Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande
Sezione), 17 luglio 2008
C-303/06, S. Coleman – Attridge Law, Steve Law
Nel procedimento C‑303/06,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai
sensi dell’art. 234 CE, dall’Employment
Tribunal, London South (Regno Unito) con decisione 6 luglio 2006, pervenuta in
cancelleria il 10 luglio 2006, nella causa
S. Coleman
contro
Attridge Law,
Steve Law,
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai
sigg. P. Jann, C. W. A. Timmermans, A. Rosas,
K. Lenaerts e A. Tizzano,
presidenti di sezione, dai sigg. M. Ilešič,
J. Klučka, A. Ó Caoimh (relatore), T. von Danwitz
e A. Arabadjiev, giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore
principale
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 9 ottobre 2007,
considerate le osservazioni presentate:
– per
la sig.ra Coleman, dai sigg. R. Allen, QC, e P. Michell, barrister;
– per
il governo del Regno Unito, dalla sig.ra V. Jackson, in qualità di
agente, assistita dal sig. N. Paines, QC;
– per
il governo greco, dal sig. K. Georgiadis e
dalla sig.ra Z. Chatzipavlou, in qualità di
agenti;
– per
l’Irlanda, dal sig. N. Travers, BL;
– per
il governo italiano, dal sig. I. M. Braguglia,
in qualità di agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato
dello Stato;
– per
il governo lituano, dal sig. D. Kriaučiūnas,
in qualità di agente;
– per
il governo dei Paesi Bassi, dalle sig.re H. G. Sevenster e C. ten Dam, in qualità di agenti;
– per
il governo svedese, dalla sig.ra A. Falk, in qualità di agente;
– per
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 31
gennaio 2008,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte
sull’interpretazione della direttiva del Consiglio 27 novembre 2000,
2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in
materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303,
pag. 16).
2 Tale
domanda è stata presentata
nell’ambito di una controversia tra la sig.ra Coleman, ricorrente nella
causa principale, da un lato, e lo studio legale Attridge
Law, nonché un socio di questo studio, il sig. Law, dall’altro (in prosieguo, congiuntamente: l’«ex datore
di lavoro»), controversia vertente sul licenziamento implicito di cui essa
afferma essere stata vittima.
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 La direttiva 2000/78 è stata adottata sul fondamento
dell’art. 13 CE. I suoi ‘considerando’ sesto, undicesimo, sedicesimo,
diciassettesimo, ventesimo, ventisettesimo, trentunesimo, nonché
trentasettesimo sono così formulati:
«(6) La
carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori riconosce
l’importanza di combattere qualsiasi forma di discriminazione, compresa la
necessità di intraprendere azioni appropriate per l’integrazione sociale ed
economica degli anziani e dei disabili.
(…)
(11) La
discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o
tendenze sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del
trattato CE, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di
occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della
qualità della vita, la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera
circolazione delle persone.
(…)
(16) La
messa a punto di misure per tener conto dei bisogni dei disabili sul luogo di
lavoro ha un ruolo importante nel combattere la discriminazione basata
sull’handicap.
(17) La
presente direttiva non prescrive l’assunzione, la promozione o il mantenimento
dell’occupazione né prevede la formazione di un individuo non competente, non
capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in
questione, fermo restando l’obbligo di prevedere una soluzione appropriata per
i disabili.
(…)
(20) È
opportuno prevedere misure appropriate, ossia misure efficaci e pratiche
destinate a sistemare il luogo di lavoro in funzione dell’handicap, ad esempio
sistemando i locali o adattando le attrezzature, i ritmi di lavoro, la
ripartizione dei compiti o fornendo mezzi di formazione o di inquadramento.
(…)
(27) Nella
sua raccomandazione 86/379/CEE del 24 luglio 1986 concernente l’occupazione dei
disabili nella Comunità [GU L 225, pag. 43], il Consiglio ha
definito un quadro orientativo in cui si elencano alcuni esempi di azioni
positive intese a promuovere l’occupazione e la formazione di portatori di
handicap, e nella sua risoluzione del 17 giugno 1999 relativa alle pari
opportunità di lavoro per i disabili [GU C 186, pag. 3], ha
affermato l’importanza di prestare un’attenzione particolare segnatamente
all’assunzione e alla permanenza sul posto di lavoro (…) e alla formazione e
all’apprendimento permanente dei disabili.
