Corte di Giustizia delle Comunità europee (Quarta
Sezione), 4 marzo 2010
C‑297/08,
Commissione europea – Repubblica italiana
Sentenza
Nella causa C‑297/08,
avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi
dell’art. 226 CE, proposto il 3 luglio 2008,
Commissione europea, rappresentata dalla sig.ra D. Recchia, dai sigg. C. Zadra e J.‑B. Laignelot, in qualità di agenti, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
ricorrente, contro
Repubblica italiana, rappresentata dalla
sig.ra G. Palmieri, in qualità di agente, assistita dal
sig. G. Aiello, avvocato dello Stato, con
domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
sostenuta da
Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dal
sig. S. Ossowski, in
qualità di agente, assistito dal sig. K. Bacon, barrister,
interveniente,
LA CORTE (Quarta Sezione),
composta dal sig. J.‑C. Bonichot, presidente di sezione, dalla sig.ra C. Toader (relatore), dai sigg. K. Schiemann, P. Kūris e
L. Bay Larsen, giudici,
avvocato generale: sig. J. Mazák
cancelliere: sig.ra R. Șereș, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza
del 3 dicembre 2009,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato
generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con
il proprio ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di
dichiarare che la Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione
Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano
recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare
pregiudizio all’ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete adeguata
e integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa
incombenti in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti (GU L 114, pag. 9).
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2 La direttiva 2006/12 ha codificato,
a fini di chiarezza e di razionalità, la direttiva del Consiglio 15 luglio
1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti (GU L 194,
pag. 39).
3 Il secondo, sesto, ottavo, nono e
decimo ‘considerando’ della direttiva 2006/12 così recitano:
«(2) Ogni regolamento in materia di gestione dei
rifiuti deve essenzialmente mirare alla protezione della salute umana e
dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del
trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti.
(…)
(6) Ai fini di un’elevata protezione dell’ambiente è
necessario che gli Stati membri, oltre a provvedere in modo responsabile allo
smaltimento e al recupero dei rifiuti, adottino misure intese a limitare la formazione
dei rifiuti promuovendo in particolare le tecnologie “pulite” e i prodotti
riciclabili e riutilizzabili, tenuto conto delle attuali e potenziali
possibilità del mercato per i rifiuti recuperati.
(…)
(8) Occorre che la Comunità stessa nel suo insieme sia in
grado di raggiungere l’autosufficienza nello smaltimento dei suoi rifiuti ed è
auspicabile che ciascuno Stato membro singolarmente tenda a questo obiettivo.
(9) Per realizzare tali obiettivi si dovrebbero delineare
negli Stati membri programmi di gestione dei rifiuti.
(10) Occorre ridurre i movimenti dei rifiuti e a tal fine gli
Stati membri possono adottare le misure necessarie nel contesto dei loro piani
di gestione».
4 L’art. 4 della direttiva
2006/12 così dispone:
«1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i
rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e
senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio
all’ambiente e in particolare:
a) senza creare rischi per l’acqua,
l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
b) senza causare inconvenienti da
rumori od odori;
c) senza danneggiare il paesaggio e
i siti di particolare interesse.
2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per vietare l’abbandono,
lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti».
5 L’art. 5 della direttiva in
esame prevede:
«1. Gli Stati membri, di concerto con altri Stati membri qualora ciò risulti necessario od opportuno, adottano le misure
appropriate per la creazione di una rete integrata e adeguata di impianti di
smaltimento, che tenga conto delle tecnologie più perfezionate a disposizione
che non comportino costi eccessivi. Questa rete deve consentire alla Comunità
nel suo insieme di raggiungere l’autosufficienza in materia di smaltimento dei
rifiuti e ai singoli Stati membri di mirare al conseguimento di tale obiettivo,
tenendo conto del contesto geografico o della
necessità di impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.
2. Tale rete deve permettere lo smaltimento dei rifiuti in uno degli
impianti appropriati più vicini, grazie all’utilizzazione dei metodi e delle tecnologie più idonei a garantire un alto grado di
protezione dell’ambiente e della salute pubblica».
6 L’art. 7 della direttiva
2006/12 così recita:
«1. Per realizzare gli obiettivi previsti negli articoli 3, 4 e 5, la o le autorità competenti di cui all’articolo 6
devono elaborare quanto prima uno o più piani di gestione dei rifiuti, che
contemplino fra l’altro:
a) tipo, quantità e origine dei
rifiuti da recuperare o da smaltire;
b) requisiti tecnici generali;
c) tutte le disposizioni speciali
per rifiuti di tipo particolare;
d) i luoghi o gli impianti adatti
per lo smaltimento.
2. I piani di cui al paragrafo 1 possono
riguardare ad esempio:
(…)
c) le misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della
cernita e del trattamento dei rifiuti.
3. Eventualmente, gli Stati membri collaborano con gli altri Stati membri interessati e la Commissione per l’elaborazione dei
piani. Essi li trasmettono alla Commissione.
(…)».
La normativa nazionale
7 Gli artt. 4 e 5 della
direttiva 2006/12 sono stati trasposti nell’ordinamento giuridico italiano per
mezzo del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, contenente norme in
materia ambientale (Supplemento ordinario alla GURI
n. 96 del 14 aprile 2006).
8 L’art. 178, comma 2, di
tale decreto stabilisce che:
«I rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza
pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che
potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare:
a) senza determinare rischi per
l’acqua, l’aria, il suolo, nonché per la fauna e la
flora;
b) senza causare inconvenienti da
rumori o odori;
c) senza danneggiare il paesaggio e
i siti di particolare interesse, tutelati in base alla normativa vigente».
9 L’art. 182, comma 3, dello
stesso decreto dispone quanto segue:
«Lo smaltimento dei rifiuti è attuato con il ricorso ad
una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, attraverso le migliori
tecniche disponibili e tenuto conto del rapporto tra i costi e i benefici
complessivi, al fine di:
a) realizzare l’autosufficienza
nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi in ambiti territoriali
ottimali;
b) permettere lo smaltimento dei
rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini ai luoghi di produzione o
raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi, tenendo conto del contesto geografico o della necessità di impianti
specializzati per determinati tipi di rifiuti;
c) utilizzare i metodi e le
tecnologie più idonei a garantire un alto grado di protezione dell’ambiente e
della salute pubblica».
10 La legge della regione Campania 10
febbraio 1993, n. 10, sulle «Norme e procedure per lo smaltimento dei
rifiuti in Campania», ha definito 18 zone territoriali
omogenee in cui, attraverso la partecipazione obbligatoria dei comuni situati
in tali zone, si doveva procedere alla gestione dello smaltimento dei rifiuti
urbani prodotti nei rispettivi bacini.
Fatti
11 Il presente ricorso riguarda la
regione Campania, che comprende 551 comuni tra cui la città di Napoli. Tale
regione deve fronteggiare problemi di gestione e di smaltimento dei rifiuti
urbani.
12 Secondo quanto indicato dalla Repubblica italiana nel proprio controricorso, sin dal 1994,
allo scopo di effettuare rapidamente gli interventi finalizzati a superare
quella che è stata comunemente definita la «crisi dei rifiuti», venne
dichiarato lo stato di emergenza nella suddetta regione e venne nominato un
commissario delegato, che riuniva in sé le funzioni e le competenze
ordinariamente svolte da altri organi pubblici.
13 Nel 1997 venne
approvato un piano di gestione dei rifiuti urbani. Esso prevedeva un sistema di impianti industriali di termovalorizzazione dei rifiuti
alimentato grazie a un sistema di raccolta differenziata organizzata a livello
della regione Campania.
14 Con ordinanza ministeriale 31
marzo 1998, n. 2774, si decise di indire una gara d’appalto per affidare
per un periodo di dieci anni il trattamento dei rifiuti ad
operatori privati capaci di realizzare impianti per la produzione di
combustibile derivato dai rifiuti (in prosieguo: «CDR»),
nonché impianti per l’incenerimento e termovalorizzatori.
