in generale, senza che sia
necessario accertare, con riferimento al contesto di fatto di ogni fattispecie,
se l’operazione commerciale di cui trattasi presenti un carattere «sleale» alla
luce dei criteri enunciati agli artt. 5‑9 della direttiva 2005/29.
49 Orbene, è pacifico che siffatte pratiche, che
collegano l’acquisto di merci o servizi alla partecipazione dei consumatori ad
un gioco o ad un concorso, non sono contemplate dall’allegato I di tale
direttiva che, come ricordato al punto 45 della presente sentenza, elenca
tassativamente le sole pratiche che possono essere vietate senza essere
esaminate caso per caso.
50 D’altra parte una normativa del tipo di quella
oggetto della causa principale si pone in contrasto con il contenuto
dell’art. 4 della direttiva 2005/29 che vieta espressamente agli Stati
membri di mantenere o di adottare misure nazionali più restrittive, anche se tali
misure sono volte a garantire un livello più elevato di tutela dei consumatori.
51 Pertanto, occorre constatare che la direttiva
2005/29 osta ad un divieto di offerte commerciali che collegano l’acquisto di
merci o servizi alla partecipazione dei consumatori ad un concorso o ad un
gioco, come qella prevista dalla normativa nazionale
in esame nella causa principale.
52 Tale
conclusione non può essere
rimessa in discussione dalla circostanza che l’art. 4, n. 6, dell’UWG
preveda un’eccezione a favore delle prassi riguardanti un gioco o un concorso
per natura collegati alla merce o al servizio di cui trattasi.
53 Infatti, anche se tali eccezioni possono limitare la
portata del divieto previsto da tale disposizione, cionondimeno esse non
possono, in ragione della loro natura limitata e predefinita, sostituirsi
all’analisi, che deve essere necessariamente effettuata in considerazione del
contesto di fatto di ogni caso di specie, del carattere «sleale» di una pratica
commerciale alla luce dei criteri previsti dagli artt. 5‑9 della
direttiva 2005/29, qualora si tratti, come nella causa principale, di una
pratica non prevista dal suo allegato I (v. sentenza VTB-VAB e Galatea, cit.,
punti 64 e 65).
54 Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre
risolvere la questione posta dichiarando che la direttiva 2005/29 deve essere
interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, come quella di
cui alla causa principale, che prevede un divieto in via di principio, a
prescindere dalle circostanze della singola fattispecie, delle pratiche
commerciali che subordinano la partecipazione dei consumatori ad un concorso o
gioco a premi all’acquisto di una merce o di un servizio.
Sulle spese
55 Nei confronti delle parti nella causa principale il
presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi,
La direttiva del
Parlamento europeo e del Consiglio 11 maggio 2005, 2005/29/CE, relativa alle
pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel
mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le
direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio
(«direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), deve essere interpretata nel
senso che essa osta ad una normativa nazionale, come quella di cui alla causa
principale, che prevede un divieto in via di principio, a prescindere dalle
circostanze della singola fattispecie, delle pratiche commerciali che
subordinano la partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco a premi
all’acquisto di una merce o di un servizio.
(Seguono le firme)