(…)
(31) Le
norme in materia di onere della prova devono essere adattate quando vi sia una
presunzione di discriminazione e, nel caso in cui tale situazione si verifichi,
l’effettiva applicazione del principio della parità di trattamento richiede che
l’onere della prova sia posto a carico del convenuto. Non incombe tuttavia al
convenuto provare la religione di appartenenza, le convinzioni personali, la
presenza di un handicap, l’età o l’orientamento sessuale dell’attore.
(…)
(37) In
base al principio di sussidiarietà enunciato all’articolo 5 del
trattato CE l’obiettivo della presente direttiva, in particolare la
realizzazione di una base omogenea all’interno della Comunità per quanto
riguarda la parità in materia di occupazione e condizioni di lavoro, non può
essere realizzato in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a
causa delle dimensioni e dell’impatto dell’azione proposta, essere realizzato
meglio a livello comunitario. Conformemente al principio di proporzionalità
enunciato a tale articolo, la presente direttiva si limita a quanto è
necessario per conseguire tale scopo».
4 Ai sensi del suo art. 1, la direttiva 2000/78
«mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate
sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze
sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine
di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di
trattamento».
5 Detta
direttiva prevede, al suo
art. 2, nn. 1‑3, rubricato «Nozione
di discriminazione», quanto segue:
«1. Ai
fini della presente direttiva, per “principio della parità di trattamento” si
intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su
uno dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Ai
fini del paragrafo 1:
a) sussiste
discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui
all’articolo 1, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia
stata o sarebbe trattata un’altra in una situazione analoga;
b) sussiste
discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi
apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare
svantaggio le persone che professano una determinata religione o ideologia di
altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le persone di
una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre
persone, a meno che:
i) tale
disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da
una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano
appropriati e necessari; o che
ii) nel caso di persone
portatrici di un particolare handicap, il datore di lavoro o qualsiasi persona
o organizzazione a cui si applica la presente direttiva sia obbligato dalla
legislazione nazionale ad adottare misure adeguate, conformemente ai principi di
cui all’articolo 5, per ovviare agli svantaggi provocati da tale disposizione,
tale criterio o tale prassi.
3. Le
molestie sono da considerarsi, ai sensi del paragrafo 1, una discriminazione in
caso di comportamento indesiderato adottato per uno dei motivi di cui
all’articolo 1 avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona
e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo.
In questo contesto, il concetto di molestia può essere definito conformemente
alle leggi e prassi nazionali degli Stati membri.
(…)».
6 Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della
direttiva 2000/78:
«Nei
limiti dei poteri conferiti alla Comunità, la presente direttiva si applica a
tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi
gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene:
(…)
c) all’occupazione
e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la
retribuzione;
(…)».
7 Detta
direttiva prevede
all’art. 5, rubricato «Soluzioni ragionevoli per i disabili», quanto
segue:
«Per
garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili,
sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro
prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni
concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o
di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che
tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere
finanziario sproporzionato. (...)».
8 L’art. 7 della stessa direttiva, rubricato
«Azione positiva e misure specifiche», è formulato come segue:
«1. Allo
scopo di assicurare completa parità nella vita professionale, il principio della
parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure
specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque
dei motivi di cui all’articolo 1.
2. Quanto
ai disabili, il principio della parità di trattamento non pregiudica il diritto
degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni in materia di tutela
della salute e sicurezza sul posto di lavoro né [osta] alle misure intese a
creare o mantenere disposizioni o strumenti al fine di salvaguardare o
promuovere il loro inserimento nel mondo del lavoro».
9 L’art. 10 della direttiva 2000/78, rubricato
«Onere della prova», così dispone:
«1. Gli
Stati membri prendono le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi
giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono
lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di
trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente,
fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o
indiretta, incomba alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione
del principio della parità di trattamento.
2. Il
paragrafo 1 si applica fatto salvo il diritto degli Stati membri di prevedere
disposizioni in materia di prova più favorevoli alle parti attrici».