15 Gli appalti in questione vennero aggiudicati nel corso dell’anno 2000 alle società Fibe SpA e Fibe Campania SpA,
appartenenti al gruppo Impregilo. Tali società dovevano realizzare e gestire
sette impianti per la produzione di CDR e due
impianti di termovalorizzazione, ubicati rispettivamente ad Acerra
e a Santa Maria La Fossa. I comuni della regione Campania erano tenuti ad
affidare il trattamento dei loro rifiuti alle dette società.
16 Tuttavia, l’esecuzione del piano
incontrò difficoltà a causa, da un lato, dell’opposizione di talune popolazioni
residenti in merito ai siti scelti e, dall’altro, della scarsa quantità di
rifiuti raccolta e consegnata al servizio regionale. Inoltre, la costruzione
degli impianti subì ritardi e furono accertate carenze
nella loro progettazione, ragion per cui, non potendo essere trattati dalle
infrastrutture in questione, i rifiuti vennero accumulati fino a saturazione
nelle discariche e nelle aree di stoccaggio disponibili.
17 La Procura della Repubblica di
Napoli avviò anche un’inchiesta volta a dimostrare la responsabilità per reati
di frode nelle pubbliche forniture. Gli impianti di produzione di CDR della regione Campania furono
sottoposti a sequestro giudiziario, rendendo impossibile l’adeguamento delle
relative attrezzature in questione. Infine, furono risolti i contratti che
legavano l’amministrazione alla Fibe SpA ed alla Fibe Campania SpA, ma la riaggiudicazione, mediante bandi di gara, degli appalti
medesimi relativi allo smaltimento dei rifiuti nella regione sarebbe fallita in
più occasioni, a causa, in particolare, del numero insufficiente di offerte
ricevibili.
Fase precontenziosa
18 La situazione della regione
Campania è stata oggetto di discussioni tra i servizi della Commissione e le
autorità italiane. In tale contesto, il commissario
delegato per l’emergenza rifiuti, con nota del 16 maggio 2007, esponeva alla
Commissione le ragioni che avevano condotto all’adozione del decreto legge 11
maggio 2007, n. 61, che stabiliva «interventi straordinari per superare
l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania»,
comprendenti, segnatamente, la realizzazione di quattro nuove discariche nei
comuni di Serre, Savignano Irpino, Terzigno e Sant’Arcangelo Trimonte.
19 Secondo
questa nota, le misure eccezionali erano necessarie «per scongiurare il pericolo
di epidemie o altre emergenze sanitarie a tutela della salute della
popolazione». Tale documento riconosceva che «lo stato di crisi risulta[va] da
ultimo acuito per la carenza di un’adeguata
disponibilità di siti di discarica per lo smaltimento finale dei rifiuti» e
qualificava detto stato come una situazione di «allerta sociale, di pericolo
per i diritti fondamentali dei cittadini campani e di estrema attenzione anche
sotto il profilo ambientale», poiché «le discariche abusive realizzate senza il
controllo degli enti pubblici competenti, gli incendi spontanei e dolosi dei
rifiuti abbandonati sta[va]no determinando la compromissione dell’integrità
dell’ambiente per effetto dell’emissione di sostanze inquinanti in atmosfera
(in particolare diossina) e nel sottosuolo con pericolo di danni irreparabili
alle falde acquifere».
20 Ritenendo che le misure adottate
dalla Repubblica italiana non fossero sufficienti per
assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente e della sanità
pubblica, in particolare per stabilire una rete adeguata di impianti di
smaltimento dei rifiuti, e che quindi detto Stato membro fosse venuto meno agli
obblighi ad esso imposti dagli artt. 4 e 5 della direttiva 2006/12, la
Commissione, in data 29 giugno 2007, inviava al suddetto Stato membro una
lettera di diffida, invitandolo a presentare le proprie osservazioni entro un
mese dalla ricezione della stessa.
21 Facendo seguito ad
un invito della Repubblica italiana, una delegazione della Commissione si
recava a Napoli nel mese di luglio 2007 per incontrare le autorità e constatare
l’effettiva situazione sul territorio.
22 La Repubblica italiana rispondeva
alla diffida con lettera del 3 agosto 2007, allegando una nota del direttore
generale del Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio – Direzione per la qualità della vita, datata 2 agosto 2007.
Sulla base delle informazioni ricevute, la Commissione riteneva opportuno
estendere le censure alla violazione degli artt. 3
e 7 della direttiva 2006/12 e, in tal senso, inviava a detto Stato membro, il
23 ottobre 2007, una diffida complementare, invitandolo a trasmettere le
proprie osservazioni entro il termine di due mesi dalla ricezione della stessa.
23 Il 20 novembre 2007 si svolgeva
una nuova riunione a Bruxelles, in occasione della quale la Repubblica
italiana presentava una nuova bozza del piano di gestione dei rifiuti
per la regione Campania e forniva un resoconto dell’evoluzione della
situazione, segnatamente riguardo all’avanzamento della costruzione di talune
infrastrutture, quali le discariche. Tale piano veniva
adottato il 28 dicembre 2007.
24 Con lettera del 24 dicembre 2007,
la Repubblica italiana replicava alla diffida
complementare e allegava alla propria risposta una nota del Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del 21 dicembre 2007.
25 Il 28 gennaio 2008, si svolgeva a
Roma una «riunione pacchetto» tra la Repubblica italiana
e la Commissione, nel corso della quale, riguardo alla questione della gestione
dei rifiuti in Campania, tale Stato membro illustrava il contenuto di un nuovo
piano che si prefiggeva di risolvere la situazione di crisi entro la fine del
mese di novembre 2008.
26 Alla luce delle informazioni
fornite dalla Repubblica italiana nella corrispondenza
intercorsa, nonché di quelle provenienti da altre fonti, come mass media,
associazioni, organizzazioni e privati cittadini, la Commissione, in data 1°
febbraio 2008, inviava a detto Stato membro un parere motivato, invitandolo a conformarvisi, data l’urgenza della situazione, entro il
termine di un mese. La Repubblica italiana replicava
al parere con lettera trasmessa alla Commissione il 4 marzo 2008, cui erano
allegate tre note provenienti dai responsabili regionali.
27 A fronte delle informazioni così
raccolte, la Commissione decideva di proporre il presente ricorso.
28 Con ordinanza del presidente della
Corte 2 dicembre 2008, il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è
stato autorizzato ad intervenire a sostegno delle
conclusioni della Repubblica italiana.
Sul ricorso
29 A sostegno del proprio ricorso, la
Commissione contesta alla Repubblica italiana la
violazione degli artt. 4 e 5 della direttiva 2006/12 in quanto, da un
lato, essa non avrebbe creato una rete integrata ed adeguata di impianti di
smaltimento idonei a consentire l’autosufficienza in materia di smaltimento di
rifiuti, improntata al criterio della prossimità geografica, e, dall’altro,
tale situazione avrebbe determinato un pericolo per la salute dell’uomo e per
l’ambiente.
30 La Commissione ritiene
che la Repubblica italiana riconosca l’inadempimento contestato. L’istituzione
lo ritiene provato, segnatamente, alla luce del contenuto delle risposte
fornite dal governo italiano nel corso della fase precontenziosa
del procedimento. Così, nella propria risposta alla diffida iniziale, il
governo italiano aveva illustrato il piano regionale di gestione dei rifiuti
approvato nel 1997, ammettendo nel contempo che,
«seppur giustamente individuato nel Piano regionale, il sistema di gestione
integrato dei rifiuti in Campania non costituisce tuttora una realtà
effettiva», soprattutto a causa dei ritardi accumulati nella costruzione dei
due inceneritori previsti ad Acerra e a Santa Maria
La Fossa nonché della chiusura di discariche. Le autorità italiane avrebbero
dunque riconosciuto la «paralisi del sistema» e l’abbandono illegale o
incontrollato dei rifiuti, da esse descritto come un «fenomeno diffuso in
Regione Campania e condotto da settori della criminalità organizzata, rispetto al quale risultano avviate diverse inchieste da parte
dell’Autorità Giudiziaria».
