Corte di Giustizia delle Comunità europee, 6 marzo
2001
C-274/99 P, Bernard Connolly – Commissione
delle Comunità europee
Bernard Connolly,
ex dipendente
della Commissione delle Comunità europee,
residente in
Londra (Regno Unito),
rappresentato
dagli avv.ti J. Sambon e P.-P. van Gehuchten,
con domicilio
eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
avente ad
oggetto il ricorso diretto all'annullamento della sentenza pronunciata dal
Tribunale di primo grado delle Comunità europee (Prima Sezione) il 19 maggio
1999 nelle cause riunite T-34/96 e T-163/96, Connolly/Commissione
(Racc. PI pagg. I-A-87 e II-463),
procedimento in
cui l'altra parte è:
Commissione
delle Comunità europee,
rappresentata
dai signori G. Valsesia e J. Currall,
in qualità di
agenti,
assistiti
dall'avv. D. Waelbroeck,
con domicilio
eletto in Lussemburgo,
convenuta in
primo grado,
composta dai
signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C. Gulmann, A.
avvocato generale:
D. Ruiz-Jarabo Colomer
cancelliere: R. Grass
vista la
relazione d'udienza,
sentite le
difese orali svolte dalle parti all'udienza del 12 settembre 2000,
sentite le
conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 19 ottobre 2000,
ha pronunciato
la seguente
Sentenza
Motivazione della sentenza
1 Con atto
introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 20 luglio 1999, il
signor Connolly ha proposto, a norma dell'art. 49
dello Statuto CE della Corte di giustizia e delle corrispondenti disposizioni
degli Statuti CECA e CEEA della Corte di giustizia, un ricorso contro la
sentenza pronunciata dal Tribunale di primo grado il 19 maggio 1999 nelle cause
riunite T-34/96 e T-163/96, Connolly/Commissione (Racc. PI pagg. I-A-87 e II-463; in prosieguo: la «sentenza
impugnata»), che ha respinto, da un lato, il ricorso di annullamento
proposto dal signor Connolly contro il parere 7
dicembre 1995 della commissione di disciplina e contro la decisione 16 gennaio
1996 dell'autorità che ha il potere di nomina (in prosieguo: l'«APN»), con la
quale quest'ultima ha inflitto al detto ricorrente la
sanzione della destituzione senza perdita dei diritti relativi alla pensione di
anzianità (in prosieguo: la «decisione di destituzione») e, dall'altro, la
domanda di risarcimento da lui presentata.
Contesto
normativo
«Il
funzionario deve esercitare le sue funzioni e conformare la sua condotta al
dovere di servire esclusivamente le Comunità, senza chiedere né accettare
istruzioni da alcun governo, autorità, organizzazione o persona estranei
all'istituzione di appartenenza.
Senza
l'autorizzazione dell'autorità che ha il potere di nomina, il funzionario non
può accettare da un governo, né da enti o persone estranei all'istituzione di appartenenza, onorificenze, decorazioni, favori, doni,
compensi di qualsiasi natura, salvo che per servizi resi, sia prima della sua
nomina, sia nel corso di un congedo straordinario per servizio militare o
nazionale, e a motivo di tali servizi».
«Il
funzionario deve astenersi dal compiere qualsiasi atto e, in particolare,
dall'esprimere pubblicamente opinioni che possano
menomare la dignità della sua funzione.
(...)
Il funzionario
che intenda esercitare un'attività esterna anche a titolo gratuito, ovvero assolvere un mandato all'esterno delle Comunità, deve
chiederne l'autorizzazione all'autorità che ha il potere di nomina. Questa
autorizzazione viene rifiutata quando l'attività o il
mandato possono nuocere all'indipendenza del funzionario o pregiudicare
l'attività delle Comunità».
«Il
funzionario non deve pubblicare, né far pubblicare,
solo o in collaborazione, scritti il cui oggetto riguardi l'attività delle
Comunità senza autorizzazione dell'autorità che ha il potere di nomina.
L'autorizzazione può essere negata solo quando la
pubblicazione prevista sia di natura da compromettere gli interessi delle
Comunità».
Fatti
all'origine della controversia
5 I fatti
all'origine del ricorso sono esposti nella sentenza impugnata nei seguenti
termini:
«1 All'epoca
dei fatti, il ricorrente, signor Connolly, era
funzionario della Commissione di grado A 4, quarto scatto, nonché
capo dell'unità 3 "SME, politiche monetarie nazionali e comunitarie",
nell'ambito della direzione D "affari monetari" presso la direzione
generale degli affari economici e finanziari (DG II) (...).
3 Il 24 aprile
1995 il signor Connolly presentava, a norma dell'art.
40 dello Statuto, una domanda di aspettativa per
motivi personali per un periodo di tre mesi a partire dal 3 luglio 1995,
dichiarando che i motivi di tale domanda erano: a) assistere suo figlio,
durante le vacanze scolastiche, ai fini della preparazione del medesimo
all'ingresso in una università del Regno Unito; b) permettere a suo padre di
passare qualche tempo con la famiglia del richiedente; c) dedicarsi alla
riflessione su temi di teoria economica e di politica e "ristabilire i
suoi rapporti con la letteratura". Con decisione 2 giugno 1995,
4 Con lettera
18 agosto 1995, il signor Connolly chiedeva di essere
reintegrato nei servizi della Commissione allo scadere del periodo di aspettativa per motivi personali concessogli. Con
decisione 27 settembre 1995,
5 Durante il
periodo di aspettativa per motivi personali, il signor
Connolly pubblicava un libro intitolato The rotten heart of Europe. The dirty
war for Europe's money,
senza richiedere la necessaria autorizzazione preventiva.
6 All'inizio
di settembre - più precisamente, tra il 4 ed il 10 settembre 1995 - veniva pubblicata sulla stampa europea e soprattutto
britannica una serie di articoli riguardanti tale libro.
7 Con lettera
6 settembre 1995, il direttore generale del personale e dell'amministrazione,
nella sua qualità di autorità che ha il potere di
nomina (...), informava il ricorrente della propria decisione di avviare contro
di lui un procedimento disciplinare per violazione degli artt.
11, 12 e 17 dello Statuto, e lo convocava per un'audizione preliminare, a norma
dell'art. 87 dello Statuto.
8 Il 12
settembre 1995 aveva luogo una prima audizione del
ricorrente, nel corso della quale quest'ultimo
depositava una dichiarazione scritta, affermando che non avrebbe risposto ad
alcuna domanda senza prima aver preso conoscenza delle specifiche violazioni
che gli venivano contestate.
9 Con lettera
in data 13 settembre, l'APN informava il ricorrente che le violazioni oggetto di addebito erano conseguenti alla pubblicazione del suo
libro ed alla pubblicazione per estratti del medesimo sul quotidiano The Times, nonché alle frasi da lui pronunciate in tale
occasione nel corso di un colloquio pubblicato sul medesimo giornale, il tutto
in assenza di autorizzazione preventiva, e convocava nuovamente il detto
ricorrente per sentirlo su tali fatti alla luce degli obblighi su di esso
incombenti in forza degli artt. 11, 12 e 17 dello
Statuto.
10 Il 26
settembre
11 Con
decisione 27 settembre 1995, adottata a norma dell'art. 88 dello Statuto, l'APN
sospendeva il signor Connolly dalle sue funzioni con
effetto dal 3 ottobre 1995, disponendo la ritenuta della metà del suo stipendio
base durante il periodo di sospensione.
12 Il 4
ottobre
(...)
16 Il 7
dicembre 1995, la commissione di disciplina emetteva il proprio parere,
notificato al ricorrente il 15 dicembre successivo, con il quale essa
raccomandava di infliggere al ricorrente medesimo la sanzione della
destituzione senza perdita dei diritti alla pensione di anzianità
[in prosieguo: il "parere della commissione di disciplina" (...)].
17 Il 9
gennaio 1996, il ricorrente veniva sentito dall'APN,
ai sensi dell'art. 7, terzo comma, dell'allegato IX.
18 Con
decisione in data 16 gennaio
19 La
decisione di destituzione è motivata nei seguenti termini:
"considerando
che il signor Connolly è stato nominato, in data 16
maggio 1990, capo dell'unità [II.D.3];
considerando
che, per le sue funzioni, il signor Connolly era
chiamato, insieme ad altri, a preparare ed a partecipare ai lavori del comitato
monetario, del sottocomitato per la politica monetaria e del comitato dei
[governatori], a seguire le politiche monetarie negli Stati membri e ad analizzare
le implicazioni monetarie dell'attuazione dell'Unione economica e monetaria;
considerando che
il signor Connolly ha scritto un'opera, che è stata
pubblicata all'inizio del settembre 1995 con il titolo The Rotten
Heart of Europe;
considerando che
tale opera verte sull'evoluzione del processo di integrazione europea
nell'ambito economico e monetario nel corso degli ultimi anni e che essa è
stata elaborata dal signor Connolly sulla base della
sua esperienza professionale nell'esercizio delle sue funzioni in seno alla
Commissione;
considerando che
il signor Connolly non ha richiesto all'APN
l'autorizzazione necessaria per far pubblicare il libro in questione ai sensi
dell'art. 17 dello Statuto, il quale si applica a tutti i funzionari;
considerando che
il signor Connolly non poteva ignorare che tale
autorizzazione gli sarebbe stata rifiutata per i medesimi motivi che avevano
portato al diniego di autorizzazioni in precedenza richieste per pubblicare
articoli nei quali il ricorrente aveva già esposto le proprie linee di
pensiero, costituenti il contenuto essenziale della presente opera;
considerando che
il signor Connolly, nella prefazione del proprio
libro The Rotten Heart of Europe, afferma che quest'ultimo
traeva origine dal fatto che egli, in relazione ad un altro libro, aveva
richiesto un'autorizzazione a pubblicare un capitolo sullo SME; che tale
autorizzazione gli era stata negata ed egli aveva ritenuto che fosse importante
rielaborare tale capitolo per farne un libro a sé stante;
considerando che
il signor Connolly ha approvato e collaborato
attivamente alla promozione del proprio libro, in particolare concedendo
un'intervista al quotidiano The Times in data 4
settembre 1995 - data in cui il Times ha pubblicato
anche estratti del detto libro - e scrivendo un articolo per il Times, pubblicato il 6 settembre 1995;
considerando che
il signor Connolly non poteva ignorare che la
pubblicazione della sua opera rifletteva un'opinione personale, divergente
dalla linea di condotta assunta dalla Commissione nella sua veste di
istituzione dell'Unione europea, responsabile del perseguimento di un obiettivo
di più vasta portata - costituente allo stesso tempo una scelta politica
fondamentale inscritta nell'ambito del Trattato dell'Unione - quale l'Unione
economica e monetaria;
considerando
che, con la sua condotta, il signor Connolly ha
gravemente leso gli interessi delle Comunità ed arrecato pregiudizio
all'immagine e alla reputazione dell'istituzione;
considerando che
il signor Connolly riconosce di aver percepito i
diritti di autore che gli sono stati pagati dai suoi editori a titolo di
corrispettivo per la pubblicazione della sua opera;
considerando
che, con il suo comportamento complessivo, il signor Connolly,
nella sua veste di funzionario tenuto a conformare la propria condotta al
dovere di servire esclusivamente
considerando
che, sulla scorta di ripetuti dinieghi opposti ad altrettante richieste di
autorizzazione alla pubblicazione, la natura e la gravità di tali violazioni
non possono sfuggire ad un funzionario normalmente diligente, del suo grado e
con le sue responsabilità;
considerando
che, a dispetto dei suoi doveri di lealtà ed onestà nei confronti
dell'istituzione, il signor Connolly non ha mai
avvertito i superiori gerarchici della sua intenzione di far pubblicare l'opera
in questione, malgrado egli restasse sottoposto, nella sua veste di funzionario
in aspettativa per motivi personali, agli obblighi di contegno a lui
incombenti;
considerando che
il comportamento del signor Connolly, per la sua
gravità, ha infranto in maniera irreparabile la fiducia che
(...)"