10 Ai sensi dell’art. 18, primo comma, della
direttiva 2000/78, gli Stati membri dovevano adottare le disposizioni
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a
quest’ultima entro il 2 dicembre 2003. Tuttavia, ai sensi del secondo comma di
detto articolo:
«Per
tener conto di condizioni particolari gli Stati membri possono disporre se
necessario di tre anni supplementari, a partire dal 2 dicembre 2003 ovvero complessivamente
di sei anni al massimo, per attuare le disposizioni relative alle
discriminazioni basate sull’età o sull’handicap. In tal caso essi informano
immediatamente
11 Poiché il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del
Nord ha chiesto di beneficiare di un siffatto termine supplementare per
l’attuazione di detta direttiva, questo termine, per quanto riguarda tale Stato
membro, è scaduto soltanto il 2 dicembre 2006.
La normativa nazionale
12 La legge del 1995 relativa alla discriminazione
fondata sulla disabilità (Disability Discrimination Act 1995) (in
prosieguo: il «DDA») mira essenzialmente a rendere illegale l’esercizio di
qualsiasi forma di discriminazione, segnatamente in materia di occupazione, nei
confronti dei disabili.
13 La seconda parte del DDA, che disciplina le
questioni relative all’occupazione, è stata modificata in occasione
dell’attuazione della direttiva 2000/78 nell’ordinamento giuridico del Regno
Unito con il regolamento del 2003, recante modifica della legge del 1995
relativa alla discriminazione fondata sulla disabilità [Disability
Discrimination Act 1995 (Amendment) Regulations 2003],
entrato in vigore il 1° ottobre 2004.
14 Ai sensi dell’art. 3 A, n. 1, del
DDA, quale modificato dal detto regolamento del 2003 (in prosieguo: il «DDA
2003»):
«(…) una persona esercita
una discriminazione nei confronti di un disabile qualora essa:
a) per
un motivo connesso alla disabilità di cui una persona soffre, riservi a
quest’ultima un trattamento meno favorevole rispetto a quello che applica o
applicherebbe ad altre persone per le quali tale motivo non ricorre o non
ricorrerebbe e
b) non
può dimostrare che tale trattamento sia giustificato».
15 L’art. 3 A, n. 4, del DDA 2003
precisa tuttavia che il trattamento riservato a una persona disabile non può in
alcun caso essere giustificato se esso integra una discriminazione diretta ai
sensi del n. 5 dello stesso articolo, disposizione secondo la quale:
«Una persona esercita una discriminazione diretta
nei confronti di una persona disabile se, a causa della disabilità di cui
quest’ultima soffre, le riserva un trattamento meno favorevole rispetto a
quello che essa applica o applicherebbe a una persona che non presenti tale
particolare disabilità e le cui caratteristiche rilevanti, comprese le
capacità, siano le stesse della persona disabile o non ne differiscono
sensibilmente».
16 La nozione di molestie è definita
all’art. 3 B del DDA 2003 come segue:
«1) (...)
una persona esercita molestie nei confronti di una persona disabile se, per un
motivo connesso alla disabilità di cui quest’ultima soffre, adotta un
comportamento indesiderabile avente lo scopo o l’effetto:
a) di
ledere la dignità della persona disabile, o
b) di
creare per la stessa un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o
offensivo.
2) Si
presume che un comportamento abbia l’effetto indicato al n. 1,
lett. a) o b), se, considerate tutte le circostanze, in particolare ciò
che è percepito dalla persona disabile, debba ragionevolmente ritenersi che
abbia tale effetto».
17 Ai sensi dell’art. 4, n. 2, lett. d),
del DDA 2003, è vietato al datore di lavoro esercitare una discriminazione
verso una persona disabile sua dipendente licenziandola
o facendole subire un qualsiasi altro pregiudizio.
18 L’art. 4, n. 3, lett. a) e b), del
DDA 2003 fa altresì divieto al datore di lavoro, che agisce in tale qualità, di
molestare una persona disabile sua dipendente o che si sia a lui rivolta per un
impiego.
Causa principale e questioni pregiudiziali
19 La sig.ra Coleman ha lavorato per il suo ex
datore di lavoro dal gennaio 2001 come segretaria in uno studio legale.
20 Nel 2002 ella ha avuto un figlio, affetto da crisi
di apnea e da laringomalacia e broncomalacia
congenite. Le condizioni di suo figlio esigono cure specializzate e
particolari. La ricorrente fornisce al figlio la parte essenziale delle cure di
cui quest’ultimo ha bisogno.
21 Il 4 marzo 2005 la sig.ra Coleman ha accettato
di rassegnare le proprie dimissioni («voluntary redundancy»), con conseguente risoluzione del contratto con
il suo ex datore di lavoro.