31 Nella propria replica al parere
motivato, la Repubblica italiana avrebbe confermato
che la situazione non era risolta e, secondo la Commissione, dalle risposte fornite
da tale Stato membro e, in particolare, dai tempi necessari a realizzare le
infrastrutture previste nell’ultimo piano di gestione, nonché dalla stampa
nazionale, emergerebbe che, alla scadenza del termine impartito nel parere
motivato, tale Stato membro era ancora lontano dall’aver creato una rete
integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, improntata al criterio della
prossimità.
32 Inoltre, talune informazioni
ricevute dopo il termine fissato nel parere motivato confermerebbero la
persistenza dell’inadempimento. In tal senso, nelle comunicazioni datate 21 e
28 aprile 2008, trasmesse alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, la
Repubblica italiana avrebbe riconosciuto che le
discariche previste nei siti di Savignano Irpino e
Sant’Arcangelo Trimonte sarebbero entrate in
funzione, nella migliore delle ipotesi, nel mese di luglio dell’anno 2008 e
che, quindi, fino a quel momento, soltanto la discarica di Macchia Soprana, nel
comune di Serre, sarebbe stata in funzione per tutta la regione Campania.
33 La Commissione si basa parimenti su una nota trasmessa il 4 giugno 2008, con
cui la Repubblica italiana le ha notificato il decreto legge 23 maggio 2008,
n. 90 (Supplemento ordinario alla GURI
n. 120 del 23 maggio 2008; in prosieguo: il «decreto legge
n. 90/2008»). Il testo stesso di tale decreto legge costituirebbe
un’ammissione delle inadeguatezze del sistema di
smaltimento dei rifiuti in Campania. La Commissione evidenzia altresì che lo
«stato di emergenza» relativo alla crisi dei rifiuti non sarebbe stato risolto
alla data di proposizione del ricorso e sarebbe stato necessario mantenerlo
fino al 31 dicembre 2009.
34 Tuttavia, occorre constatare che, contrariamente a quanto sostiene la
Commissione, la Repubblica italiana nega di essere venuta meno agli obblighi
che le incombono in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva 2006/12. Di
conseguenza, occorre esaminare la fondatezza delle censure addotte dalla
Commissione a sostegno del suo ricorso.
Sulla violazione dell’art. 5
della direttiva 2006/12
Argomenti delle parti
35 La Commissione deduce che, per poter ritenere che uno Stato membro abbia creato una
rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, come richiesto
dall’art. 5 della direttiva 2006/12, occorre che esso disponga di un apparato
di strutture tecniche volte a consentire, da un lato, che i rifiuti impossibili
da recuperare e/o riutilizzare siano smaltiti senza pericolo per l’ambiente e
la sanità pubblica e, dall’altro, che, ai fini del rispetto dei principi di
autosufficienza e di prossimità, le capacità di assorbimento degli stabilimenti
destinati allo smaltimento dei rifiuti, come inceneritori e discariche,
corrispondano ai quantitativi di rifiuti suscettibili di smaltimento nella
regione interessata.
36 Orbene, a tale riguardo, il
sistema istituito nella regione Campania presenterebbe indubbie carenze. Così, la raccolta differenziata
sarebbe pari solamente al 10,6% dei rifiuti prodotti, contro una media
comunitaria del 33% e una media nazionale che oscilla dal 19,4% per le regioni
del centro Italia al 38,1% per le regioni settentrionali di tale Stato membro.
37 Inoltre, pur dovendo le discariche
essere utilizzate il meno possibile, perché rappresentano
la soluzione peggiore per l’ambiente, la maggior parte dei rifiuti della
Campania verrebbe smaltita in discarica o abbandonata illegalmente. Inoltre,
gli impianti di produzione di CDR deputati a smaltire
detti rifiuti sarebbero inadeguati e si limiterebbero, in realtà, a trattarli,
con la conseguenza che essi dovrebbero essere successivamente
inviati ad altre strutture per lo smaltimento definitivo.
38 Gli inceneritori previsti nei
comuni di Acerra e di Santa Maria La Fossa non
sarebbero ancora entrati in funzione e, complessivamente, la regione disporrebbe di una sola discarica legale in attività, quella
di Serre, le cui capacità di assorbimento sarebbero assai inferiori ai bisogni
effettivi. Infine, numerose tonnellate di rifiuti sarebbero state trasportate
in Germania e in altre regioni d’Italia per essere smaltite, e sarebbe stato
siglato un accordo con la Repubblica federale di Germania che prevede ulteriori spedizioni.
39 Secondo la Commissione, i rifiuti
nelle strade alla data del 2 marzo 2008 ammontavano a 55 000
tonnellate, a cui si aggiungevano fra le 110 000 e le 120 000
tonnellate di rifiuti in attesa di trattamento presso i siti comunali di
stoccaggio. Orbene, la Corte avrebbe affermato nella sentenza 26 aprile 2005,
causa C‑494/01, Commissione/Irlanda (Racc. pag. I‑3331),
che un sistema di discariche vicino alla saturazione nonché
la presenza di depositi abusivi di rifiuti nel paese integra una violazione
dell’art. 5 della direttiva 2006/12.
40 La Repubblica italiana chiede il
rigetto del ricorso. A suo avviso, la censura attinente all’art. 5 della direttiva sarebbe viziata da un’insufficiente
analisi delle cause storiche della grave situazione che imperversa nella
regione Campania. Inoltre, tale Stato membro avrebbe compiuto ogni possibile
sforzo per arginare tale crisi, sia dispiegando considerevoli mezzi amministrativi
e militari, sia realizzando importanti investimenti finanziari (400 milioni di
euro tra il 2003 e il 2008).
41 Riguardo
alla raccolta dei rifiuti, pur riconoscendo che le percentuali a livello
regionale indicate dalla Commissione sono corrette, la Repubblica italiana
osserva tuttavia che sarebbero state intraprese iniziative straordinarie di
raccolta e che, in linea generale, si assisterebbe a un aumento del livello di
raccolta differenziata nella regione Campania, che dovrebbe accrescersi con l’attuazione
dell’ordinanza del Presidente del Consiglio n. 3639/08. Ad esempio, tra il
14 gennaio ed il 1° marzo 2008 sarebbero state
raccolte e messe in sicurezza 348 000 tonnellate di rifiuti, in
particolare dalle strade. Attualmente la capacità di
smaltimento complessiva dei rifiuti sarebbe superiore alla produzione
giornaliera regionale. 530 comuni avrebbero attuato le prime misure per l’avvio
della raccolta differenziata, 73 comuni (circa 370 000
abitanti) avrebbero raggiunto percentuali tra il 50% ed il 90%, mentre 134
comuni (circa un milione di abitanti) si troverebbero tra il 25 ed il 50%.
42 Peraltro, nel mese di giugno 2008
sarebbe stata aperta la discarica di Savignano Irpino,
seguita da quella di Sant’Arcangelo Trimonte. Per
quanto riguarda gli inceneritori, il nuovo piano inserito nel decreto legge
n. 90/2008, prevederebbe la costruzione di altri
due inceneritori, a Napoli e a Salerno, che verrebbero ad aggiungersi a quelli
di Acerra e di Santa Maria La Fossa. Sarebbero
altresì in fase di realizzazione altre infrastrutture, come le discariche di Chiaiano, Terzigno, San Tammaro e Andretta, o ancora i
termovalorizzatori di Acerra e di Salerno.
43 Riguardo
ai sette impianti di produzione di CDR, di cui la
Commissione sottolinea l’attuale inoperatività, la Repubblica italiana deduce
che le disfunzioni accertate in tali impianti sono dovute ad inadempienze
contrattuali, o addirittura a comportamenti delittuosi o criminali, che
sarebbero indipendenti dalla sua volontà.