20 Con lettera
in data 7 marzo 1996, protocollata presso il segretariato generale della
Commissione il 14 marzo successivo, il ricorrente proponeva, a norma dell'art.
90, n. 2, dello Statuto, un reclamo contro il parere della commissione di
disciplina e contro la decisione di destituzione.
(...)
21 Con atto
introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 13 marzo 1996, il
ricorrente ha proposto un ricorso diretto all'annullamento del parere della
commissione di disciplina (causa T-34/96).
(...)
23 Il 18
luglio 1996, il ricorrente si è visto notificare la decisione espressa di
rigetto del reclamo da lui proposto contro il parere della commissione di
disciplina e contro la decisione di destituzione.
24 Con atto
introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 18 ottobre 1996, il
ricorrente ha proposto un ricorso diretto ad ottenere l'annullamento del parere
della commissione di disciplina e della decisione di destituzione, nonché il risarcimento dei danni (causa T-163/96).
(...)
30
All'udienza, si è preso atto che le domande ed i motivi dedotti nel ricorso
T-34/96 risultavano integralmente riproposti nel
ricorso T-163/96 e che, di conseguenza, il ricorrente rinunciava al primo dei
detti ricorsi».
La sentenza
impugnata
6 Dinanzi al
Tribunale, il ricorrente ha dedotto sette motivi a sostegno delle proprie
conclusioni dirette all'annullamento del parere della commissione di disciplina e della decisione di destituzione. Il primo
motivo era relativo ad irregolarità nello svolgimento del procedimento
disciplinare. Il secondo motivo si basava sulla
carenza di motivazione e sulla violazione - da parte della commissione di
disciplina - dell'art. 7 dell'allegato IX, dei diritti della difesa, nonché del
principio di buona amministrazione. Con il terzo, il quarto ed il quinto
motivo, il ricorrente invocava, rispettivamente, la violazione degli artt. 11, 12 e 17 dello Statuto. Il sesto motivo faceva
riferimento ad un manifesto errore di valutazione ed alla violazione del
principio di proporzionalità. Infine, il settimo motivo riguardava uno
sviamento di potere.
Sul primo
motivo, relativo ad irregolarità nello svolgimento del procedimento disciplinare
7 Il
ricorrente ha lamentato, in particolare, che la commissione di disciplina e
l'APN avessero preso in considerazione circostanze non
oggetto del procedimento disciplinare, vale a dire, da un lato, l'addebito
secondo cui la sua opera rifletteva una opinione incompatibile con la politica
seguita dalla Commissione al fine della realizzazione dell'Unione economica e
monetaria e, dall'altro, il fatto che egli aveva scritto un articolo,
pubblicato il 6 settembre 1995 nel quotidiano The Times,
ed aveva partecipato ad un programma televisivo il 26 settembre successivo. Il
ricorrente ha altresì censurato il fatto che la
commissione di disciplina non avesse predisposto una relazione in merito alla
vicenda nel suo complesso e che il presidente di tale organo avesse partecipato
attivamente ed in maniera parziale ai lavori della detta commissione.
Quanto alla
considerazione accordata ad elementi non oggetto del procedimento disciplinare
8 Il Tribunale
ha statuito, in particolare, quanto segue:
«44 Occorre
altresì respingere l'argomento del ricorrente secondo cui il rapporto dell'APN
che ha deferito il caso alla commissione di disciplina non comprende, tra i
fatti addebitati, il contenuto del libro, bensì si limita a fare riferimento a
violazioni formali degli artt. 11, 12 e 17 dello
Statuto. A questo proposito, occorre constatare come il detto rapporto evidenziasse, senza ambiguità, che il contenuto dell'opera
in questione - in particolare, il carattere polemico della medesima -
costituiva uno dei fatti addebitati al ricorrente. In particolare, ai punti 23
e seguenti del rapporto, l'APN ha fatto valere una violazione dell'art. 12
dello Statuto, con la motivazione secondo cui "la pubblicazione del libro
arreca pregiudizio, di per sé stessa, alla dignità
della funzione affidata al signor Connolly, in quanto
questi è stato capo dell'unità (...) incaricata, in seno alla Commissione,
delle questioni richiamate nel suo libro", ed "inoltre, nel suo
libro, il signor Connolly si lascia andare a certi
attacchi poco riguardosi e privi di fondamento nei confronti di alcuni
commissari e di altri membri del personale della Commissione, in modo tale da
offendere la dignità della sua funzione e da gettare discredito sulla
Commissione, in violazione degli obblighi che gli incombono in forza dell'art.
12". Successivamente, il rapporto menzionava espressamente
alcune delle espressioni usate dal ricorrente nella sua opera e riportava in
allegato numerosi estratti del libro in questione.
45 Ne consegue
che, a norma dell'art. 1 dell'allegato IX, il rapporto dell'APN esponeva i
fatti addebitati al ricorrente in maniera sufficientemente chiara perché questi
fosse in grado di esercitare i diritti della difesa spettantigli.
46 Tale
interpretazione risulta inoltre confermata dal fatto
che il ricorrente, come risulta dal processo verbale della sua audizione dinanzi
alla commissione di disciplina, ha avuto modo in tale occasione di illustrare
più volte le proprie ragioni in merito all'oggetto ed al contenuto dell'opera.
47 Peraltro,
occorre rilevare che il ricorrente, in occasione della sua ultima audizione
dinanzi all'APN, in data 9 gennaio 1996, non ha fatto valere che il parere
della commissione di disciplina era fondato su addebiti da considerarsi come
fatti nuovi, e neppure ha chiesto la riapertura del procedimento disciplinare,
come sarebbe stato suo diritto ai sensi dell'art. 11
dell'allegato IX (v., in tal senso, sentenza del Tribunale 26 gennaio 1995,
causa T-549/93, D/Commissione, Racc. PI pag. II-43,
punto 55).
48 Quanto
all'argomento secondo cui neppure la pubblicazione in data 6 settembre 1995 di
un articolo ai fini della promozione del suo libro e
la partecipazione ad una trasmissione televisiva il 26 settembre 1995 gli erano
state contestate nell'ambito del rapporto che aveva deferito il caso alla
commissione di disciplina, è sufficiente constatare come, contrariamente a
quanto asserito dal ricorrente, l'APN avesse fatto espresso riferimento a tali
fatti al punto 19 del detto rapporto.
49 Pertanto,
sulla scorta delle predette considerazioni, la prima parte del motivo deve
essere respinta».
Sulla mancata
predisposizione di una relazione dinanzi alla commissione di disciplina
9 Il Tribunale
ha statuito, in particolare, quanto segue:
«73 Nella
fattispecie, risulta dal processo verbale della prima
seduta della commissione di disciplina che, ai sensi dell'art. 3 dell'allegato
IX, il presidente ha designato come relatore uno dei membri della commissione
stessa, affinché venisse fornita una relazione su tutto l'insieme della
questione. Se i processi verbali inseriti nel fascicolo indubbiamente
dimostrano che il detto membro relatore non è stato il solo tra i membri della
commissione di disciplina ad interrogare il ricorrente ed il testimone in sede di audizioni, non può tuttavia da ciò dedursi che le
funzioni di relatore non siano state esercitate.
74 Peraltro, quanto
alla censura relativa alla mancata predisposizione di
una relazione sulla vicenda complessivamente considerata, occorre sottolineare
che l'art. 3 dell'allegato IX si limita a prevedere l'affidamento dell'incarico
di relatore, senza prescrivere formalità particolari per l'esecuzione di tale
incarico, quali ad esempio la predisposizione di una relazione scritta oppure
la comunicazione di tale relazione alle parti. Di conseguenza, non si può
escludere che una relazione possa essere presentata
oralmente dal relatore agli altri membri della commissione di disciplina. Nella
fattispecie, il ricorrente non ha dimostrato che siffatta relazione non è stata
presentata. Inoltre, il ricorrente non fornisce il minimo elemento idoneo a
dimostrare che la commissione di disciplina non ha proceduto ad un'inchiesta
sufficientemente completa, atta ad offrirgli tutte le garanzie contemplate
dallo Statuto [v. sentenza (29 gennaio 1985, causa 228/83)
F./Commissione, (Racc. pag. 275) punto 30, e sentenza
del Tribunale 28 giugno 1996, causa T-500/93, Y/Corte di giustizia, Racc. PI pag. II-977, punto 52], e che, pertanto, la detta
commissione non ha potuto giudicare con piena cognizione di causa. Sulla scorta
di tali premesse, l'argomentazione del ricorrente deve essere respinta.
(...)
76 Di
conseguenza, la terza parte del motivo in questione deve
essere respinta».
Sull'irregolare
partecipazione del presidente della commissione di disciplina al procedimento
10 Sul punto,
il Tribunale ha statuito quanto segue:
«82 Nella
fattispecie, emerge dal testo stesso del parere della commissione di disciplina che il presidente di quest'ultima
non ha partecipato al voto sul parere motivato e che tale parere è stato
adottato a maggioranza dagli altri quattro membri. Si evince altresì dai processi
verbali inseriti nel fascicolo che, all'apertura della fase deliberativa, il
presidente della commissione di disciplina si è limitato ad invitare i membri
della medesima a verificare se i fatti contestati fossero
provati ed a determinare la sanzione da infliggere, ciò che rientra nel normale
esercizio delle sue prerogative. Pertanto, il ricorrente non può validamente
invocare una violazione dell'art. 8 dell'allegato IX, a
motivo del fatto che il presidente della commissione di disciplina
avrebbe avuto un ruolo attivo nelle deliberazioni.
84 Quanto
all'asserito atteggiamento parziale tenuto dal presidente della commissione di
disciplina in danno del ricorrente nel corso delle
audizioni, esso non risulta corroborato da alcun elemento di prova. Di
conseguenza, posto che - oltre a quanto sopra rilevato - il ricorrente non ha
né fatto valere né dimostrato che la commissione di disciplina è venuta meno al
dovere ad essa incombente, nella sua veste di organo
istruttore, di decidere in maniera indipendente ed imparziale (v., a questo
proposito, sentenza F./Commissione, punto 16, e sentenza del Tribunale 19 marzo
1998, causa T-74/96, Tzoanos/Commissione, Racc. PI pag. II-343, punto 340), la tesi del ricorrente
deve essere respinta.
85 Pertanto,
la quarta parte del motivo in questione non può essere accolta».
11 Il
Tribunale ha pertanto respinto il primo motivo.
Sul secondo
motivo, relativo ad una carenza di motivazione ed alla
violazione, da parte della commissione di disciplina, dell'art. 7 dell'allegato
IX, dei diritti della difesa, nonché del principio di buona amministrazione
12 Il
ricorrente ha fatto valere che il parere della commissione di disciplina e la
decisione di destituzione, sotto l'apparenza di una motivazione formale, erano in realtà inficiati da una carenza di motivazione, nei
limiti in cui gli argomenti dedotti dal ricorrente a sostegno della propria
difesa sarebbero rimasti senza risposta, in particolare quelli riguardanti
l'inapplicabilità dell'art. 17, secondo comma, dello Statuto ai dipendenti in
aspettativa per motivi personali, l'erronea interpretazione dell'art. 12 dello
Statuto da parte dell'APN ed il carattere irregolare di talune dichiarazioni
rese dai responsabili della Commissione, i quali avrebbero anticipato la
decisione conclusiva del procedimento.