22 Il 30 agosto 2005 ella proponeva dinanzi all’Employment Tribunal, London South, un ricorso nel quale
sosteneva di essere stata vittima di un implicito licenziamento forzato («constructive unfair dismissal») e di un trattamento meno favorevole rispetto a
quello riservato agli altri lavoratori, per il fatto di avere un figlio
disabile principalmente a suo carico. Ella sostiene che tale trattamento l’ha
costretta a smettere di lavorare per il suo ex datore di lavoro.
23 Risulta dalla decisione di rinvio che le circostanze
pertinenti della causa principale non sono state ancora interamente accertate,
in quanto le questioni pregiudiziali sono state sollevate soltanto in via
preliminare. Il giudice del rinvio ha infatti sospeso
il procedimento relativamente alla parte del ricorso riguardante il
licenziamento della sig.ra Coleman, ma, il 17 febbraio
24 La questione preliminare sollevata dinanzi a detto
giudice è se la ricorrente nella causa principale possa basarsi sulle
disposizioni del diritto nazionale, in particolare su quelle dirette
all’attuazione della direttiva 2000/78, per imputare al suo ex datore di lavoro
la discriminazione che sostiene di aver subito, nel senso che essa sarebbe
stata vittima di un trattamento sfavorevole causato dalla disabilità di cui
soffre il figlio.
25 Come emerge dalla decisione di rinvio, qualora
l’interpretazione della direttiva 2000/78 fornita dalla Corte dovesse rivelarsi
contraria a quella auspicata dalla sig.ra Coleman, il diritto nazionale
osterebbe all’accoglimento della domanda presentata da quest’ultima dinanzi al
giudice del rinvio.
26 Risulta altresì dalla decisione di rinvio che, in
base alla normativa del Regno Unito, nell’ambito di un’udienza preliminare
riguardante una questione di diritto il giudice adito presume che i fatti si
siano svolti nel modo riferito dal ricorrente. Nel contesto della causa
principale, si presume che i fatti da cui ha avuto origine la controversia
siano i seguenti:
– quando
la sig.ra Coleman è tornata dal suo congedo di maternità, l’ex datore di
lavoro di quest’ultima ha rifiutato di reintegrarla nel posto di lavoro da essa
fino ad allora occupato, quando i genitori di bambini non disabili sarebbero
stati autorizzati a riprendere le loro mansioni precedenti;
– egli
ha altresì rifiutato di concederle la stessa flessibilità nell’orario e le
stesse condizioni di lavoro accordate ai suoi colleghi, genitori di bambini non
disabili;
– la
sig.ra Coleman è stata tacciata di «pigrizia» quando ha chiesto di
usufruire di permessi per prendersi cura di suo figlio, mentre una siffatta
agevolazione è stata concessa ai genitori di bambini non disabili;
– il
reclamo ufficiale da essa presentato contro il trattamento sfavorevole subito
non è stato considerato nella maniera dovuta, ed essa si è sentita costretta a
ritirarlo;
– sono
stati espressi commenti sconvenienti e ingiuriosi sia nei confronti della
stessa sia nei confronti di suo figlio. Nessun commento del genere è stato
espresso quando altri dipendenti hanno dovuto chiedere permessi o una certa
flessibilità per potersi occupare dei figli non disabili, e
– quando
talvolta è arrivata in ritardo in ufficio a causa di problemi relativi alle
condizioni di suo figlio, le è stato detto che sarebbe stata licenziata se
fosse di nuovo arrivata in ritardo. Nessuna minaccia simile è stata proferita
nei confronti di altri dipendenti con figli non disabili arrivati in ritardo
per le stesse ragioni.
27 Ritenendo che la controversia della quale è stato
investito sollevi questioni di interpretazione del diritto comunitario, l’Employment Tribunal, London South, ha deciso di sospendere
il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se,
nell’ambito del divieto di discriminazione fondata sulla disabilità, la
direttiva [2000/78] tuteli contro la discriminazione diretta e contro le
molestie soltanto persone esse stesse disabili.
2) In
caso di risposta negativa alla prima questione, se la direttiva [2000/78]
tuteli i lavoratori che, pur non essendo essi stessi disabili, vengono trattati
in modo meno favorevole o subiscono molestie a causa del loro stretto rapporto
con una persona disabile.