44 Relativamente
alle discariche, la Repubblica italiana, pur ammettendo che alla data
impartita nel parere motivato era in funzione solo la discarica di Macchia
Soprana a Serra, fa tuttavia notare che l’apertura di altri siti di discarica
sarebbe stata ostacolata dalle azioni di protesta della popolazione, che
avrebbero persino reso necessario l’intervento delle forze armate.
45 Orbene, tutte queste circostanze
sarebbero tali da rappresentare cause di forza maggiore ai sensi della
giurisprudenza.
46 Conseguentemente, la Repubblica italiana ritiene che la violazione
dell’art. 5 della direttiva 2006/12 non possa essere imputata alla sua
inerzia e sottolinea, peraltro, che gli sversamenti
illeciti di rifiuti nel territorio della regione Campania sarebbero oggetto di
una costante attività di bonifica e non avrebbero mai rappresentato
un’alternativa proposta, suggerita od avallata dalle autorità nazionali, che
avrebbero fatto tutto il possibile per assicurarne la rimozione, anche
attraverso l’intervento dell’esercito.
47 Riguardo alla
possibilità di riconoscere una causa di forza maggiore, la Commissione
rammenta, nella propria replica, che tale nozione esigerebbe che l’evento in
questione (o la sua mancata realizzazione) «sia imputabile a circostanze
indipendenti da chi le fa valere, straordinarie ed imprevedibili, le cui
conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado tutta la diligenza
impiegata» (sentenza 8 marzo 1988, causa 296/86, McNicholl
e a., Racc. pag. 1491, punto 11 e giurisprudenza ivi citata).
48 Inoltre, qualora un evento abbia
costituito causa di forza maggiore, i suoi effetti potrebbero durare soltanto
per un limitato periodo di tempo, e cioè per il tempo
materialmente necessario, ad un’amministrazione che metta in opera la normale
diligenza, per risolvere la situazione di emergenza indipendente dalla sua
volontà (sentenza 11 luglio 1985, causa 101/84, Commissione/Italia,
Racc. pag. 2629, punto 16).
49 Orbene, la Commissione rammenta
che l’inadeguatezza del sistema di smaltimento dei
rifiuti in Campania perdurerebbe dall’anno 1994. Riguardo alle proteste e alle
turbative dell’ordine pubblico provocate dalle
popolazioni locali, tali fenomeni sarebbero stati prevedibili e non
rivestirebbero carattere eccezionale, dato che la situazione di crisi e le
proteste che ne sono conseguite deriverebbero proprio dal persistente
inadempimento delle autorità nazionali agli obblighi previsti dalla
direttiva 2006/12.
50 Quanto alla presenza di
associazioni criminali, la Commissione fa presente che tale circostanza, anche
supponendo che fosse provata, non potrebbe giustificare la violazione da parte
dello Stato membro degli obblighi ad esso incombenti
in forza della direttiva 2006/12 (v. sentenza 18 dicembre 2007, causa C‑263/05,
Commissione/Italia, Racc. pag. I‑11745, punto 51).
51 Riguardo,
infine, alla circostanza del mancato rispetto da parte delle imprese
aggiudicatarie dei loro impegni contrattuali di realizzare gli impianti di
trattamento dei rifiuti, la Commissione ritiene che essa non possa
rappresentare una circostanza anormale e imprevedibile, in particolare poiché,
contrariamente a quanto affermato dalla Repubblica italiana, le autorità
avrebbero potuto prevedere clausole specifiche per scongiurarne gli effetti.
52 Per quanto riguarda i procedimenti
penali avviati dalla Procura della Repubblica a carico di alcuni responsabili
di tali imprese e alla difficoltà per le autorità di reperire
altri appaltatori per riprendere le attività in questione, la Commissione
deduce che, secondo giurisprudenza costante, uno Stato membro non potrebbe
eccepire disposizioni, prassi o situazioni del proprio ordinamento giuridico
interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi e dei termini imposti da
una direttiva (v. sentenza 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 51).
53 Il Regno Unito limita le proprie
osservazioni all’interpretazione dell’art. 5
della direttiva 2006/12. Secondo questo Stato membro, al contrario di quanto
suggerisce la Commissione tramite la presentazione del presente ricorso, gli
obblighi incombenti agli Stati membri in forza di tale disposizione sarebbero
applicabili a livello nazionale e non a livello
regionale. In tal senso, i principi di autosufficienza e di prossimità, secondo
i quali la rete integrata ed adeguata di impianti di
smaltimento «deve consentire alla Comunità nel suo insieme di raggiungere
l’autosufficienza in materia di smaltimento dei rifiuti e ai singoli Stati
membri di mirare al conseguimento di tale obiettivo», e ciò «in uno degli
impianti appropriati più vicini», dovrebbero intendersi su una base
territoriale comunitaria o nazionale, e non regionale.
54 Conseguentemente, detto Stato
membro non condivide la tesi della Commissione secondo cui l’art. 5 della direttiva 2006/12 risulterebbe violato qualora,
all’interno di una determinata regione di uno Stato membro, gli impianti di
smaltimento dei rifiuti non siano sufficienti per soddisfare le esigenze della
regione stessa in materia di smaltimento. Infatti, al pari del Regno Unito, che
si è così organizzato in materia di rifiuti pericolosi, gli Stati membri
potrebbero adottare la soluzione di trasportare alcuni tipi di rifiuti,
provenienti da una regione, perché siano trattati e smaltiti in impianti
situati in altre regioni, purché la domanda nazionale complessiva sia
soddisfatta dalla rete nazionale di impianti di
smaltimento dei rifiuti.
55 Anche la giurisprudenza della
Corte avvalorerebbe l’interpretazione nazionale del principio di
autosufficienza e, inoltre, il tenore letterale dell’art. 16, n. 4,
della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 19 novembre 2008,
2008/98/CE, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU L 312, pag. 3),
la confermerebbe, atteso che tale articolo della nuova direttiva sui rifiuti
dispone che «[i] principi di prossimità e autosufficienza non significano che
ciascuno Stato membro debba possedere l’intera gamma di impianti di recupero
finale al suo interno».
56 La Repubblica
italiana condivide l’opinione del Regno Unito e rileva che l’incidenza
della regione Campania sulla sua produzione nazionale di rifiuti è limitata.
57 La Commissione, pur ritenendo che
le questioni interpretative sollevate dal Regno Unito non siano rilevanti
nell’ambito del presente ricorso, riconosce che gli
Stati membri sarebbero liberi di determinare il livello amministrativo adeguato
per la gestione dei rifiuti. Dunque, per rispettare l’art. 5 della direttiva 2006/12, uno Stato membro potrebbe
disporre di un solo impianto nazionale, qualora questo copra il trattamento dei
rifiuti prodotti, oppure soltanto di alcuni impianti specializzati, ad esempio
quelli di trattamento dei rifiuti pericolosi situati nel Regno Unito.
58 La Commissione osserva
tuttavia che, per determinare come i principi di autosufficienza e di
prossimità debbano essere interpretati e applicati, occorrerebbe altresì
prendere in considerazione la natura dei rifiuti ed i quantitativi prodotti.
Orbene, i rifiuti domestici sarebbero di produzione locale e giornaliera,
rendendo in via di principio necessaria una raccolta e un trattamento pressoché
immediati e in luoghi vicini.
59 La Repubblica
italiana avrebbe optato per una gestione che individua gli «ambiti
territoriali ottimali» quale parametro geografico di autosufficienza e di
prossimità. La Commissione rileva, in proposito, che essa non contesta a tale
Stato membro la scelta del livello amministrativo ritenuto adatto alla
creazione di un sistema integrato di gestione e di smaltimento dei rifiuti. Per
contro, essa censura il fatto che la Repubblica
italiana non avrebbe istituito un siffatto sistema in Campania dove, in
concreto, i rifiuti non verrebbero smaltiti in impianti prossimi ai luoghi di
produzione e dove le spedizioni di rifiuti verso altre regioni o altri Stati
membri non avrebbero rappresentato altro che rimedi straordinari ad hoc all’emergenza
sanitaria ed ambientale senza collocarsi, di conseguenza, nel contesto di un
sistema integrato di impianti di smaltimento.