13 Il
Tribunale ha statuito, in particolare, quanto segue:
«92 A norma
dell'art. 7 dell'allegato IX, la commissione di disciplina, sulla base dei
documenti presentati e tenuto conto all'occorrenza delle dichiarazioni scritte
o verbali dell'interessato e dei testi, nonché delle
risultanze dell'inchiesta eventualmente svolta, deve formulare un parere
motivato sulla sanzione che a suo giudizio i fatti addebitati dovrebbero
comportare.
93 Peraltro, risulta da una costante giurisprudenza che la motivazione di
una decisione che reca pregiudizio ha lo scopo di consentire al giudice
comunitario di esercitare il suo controllo sulla legittimità della decisione e
di fornire all'interessato le indicazioni necessarie per stabilire se la
decisione sia fondata (sentenze della Corte 20 febbraio 1997, causa C-166/95 P,
Commissione/Daffix, Racc.
pag. I-983, punto 23, e 20 novembre 1997, causa
C-188/96 P, Commissione/V, Racc. pag. I-6561, punto 26; sentenza del Tribunale 16 luglio 1998, causa
T-144/96, Y/Parlamento, Racc. PI pag. II-1153, punto
21). La questione diretta a stabilire se la motivazione dell'atto in questione
soddisfa i requisiti posti dallo Statuto deve essere
valutata alla luce non solo del tenore letterale della motivazione stessa, ma
anche del contesto in cui essa si colloca nonché dell'insieme di norme
giuridiche che disciplinano la materia (sentenza Y/Parlamento, citata, punto
22). A questo proposito, occorre sottolineare che, pur
se la commissione di disciplina e l'APN sono tenute a menzionare gli elementi
di fatto e di diritto sui quali si fondano giuridicamente le loro decisioni e
le considerazioni che le hanno indotte ad adottare tali decisioni, non per
questo esse sono obbligate a discutere tutti gli argomenti di fatto e di
diritto sollevati dall'interessato nel corso del procedimento (v., per
analogia, sentenza della Corte 17 gennaio 1984, cause riunite 43/82 e 63/82,
VBVB e VBBB/Commissione, Racc. pag. 19, punto 22).
94 Nella
fattispecie, la commissione di disciplina e l'APN hanno
motivato l'applicazione dell'art. 17, secondo comma, dello Statuto sulla base
del fatto che "tutti i funzionari rimangono assoggettati (a tale
norma)", dopo che era stato esplicitamente rilevato, nel parere della
commissione di disciplina, che il ricorrente contestava l'applicazione di tale
norma in quanto egli si trovava collocato in aspettativa per motivi personali. Anche l'applicazione dell'art. 12 dello Statuto è
sufficientemente motivata in diritto. Infatti, il parere della commissione di
disciplina e la decisione di destituzione fanno
riferimento alle funzioni del ricorrente, sottolineando il tenore delle espressioni
contenute nell'opera di quest'ultimo nonché il modo
con cui egli si era assicurato della pubblicazione del libro, e traendone la
conclusione che il comportamento complessivo del ricorrente ha nuociuto alla
dignità della sua funzione. Pertanto, il parere e la decisione di destituzione
mettono chiaramente in relazione il comportamento del ricorrente con il
contenuto del divieto stabilito dall'art. 12 dello Statuto ed espongono i
motivi essenziali per i quali la commissione di disciplina e l'APN hanno ritenuto che le disposizioni di tale norma fossero
state violate. La questione se una tale valutazione sia
adeguata appartiene all'esame del merito e non rientra nella verifica del
carattere sufficiente o meno della motivazione.
95 Quanto alla
censura fondata sul fatto che non avrebbe ricevuto risposta l'argomento secondo
cui talune dichiarazioni di membri della Commissione avrebbero
compromesso l'imparzialità del procedimento avviato nei suoi confronti,
risulta dal fascicolo che, con questo argomento, il ricorrente si è limitato a
far valere dinanzi alla commissione di disciplina che "tale situazione richied[eva] dunque una vigilanza
e un'indipendenza del tutto particolari [da parte di quest'ultima]"
(allegato A.1 dell'inchiesta, pag. 17). Ora, il
ricorrente non fa valere che, nella fattispecie, la commissione di disciplina è
venuta meno al dovere che le incombe di statuire, nella sua veste di organo istruttore, in maniera indipendente ed imparziale.
Di conseguenza, tale censura non è pertinente.
(...)
97 Deve del
pari essere respinto l'argomento del ricorrente secondo cui il parere della
commissione di disciplina e la decisione di destituzione sono
insufficientemente motivati, nella misura in cui affermano che il ricorrente
"non poteva ignorare che la pubblicazione della sua opera rifletteva
un'opinione personale, discordante dalla linea di condotta assunta dalla
Commissione nella sua veste di istituzione dell'Unione
europea, responsabile del perseguimento di un obiettivo di più vasta portata -
costituente allo stesso tempo una scelta politica fondamentale inscritta
nell'ambito del Trattato dell'Unione - quale l'Unione economica e
monetaria". Infatti, occorre rilevare come la controversia vertesse su un
conflitto di opinioni evidente e noto tra il
ricorrente e
98 Occorre
aggiungere che il parere e la decisione di destituzione costituiscono la
conclusione di un procedimento disciplinare, i cui dettagli
erano sufficientemente noti all'interessato (sentenza Commissione/Daffix, citata, punto 34). Ebbene, come risulta
dal parere della commissione di disciplina, lo stesso ricorrente aveva
dichiarato, durante la sua audizione del 5 dicembre 1995, che, per più anni,
egli aveva fatto riferimento, nei documenti redatti nell'ambito delle sue
funzioni di capo dell'unità II.D.3, "a
contraddizioni che egli aveva scoperto negli orientamenti della Commissione in
materia economica e monetaria", e che, "poiché le sue analisi e
proposte avevano incontrato l'opposizione dei suoi superiori, egli aveva deciso
- vista la vitale importanza della materia in questione e considerato il
pericolo che la politica seguita dalla Commissione comportava per il futuro
dell'Unione - di renderle pubbliche". Benché il ricorrente, nella sua
replica, abbia contestato tali considerazioni contenute nel parere della
commissione di disciplina, occorre nondimeno constatare come esse
risultino chiaramente confermate dal processo verbale dell'audizione del
ricorrente medesimo, il cui contenuto non viene da lui contestato (v., in
particolare, pagg. 4-7 del processo verbale di audizione).
99 Pertanto,
visti tali elementi, le motivazioni del parere della commissione di disciplina
e della decisione di destituzione non possono essere ritenute insufficienti in relazione a tale punto.
(...)
101 Infine,
tenuto conto degli elementi sopra esposti, non è possibile dedurre una
violazione del principio di buona amministrazione e
dei diritti della difesa in ragione del fatto che la commissione di disciplina
ha deliberato il giorno stesso in cui è avvenuta l'audizione del ricorrente,
dal momento che tale circostanza è atta a dimostrare che tale organo, al
contrario, ha agito in maniera diligente. Inoltre, occorre
constatare come il parere della commissione di disciplina sia stato
definitivamente adottato due giorni dopo tale audizione.
102
Dall'insieme delle considerazioni che precedono, discende che tale motivo deve
essere respinto».
Sul terzo
motivo, relativo alla violazione dell'art. 11 dello Statuto
14 Il
ricorrente ha sostenuto che l'art. 11 dello Statuto mira non già a vietare ai
dipendenti di percepire diritti d'autore per la pubblicazione delle loro opere,
bensì a garantire la loro indipendenza vietando ad essi
di accettare istruzioni da soggetti estranei all'istituzione di appartenenza.
Ebbene, il ricorrente, percependo diritti d'autore, non si sarebbe posto sotto
l'autorità di alcun soggetto estraneo alla
Commissione.
15 Il
Tribunale ha così statuito:
«108 A questo
proposito, risulta dalle dichiarazioni rese dal
ricorrente alla commissione di disciplina, nonché dall'attestazione del suo
editore da lui a suo tempo esibita, che l'editore medesimo aveva effettivamente
versato al ricorrente "royalties" sulle
vendite dell'opera di questi. Pertanto, non può essere accolto l'argomento del
ricorrente secondo cui l'art. 11 dello Statuto non è stato violato, in quanto la
percezione di tali compensi non comportava che egli fosse sotto l'influenza di
un soggetto estraneo alla sua istituzione di appartenenza.
Infatti, un tale argomento travisa i presupposti
obiettivi del divieto stabilito dall'art. 11, secondo comma, dello Statuto,
vale a dire l'accettazione di un compenso di qualsivoglia natura proveniente da
un soggetto estraneo all'istituzione, in assenza dell'autorizzazione dell'APN.
Ebbene, è giocoforza constatare come tali presupposti
risultassero soddisfatti nel caso di specie.
109 Il
ricorrente non può validamente sostenere che tale interpretazione dell'art. 11,
secondo comma, dello Statuto porti ad una violazione del diritto di proprietà,
sancito dall'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 della [Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la
"CEDU")].
110 Occorre
anzitutto rilevare come, nella fattispecie, non vi sia stata
alcuna violazione del diritto di proprietà, dal momento che
111 Occorre
inoltre sottolineare che, secondo la giurisprudenza,
l'esercizio dei diritti fondamentali, quale il diritto di proprietà, può essere
assoggetato a restrizioni, a condizione che tali
restrizioni rispondano ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla
Comunità e non costituiscano un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale
da ledere la sostanza stessa dei diritti garantiti (v. sentenza della Corte 11
luglio 1989, causa 265/87, Schräder HS Kraftfutter, Racc. pag. 2237, punto 15, e giurisprudenza ivi citata). Orbene, le
disposizioni dell'art. 11 dello Statuto - il quale impone al funzionario di
conformare la propria condotta al dovere di servire esclusivamente le Comunità
- rispondono alla legittima esigenza di garantire non soltanto l'indipendenza
ma anche la lealtà del funzionario nei confronti dell'istituzione alla quale
egli appartiene (v., a questo proposito, sentenza del Tribunale 15 maggio 1997,
causa T-273/94, N/Commissione, Racc. PI pag. II-289,
punti 128 e 129; in prosieguo: la "sentenza N/Commissione"),
obiettivo il cui perseguimento giustifica l'inconveniente minore di dover
ottenere un'autorizzazione dall'APN per poter percepire somme provenienti da
fonti estranee all'istituzione di appartenenza.
(...)
113 Quanto
all'asserita esistenza di una prassi della Commissione consistente nel
tollerare il percepimento di diritti d'autore in relazione a servizi prestati da funzionari in aspettativa
per motivi personali, occorre constatare come tale prassi non sia minimamente
dimostrata. Per giunta, tale argomentazione non è pertinente, in quanto con essa non viene fatto valere che la prassi in questione
avesse ad oggetto la pubblicazione di opere prive dell'autorizzazione
preventiva prevista dall'art. 17 dello Statuto. Pertanto, il ricorrente non
sostiene che esistessero precise assicurazioni che
avrebbero eventualmente potuto creare in lui fondate aspettative di non dover
sollecitare l'autorizzazione prevista dall'art. 11 dello Statuto.
114 Alla luce
di tali fatti, il motivo deve essere respinto».