3) Qualora
un datore di lavoro tratti un lavoratore in modo meno favorevole rispetto al
modo in cui tratta o tratterebbe altri lavoratori, e qualora sia accertato che
il motivo di tale trattamento è costituito dal fatto che il lavoratore ha un
figlio disabile del quale si prende cura, se tale trattamento integri una
discriminazione diretta, in violazione del principio della parità di
trattamento stabilito dalla direttiva [2000/78];
4) Qualora
un datore di lavoro molesti un lavoratore e qualora sia accertato che il motivo
di tale trattamento è costituito dal fatto che il lavoratore ha un figlio
disabile del quale si prende cura, se tali molestie integrino una violazione
del principio della parità di trattamento stabilito dalla direttiva [2000/78]».
Sulla ricevibilità
28 Pur considerando che le questioni proposte dal
giudice del rinvio sorgano da una reale controversia, il governo olandese ha
contestato la ricevibilità del rinvio pregiudiziale per il fatto che, trattandosi
di questioni preliminari sollevate nell’ambito di un’udienza preliminare, non
sono state ancora accertate tutte le circostanze di fatto relative alla causa.
Esso osserva che, nel corso di una siffatta udienza preliminare, il giudice
nazionale presume che i fatti si siano svolti nel modo riferito dal ricorrente.
29 Al riguardo si deve ricordare che
l’art. 234 CE istituisce un ambito di stretta collaborazione, basata
sulla ripartizione dei compiti, tra i giudici nazionali e
30 Nella causa principale si deve osservare che il
giudice del rinvio ha constatato che, se
31 Dal momento che
32 Pertanto, la domanda di pronuncia pregiudiziale deve
essere considerata ricevibile.
Sulle questioni
pregiudiziali
Sulla prima parte della prima questione,
nonché sulle questioni seconda e terza
33 Con tali questioni, che è opportuno esaminare
congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se la direttiva
2000/78 e, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1
e 2, lett. a), debbano essere interpretati nel senso che essi vietano una
discriminazione diretta fondata sulla disabilità soltanto nei confronti di un
lavoratore che sia esso stesso disabile o se il principio della parità di
trattamento e il divieto di discriminazione diretta si applichino altresì a un
lavoratore che non sia esso stesso disabile, ma che sia, come nella causa
principale, vittima di un trattamento sfavorevole a causa della disabilità del
figlio, cui egli stesso presta la parte essenziale delle cure che le sue
condizioni richiedono.
34 L’art. 1 della direttiva 2000/78 specifica lo
scopo di quest’ultima, indicando che essa mira a stabilire un quadro generale
per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni
personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
35 L’art. 2, n. 1, della stessa direttiva
definisce il principio della parità di trattamento come l’assenza di qualsiasi
discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui
all’articolo 1, compresa pertanto la disabilità.
36 Ai sensi del n. 2, lett. a), di detto
art. 2, sussiste discriminazione diretta quando una persona è trattata
meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in una
situazione analoga, in base, in particolare, alla disabilità.
37 Ai sensi del suo art. 3, n. 1,
lett. c), la direttiva 2000/78 si applica, nei limiti dei poteri conferiti
alla Comunità, a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore
privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene
all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di
licenziamento e la retribuzione.
38 Pertanto, da queste disposizioni della direttiva
2000/78 non risulta che il principio della parità di trattamento che essa mira
a garantire sia limitato alle persone esse stesse disabili ai sensi di tale
direttiva. Al contrario, quest’ultima ha come obiettivo, in materia di occupazione
e lavoro, di combattere ogni forma di discriminazione basata sulla disabilità.
Infatti, il principio della parità di trattamento sancito da detta direttiva in
quest’ambito si applica non in relazione ad una determinata categoria di
persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati al suo art. 1. Questa
interpretazione è avallata dal testo dell’art. 13 CE, disposizione
che costituisce il fondamento normativo della direttiva 2000/78, il quale
conferisce alla Comunità la competenza ad adottare i provvedimenti necessari a
combattere ogni discriminazione fondata, tra l’altro, sulla disabilità.
39 Vero è che la direttiva 2000/78 contiene diverse
disposizioni applicabili, come risulta dalla loro stessa formulazione,
unicamente alle persone disabili. Infatti, il suo art. 5
precisa che per garantire il rispetto del principio della parità di
trattamento dei disabili sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che
il datore di lavoro deve prendere i provvedimenti appropriati, a seconda delle
esigenze della situazione concreta, per consentire al disabile di accedere ad
un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possa ricevere una
formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di
lavoro un onere finanziario sproporzionato.