Giudizio della Corte
60 Come risulta
dagli argomenti esposti dalla Commissione nel corso della fase precontenziosa, nonché dalle memorie depositate nell’ambito
del procedimento dinanzi alla Corte, occorre constatare che il ricorso della
Commissione riguarda, in generale, la questione dello smaltimento dei rifiuti
nella regione Campania e, in particolare, come risulta dalla sua risposta alla
memoria di intervento del Regno Unito, lo smaltimento dei rifiuti urbani. Di
conseguenza, nonostante la risposta fornita da tale istituzione ad un quesito posto in udienza, essa non chiede alla Corte
di dichiarare l’inadempimento della Repubblica italiana per quanto riguarda la
categoria specifica dei rifiuti pericolosi, che rientrano parzialmente nella
direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti
pericolosi (GU L 377, pag. 20).
61 In conformità all’art. 5,
n. 1, della direttiva 2006/12, gli Stati membri devono adottare le misure
appropriate per la creazione di una rete integrata ed
adeguata di impianti di smaltimento dei rifiuti che consenta, da un lato, alla
Comunità nel suo insieme di raggiungere l’autosufficienza in materia di
smaltimento dei rifiuti e, dall’altro, ai singoli Stati membri di mirare al
conseguimento di tale obiettivo. A tal fine, gli Stati membri devono tener
conto del contesto geografico o della necessità di
impianti specializzati per determinati tipi di rifiuti.
62 Per istituire detta rete, gli
Stati membri dispongono di un margine di
discrezionalità nella scelta della base territoriale che ritengono adeguata per
conseguire un’autosufficienza nazionale in termini di capacità di smaltimento
dei rifiuti, e così permettere alla Comunità di assicurare essa stessa lo
smaltimento dei rifiuti.
63 Come ha giustamente rilevato il
Regno Unito, taluni tipi di rifiuti possono presentare un tale grado di
specificità, come ad esempio i rifiuti pericolosi, che il loro trattamento ai
fini dello smaltimento può essere utilmente raggruppato all’interno di una o
più strutture a livello nazionale, o persino, come prevedono espressamente gli
artt. 5, n. 1, e 7, n. 3, della direttiva 2006/12, nell’ambito
di una cooperazione con altri Stati membri.
64 Tuttavia, la Corte ha già avuto
occasione di sottolineare che una delle più importanti
misure che devono essere adottate dagli Stati membri nell’ambito del loro
obbligo, in forza della direttiva 2006/12, di elaborare piani di gestione che
contemplino, in particolare, misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione
della raccolta, della cernita e del trattamento dei rifiuti, è quella, prevista
all’art. 5, n. 2, di tale direttiva, consistente nel cercare di trattare
i rifiuti nell’impianto più vicino possibile (v., sentenza 9 giugno 2009, causa
C‑480/06, Commissione/Germania, non ancora pubblicata nella Raccolta,
punto 37).
65 La Corte ha
quindi dichiarato che i criteri di localizzazione dei siti di smaltimento dei
rifiuti devono essere individuati in considerazione degli obiettivi perseguiti
dalla direttiva 2006/12, tra cui figurano, in particolare, la protezione della
salute e dell’ambiente, nonché la creazione di una rete integrata ed adeguata
di impianti di smaltimento che consenta in particolare lo smaltimento dei
rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini. Quindi, detti criteri di
localizzazione dovrebbero riguardare, in particolare, la distanza di tali siti
rispetto agli insediamenti in cui sono prodotti i rifiuti, il divieto di
realizzare gli impianti in prossimità di zone vulnerabili e l’esistenza di infrastrutture adeguate per il trasporto dei rifiuti,
quali il collegamento alle reti di trasporto (v. sentenza 1° aprile 2004, cause
riunite C‑53/02 e C‑217/02, Commune de Braine-le-Château e a., Racc. pag. I‑3251,
punto 34).
66 Per quanto riguarda i rifiuti
urbani non pericolosi, per i quali non sono necessari, in linea di principio,
impianti specializzati come quelli richiesti per lo smaltimento dei rifiuti
pericolosi, gli Stati membri devono quindi adoperarsi per disporre
di una rete che consenta loro di soddisfare l’esigenza di impianti di
smaltimento quanto più vicini possibile ai luoghi di produzione, ferma restando
la possibilità di organizzare una rete siffatta nell’ambito di cooperazioni
interregionali, o addirittura transfrontaliere, che rispondano al principio di
prossimità.
67 Ne consegue che, come ha sottolineato la Commissione, allorché uno Stato membro ha
singolarmente scelto nell’ambito del suo piano o dei suoi «piani di gestione
dei rifiuti» ai sensi dell’art. 7, n. 1, della direttiva 2006/12, di
organizzare la copertura del suo territorio su base regionale, occorre dedurne
che ogni regione dotata di un piano regionale debba garantire, in linea di
principio, il trattamento e lo smaltimento dei suoi rifiuti il più vicino
possibile al luogo in cui vengono prodotti. Infatti, il principio di
correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, principio
stabilito per l’azione della Comunità in materia ambientale
dall’art. 191 TFUE, comporta che spetta a
ciascuna regione, comune o altro ente locale adottare le misure adeguate per
garantire la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei propri rifiuti e che
questi vanno quindi smaltiti il più vicino possibile
al luogo in cui vengono prodotti, per limitarne al massimo il trasporto (v.
sentenza 17 marzo 1993, causa C‑155/91, Commissione/Consiglio,
Racc. pag. I‑939, punto 13 e giurisprudenza ivi citata).
68 Di conseguenza, in una tale rete nazionale
definita dallo Stato membro, se una regione non è dotata, in misura e per un periodo rilevanti, di infrastrutture sufficienti a
soddisfare le sue esigenze per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti, si
può dedurre che dette gravi carenze a livello regionale possono compromettere
la rete nazionale di impianti di eliminazione dei rifiuti, privandola delle
caratteristiche di integrazione ed adeguatezza richieste dalla direttiva
2006/12, che consenta allo Stato membro interessato di perseguire individualmente
l’obiettivo di autosufficienza definito all’art. 5, n. 1, della
direttiva in parola.
69 Nella fattispecie, occorre
rilevare, come ha sottolineato la Commissione, che la
Repubblica italiana ha essa stessa operato la scelta di una gestione dei rifiuti
a livello della regione Campania in quanto «ambito territoriale ottimale».
Infatti, come risulta dalla legge regionale del 1993 e
dal piano regionale di gestione dei rifiuti del 1997, come modificato da quello
del 2007, è stato deciso, per conseguire l’autosufficienza regionale, di
costringere i comuni della regione Campania a consegnare i rifiuti raccolti sul
loro territorio al servizio regionale; tale obbligo poteva giustificarsi, in
definitiva, con la necessità di garantire un livello di attività indispensabile
alla redditività dei suddetti impianti di smaltimento, al fine di preservare
l’esistenza di capacità di smaltimento tali da concorrere all’attuazione del
principio di autosufficienza a livello nazionale (v. sentenza 13 dicembre 2001,
causa C‑324/99, DaimlerChrysler, Racc. pag. I‑9897,
punto 62).
70 Inoltre, poiché, secondo le
affermazioni della Repubblica italiana, da un lato, la
produzione di rifiuti urbani della regione Campania rappresenta il 7% della
produzione nazionale, cioè una quota non trascurabile di tale produzione, e,
dall’altro, la popolazione di detta regione rappresenta circa il 9% della
popolazione nazionale, una carenza importante nella capacità di tale regione di
eliminare i suoi rifiuti è tale da compromettere seriamente la capacità di
detto Stato membro di perseguire l’obiettivo dell’autosufficienza nazionale.
71 Pertanto, occorre esaminare se,
all’interno della rete nazionale italiana di impianti
di smaltimento dei rifiuti, tale regione disponga di impianti sufficienti per
garantire uno smaltimento dei rifiuti urbani nelle vicinanze del luogo di
produzione.