Sul quarto
motivo, relativo alla violazione dell'art. 12 dello Statuto
16 Il
ricorrente ha fatto valere che l'addebito mossogli in relazione ad una
violazione dell'art. 12 dello Statuto è illegittimo, in quanto contrario al
principio della libertà di espressione, sancito
dall'art. 10 della CEDU, che l'opera in questione costituisce un lavoro di
analisi economica, non contrario agli interessi della Comunità, che
17 Per quanto
riguarda tale motivo, il Tribunale ha così statuito:
«124 Secondo
una costante giurisprudenza, [l'art. 12, primo comma, dello Statuto] mira a
garantire che i dipendenti comunitari offrano, con il
loro comportamento, un'immagine di dignità conforme alla condotta
particolarmente corretta e rispettabile che ci si può legittimamente attendere
da chi riveste una funzione pubblica internazionale [sentenze del Tribunale (7
marzo 1996, causa T-146/94), Williams/Corte dei conti, (Racc.
PI pag. II-329) punto 65, (in prosieguo: la "sentenza Williams/Corte dei
conti II",) N/Commissione, punto 127, e 17 febbraio 1998, causa T-183/96,
E/CES, Racc. PI pag. II-159, punto
125 Nella
fattispecie, risulta dal fascicolo e dagli estratti
del libro citati dalla Commissione che l'opera controversa contiene numerose
affermazioni a carattere aggressivo, denigratorio e spesso ingiurioso, lesive
dell'onore delle persone e delle istituzioni alle quali esse si riferiscono, e
che hanno goduto di una vasta pubblicità, in particolare sui mezzi di stampa.
Contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, le espressioni citate dalla
Commissione e prese in considerazione nel rapporto dell'APN che ha deferito il
caso alla commissione di disciplina, non possono essere qualificate come
semplici "alleggerimenti di stile", bensì devono essere ritenute di
per sé costituenti un'offesa alla dignità della funzione.
127 Occorre
inoltre sottolineare che l'art. 12, primo comma, dello
Statuto costituisce, al pari degli artt. 11 e 21, una
delle espressioni specifiche del dovere di lealtà che si impone
a tutti i funzionari (v. sentenza N/Commissione, punto 129, confermato in sede
di impugnazione dall'ordinanza della Corte 16 luglio 1998, causa C-252/97 P,
N/Commissione, Racc. pag. I-4871). Contrariamente a
quanto asserito dal ricorrente, non può dedursi dalla sentenza Williams/Corte
dei conti I che tale dovere discenda soltanto
dall'art. 21 dello Statuto, in quanto il Tribunale ha sottolineato, in tale
sentenza, che l'obbligo di lealtà costituisce un dovere fondamentale che
incombe ad ogni funzionario nei confronti dell'istituzione alla quale egli
appartiene e dei suoi superiori, "dovere del quale l'art. 21 dello Statuto
costituisce una manifestazione particolare". Di conseguenza, deve essere
respinto l'argomento secondo cui l'APN non sarebbe stata
legittimata, nei confronti del ricorrente, a ritenere sussistente una
violazione del dovere di lealtà, in quanto il rapporto che deferiva il caso
all'APN non contestava al ricorrente medesimo una violazione dell'art. 21 dello
Statuto.
128 Del pari,
deve essere respinta la tesi secondo cui il dovere di lealtà non implica la
conservazione di un rapporto di fiducia personale tra il funzionario e la sua
istituzione, bensì soltanto una lealtà nei confronti dei Trattati. Infatti, il dovere di lealtà impone che il funzionario in
questione non soltanto si astenga da condotte che possano ledere la dignità
della funzione ed il rispetto dovuto all'istituzione e alle sue autorità (v.,
ad esempio, sentenza Williams/Corte dei conti I, punto 72, e sentenza del
Tribunale 18 giugno 1996, causa T-293/94, Vela Palacios/CES,
Racc. PI pag. II-893, punto 43), ma anche dia prova -
soprattutto quando possiede un grado elevato - di un comportamento al di sopra
di qualsiasi sospetto, affinché sia sempre preservato il rapporto di fiducia
esistente tra di lui e l'istituzione di appartenenza (sentenza N/Commissione,
punto 129). Ora, nella fattispecie, occorre ricordare che l'opera controversa,
oltre a contenere espressioni di per sé lesive della dignità della funzione,
esprimeva pubblicamente, come constatato dall'APN, un'opposizione fondamentale
del ricorrente nei confronti della politica della Commissione che egli era
chiamato ad attuare, ossia la realizzazione dell'Unione economica e monetaria, obiettivo questo peraltro assegnato dal Trattato.
130 Occorre sottolineare, infine, che tale interpretazione dell'art. 12,
primo comma, dello Statuto non può essere confutata argomentando che, nella
fattispecie, la pubblicazione dell'opera controversa sarebbe intervenuta mentre
il ricorrente si trovava in aspettativa per motivi personali. A questo
proposito, risulta dall'art. 35 dello Statuto che
l'aspettativa per motivi personali costituisce una delle posizioni nelle quali
può essere collocato un funzionario, cosicché, durante tale periodo, l'interessato
continua ad essere assoggettato agli obblighi derivanti dallo Statuto, salvo
espresse disposizioni in senso contrario. Posto che l'art. 12 dello Statuto
riguarda tutti i funzionari, senza distinguere a seconda
della loro posizione, la circostanza di cui sopra non poteva quindi
esonerare il ricorrente dagli obblighi che gli incombevano in forza di tale
norma. Ciò vale a maggior ragione ove si consideri che il rispetto che il
dipendente deve alla dignità della sua funzione non si limita al momento
particolare in cui esercita questo o quel compito
specifico, ma gli si impone in qualsiasi circostanza (sentenza Williams/Corte
dei conti II, punto 68). Lo stesso vale per il dovere di lealtà, il quale,
secondo la giurisprudenza, non si impone solamente
nell'ambito dell'espletamento dei compiti specifici affidati al dipendente, ma
si estende anche ad ogni tipo di rapporti intercorrenti tra il dipendente
medesimo e l'istituzione (sentenze Williams/Corte dei conti I, punto 72, e
E/CES, punto 47).
131 Sulla
scorta dei fatti sopra menzionati, l'APN ha legittimamente ritenuto che il
ricorrente avesse, con il suo comportamento, nuociuto alla dignità della sua funzione ed infranto in maniera irreparabile la fiducia
che
132 Ne
consegue che tale motivo deve essere respinto».
Sul quinto
motivo, relativo alla violazione dell'art. 17 dello Statuto
18 Il
ricorrente, in particolare, ha sostenuto che l'interpretazione dell'art. 17,
secondo comma, dello Statuto, sulla quale si basano il parere della commissione
di disciplina e la decisione di destituzione, è contraria al principio della
libertà di espressione, sancito dall'art. 10 della
CEDU, nella misura in cui la detta interpretazione porterebbe a vietare, in
linea di principio, qualsiasi pubblicazione. Orbene, limiti alla libertà di espressione sarebbero autorizzati soltanto nelle ipotesi
eccezionali elencate all'art. 10, n. 2, della CEDU. Inoltre, la detta norma
dello Statuto non sarebbe applicabile ai dipendenti in aspettativa
per motivi personali ed il ricorrente, ad ogni modo, avrebbe legittimamente
confidato in tale ultima interpretazione, tenuto conto della prassi seguita
dalla Commissione, quanto meno in seno alla DG II.
19 Per
respingere tale motivo, il Tribunale si è fondato sulla seguente motivazione:
«147 Nel caso
di specie, è pacifico che il ricorrente ha proceduto
alla pubblicazione della propria opera senza chiedere l'autorizzazione
preventiva prevista dalla succitata disposizione. Tuttavia, il ricorrente,
senza sollevare espressamente un'eccezione di illegittimità
diretta a contestare la validità complessiva dell'art. 17, secondo comma, dello
Statuto, ritiene che
149 Esaminato
alla luce di tali principi, ed al pari di quanto statuito in
ordine all'art. 12 dello Statuto (v. supra,
punto 129, e sentenza E/CES, punto 41), l'art. 17, secondo comma, come
interpretato nella decisione di destituzione, non può ritenersi come una norma
che imponga una restrizione ingiustificata alla libertà di espressione dei
funzionari.
150 Infatti, occorre sottolineare, in primo luogo, che l'esigenza
di un'autorizzazione preventiva ai fini della pubblicazione risponde al
legittimo obiettivo che uno scritto riguardante l'attività delle Comunità non
possa pregiudicare gli interessi di queste ultime e, in particolare, come nel
presente caso, la reputazione e l'immagine di una delle istituzioni.
153 E'
importante altresì sottolineare che la formalità
richiesta dall'art. 17, secondo comma, dello Statuto costituisce una misura
preventiva, la quale permette, da un lato, di non mettere in pericolo gli
interessi delle Comunità e, dall'altro, come esattamente osservato dalla
Commissione, di evitare, successivamente alla pubblicazione di uno scritto che
coinvolge gli interessi delle Comunità, l'adozione da parte dell'istituzione interessata
di sanzioni disciplinari nei confronti del funzionario che abbia esercitato il
proprio diritto di espressione in maniera incompatibile con le sue funzioni.
154 Nella
fattispecie, occorre constatare che, nella decisione di destituzione, l'APN ha ritenuto
che il ricorrente avesse commesso una violazione di tale norma, in quanto
l'interessato, in primo luogo, non aveva richiesto l'autorizzazione ai fini
della pubblicazione della sua opera, in secondo luogo, non poteva ignorare che
una tale autorizzazione gli sarebbe stata negata per i medesimi motivi che
avevano imposto il diniego di autorizzazione alla
pubblicazione in relazione ad alcuni precedenti articoli aventi un contenuto
simile e, infine, con la sua condotta, aveva gravemente leso gli interessi
delle Comunità ed arrecato pregiudizio all'immagine ed alla reputazione
dell'istituzione.
155 Pertanto,
alla luce del complesso di considerazioni che precedono, non può dedursi dalla
decisione di destituzione che la violazione dell'art. 17, secondo comma, dello
Statuto, addebitata al ricorrente, sarebbe stata
ritenuta sussistente anche in assenza di qualsiasi lesione degli interessi
delle Comunità; sicché la portata attribuita a tale norma dall'APN non appare
eccessiva rispetto all'obiettivo perseguito e, pertanto, neppure contraria al
principio della libertà di espressione.
156 Sulla
scorta di tali premesse, il motivo relativo ad una presunta violazione del
diritto alla libertà di espressione deve essere
respinto.
157 Del pari
privo di fondamento è l'argomento secondo cui l'art. 17, secondo comma, dello
Statuto non sarebbe applicabile ai funzionari in aspettativa
per motivi personali. Infatti, come sottolineato in
precedenza (v. punto 130), si evince dall'art. 35 dello Statuto che il
funzionario in posizione di aspettativa per motivi personali conserva per tutto
il periodo di aspettativa la qualità di funzionario e rimane dunque
assoggettato agli obblighi derivanti dallo Statuto, salvo espresse disposizioni
in senso contrario. Orbene, l'art. 17, secondo comma, dello Statuto riguarda
tutti i funzionari, senza distinguere a seconda della
posizione dell'interessato. Di conseguenza, il fatto che il ricorrente fosse in
posizione di aspettativa per motivi personali al
momento della pubblicazione della sua opera non lo esonerava dall'obbligo
impostogli dall'art. 17, secondo comma, dello Statuto di richiedere
preliminarmente all'APN un'autorizzazione ai fini della pubblicazione.