40 L’art. 7, n. 2, di detta direttiva prevede
altresì che, quanto ai disabili, il principio della parità di trattamento non
pregiudica il diritto degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni
in materia di tutela della salute e sicurezza sul posto di lavoro né osta alle
misure intese a creare o mantenere disposizioni o strumenti al fine di
salvaguardare o promuovere il loro inserimento nel mondo del lavoro.
41 Il governo del Regno Unito nonché i governi greco,
italiano e olandese sostengono, alla luce sia delle disposizioni menzionate ai
due punti precedenti sia dei ‘considerando’ sedicesimo, diciassettesimo e
ventisettesimo della direttiva 2000/78, che il divieto di discriminazione
diretta previsto da quest’ultima non può essere interpretato nel senso che esso
ricomprenderebbe una situazione come quella della ricorrente nella causa
principale, dal momento che quest’ultima non è essa stessa disabile. Potrebbero
far valere le disposizioni di questa direttiva soltanto le persone che, in una
situazione analoga a quella di altre persone, vengono trattate in maniera meno
favorevole o poste in una situazione di svantaggio a causa di caratteristiche
loro proprie.
42 Si deve tuttavia rilevare, al riguardo, che il fatto
che le disposizioni menzionate ai punti 39 e 40 della presente sentenza
riguardino specificamente le persone disabili è dovuto alla circostanza che si
tratta di disposizioni riguardanti o misure di discriminazione positiva a
favore della persona essa stessa disabile, o misure specifiche che sarebbero
private di ogni contenuto o che potrebbero rivelarsi sproporzionate se non
fossero limitate alle sole persone disabili. Come risulta dai ‘considerando’
sedicesimo e ventesimo di questa direttiva, si tratta di misure volte a tener
conto delle esigenze dei disabili sul lavoro e ad adeguare il luogo di lavoro a
seconda della loro disabilità. Siffatte misure sono quindi specificamente volte
a consentire e a incoraggiare l’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro
e, per questa ragione, possono riguardare soltanto questi ultimi nonché gli
obblighi che incombono, nei loro confronti, ai loro datori di lavoro e,
eventualmente, agli Stati membri.
43 Pertanto, il fatto che la direttiva 2000/78 contenga
disposizioni volte a tener conto specificamente delle esigenze dei disabili non
permette di concludere che il principio della parità di trattamento in essa
sancito debba essere interpretato in senso restrittivo, vale a dire nel senso
che esso vieterebbe soltanto le discriminazioni dirette fondate sulla
disabilità e riguarderebbe esclusivamente le persone che siano esse stesse
disabili. Peraltro, il sesto ‘considerando’ di questa direttiva, richiamando la
carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, si riferisce
sia alla lotta generale avverso qualsiasi forma di
discriminazione sia alla necessità di intraprendere azioni appropriate per
l’integrazione sociale ed economica dei disabili.
44 I governi del Regno Unito, italiano e olandese
sostengono altresì che un’interpretazione restrittiva dell’ambito di
applicazione ratione personae
della direttiva 2000/78 risulta dalla sentenza 11 luglio 2006, causa C‑13/05,
Chacón Navas
(Racc. pag. I‑6467). Secondo il governo italiano, in detta
sentenza
45 Nella sentenza Chacón Navas, citata,
46 Infatti, anche se al punto 56 della sentenza Chacón Navas, citata,
47 Riguardo agli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2000/78,
quest’ultima, come risulta dai punti 34 e 38 della presente sentenza, mira, per
quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, a stabilire un quadro
generale per la lotta alle discriminazioni fondate su uno dei motivi di cui al
suo art. 1, tra i quali figura, tra l’altro, la disabilità, al fine di
rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento.
Dal trentasettesimo ‘considerando’ di tale direttiva risulta che essa mira
altresì alla realizzazione di una base omogenea all’interno della Comunità per
quanto riguarda la parità in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
48 Come rilevano la sig.ra Coleman, i governi
lituano e svedese, nonché
49 Al riguardo, dall’undicesimo ‘considerando’ di detta
direttiva risulta che il legislatore comunitario ha altresì ritenuto che la
discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o
tendenze sessuali possa pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del
Trattato, in particolare in materia di occupazione.