72 A tale proposito, la Repubblica italiana ha riconosciuto che gli impianti in
servizio, fossero essi discariche, inceneritori o termovalorizzatori, non erano
in numero sufficiente a consentire di soddisfare le esigenze di smaltimento dei
rifiuti della regione Campania.
73 Infatti, la Repubblica italiana ha ammesso
che, alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, un’unica discarica
era in servizio per tutta la regione Campania, che gli impianti di produzione
di CDR di detta regione non permettevano di
assicurare lo smaltimento definitivo dei rifiuti e che gli inceneritori
previsti ad Acerra e a Santa Maria La Fossa continuavano
a non essere in funzione.
74 Come risulta
dal piano regionale di gestione dei rifiuti approvato nel 1997 e dai piani
successivi adottati dalle autorità italiane per rimediare alla crisi dei
rifiuti, tali autorità hanno in particolare ritenuto che, per riuscire a
soddisfare le esigenze di smaltimento dei rifiuti urbani nella regione
Campania, dovessero entrare in servizio altre discariche, come quelle di
Savignano Irpino e di Sant’Arcangelo Trimonte, dovessero aggiungersi altri due inceneritori a
quelli previsti ad Acerra e a Santa Maria La Fossa, e
dovessero essere resi effettivamente operativi gli impianti di produzione di CDR.
75 Benché l’art. 5 della direttiva 2006/12 consenta una cooperazione
interregionale nella gestione e smaltimento dei rifiuti, e persino una
cooperazione tra Stati membri, cionondimeno, nel caso di specie, anche con
l’assistenza di altre regioni italiane e delle autorità tedesche, non è stato
possibile rimediare al deficit strutturale in termini di impianti necessari
allo smaltimento dei rifiuti urbani prodotti nella regione Campania. Ciò è
attestato dai quantitativi ingenti di rifiuti
ammassati per le strade di questa regione.
76 Inoltre, il basso tasso di
raccolta differenziata dei rifiuti nella regione
Campania, rispetto alla media nazionale e comunitaria, ha ulteriormente
aggravato la situazione.
77 La Repubblica
italiana ha sostenuto dinanzi alla Corte di adoperarsi per rimediare
alla situazione in Campania e l’ha informata dell’entrata in funzione
effettiva, successiva al 2 maggio 2008, delle discariche di Savignano Irpino e di Sant’Arcangelo Trimonte,
nonché delle misure previste dal nuovo piano in data 23 maggio 2008, che
comprendono la costruzione di altri due inceneritori e la realizzazione dei
termovalorizzatori di Acerra e di Salerno. Inoltre,
il tasso di raccolta differenziata nella regione
sarebbe nettamente migliorato e le capacità di smaltimento giornaliero dei
rifiuti nella regione sarebbero superiori alla produzione, per cui la
situazione di crisi dei rifiuti potrebbe dirsi superata.
78 Benché siffatte misure provino che
talune iniziative sono state intraprese per superare le difficoltà della
regione Campania, cionondimeno in tal modo la Repubblica
italiana riconosce chiaramente che, alla scadenza del termine fissato
nel parere motivato, gli impianti esistenti e in funzione nella regione
Campania erano ben lontani dal soddisfare le esigenze reali di tale regione in
termini di smaltimento dei rifiuti.
79 D’altra parte e in ogni caso,
occorre ricordare che la Corte ha ripetutamente dichiarato che l’esistenza di
un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si
presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, e che non
possono essere prese in considerazione dalla Corte modifiche successivamente
intervenute (v., in particolare, sentenze 14 settembre 2004, causa C‑168/03,
Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑8227, punto 24, e 27 ottobre
2005, causa C‑23/05, Commissione/Lussemburgo, Racc. pag. I‑9535,
punto 9).
80 La Repubblica italiana afferma
altresì che l’inadempimento addebitatole non le sarebbe imputabile e che, al
contrario, sarebbe riconducibile a taluni eventi che costituirebbero casi di
forza maggiore, come l’opposizione della popolazione all’installazione di
discariche sul territorio dei loro comuni, l’esistenza di attività criminali
nella regione nonché la mancata esecuzione da parte
delle controparti contrattuali dell’amministrazione degli obblighi ad esse
incombenti, riguardanti la realizzazione di taluni impianti necessari alla
regione.
81 In proposito, occorre rilevare che
il procedimento di cui all’art. 258 TFUE si
fonda sull’oggettiva constatazione del mancato rispetto, da parte di uno Stato
membro, degli obblighi che ad esso impone il Trattato o
un atto di diritto derivato (v. sentenze 1° marzo 1983, causa 301/81,
Commissione/Belgio, Racc. pag. 467, punto 8, e 4 maggio 2006, causa C‑508/03,
Commissione/Regno Unito, Racc. pag. I‑3969, punto 67).
82 Una volta giunti, come nella
fattispecie, a un siffatto accertamento, è irrilevante che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato membro al quale è
addebitabile, dalla sua negligenza, oppure dalle difficoltà tecniche cui
quest’ultimo abbia dovuto far fronte (sentenza 1° ottobre 1998, causa C‑71/97,
Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑5991, punto 15).
83 Per quanto riguarda l’opposizione
manifestata dalla popolazione locale all’installazione di taluni impianti di
smaltimento, risulta da giurisprudenza costante che
uno Stato membro non può eccepire situazioni interne, come difficoltà di
attuazione emerse nella fase di esecuzione di un atto comunitario, comprese
quelle dovute alla resistenza di privati, per giustificare l’inosservanza degli
obblighi e termini imposti dal diritto comunitario (v. sentenze 7 aprile 1992,
causa C‑45/91, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑2509,
punti 20 e 21, nonché 9 dicembre 2008, causa C‑121/07,
Commissione/Francia, Racc. pag. I‑9159, punto 72).
84 In merito alla presenza di
organizzazioni criminali o di persone connotate come operanti «al limite della
legalità» che sarebbero attive nel settore della gestione dei rifiuti, è
sufficiente rilevare che tale circostanza, anche supponendola provata, non può
giustificare la violazione, da parte di tale Stato membro, degli obblighi ad esso incombenti in forza della direttiva 2006/12
(sentenza 18 dicembre 2007, Commissione/Italia, cit., punto 51).
85 Per quanto attiene agli
inadempimenti contrattuali da parte delle imprese incaricate della
realizzazione di taluni impianti di smaltimento dei rifiuti, è sufficiente
altresì ricordare che la nozione di forza maggiore, pur non postulando
un’impossibilità assoluta, esige cionondimeno che il mancato verificarsi
dell’evento in causa sia imputabile a circostanze indipendenti da chi le fa valere,
straordinarie ed imprevedibili, le cui conseguenze
sarebbe stato impossibile evitare malgrado tutta la diligenza posta (sentenza McNicholl e a., cit., punto 11).
86 Orbene, un’amministrazione
diligente avrebbe dovuto adottare le misure necessarie a tutelarsi contro
inadempimenti contrattuali come quelli avvenuti in Campania o a garantire che,
nonostante tali mancanze, fosse assicurata la realizzazione effettiva e nei
tempi previsti delle infrastrutture necessarie allo smaltimento dei rifiuti della regione.
87 Quanto alla censura mossa dalla Repubblica italiana alla Commissione, con cui si critica il
fatto che il presente ricorso sia stato presentato anni dopo che la crisi dei
rifiuti era esplosa e proprio quando tale Stato membro aveva adottato le misure
che consentivano di uscire dalla crisi, occorre ricordare che, per costante
giurisprudenza della Corte, le norme di cui all’art. 258 TFUE devono essere applicate senza che la Commissione sia
tenuta ad osservare un termine prestabilito (v., in particolare, sentenze 16
maggio 1991, causa C‑96/89, Commissione/Paesi Bassi,
Racc. pag. I‑2461, punto 15, e 24 aprile 2007, causa C‑523/04,
Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I‑3267, punto 38).