158 Tale
interpretazione non risulta contraddetta dal fatto
che, al contrario di quanto disposto dal secondo comma dell'art. 17 dello
Statuto, il primo comma di tale articolo dispone espressamente che il
funzionario rimane tenuto ad osservare il dovere di discrezione anche dopo la
cessazione dal servizio. Infatti, il funzionario in posizione di aspettativa per motivi personali non può essere
assimilato al funzionario cessato definitivamente dal servizio, previsto
dall'art. 47 dello Statuto, il quale, pertanto, non rientra in una delle
posizioni nelle quali possono trovarsi i funzionari, enumerate dall'art. 35
dello Statuto.
(...)
160 Dal
complesso delle considerazioni che precedono, risulta
che la commissione di disciplina e l'APN hanno legittimamente ritenuto che il
ricorrente avesse violato l'art. 17, secondo comma, dello Statuto.
161 Infine,
l'asserita esistenza di una prassi generalizzata della Commissione, in base
alla quale l'autorizzazione preventiva ai fini della pubblicazione non veniva richiesta ai funzionari in posizione di aspettativa
per motivi personali, non è minimamente dimostrata dalla dichiarazione alla
quale il ricorrente si richiama. Con tale dichiarazione, infatti, l'ex
direttore generale della DG II si limita ad attestare che il signor Connolly si era già visto
accordare, nel 1985, un'aspettativa per motivi personali della durata di un
anno, diretta a consentirgli di lavorare nell'ambito di un'istituzione
finanziaria privata e che, durante tale periodo, il detto direttore generale
non aveva ritenuto di dover approvare gli scritti redatti dal ricorrente per
conto di tale istituzione, e neppure di dover formulare osservazioni al
riguardo dei medesimi. Ne consegue che l'argomento è infondato.
162 Di
conseguenza, il motivo deve essere respinto».
Sul sesto
motivo, relativo ad un manifesto errore di valutazione ed alla violazione del
principio di proporzionalità
20 Il
ricorrente ha sostenuto che la decisione di destituzione è viziata da un
manifesto errore di valutazione dei fatti e viola il principio di
proporzionalità, in quanto essa omette di tener conto
di svariate circostanze attenuanti.
21 Il
Tribunale ha statuito nei seguenti termini:
«165 Secondo
una costante giurisprudenza, una volta provati i fatti addebitati al
dipendente, la scelta della sanzione appropriata spetta all'APN ed il giudice
comunitario non può sostituire la propria valutazione a quella di detta
autorità, salvo il caso di errore manifesto o
sviamento di potere [sentenze (30 maggio 1973, causa 46/72,) De Greef/Commissione, (Racc. pag.
543,) punto
166 Nella
fattispecie, occorre anzitutto constatare che i fatti addebitati al ricorrente risultano provati.
167 Bisogna
rilevare, inoltre, che la sanzione inflitta non può essere ritenuta
sproporzionata, né può essere considerata come il
risultato di un manifesto errore di valutazione. Benché non sia contestato che
il ricorrente avesse un buon stato di servizio, l'APN
poteva nondimeno legittimamente ritenere che - attesa la gravità dei fatti
accertati e considerato il grado e le responsabilità del ricorrente - una tale
circostanza non fosse idonea ad attenuare la sanzione da infliggere.
168 Peraltro,
l'argomento del ricorrente secondo cui si sarebbe dovuto
tener conto della sua buona fede in ordine alla portata dei doveri incombenti
al funzionario in posizione di aspettativa per motivi personali non può essere
accolto. Infatti, risulta dalla giurisprudenza che
vale la presunzione che i dipendenti conoscano lo Statuto (sentenze del
Tribunale 18 dicembre 1997, causa T-12/94, Daffix/Commissione,
Racc. PI pag. II-1197, punto 116, e 7 luglio 1998,
cause riunite T-116/96, T-212/96 e T-215/96, Telchini
e a./Commissione, Racc. PI pag. II-947, punto 59),
cosicché la loro asserita ignoranza degli obblighi ad essi
incombenti a tale titolo non può essere atta a fondare uno stato di buona fede.
L'argomento è tanto meno fondato nella fattispecie in quanto il ricorrente
ammette che i suoi colleghi conoscevano la sua intenzione di preparare l'opera
controversa durante il periodo di aspettativa per
motivi personali, laddove egli, nella domanda indirizzata all'APN a norma dell'art.
40 dello Statuto, aveva indicato motivi diversi da quello della preparazione di
tale opera. Pertanto, posto che tali dichiarazioni sono contrarie ai vincoli di
lealtà e di fiducia cui devono informarsi i rapporti
fra amministrazione e dipendenti, e inconciliabili con l'integrità morale
richiesta ad ogni dipendente (v., in tal senso, sentenza [19 aprile 1988, cause
riunite 175/86 e 209/86,] M./Consiglio, [Racc. pag. 1891,] punto 21), l'APN poteva legittimamente ritenere
che l'argomento del ricorrente relativo alla sua pretesa buona fede fosse privo
di fondamento.
169 Il motivo
deve, pertanto, essere respinto».
Sul settimo
motivo, relativo ad uno sviamento di potere
22 Da ultimo,
il ricorrente ha fatto valere che un insieme di indizi
mostrerebbe l'esistenza di uno sviamento di potere.
23 Per
respingere tale motivo, il Tribunale si è fondato sulla seguente motivazione:
«171 Occorre
ricordare che, in conformità alla giurisprudenza, si ha sviamento di potere quando un'autorità amministrativa eserciti i suoi
poteri per uno scopo diverso da quello per cui le sono stati conferiti.
Pertanto, una decisione è viziata da sviamento di potere solo se, in base ad
indizi oggettivi, pertinenti e concordanti, risulta adottata per raggiungere
scopi diversi da quelli dichiarati (sentenza Williams/Corte dei conti I, punti 87 e 88).
172 Quanto
alle dichiarazioni rese da taluni membri della Commissione prima dell'apertura del procedimento disciplinare, è sufficiente ricordare che
(...) tali dichiarazioni riflettevano soltanto una valutazione provvisoria da
parte dei membri della Commissione interessati e che esse non potevano, nelle
circostanze del caso di specie, alterare la regolarità del procedimento
disciplinare.
173 Allo
stesso modo, neanche l'argomento del ricorrente secondo cui
174 Quanto
all'argomento relativo ad una modificazione, da parte della Commissione, delle
modalità generali di calcolo della riduzione dello stipendo
in caso di sospensione, è sufficiente rilevare come tale modificazione non
riguardi specificamente la destituzione del ricorrente e non possa
dunque comprovare l'asserito sviamento di potere.
175 Pertanto,
non è dimostrato che l'APN, infliggendo la sanzione in questione, abbia
perseguito uno scopo diverso da quello di salvaguardare l'ordine interno della
funzione pubblica comunitaria. Il settimo motivo deve pertanto essere
respinto».
24 Il
Tribunale ha pertanto respinto le conclusioni dirette all'annullamento e, in
via conseguenziale, le conclusioni relative
alla domanda di risarcimento.
25 Il
Tribunale ha quindi respinto il ricorso e condannato ciascuna delle parti a
sopportare le proprie spese.
Il ricorso
contro la pronuncia del Tribunale
26 Il signor Connolly conclude che
- annullare la
sentenza impugnata;
- annullare,
per quanto necessario, il parere della commissione di disciplina;
- annullare la
decisione di destituzione;
- annullare la
decisione 12 luglio 1996 che ha disposto il rigetto del reclamo preventivamente
proposto;
- condannare
- condannare
27
- dichiarare l'impugnazione in parte irricevibile e, in ogni caso,
totalmente infondata;
- dichiarare
anche la domanda di risarcimento irricevibile ed infondata;
- condannare
il signor Connolly a tutte le spese.
28 Nel suo
ricorso contro la pronuncia del Tribunale, il ricorrente deduce tredici motivi.
Il primo
motivo
29 Con il
primo motivo, il signor Connolly si duole che il
Tribunale non abbia preso in considerazione il fatto che gli artt. 12 e 17 dello Statuto introducono un regime di
censura preventiva, contrario, in via di principio, all'art. 10 della CEDU,
come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (in prosieguo: la
«Corte dei diritti dell'uomo»).
30 Oltre a
ciò, tale disciplina non farebbe menzione dei presupposti sostanziali e
procedurali richiesti dall'art. 10 della CEDU per qualsiasi limitazione alla
libertà di espressione protetta da tale norma e, in
particolare, violerebbe le prescrizioni secondo cui qualsiasi restrizione deve
perseguire uno scopo legittimo, ricollegarsi ad una norma che renda siffatta
restrizione prevedibile, essere necessaria e proporzionata allo scopo
perseguito e deve altresì poter essere effettivamente sottoposta al controllo
di un giudice.
31 Il
ricorrente si duole anche che il Tribunale non abbia proceduto ad un
bilanciamento degli interessi in gioco né verificato se la decisione di
destituzione sia stata realmente motivata da un'esigenza sociale imperativa. A
questo proposito, il ricorrente rileva che, se tale decisione è stata presa al fine di proteggere gli interessi
dell'istituzione e delle persone chiamate in causa dall'opera controversa,
essa, per essere efficace, avrebbe dovuto essere accompagnata da misure dirette
ad impedire la diffusione dell'opera stessa. Ora, siffatte misure non sono
state adottate dalla Commissione.
32
33 Nel merito,
Sulla ricevibilità del motivo
34 Vero è che,
con il primo motivo, il ricorrente sembra contestare - alla luce dell'art. 10
della CEDU - la validità stessa del regime di autorizzazione
istituito dall'art. 17 dello Statuto, laddove, dinanzi al Tribunale - come quest'ultimo ha del resto rilevato al punto 147 della
sentenza impugnata - il ricorrente ha contestato soltanto «l'interpretazione»
dell'art. 17, secondo comma, dello Statuto effettuata dalla Commissione,
ritenendo che fosse contraria alla libertà di espressione.
35 Tuttavia,
ciò non toglie che il ricorrente abbia contestato
dinanzi al Tribunale, in relazione ai requisiti stabiliti dall'art. 10 della
CEDU, i presupposti in presenza dei quali è stato applicato nei suoi confronti
l'art. 17, secondo comma, dello Statuto e che egli, dinanzi alla Corte, censuri
le motivazioni della sentenza impugnata sulle quali si basa il rigetto del
motivo relativo alla violazione del principio della libertà di espressione.
36 Pertanto,
va riconosciuta la ricevibilità del primo motivo.
Nel merito
37 Occorre
ricordare, in via preliminare, che, secondo una costante giurisprudenza, i
diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto dei quali
38 Peraltro,
tali principi sono stati ripresi dall'art. 6, n. 2, UE. Ai sensi di tale norma,
«l'Unione rispetta i diritti fondamentali, quali sono garantiti dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e
quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in
quanto principi generali del diritto comunitario».
39 Come
statuito dalla Corte dei diritti dell'uomo, «la libertà di espressione
costituisce uno dei fondamenti essenziali [di una società democratica], una
delle condizioni basilari per il progresso di tale società e per il pieno
sviluppo di ogni singola persona. Salvo quanto previsto dall'art. 10, n. 2,
[della CEDU,] la libertà di espressione vale non
soltanto in relazione alle "informazioni" o alle "idee"
accolte con favore o considerate come inoffensive od indifferenti, ma anche a
quelle di tali informazioni o idee che disturbino, sconvolgano od inquietino:
tale conclusione è imposta dal pluralismo, dalla tolleranza e dallo spirito di
apertura, senza i quali non esiste "società democratica"» (Corte
europea dei diritti dell'uomo, sentenze 7 dicembre 1976, Handyside,
serie A n. 24, § 49; 24 maggio 1988, Müller e a.,
serie A n. 133, § 33, e 26 settembre 1995, Vogt c.