50 Orbene, anche se in una situazione come quella di
cui alla causa principale la persona oggetto di una discriminazione diretta
fondata sulla disabilità non è essa stessa disabile, resta comunque il fatto
che è proprio la disabilità a costituire, secondo la sig.ra Coleman, il
motivo del trattamento meno favorevole del quale essa afferma essere stata
vittima. Come risulta dal punto 38 della presente sentenza, la direttiva
2000/78, che mira, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro,
a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate
sull’handicap, l’età o le tendenze sessuali, si applica non in relazione ad una
determinata categoria di
persone, bensì sulla scorta dei motivi indicati al suo art. 1.
51 Una volta accertato che un lavoratore che si trovi
in una situazione come quella di cui alla causa principale è vittima di una
discriminazione diretta fondata sulla disabilità, un’interpretazione della
direttiva 2000/78 che ne limiti l’applicazione alle sole persone che siano esse
stesse disabili rischierebbe di privare tale direttiva di una parte importante
del suo effetto utile e di ridurre la tutela che essa dovrebbe garantire.
52 Riguardo all’onere della prova applicabile in una situazione
come quella di cui alla causa principale, si deve in primo luogo ricordare che,
ai sensi dell’art. 10, n. 1, della direttiva 2000/78, gli Stati
membri devono prendere le misure necessarie, conformemente ai loro sistemi
giudiziari nazionali, per assicurare che, allorché persone che si ritengono
lese dalla mancata applicazione nei loro riguardi del principio della parità di
trattamento espongono, dinanzi a un tribunale o a un’altra autorità competente,
fatti dai quali si può presumere che vi sia stata una discriminazione diretta o
indiretta, incombe alla parte convenuta provare che non vi è stata violazione
di detto principio. Ai sensi del n. 2 di detto articolo, il n. 1 di
quest’ultimo si applica fatto salvo il diritto degli Stati membri di prevedere
disposizioni in materia di prova più favorevoli alle parti attrici.
53 Nella causa principale spetta dunque alla
sig.ra Coleman, ai sensi dell’art. 10, n. 1, della direttiva
2000/78, dimostrare dinanzi al giudice del rinvio fatti dai quali si possa
presumere l’esistenza di una discriminazione diretta fondata sulla disabilità,
vietata da questa direttiva.
54 In conformità a quest’ultima disposizione della
direttiva 2000/78 e al trentunesimo ‘considerando’ della stessa, quando vi sia
una presunzione di discriminazione le norme in materia di onere della prova
devono essere adattate. Nel caso in cui la sig.ra Coleman dimostrasse
fatti che consentano di presumere l’esistenza di una discriminazione diretta,
l’effettiva applicazione del principio della parità di trattamento
richiederebbe allora che l’onere della prova fosse posto a carico dei convenuti
nella causa principale, che dovrebbero provare che non vi è stata violazione di
detto principio.
55 In tale contesto i detti convenuti potrebbero
contestare l’esistenza di una siffatta violazione dimostrando con qualsiasi
mezzo, in particolare, che il trattamento che è stato riservato al lavoratore è
giustificato da fattori oggettivi ed estranei a qualsivoglia discriminazione
fondata sulla disabilità, nonché a qualsivoglia relazione di tale lavoratore
con un disabile.
56 Tenuto
conto di quanto precede, la
prima parte della prima questione nonché le questioni seconda e terza vanno
risolte dichiarando che la direttiva 2000/78 e, in particolare, i suoi
artt. 1 e 2, nn. 1 e 2, lett. a),
devono essere interpretati nel senso che il divieto di discriminazione diretta
ivi previsto non è limitato alle sole persone che siano esse stesse disabili.
Qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore, che non sia esso stesso
disabile, in modo meno favorevole rispetto al modo in cui è, è stato o sarebbe
trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia provato che il
trattamento sfavorevole di cui tale lavoratore è vittima è causato dalla
disabilità del figlio, al quale egli presta la parte essenziale delle cure di
cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il divieto di
discriminazione diretta enunciato al detto art. 2, n. 2, lett. a).
Sulla seconda parte della prima questione
nonché sulla quarta questione
57 Con tali questioni, che è opportuno esaminare
congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se la direttiva
2000/78 e, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1
e 3, debbano essere interpretati nel senso che vietano le molestie connesse
alla disabilità soltanto nei confronti di un lavoratore che sia esso stesso
disabile o se il divieto di molestie si applichi altresì ad un lavoratore che
non sia esso stesso disabile, ma che sia, come nella causa principale, vittima
di un comportamento indesiderato che integri molestie a causa della disabilità
del figlio, cui egli stesso presta la parte essenziale delle cure che le sue
condizioni richiedono.