Essa dispone così del potere di decidere quando si debba eventualmente proporre
un ricorso e non spetta alla Corte, in linea di principio, sindacare tale
decisione (sentenza 10 maggio 1995, causa C‑422/92, Commissione/Germania,
Racc. pag. I‑1097, punto 18).
88 Alla luce di quanto precede,
occorre dichiarare che la Repubblica italiana, non
essendosi assicurata che, nell’ambito della gestione regionale dei rifiuti
nella regione Campania, detta regione disponesse di un numero di impianti
sufficiente a consentirle di smaltire i suoi rifiuti urbani nelle vicinanze del
luogo di produzione, è venuta meno all’obbligo ad essa incombente di creare una
rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento che le consentissero di
perseguire l’obiettivo di assicurare lo smaltimento dei suoi rifiuti e, di
conseguenza, ha violato gli obblighi ad essa incombenti in forza
dell’art. 5 della direttiva 2006/12.
Sulla violazione dell’art. 4
della direttiva 2006/12
Argomenti delle parti
89 La Commissione sottolinea
che la Repubblica italiana non avrebbe mai negato l’esistenza di una situazione
estremamente grave per l’ambiente e per la salute umana, derivante dalla
mancanza di una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento dei
rifiuti. Al contrario, tale Stato membro l’avrebbe espressamente riconosciuta.
90 Alla luce, in particolare, delle
sentenze 26 aprile 2007, causa C‑135/05, Commissione/Italia
(Racc. pag. I‑3475), e 24 maggio 2007, causa C‑361/05,
Commissione/Spagna, la Commissione ritiene incontestabile che i rifiuti
giacenti nelle strade, nonché quelli in attesa di
trattamento presso i siti di stoccaggio, costituiscano un degrado significativo
dell’ambiente e del paesaggio e una reale minaccia tanto per l’ambiente quanto
per la salute umana. Infatti, tali accumuli potrebbero determinare una
contaminazione del suolo e delle falde acquifere, il rilascio di sostanze
inquinanti nell’atmosfera a seguito dell’autocombustione dei rifiuti o degli
incendi provocati dalla popolazione, con conseguente inquinamento dei prodotti
agricoli e dell’acqua potabile, o, ancora, emanazioni maleodoranti.
91 La Repubblica
italiana afferma, sulla base di uno studio dei servizi del commissario
delegato, che la situazione in Campania, per quanto concerne la gestione dei
rifiuti, non avrebbe avuto conseguenze pregiudizievoli per la pubblica
incolumità e per la salute umana. Essa sostiene altresì che l’addebito della
Commissione sarebbe eccessivamente generico, in quanto
non specificherebbe a quale delle tre ipotesi previste dalle lett. a), b)
e c) dell’art. 4 della direttiva 2006/12 si riferisca il presente ricorso.
92 Peraltro, la Repubblica
italiana ritiene che la Commissione non fornisca alcuna prova a sostegno
delle proprie deduzioni. Essa si limiterebbe a richiamare quanto affermato
dalla Corte, nella citata sentenza 26 aprile 2007, Commissione/Italia, circa
l’esistenza di discariche abusive sul territorio italiano. Inoltre, essa
cercherebbe di far derivare automaticamente dalla violazione dell’art. 5 della direttiva 2006/12 un inadempimento all’art. 4
della medesima.
93 Infine, le autorità italiane avrebbero
monitorato da vicino l’impatto sulla salute delle persone dei rifiuti
abbandonati sulle strade, senza che sia stato peraltro osservato alcun aumento,
correlato alla presenza di discariche abusive, né del numero di malattie
infettive, né della mortalità per tumori, né delle malformazioni congenite.
Quanto all’inquinamento delle falde, ad eccezione di due superamenti sporadici
in aree limitate, le falde e le acque freatiche non avrebbero presentato
anomalie chimiche o biologiche. Lo stesso varrebbe riguardo all’esposizione
della popolazione ai fumi degli incendi derivanti dai cumuli di rifiuti poiché,
eccettuato un caso, non si sarebbe rilevato alcun rischio.
94 Riguardo
allo studio su cui si basa la Repubblica italiana e secondo il quale «anche nel
momento più acuto della crisi nella regione Campania non vi sono state
conseguenze pregiudizievoli per la pubblica incolumità ed in particolare per la
salute umana», la Commissione sottolinea che i risultati di tale studio, cofirmato dall’Organizzazione mondiale della sanità,
«corroborano la nozione di un’anomalia nello stato di salute della popolazione
residente nei comuni dell’area Nord Est della provincia di Napoli e Sud Ovest
della provincia di Caserta; questa zona è anche quella maggiormente interessata
da pratiche illegali di smaltimento e incenerimento di rifiuti solidi urbani e
pericolosi». Lo studio in questione avrebbe anche confermato «l’ipotesi che
eccessi di mortalità e di malformazioni tendano a concentrarsi nelle zone dove
è più intensa la presenza di siti conosciuti di smaltimento dei rifiuti» e,
comunque, indicherebbe che «(…) [la] bassa risoluzione
di dati sanitari e [la] natura incompleta dei dati ambientali (…) producono
verosimilmente una sottostima del rischio».
95 L’affermazione della Repubblica italiana sull’assenza di conseguenze
pregiudizievoli per la salute non soltanto non sarebbe avvalorata dalle prove
scientifiche prodotte dallo Stato membro medesimo, ma sembrerebbe subordinare
la violazione dell’art. 4 della direttiva 2006/12 all’esistenza di
problemi di salute direttamente riconducibili all’emergenza rifiuti. Tuttavia,
la Commissione ritiene, al contrario, che gli obblighi derivanti
dall’art. 4 siano di natura precauzionale.
Dunque, gli Stati membri dovrebbero adottare le misure adeguate atte ad evitare situazioni di pericolo. Orbene, nella
fattispecie, le situazioni di pericolo per l’ambiente e la sanità pubblica
sarebbero più che accertate, persisterebbero da lungo
tempo e costituirebbero il risultato del comportamento o, piuttosto,
dell’inerzia delle autorità italiane competenti.
Giudizio della Corte
96 Si deve ricordare, in limine, che,
sebbene l’art. 4, n. 1, della direttiva 2006/12 non precisi il
contenuto concreto delle misure che debbono essere
adottate per assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la
salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente, ciò non toglie che la
direttiva vincola gli Stati membri circa l’obiettivo da raggiungere, pur
lasciando agli stessi un potere discrezionale nella valutazione della necessità
di tali misure (sentenze 9 novembre 1999, causa C‑365/97,
Commissione/Italia, Racc. pag. I‑7773, punto 67, e 18
novembre 2004, causa C‑420/02, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑11175,
punto 21).
97 Non è quindi in via di principio
possibile dedurre direttamente dalla mancata conformità di una situazione di
fatto agli obiettivi fissati all’art. 4, n. 1, della direttiva
2006/12 che lo Stato membro interessato sia necessariamente venuto meno agli
obblighi imposti da questa disposizione, cioè adottare le misure necessarie per
assicurare che i rifiuti siano smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo
e senza recare pregiudizio all’ambiente. Tuttavia, la persistenza di una tale
situazione di fatto, in particolare quando comporta un degrado rilevante
dell’ambiente per un periodo prolungato senza intervento delle autorità
competenti, può rivelare che gli Stati membri hanno oltrepassato il potere
discrezionale che questa disposizione conferisce loro
(sentenze citate 9 novembre 1999, Commissione/Italia, punto 68, e 18
novembre 2004, Commissione/Grecia, punto 22).
98 Per quanto riguarda l’estensione
territoriale dell’asserito inadempimento, il fatto che il ricorso della Commissione miri a far constatare che la Repubblica
italiana è venuta meno all’obbligo di adottare le misure necessarie nella sola
regione Campania non può incidere sull’eventuale accertamento di un
inadempimento (v. sentenza 9 novembre 1999, Commissione/Italia, cit.,
punto 69).
