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Corte di Giustizia delle Comunità europee (Prima Sezione), 17 settembre 2009

 

C-242/06, Minister voor Vreemdelingenzaken en Integratie

T. Sahin

 

 

Nel procedimento C‑242/06,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’art. 234 CE, dal Raad van State (Paesi Bassi), con decisione 11 maggio 2006, pervenuta in cancelleria il 29 maggio 2006, nella causa

 

Minister voor Vreemdelingenzaken en Integratie

 

contro

 

T. Sahin,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. M. Ilešič, A. Tizzano, E. Levits e J.‑JKasel (relatore), giudici,

avvocato generale: sig. M. Poiares Maduro

cancelliere: sig.ra C. Strömholm, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 17 dicembre 2008,

considerate le osservazioni presentate:

        per il sig. Sahin, dall’avv. D. Schaap, advocaat;

        per il governo olandese, dalle sig.re H.G. Sevenster, C. Wissels e M. de Mol, in qualità di agenti;

        per il governo tedesco, dalla sig.ra C. Schulze‑Bahr nonché dai sigg. M. Lumma e J. Möller, in qualità di agenti;

        per il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dalla sig.ra W. Ferrante, avvocato dello Stato;

        per il governo cipriota, dal sig. D. Lysandrou, in qualità di agente;

        per il governo del Regno Unito, dal sig. T. Ward, barrister;

        per la Commissione delle Comunità europee, dalla sig.ra S. Boelaert e dal sig. M. van Beek, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        La domanda di pronuncia pregiudiziale riguarda l’interpretazione dell’art. 13 della decisione del Consiglio di associazione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’associazione (in prosieguo: la «decisione n. 1/80»). Il Consiglio di associazione è stato istituito dall’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Turchia, firmato il 12 settembre 1963 a Ankara dalla Repubblica di Turchia, da un lato, e dagli Stati membri della CEE e dalla Comunità, d’altro lato, e concluso, approvato e confermato a nome di quest’ultima con decisione del Consiglio 23 dicembre 1963, 64/732/CEE (GU 1964, 217, pag. 3685; in prosieguo: «l’Accordo di associazione»).

2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Sahin e il Minister voor Vreemdelingenzaken en Integratie (Ministro dell’Immigrazione e Integrazione; in prosieguo: il «Minister»), in merito all’obbligo dei cittadini turchi di pagare diritti per l’esame della loro domanda di permesso di soggiorno o di proroga della sua validità.

 Contesto normativo

 La normativa comunitaria

 L’associazione CEE‑Turchia

       L’Accordo di associazione

3        In conformità al suo art. 2, n. 1, l’Accordo di associazione ha lo scopo di promuovere il rafforzamento continuo ed equilibrato delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, incluso il settore della manodopera, mediante la realizzazione graduale della libera circolazione dei lavoratori (art. 12 dell’Accordo di associazione), nonché mediante l’eliminazione delle restrizioni alla libertà di stabilimento (art. 13 del detto Accordo) e alla libera prestazione dei servizi (art. 14 dello stesso Accordo), allo scopo di elevare il tenore di vita del popolo turco e di facilitare ulteriormente l’adesione della Repubblica di Turchia alla Comunità (quarto ‘considerando’ e art. 28 del detto Accordo).

4        A tal fine, l’Accordo di associazione comporta una fase preparatoria, che consente alla Repubblica di Turchia di rafforzare la sua economia con l’aiuto della Comunità (art. 3 di tale Accordo), una fase transitoria, nel corso della quale vengono garantiti l’attuazione progressiva di un’unione doganale e il ravvicinamento delle politiche economiche (art. 4 del detto Accordo), nonché una fase definitiva, che si basa sull’unione doganale e implica il rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche delle parti contraenti (art. 5 dello stesso Accordo).

5        L’art. 6 dell’Accordo di associazione dispone quanto segue:

«Per assicurare l’applicazione ed il progressivo sviluppo del regime di Associazione, le Parti Contraenti si riuniscono in un Consiglio di Associazione che agisce nei limiti delle attribuzioni conferitegli dall’Accordo».