58 Poiché le molestie, ai sensi dell’art. 2,
n. 3, della direttiva 2000/78, sono considerate una forma di
discriminazione ai sensi del n. 1 di questo stesso articolo, si deve
rilevare che, per le stesse ragioni esposte ai punti 34-51 della presente
sentenza, questa direttiva e, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1 e 3, devono essere interpretati nel senso che
essi non si limitano a vietare le molestie nei confronti di persone che siano
esse stesse disabili.
59 Quando è accertato che il comportamento indesiderato
integrante le molestie subite da un lavoratore che non sia esso stesso disabile
è connesso alla disabilità del figlio, al quale egli presta la parte essenziale
delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto comportamento viola il
principio della parità di trattamento sancito dalla direttiva 2000/78, in
particolare il divieto di molestie enunciato all’art. 2, n. 3, di
quest’ultima.
60 Al riguardo si deve tuttavia ricordare che, secondo
la stessa lettera dell’art. 2, n. 3, di detta direttiva, il concetto
di molestia può essere definito conformemente alle leggi e prassi nazionali
degli Stati membri.
61 Con riferimento all’onere della prova applicabile in
una situazione come quella di cui alla causa principale si deve rilevare che,
poiché le molestie sono considerate come una forma di discriminazione ai sensi
dell’art. 2, n. 1, della direttiva 2000/78, sono ad esse applicabili
le stesse disposizioni esposte ai punti 52-55 della presente sentenza.
62 Pertanto, come risulta dal punto 54 della presente
sentenza, in conformità all’art. 10, n. 1, della direttiva 2000/78 e
al trentunesimo ‘considerando’ della stessa, le norme in materia di onere della
prova devono essere adattate quando vi sia una presunzione di discriminazione.
Nel caso in cui la sig.ra Coleman dimostrasse fatti che consentano di
presumere l’esistenza di molestie, l’effettiva attuazione del principio della
parità di trattamento richiederebbe allora che l’onere della prova fosse posto
a carico dei convenuti, che dovrebbero provare che nel caso di specie non vi
sono state molestie.
63 Tenuto
conto delle considerazioni che
precedono, la seconda parte della prima questione e la quarta questione vanno risolte
dichiarando che la direttiva 2000/78 e, in particolare, i suoi artt. 1 e
2, nn. 1 e 3, devono essere interpretati nel
senso che il divieto di molestie ivi previsto non è limitato alle sole persone
che siano esse stesse disabili. Qualora sia accertato che il comportamento
indesiderato integrante le molestie del quale è
vittima un lavoratore, che non sia esso stesso disabile, è connesso alla
disabilità del figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui
quest’ultimo ha bisogno, un siffatto comportamento viola il divieto di molestie
enunciato al detto art. 2, n. 3.
Sulle spese
64 Nei confronti delle parti nella causa principale il
presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi,
1) La
direttiva del Consiglio 27 novembre 2000, 2000/78/CE, che stabilisce un quadro
generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni
di lavoro e, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1
e 2, lett. a), devono essere interpretati nel senso che il divieto di
discriminazione diretta ivi previsto non è limitato alle sole persone che siano
esse stesse disabili. Qualora un datore di lavoro tratti un lavoratore, che non
sia esso stesso disabile, in modo meno favorevole rispetto al modo in cui è, è
stato o sarebbe trattato un altro lavoratore in una situazione analoga, e sia
provato che il trattamento sfavorevole di cui tale lavoratore è vittima è
causato dalla disabilità del figlio, al quale presta la parte essenziale delle
cure di cui quest’ultimo ha bisogno, un siffatto trattamento viola il divieto
di discriminazione diretta enunciato al detto art. 2, n. 2,
lett. a).
2) La
direttiva 2000/78 e, in particolare, i suoi artt. 1 e 2, nn. 1 e 3, devono essere interpretati nel senso che il
divieto di molestie ivi previsto non è limitato alle sole persone che siano
esse stesse disabili. Qualora sia accertato che il comportamento indesiderato
integrante le molestie del quale è vittima un
lavoratore, che non sia esso stesso disabile, è connesso alla disabilità del
figlio, al quale presta la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha
bisogno, un siffatto comportamento viola il divieto di molestie enunciato al
detto art. 2, n. 3.
(Seguono le firme)