Germania, serie A n. 323, § 52).
40 La libertà di espressione può essere sottoposta alle limitazioni
previste dall'art. 10, n. 2, della CEDU, ai sensi del quale l'esercizio di tale
libertà, «poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle
formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e
che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la
sicurezza nazionale, per l'integrità territoriale o per la pubblica sicurezza,
per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione
della salute o della morale, per la protezione della reputazione o dei diritti
altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire
l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario».
41 Tuttavia,
tali restrizioni debbono essere interpretate in
maniera restrittiva. Secondo
42 Peraltro,
le restrizioni devono essere previste da norme formulate in maniera
sufficientemente precisa per consentire agli interessati di conformare la
propria condotta, ricorrendo, se del caso, al consiglio di consulenti preparati
(v. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenza 26 aprile 1979, Sunday Times c. Regno Unito,
serie A n. 30, § 49).
43 Come
44 Tuttavia,
in una società democratica, è legittimo anche assoggettare i dipendenti, a motivo del loro status, ad obblighi quali quelli previsti
dagli artt. 11 e 12 dello Statuto. Obblighi di questo
tipo sono destinati essenzialmente a preservare il rapporto di fiducia che deve
esistere tra l'istituzione e i dipendenti di ruolo o agenti della stessa.
45 E' pacifico
che la portata di tali obblighi varia a seconda della
natura delle funzioni esercitate dall'interessato ovvero del rango che questi
occupa nella scala gerarchica (v., in tal senso, Corte europea dei diritti
dell'uomo, sentenza Wille c. Liechtenstein,
citata, § 63, ed opinione della Commissione, rapporto 11 maggio 1984, causa Glasenapp, serie A n. 104, § 124).
47 Le regole che definiscono i doveri e le responsabilità incombenti
alla funzione pubblica comunitaria perseguono tale obiettivo. Pertanto, al dipendente non è concesso
violare, esprimendosi verbalmente o per iscritto, gli obblighi statutari ad esso incombenti - segnatamente in forza degli artt. 11, 12 e 17 dello Statuto - nei confronti
dell'istituzione che si presume egli sia tenuto a servire, infrangendo così il
rapporto di fiducia che lo unisce a quest'ultima e
rendendo ancor più difficile, se non impossibile, per la detta istituzione lo svolgimento, in collaborazione con tale
dipendente, delle missioni ad essa affidate.
48
Nell'esercizio del suo sindacato, il giudice comunitario deve verificare -
tenute presenti tutte le circostanze del caso di specie - se sia
stato rispettato un giusto equilibrio tra il diritto fondamentale
dell'individuo alla libertà di espressione ed il legittimo interesse
dell'istituzione a vigilare a che i suoi dipendenti di ruolo e agenti operino
nel rispetto dei doveri e delle responsabilità connessi alle loro funzioni.
49 Come
statuito in proposito dalla Corte dei diritti dell'uomo, occorre «tener conto
del fatto che, quando è messa in questione la libertà di espressione
dei dipendenti, i "doveri" e le "responsabilità"
contemplati dall'art. 10, n. 2, rivestono un'importanza particolare, la quale
giustifica l'affidamento alle autorità nazionali di un certo potere
discrezionale nel valutare se l'ingerenza denunciata sia proporzionata allo
scopo sopra menzionato» (v. Corte europea dei diritti dell'uomo, sentenze Vogt c. Germania, citata; 2 settembre 1998, Ahmed e a. c. Regno Unito, Recueil des arrêts
et décisions 1998-VI, pag.
2378, § 56, e Wille c. Liechtestein,
citata, § 62).
50 E' alla
luce di tali considerazioni di carattere generale che occorre interpretare ed
applicare - come ha fatto il Tribunale ai punti 148-155 della sentenza
impugnata - l'art. 17, secondo comma, dello Statuto.
51 Tale norma
sottopone ad autorizzazione la pubblicazione di qualsiasi scritto il cui
oggetto riguardi l'attività delle Comunità. Siffatta autorizzazione può essere
rifiutata soltanto nel caso in cui la pubblicazione prevista sia di natura tale
«da compromettere gli interessi delle Comunità». Tale eventualità, delineata in maniera restrittiva da un regolamento del
Consiglio, rientra nella «tutela dei diritti dei terzi», ed è atta a
giustificare, ai sensi dell'art. 10, n. 2, della CEDU, come interpretato dalla
Corte dei diritti dell'uomo, una restrizione alla libertà di espressione. Di
conseguenza, occorre respingere le censure proposte dal ricorrente relative all'assenza di una finalità legittima nell'art. 17,
secondo comma, dello Statuto ed all'assenza di una norma che definisca le
restrizioni apportabili alla libertà di espressione.
52 Il fatto
che la restrizione in questione si presenti sotto forma di autorizzazione
preventiva non è idoneo a rendere quest'ultima
contraria, di per sé, al diritto fondamentale della libertà di espressione,
come ha statuito il Tribunale al punto 152 della sentenza impugnata.
53 Infatti, la disciplina di cui all'art. 17, secondo comma,
dello Statuto stabilisce chiaramente il principio dell'obbligo di rilascio
dell'autorizzazione, la quale può essere rifiutata soltanto in via eccezionale.
Tale norma, infatti, consentendo alle istituzioni di rifiutare l'autorizzazione
alla pubblicazione e prevedendo così la possibilità di una seria ingerenza
nella libertà di espressione - che costituisce uno dei
fondamenti essenziali di una società democratica -, deve essere interpretata in
maniera restrittiva ed applicata nel rigoroso rispetto dei presupposti
menzionati in precedenza al punto 41 della presente sentenza. Pertanto,
l'autorizzazione alla pubblicazione può essere rifiutata soltanto se quest'ultima è di natura tale da poter arrecare un grave
pregiudizio agli interessi delle Comunità.
54 D'altro
canto, tale disciplina, applicandosi soltanto alle pubblicazioni riguardanti
l'attività delle Comunità, è intesa unicamente a permettere all'istituzione di
essere informata in merito alle opinioni espresse per iscritto dai propri
dipendenti di ruolo o agenti in relazione a tale
attività, affinché essa possa assicurarsi che i detti dipendenti esercitino le
loro funzioni e conformino la loro condotta al dovere di servire esclusivamente
le Comunità, senza compromettere la dignità della loro funzione.
55 Contro la
decisione di diniego dell'autorizzazione possono
essere proposti i mezzi di ricorso di cui agli artt.
90 e 91 dello Statuto. Il ricorrente non può dunque asserire, come invece fa,
che l'applicazione della disciplina di cui all'art. 17 dello
Statuto non può essere sottoposta ad un sindacato giurisdizionale effettivo. Tale
sindacato consente ai giudici comunitari di verificare se l'APN abbia
esercitato la competenza ad essa attribuita dall'art.
17, secondo comma, dello Statuto nel rigoroso rispetto dei limiti applicabili a
qualsiasi ingerenza nella libertà di espressione.
56 Siffatta disciplina riflette il rapporto di fiducia che deve esistere tra un datore di
lavoro e i suoi dipendenti, specialmente allorché questi ultimi esercitano alte
funzioni di natura pubblica, e la sua applicazione può essere valutata soltanto
considerando l'insieme delle circostanze del caso di specie e le implicazioni
da esse derivanti sull'esercizio della pubblica funzione. Sotto tale profilo,
la detta disciplina è conforme ai presupposti richiesti perché l'ingerenza
della libertà di espressione sia ammissibile, come
sono stati ricordati al punto 41 della presente sentenza.
57 Da quanto
precede risulta altresì che l'APN, quando applica
l'art. 17, secondo comma, dello Statuto, deve procedere ad un bilanciamento dei
diversi interessi in gioco, tenendo conto, in particolare, della gravità
dell'offesa arrecata agli interessi della Comunità.
58 Nella
fattispecie, il Tribunale ha constatato, al punto 154 della sentenza impugnata,
che «nella decisione di destituzione, l'APN ha ritenuto che il ricorrente avesse
commesso una violazione [dell'art. 17, secondo comma, dello Statuto], in quanto
l'interessato, in primo luogo, non aveva richiesto l'autorizzazione ai fini
della pubblicazione della sua opera, in secondo luogo, non poteva ignorare che
una tale autorizzazione gli sarebbe stata negata per i medesimi motivi che
avevano imposto il diniego di autorizzazione alla
pubblicazione in relazione ad alcuni precedenti articoli aventi un contenuto
simile e, infine, con la sua condotta, aveva gravemente leso gli interessi
delle Comunità ed arrecato pregiudizio all'immagine ed alla reputazione
dell'istituzione».
59 Quanto a quest'ultima violazione, il Tribunale ha anzitutto
constatato, al punto 125 della sentenza impugnata, che
«l'opera controversa contiene numerose affermazioni a carattere aggressivo,
denigratorio e spesso ingiurioso, lesive dell'onore delle persone e delle
istituzioni alle quali esse si riferiscono e che hanno goduto di una vasta
pubblicità, in particolare sui mezzi di stampa». Il Tribunale ha così ritenuto
- con una valutazione che non può essere rimessa in discussione nell'ambito di
un giudizio di impugnazione - che le dette frasi
pronunciate dal ricorrente costituissero una violazione dell'art. 12 dello
Statuto.
60 Successivamente, il Tribunale ha messo in evidenza, al punto
128 della sentenza impugnata, oltre al grado elevato del ricorrente, la
circostanza che l'opera controversa «esprimeva pubblicamente (...)
un'opposizione fondamentale del ricorrente nei confronti della politica della
Commissione che egli era chiamato ad attuare, ossia la realizzazione
dell'Unione economica e monetaria, obiettivo questo peraltro assegnato dal
Trattato».
61 Infine, il
Tribunale ha precisato, al punto 155 della sentenza
impugnata, che manca la prova «che la violazione dell'art. 17, secondo comma,
dello Statuto, addebitata al ricorrente, sarebbe stata ritenuta sussistente
anche in assenza di qualsiasi lesione degli interessi delle Comunità (...)».
62 Tali diverse considerazioni del Tribunale, le quali si fondano sulla
motivazione della decisione di destituzione (v., in particolare, il quinto, il sesto, il
nono, il decimo, il dodicesimo ed il quindicesimo considerando della
decisione), fanno chiaramente apparire che il signor Connolly
non è stato destituito soltanto perché non aveva richiesto l'autorizzazione
preventiva ai fini della pubblicazione, in contrasto con quanto stabilito
dall'art. 17, secondo comma, dello Statuto, o perché aveva espresso un'opinione
discordante, bensì in quanto egli aveva pubblicato, senza autorizzazione, uno
scritto nel quale aveva severamente criticato, e perfino ingiuriato, membri
della Commissione ovvero altri superiori gerarchici e messo in discussione gli
orientamenti fondamentali della politica della Comunità inseriti dagli Stati
membri nel Trattato e alla cui attuazione
63 Quanto ai
provvedimenti destinati ad impedire la diffusione dell'opera, i quali, ad
avviso del ricorrente, avrebbero dovuto essere
adottati dalla Commissione per tutelare efficacemente i propri interessi, è
sufficiente constatare come l'adozione dei medesimi non sarebbe stata in grado
di ristabilire il rapporto di fiducia tra il ricorrente e l'istituzione, e
nulla avrebbe cambiato quanto all'impossibilità di mantenere un qualunque
rapporto di lavoro con l'istituzione.