99 Infatti, le conseguenze del mancato
rispetto dell’obbligo derivante dall’art. 4, n. 1, della direttiva
2006/12 rischiano, per la natura stessa di tale obbligo, di mettere in pericolo
la salute dell’uomo e di recare pregiudizio all’ambiente anche in una parte
ridotta del territorio di uno Stato membro (sentenza 9 novembre 1999,
Commissione/Italia, cit., punto 70), come era avvenuto nella causa che ha
dato luogo alla citata sentenza 7 aprile 1992, Commissione/Grecia.
100 Occorre quindi verificare se la
Commissione abbia sufficientemente dimostrato che, alla scadenza del termine
fissato nel parere motivato, la Repubblica italiana
aveva omesso, per un periodo prolungato, di adottare le misure necessarie ad
assicurarsi che i rifiuti prodotti nella regione Campania fossero recuperati o
smaltiti senza pericolo per la salute umana e senza ricorrere a procedure o
metodi atti a recare pregiudizio all’ambiente.
101 Se è vero che, nel caso di una
procedura per inadempimento ai sensi dell’art. 258 TFUE, spetta alla Commissione valutare l’esistenza
dell’inadempimento contestato fornendo alla Corte gli elementi necessari alla
verifica dell’esistenza di tale inadempimento, senza che sia ammessa una
qualsiasi presunzione (sentenza 22 gennaio 2009, causa C‑150/07,
Commissione/Portogallo, punto 65 e giurisprudenza ivi
citata), si deve tener conto del fatto che, nel verificare la corretta
applicazione pratica delle disposizioni nazionali destinate a garantire
l’effettiva attuazione della direttiva 2006/12, la Commissione, che non dispone
di propri poteri di indagine in materia, dipende in ampia misura dagli elementi
forniti da eventuali denuncianti, da enti privati o pubblici, dalla stampa,
nonché dallo stesso Stato membro interessato (v., in tal senso, sentenze 26
aprile 2005, causa C‑494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑3331,
punto 43, e 26 aprile 2007, Commissione/Italia, cit., punto 28).
102 Pertanto, allorché
la Commissione ha fornito sufficienti elementi che fanno emergere fatti
verificatisi nel territorio dello Stato membro convenuto, spetta a quest’ultimo
contestare in maniera sostanziale e dettagliata i dati così presentati e le
conseguenze che ne derivano (v., in tal senso, sentenze 9 novembre 1999,
Commissione/Italia, cit., punti 84 e 86, nonché 22 dicembre 2008, causa C‑189/07,
Commissione/Spagna, punto 82).
103 A tale proposito, occorre
anzitutto rilevare che la Repubblica italiana non
contesta la circostanza che, alla data di scadenza del termine fissato nel
parere motivato, i rifiuti giacenti nelle strade ammontavano a 55 000
tonnellate, che si aggiungevano alla cifra compresa tra 110 000 e
120 000 tonnellate di rifiuti in attesa di trattamento nei siti comunali
di stoccaggio. In ogni modo, tali dati risultano dalla
nota del commissario delegato in data 2 marzo 2008, allegata alla risposta
dello Stato membro interessato al parere motivato. Inoltre, secondo gli
elementi forniti da detto Stato, le popolazioni esasperate da tali ammassi
hanno provocato incendi nei cumuli di immondizie, a
danno dell’ambiente e della propria salute.
104 Da quanto precede risulta quindi in modo lampante che nella regione Campania
tale Stato membro non è stato in grado di adempiere l’obbligo ad esso
incombente, in forza dell’art. 4, n. 2, della direttiva 2006/12, di
adottare le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo
smaltimento incontrollato dei rifiuti.
105 Infine, occorre ricordare che i
rifiuti sono oggetti di natura particolare, cosicché il loro accumulo, ancor
prima di diventare pericoloso per la salute, costituisce, tenuto conto in
particolare della capacità limitata di ciascuna regione o località di
riceverli, un pericolo per l’ambiente (sentenza 9 luglio 1992, causa C‑2/90,
Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑4431, punto 30).
106 Un accumulo nelle strade e nelle
aree di stoccaggio temporanee di quantitativi così
ingenti di rifiuti, come è avvenuto nella regione Campania alla scadenza del
termine fissato nel parere motivato, ha dunque indubbiamente creato un rischio
«per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora» ai sensi
dell’art. 4, n. 1, lett. a), della direttiva 2006/12. Inoltre,
tali quantitativi di rifiuti provocano inevitabilmente «inconvenienti da
odori», ai sensi del n. 1, lett. b), di tale
articolo, in particolare se i rifiuti rimangono per un lungo periodo
abbandonati a cielo aperto nelle strade o nelle vie.
107 D’altra parte, tenuto conto della
mancanza di disponibilità di discariche sufficienti, la presenza di tali
quantitativi di rifiuti fuori dai luoghi di stoccaggio adeguati ed autorizzati, può «danneggiare il paesaggio e i siti di
particolare interesse» ai sensi dell’art. 4, n. 1, lett. c),
della direttiva 2006/12.
108 In considerazione del carattere
circostanziato degli elementi prodotti dalla Commissione, segnatamente i
diversi rapporti redatti dalle stesse autorità italiane e comunicati alle
istituzioni europee nonché gli articoli di giornale
allegati al suo ricorso, e tenuto conto della giurisprudenza citata ai punti 80
e 81 della presente sentenza, la Repubblica italiana non può limitarsi ad affermare
che i fatti addebitatile non sono provati o che gli sversamenti
di rifiuti nelle strade, in particolare di Napoli, sono indipendenti dalla sua
volontà.
109 Inoltre, come giustamente sostiene
la Commissione, l’art. 4, n. 1, della direttiva 2006/12 ha una
funzione preventiva nel senso che gli Stati membri non devono esporre la salute
umana ad un pericolo nel corso di operazioni di
recupero e smaltimento dei rifiuti.
110 Orbene, la Repubblica
italiana stessa ha ammesso la pericolosità della situazione in Campania
per la salute umana, in particolare nei rapporti e nelle note trasmessi alle
istituzioni europee. A tale riguardo, i ‘considerando’ del decreto legge
n. 90/2008, notificato dalla Repubblica italiana
alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea, si riferiscono
esplicitamente alla «gravità del contesto socio-economico-ambientale
derivante dalla situazione di emergenza [concernente la gestione dei rifiuti],
suscettibile di compromettere gravemente i diritti fondamentali della
popolazione della regione Campania, (…) esposta a rischi di natura
igienico-sanitaria ed ambientale».
111 Da ciò risulta che gli elementi
addotti dalla Repubblica italiana nell’ambito del
presente ricorso, per provare che tale situazione non ha avuto in pratica
alcuna conseguenza o, per lo meno, ha avuto solo minime ripercussioni sulla
salute delle persone, non sono tali da confutare la constatazione secondo cui
la situazione preoccupante di accumulo di rifiuti nelle strade ha esposto la
salute della popolazione ad un rischio certo, in violazione dell’art. 4,
n. 1, della direttiva 2006/12.
112 Di conseguenza, la censura
sollevata dalla Commissione vertente sulla violazione dell’art. 4 della direttiva 2006/12 deve essere dichiarata fondata.
113 In considerazione di tutto quanto
precede, occorre dichiarare che la Repubblica italiana,
non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per
assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la
salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, non
avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, è
venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 4 e 5
della direttiva 2006/12.
Sulle spese
114 Ai sensi dell’art. 69,
n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle
spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la
Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica
italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata
alle spese. Ai sensi dell’art. 69, n. 4, del regolamento di
procedura, il Regno Unito sopporta le proprie spese.
Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e
statuisce:
1) La Repubblica
italiana, non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le misure
necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza
pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in
particolare, non avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di
smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli
artt. 4 e 5 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5
aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti.
2) La Repubblica italiana è
condannata alle spese.
3) Il Regno Unito di Gran Bretagna
e Irlanda del Nord sopporta le proprie spese.