64 Da quanto
sopra esposto discende che il Tribunale legittimamente ha concluso
- al punto 156 della sentenza impugnata - che il motivo relativo ad una
presunta violazione del diritto alla libertà di espressione, perpetrata
mediante l'applicazione nei suoi confronti dell'art. 17, secondo comma, dello
Statuto, era infondato.
65 Il primo
motivo deve pertanto essere respinto.
Il secondo
motivo
66 Con il
secondo motivo, il ricorrente si duole che il Tribunale abbia travisato, al punto 157 della sentenza impugnata, la portata degli artt. 17, secondo comma, e 35 dello Statuto, avendo esso
statuito che l'obbligo di ottenere un'autorizzazione preventiva ai fini della
pubblicazione di uno scritto era applicabile anche ai dipendenti in aspettativa per motivi personali. Per contro, secondo il
ricorrente, la posizione di aspettativa per motivi
personali esonera il dipendente interessato dall'obbligo di rispettare l'art.
17, secondo comma, dello Statuto.
67 Il
ricorrente si duole altresì che il Tribunale abbia respinto, senza motivazione,
le prove da lui offerte per dimostrare la prassi in vigore in seno alla DG II
della Commissione, violando così il principio del legittimo affidamento.
69 Quanto al
resto, dal tenore letterale dell'art. 35 dello Statuto risulta
chiaramente che il dipendente in aspettativa per motivi personali non perde la
propria qualità di dipendente durante il periodo in cui egli si trova in tale
posizione. Egli pertanto rimane assoggettato agli obblighi che incombono a
tutti i dipendenti, salvo espresse disposizioni in
senso contrario.
70 Pertanto,
il secondo motivo deve essere dichiarato manifestamente infondato.
Il terzo
motivo
71 Con il
terzo motivo il ricorrente si duole che il Tribunale,
al punto 108 della sentenza impugnata, abbia travisato la portata dell'art. 11,
secondo comma, dello Statuto, assimilando i diritti d'autore ad una
remunerazione rientrante nelle previsioni di tale norma.
72 Con la
prima parte di questo motivo, il ricorrente sostiene che tale interpretazione è
erronea, nella misura in cui i diritti d'autore non costituirebbero la
contropartita di un servizio prestato e non comprometterebbero l'indipendenza
del dipendente.
73 Il
ricorrente fa valere, con la seconda parte del detto motivo, che
l'interpretazione sopra esposta condurrebbe ad una violazione del diritto di
proprietà, sancito dall'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 della CEDU.
74 Infine, con
la terza parte di questo stesso motivo, il ricorrente si duole che il
Tribunale, al punto 113 della sentenza impugnata, abbia travisato la portata
del detto art. 11, subordinando l'applicazione di quest'ultimo
alla disciplina di autorizzazione preventiva prevista
dall'art. 17 dello Statuto. Infatti, secondo il ricorrente, l'art.
75 Quanto alle
due prime parti del motivo, è sufficiente constatare come il ricorrente si
limiti a riproporre gli argomenti e le allegazioni da
lui già fatti valere dinanzi al Tribunale, senza elaborare una tesi
specificamente intesa ad individuare l'errore di diritto da cui sarebbe viziata
la sentenza impugnata.
76 Le prime
due parti del terzo motivo, le quali in realtà mirano ad ottenere dalla Corte
un semplice riesame degli argomenti dedotti dinanzi al Tribunale - ciò che, a
norma dell'art. 51 dello Statuto CE della Corte di
giustizia, esula dalla competenza di quest'ultima -,
devono essere dichiarate irricevibili (v. sentenza 4
luglio 2000, causa C-352/98 P, Bergaderm e Goupil/Commissione, Racc. pag.
I-5291, punto 35).
77 Quanto alla
terza parte del motivo, è giocoforza constatare, come
rilevato dall'avvocato generale al punto 32 delle sue conclusioni, che essa
riguarda una considerazione formulata dal Tribunale ad abundantiam
al punto 113, seconda frase, della sentenza impugnata. In via principale, il
Tribunale ha statuito che l'asserita esistenza di una prassi della Commissione,
consistente nell'autorizzare i dipendenti in posizione di aspettativa
per motivi personali a percepire diritti d'autore, non era stata dimostrata dal
ricorrente. Tale motivazione era già sufficiente in diritto per consentire al
Tribunale di rispondere all'argomentazione del ricorrente. Pertanto, la censura
diretta contro la seconda frase del punto 113 della
sentenza impugnata deve, in ogni caso, essere respinta in quanto inoperante.
78 Occorre
pertanto dichiarare il terzo motivo irricevibile nel suo insieme.
Il quarto
motivo
79 Il quarto
motivo è articolato in tre parti.
80 Con la
prima parte del motivo, il ricorrente si duole che il Tribunale, ai punti 125 e
126 della sentenza impugnata, abbia proseguito dinanzi a sé l'istruttoria del
procedimento disciplinare e sostituito la propria valutazione dei fatti a
quella dell'autorità disciplinare, riproponendo di sua
iniziativa un certo numero di addebiti riguardanti il contenuto dell'opera,
formulati dalla Commissione nel corso della fase contenziosa, laddove né il
parere della commissione di disciplina né la decisione di destituzione
contengono espressi argomenti relativi al carattere asseritamente
ingiurioso dell'opera in questione. Inoltre, la sentenza impugnata avrebbe
ripreso sic et simpliciter
tali addebiti senza verificarne la pertinenza.
82
Erroneamente, pertanto, il ricorrente asserisce che il Tribunale ha sostituito
la propria valutazione a quella dell'APN, formulando nuove censure nei suoi
confronti.
83 Oltre a
ciò, salvo il caso di snaturamento degli elementi di prova o di violazione dei
principi generali di diritto e delle regole applicabili in materia di onere probatorio e di assunzione delle prove, simili
constatazioni di fatto esulano, in linea di principio, dal controllo della
Corte nell'ambito di un giudizio di impugnazione (v. sentenza 28 maggio 1998,
causa C-7/95 P, Deere/Commissione, Racc. pag. I-3111, punto 22).
84 La prima
parte del quarto motivo deve pertanto essere respinta.
85 Con la
seconda parte di tale motivo, il signor Connolly
censura il Tribunale per aver ritenuto, al punto 128 della sentenza impugnata,
che l'opera controversa esprimesse pubblicamente
«un'opposizione fondamentale del ricorrente nei confronti della politica della
Commissione che egli era chiamato ad attuare», con la conseguenza che sarebbero
venuti meno i vincoli di fiducia che si impongono tra quest'ultimo
e la sua istituzione di appartenenza.
86 Secondo il
ricorrente, tale censura non ha avuto seguito nel corso del procedimento
disciplinare. Inoltre, se qualsiasi espressione di disaccordo con la politica
di un'istituzione comunitaria da parte di un dipendente fosse considerata come
una violazione del dovere di lealtà, la libertà di espressione,
sancita dall'art. 10 della CEDU, sarebbe priva di qualsiasi significato.
D'altronde, i compiti del ricorrente non sarebbero consistiti nell'attuare la
politica della Commissione, bensì, secondo le espressioni utilizzate dalla commissione
di disciplina, nel «seguire le politiche monetarie negli Stati membri ed
analizzare le implicazioni monetarie della realizzazione dell'Unione europea e
monetaria»
88 Quanto
all'asserita violazione del principio della libertà di espressione
ed ai limiti che possono essere imposti eccezionalmente a tale libertà, occorre
rinviare ai punti 37-64 della presente sentenza relativi al primo motivo.
89 Anche la
seconda parte del quarto motivo deve dunque essere respinta.
90 Con la
terza parte di tale motivo, il ricorrente fa valere che il Tribunale ha
erroneamente ritenuto, al punto 126 della sentenza impugnata, che la censura relativa alla violazione dell'art. 12 dello Statuto non
fosse stata oggetto di rinuncia da parte della commissione di disciplina e
dell'APN, mentre
91 Quale che sia l'argomentazione della Commissione nell'ambito del
giudizio di impugnazione - della quale essa contesta, peraltro,
l'interpretazione fornita dal ricorrente -, è pacifico, alla luce del
ragionamento svolto dal Tribunale al punto 126 della sentenza impugnata e
confermato al punto 81 della presente sentenza, che né la commissione di
disciplina né l'APN hanno rinunciato all'addebito relativo alla violazione
dell'art. 12 dello Statuto.
92 Pertanto,
la terza parte di tale motivo non può essere accolta.
93 Di
conseguenza, occorre dichiarare il quarto motivo in parte irricevibile ed in parte infondato.
Il quinto
motivo
94 Con il
quinto motivo, il ricorrente censura il Tribunale per aver ritenuto, al punto
44 della sentenza impugnata, che il rapporto dell'APN prendesse
in considerazione, «tra i fatti addebitati, il contenuto del libro», quale
espressione di una tesi economica discordante rispetto alla linea di condotta
adottata dalla Commissione, e per avere così violato il principio della fiducia
dovuta alle risultanze del rapporto dell'APN, il quale, al punto 25, prendeva
in considerazione unicamente «attacchi sprezzanti ed infondati».
96 Il quinto
motivo è pertanto totalmente infondato.
Il sesto
motivo
97 Il sesto motivo
è articolato in due parti.
98 Con la
prima parte del motivo, il ricorrente si duole che il Tribunale, ai punti 97 e
98 della sentenza impugnata, abbia violato il principio della fiducia dovuta
alle risultanze degli atti documentali, formulando un
addebito non dimostrato nel corso del procedimento disciplinare, vale a dire
l'espressione di una divergenza di opinioni tra il signor Connolly
e
99 E' giocoforza constatare, come ha fatto il Tribunale ai punti
97 e 98 della sentenza impugnata, che il disaccordo del ricorrente con la
politica della Commissione era evidente - come testimonia il passaggio citato
dell'opera controversa, il quale faceva chiaramente parte del fascicolo - e che
il ricorrente stesso ne ha fornito una giustificazione dinanzi alla commissione
di disciplina (v. processo verbale dell'audizione del ricorrente in data 5
dicembre 1995, pagg. 4-7).
101 Con la
seconda parte del quinto motivo, il ricorrente sostiene che il Tribunale gli ha
erroneamente imputato, al punto 98 della sentenza
impugnata, frasi che egli non avrebbe pronunciato, secondo le quali, «poiché le
sue analisi e proposte avevano incontrato l'opposizione dei suoi superiori,
egli aveva deciso - vista la vitale importanza della materia in questione e
considerato il pericolo che la politica seguita dalla Commissione comportava
per il futuro dell'Unione - di renderle pubbliche».
103 Di
conseguenza, il sesto motivo deve essere dichiarato in parte irricevibile ed in
parte infondato.
Il settimo
motivo
104 Con il
settimo motivo, il signor Connolly contesta la
valutazione effettuata dal Tribunale, al punto 47
della sentenza impugnata, secondo cui il ricorrente, in occasione dell'ultima
audizione di quest'ultimo da parte dell'APN, in data
9 gennaio 1996, non ha fatto valere che il parere della commissione di
disciplina era fondato su addebiti da considerarsi come fatti nuovi, e neppure
ha chiesto la riapertura del procedimento disciplinare, come sarebbe stato suo
diritto ai sensi dell'art. 11 dell'allegato IX. Secondo il ricorrente, risulta dal processo verbale relativo a tale audizione che
il suo consulente, in occasione di tale riunione, ha prodotto dinanzi all'APN
le memorie depositate dinanzi alla commissione di disciplina, con le quali egli
chiedeva in particolare, nel caso in cui quest'ultima
intendesse basarsi su una violazione sostanziale dell'art. 12 dello Statuto, la
sospensione del procedimento ed il rinvio del caso all'APN, affinché quest'ultima procedesse ad una nuova audizione.
105
Indipendentemente dalla ricevibilità del motivo,
l'argomento del ricorrente non consente, in alcun caso, di provare l'esistenza
di un errore di valutazione che vizierebbe il punto 47 della sentenza
impugnata. Infatti, tale punto si limita a constatare
che, in occasione dell'audizione del 9 gennaio 1996, il ricorrente non ha fatto
valere che il parere della commissione di disciplina era fondato sull'addebito
di fatti nuovi né ha presentato alcuna domanda di riapertura del procedimento
disciplinare. Il fatto che il ricorrente, in occasione di tale audizione, abbia
presentato le memorie depositate dinanzi alla commissione di disciplina, nelle
quali egli aveva formulato una riserva generale per il caso in cui fossero
stati in futuro sollevati nuovi addebiti, non è di natura tale da rimettere in
discussione la constatazione effettuata dal Tribunale.
106 Il settimo
motivo deve pertanto essere respinto.
L'ottavo
motivo
107 Con
l'ottavo motivo, il ricorrente censura il Tribunale per non aver risposto in
maniera adeguata, al punto 48 della sentenza impugnata, al motivo relativo alla mancata audizione del ricorrente medesimo, a
norma dell'art. 87, secondo comma, dello Statuto, in ordine a due fatti, vale a
dire in merito all'articolo pubblicato dal quotidiano The Times
il 6 settembre 1995 ed all'intervista concessa ad un giornalista televisivo in
data 26 settembre 1995.
109 Se il
motivo sollevato dal ricorrente in primo grado - peraltro redatto in termini
poco chiari - dovesse essere inteso come relativo alla
circostanza che egli, prima della formazione del rapporto che apriva il
procedimento disciplinare, non era stato sentito in via preliminare sui due
fatti in questione, in contrasto con quanto stabilito dall'art. 87, secondo
comma, dello Statuto, è sufficiente a questo proposito rilevare che, al punto 9
della sentenza impugnata, il Tribunale ha constatato che l'APN, con lettera 13
settembre 1995, aveva convocato il ricorrente perché questi fosse sentito in
particolare sui fatti in questione, alla luce degli obblighi ad esso incombenti
in forza degli artt. 11, 12 e 17 dello Statuto, e
che, in occasione dell'audizione del 26 settembre successivo, il ricorrente
aveva rifiutato di rispondere alle domande che gli venivano
poste, presentando una dichiarazione scritta il cui contenuto è esposto al
punto 10 della sentenza impugnata. E' stato soltanto successivamente
a tale seconda audizione, vale a dire il 4 ottobre 1995, che l'APN ha deciso di
deferire il caso alla commissione di disciplina, a norma dell'art. 1
dell'allegato IX.
110 Occorre
dunque dichiarare l'ottavo motivo manifestamente infondato.
Il nono motivo
111 Con il
nono motivo, il ricorrente si duole che il Tribunale abbia riconosciuto
legittimo, al punto 74 della sentenza impugnata, il fatto che il relatore
avesse presentato la propria relazione oralmente agli altri membri della
commissione di disciplina, e gli abbia opposto più volte (ai punti 74, 84, 95 e
101 della sentenza impugnata) la mancata prova della leggerezza e della parzialità
con le quali, ad avviso del ricorrente medesimo, la
commissione di disciplina ed il presidente di questa avevano svolto il loro
incarico, e ciò malgrado le prove offerte con il ricorso e con la replica.
112 Quanto
alla mancata predisposizione di una relazione scritta dinanzi alla commissione
di disciplina, occorre constatare, al pari di quanto fatto dal
Tribunale al punto 74 della sentenza impugnata, che «l'art. 3
dell'allegato IX si limita a prevedere l'affidamento dell'incarico di relatore,
senza prescrivere formalità particolari per l'esecuzione di tale incarico,
quali ad esempio la predisposizione di una relazione scritta oppure la
comunicazione di tale relazione alle parti». Di conseguenza, correttamente il
Tribunale ha inferito da tale constatazione che «non si può escludere che una
relazione possa essere presentata oralmente dal
relatore agli altri membri della commissione di disciplina».
113 Quanto
alla censura relativa ad una pretesa violazione, da parte del Tribunale, delle
regole in materia di onere probatorio e di assunzione
delle prove, diretta nella fattispecie a dimostrare la mancata indipendenza ed
imparzialità della commissione di disciplina, occorre rilevare che, in
generale, per orientare il convincimento del giudice in merito alle allegazioni
di una parte o, quanto meno, per ottenerne l'intervento diretto nella ricerca
degli elementi di prova, non è sufficiente asserire taluni fatti a sostegno
delle proprie pretese; bisogna anche fornire indizi sufficientemente precisi,
obiettivi e concordanti, atti a suffragare la verità o la verosimiglianza dei
fatti medesimi.
114 La
valutazione effettuata dal Tribunale in ordine agli
elementi di prova sottopostigli non costituisce una questione di diritto, come
tale soggetta al controllo della Corte, salvo il caso di snaturamento di questi
elementi (sentenza 16 settembre 1997, causa C-362/95 P, Blackspur
DIY e a./Consiglio e Commissione, Racc. pag. I-4775, punto 29). Nella fattispecie, il signor Connolly
non ha provato che si sia verificato siffatto snaturamento.
115 Il nono
motivo va pertanto respinto.
Il decimo
motivo
116 Con il
decimo motivo, il ricorrente si duole, da un lato, che il Tribunale abbia rifiutato, al punto 174 della sentenza impugnata, di
accogliere la sua domanda di inserire nel fascicolo la nota del 28 luglio 1995
relativa al calcolo della riduzione dello stipendio in caso di sospensione,
anche se tale nota lo avrebbe aiutato a dimostrare lo sviamento di potere
commesso dalla Commissione e, dall'altro, che il Tribunale abbia ritenuto che
la detta nota non riguardasse «specificamente» la destituzione del ricorrente,
sebbene essa non fosse stata prodotta in giudizio da alcuna delle parti. Il
Tribunale avrebbe in questo modo violato i diritti della difesa ed avrebbe
illegittimamente utilizzato un fatto conosciuto in base a
«scienza privata».
118 Occorre
pertanto dichiarare il decimo motivo manifestamente infondato.
L'undicesimo
motivo
119 Con
l'undicesimo motivo, il ricorrente contesta i punti 172-175 della sentenza
impugnata, in quanto il Tribunale non avrebbe preso posizione
rispetto a taluni argomenti capaci di dimostrare la sussistenza di uno
sviamento di potere che avrebbe viziato il procedimento disciplinare. Gli
argomenti fatti valere si riferiscono al «parallelismo delle procedure»,
all'«assenza di risposta in merito all'esatta portata del procedimento
disciplinare alla luce degli artt. 11, 12 e 17 dello
Statuto», all'«assenza di un nesso logico tra le premesse e la conclusione del
ragionamento intrinseco al procedimento disciplinare», alla circostanza che «
121 Infatti, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo
61 delle sue conclusioni, l'obbligo per il Tribunale di motivare le proprie
decisioni non può essere interpretato nel senso che quest'ultimo
fosse tenuto a replicare in dettaglio a tutti gli argomenti invocati dal
ricorrente, specialmente se tali argomenti non avevano un carattere
sufficientemente chiaro e preciso e non erano fondati su elementi di prova
circostanziati. A questo proposito, il ricorrente non ha dimostrato e neppure
dedotto a titolo di allegazione di parte che gli
argomenti di cui al punto 119 della presente sentenza presentavano un carattere
siffatto, né che essi riposavano su elementi di prova snaturati dal Tribunale o
nella cui valutazione quest'ultimo aveva violato le
regole di procedura ovvero i principi generali di diritto in materia di onere
probatorio ed assunzione delle prove.
122 Sulla
scorta di tali premesse, occorre respingere l'undicesimo motivo.
Il dodicesimo
motivo
123 Con il
dodicesimo motivo, il ricorrente fa valere un vizio logico che inficierebbe il ragionamento svolto al punto 155 della
sentenza impugnata, in quanto il Tribunale avrebbe dedotto
un fatto ignoto da uno incerto, laddove la regola logica della presunzione
implica che il fatto ignoto venga dedotto da un fatto certo. Inoltre, una inferenza negativa («non può dedursi») non può, a suo
avviso, essere idonea a sostenere un valido ragionamento.
124 Tale
censura non può essere accolta, nella misura in cui essa si basa su una lettura
inesatta ed avulsa dal contesto in cui si inserisce il
suddetto punto della sentenza impugnata.
125 Infatti, come giustamente rilevato dall'avvocato generale
al punto 64 delle sue conclusioni, il punto 155 della sentenza impugnata
costituisce una risposta alla contestazione, mossa dal ricorrente, nei
confronti del regime di autorizzazione preventiva di cui all'art. 17, secondo
comma, dello Statuto, basata sul fatto che tale norma permetterebbe l'esercizio
di una «censura illimitata», contraria all'art. 10 della CEDU. Infatti, il
Tribunale, da un lato, ha considerato, al punto 152 della sentenza impugnata,
il carattere eccezionale del diniego di autorizzazione,
il quale può essere giustificato soltanto qualora la pubblicazione in questione
sia di natura tale da compromettere gli interessi delle Comunità e, dall'altro,
ha constatato, al punto 154, che la decisione di destituzione era fondata, in
particolare, sul fatto che il ricorrente, con la sua condotta, aveva gravemente
leso gli interessi delle Comunità ed arrecato pregiudizio all'immagine e alla
reputazione dell'istituzione. Il Tribunale ha da ciò concluso,
al punto 155, che nulla consentiva di affermare che la violazione dell'art.
17, secondo comma, contestata al ricorrente, avrebbe potuto ritenersi
sussistente anche in assenza di qualsiasi pregiudizio degli interessi delle
Comunità, con la conseguenza che non è possibile invocare l'esistenza di una
«censura illimitata».
126 Il
dodicesimo motivo deve pertanto essere dichiarato manifestamente infondato.
Il tredicesimo
motivo
127 Con il
tredicesimo motivo, il ricorrente fa valere che dalla valutazione degli altri
motivi discende che le violazioni delle quali egli è stato ritenuto
responsabile non sono provate, e che pertanto la
valutazione effettuata dal Tribunale in ordine alla proporzionalità della
sanzione - fondata sulla fondamentale considerazione, svolta al punto 166 della
sentenza impugnata, secondo cui «i fatti addebitati al ricorrente risultano
provati» - non è corretta.
128 Posto che
nessuno degli altri motivi dedotti dal ricorrente può essere accolto, occorre
dichiarare infondato anche il tredicesimo motivo.
129 Poiché le
conclusioni dirette all'annullamento della decisione di destituzione sono state
dichiarate in parte irricevibili ed
in parte infondate, il Tribunale legittimamente ha respinto, ai punti
178 e 179 della sentenza impugnata, le conclusioni del ricorrente intese ad
ottenere il risarcimento del danno materiale e morale da lui asseritamente subìto, posto che
tali ultime conclusioni presentavano uno stretto legame con le prime. Poiché il ricorrente non ha dedotto alcun argomento idoneo a
rimettere in discussione la validità di questo ragionamento, la domanda di
risarcimento da lui proposta alla Corte è manifestamente irricevibile.
130 Il ricorso
contro la pronuncia del Tribunale deve pertanto essere integralmente respinto.
Decisione relativa alle spese
Sulle spese
Dispositivo
Per questi
motivi,
dichiara e
statuisce:
1) Il ricorso
è respinto.
2) Il signor Connolly è condannato alle spese.
(Seguono
le firme)