6        Ai sensi dell’art. 8 dell’Accordo di associazione, inserito nel titolo II di quest’ultimo, intitolato «Attuazione della fase transitoria»:

«Per realizzare gli obiettivi enunciati nell’articolo 4, il Consiglio di Associazione stabilisce, prima che abbia inizio la fase transitoria e secondo la procedura prevista dall’articolo 1 del protocollo provvisorio, le condizioni, le modalità e il ritmo di applicazione delle disposizioni riguardanti i settori contemplati nel Trattato istitutivo della Comunità che dovranno essere presi in considerazione, e in particolare quelli menzionati nel presente Titolo, nonché ogni clausola di salvaguardia che risultasse utile».

7        Gli artt. 12‑14 dell’Accordo di associazione figurano anch’essi nel suo titolo II, capitolo 3, intitolato «Altre disposizioni di carattere economico».

8        L’art. 12 prevede quanto segue:

«Le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli [39 CE], [40 CE] e [41 CE] per realizzare gradualmente tra di loro la libera circolazione dei lavoratori».

9        L’art. 13 così dispone:

«Le Parti Contraenti convengono d’ispirarsi agli articoli da [43 CE] a [46 CE] incluso e all’articolo [48 CE] per eliminare tra loro le restrizioni alla libertà di stabilimento».

10      L’art. 14 recita:

«Le Parti Contraenti convengono di ispirarsi agli articoli [45 CE], [46 CE] e da [48 CE] a [54 CE] incluso per eliminare tra loro le restrizioni alla libera prestazione dei servizi».

11      Secondo il dettato dell’art. 22, n. 1, dell’Accordo di associazione:

«Per il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Accordo e nei casi da questo previsti, il Consiglio di associazione dispone di un potere di decisione. Ognuna delle due parti è tenuta a prendere le misure necessarie all’esecuzione delle decisioni adottate (…)».

       Il protocollo addizionale

12      Il protocollo addizionale, firmato il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e confermato a nome della Comunità dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 dicembre 1972, n. 2760 (GU L 293, pag. 1; in prosieguo: il «protocollo addizionale»), che, in conformità al suo art. 62, costituisce parte integrante dell’Accordo di associazione, stabilisce, ai sensi del suo art. 1, le condizioni, le modalità e i ritmi di realizzazione della fase transitoria prevista dall’art. 4 di detto Accordo.

13      Il protocollo addizionale comprende un titolo II, rubricato «Circolazione delle persone e dei servizi», il cui capitolo I riguarda «[i] lavoratori» e il cui capitolo II è dedicato al «diritto di stabilimento, servizi e trasporti».

14      L’art. 36 del protocollo addizionale, che rientra nel detto capitolo I, prevede che la libera circolazione dei lavoratori tra gli Stati membri della Comunità e la Turchia sia realizzata gradualmente, conformemente ai principi enunciati all’art. 12 dell’Accordo di associazione, tra la fine del dodicesimo e del ventiduesimo anno dall’entrata in vigore di detto Accordo, e che il Consiglio di associazione stabilisca le modalità necessarie a tale scopo.

15      L’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, che figura nel capitolo II del detto titolo II, è così formulato:

«1. Le parti contraenti si astengono dall’introdurre tra loro nuove restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi».

16      L’art. 59 del protocollo addizionale, che figura nel titolo IV di quest’ultimo, intitolato «Disposizioni generali e finali», è redatto come segue:

«Nei settori coperti dal presente protocollo, la Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virtù del Trattato che istituisce la Comunità».

       La decisione n. 1/80

17      Il 19 settembre 1980, il Consiglio di associazione, istituito dall’Accordo di associazione e composto, da un lato, da membri dei governi degli Stati membri, dal Consiglio dell’Unione europea nonché dalla Commissione delle Comunità europee e, dall’altro lato, da membri del governo turco, ha adottato la decisione n. 1/80.

18      L’art. 6 di tale decisione fa parte del capitolo II, intitolato «Disposizioni sociali», sezione 1, riguardante i «Problemi relativi all’occupazione e alla libera circolazione dei lavoratori». Il n. 1 di tale articolo è così formulato:

«1. Fatte salve le disposizioni dell’articolo 7, relativo al libero accesso dei familiari all’occupazione, il lavoratore turco inserito nel regolare mercato del lavoro di uno Stato membro ha i seguenti diritti:

        rinnovo, in tale Stato membro, dopo un anno di regolare impiego, del permesso di lavoro presso lo stesso datore di lavoro, se dispone di un impiego;

        candidatura, in tale Stato membro, ad un altro posto di lavoro, la cui regolare offerta sia registrata presso gli uffici di collocamento dello Stato membro, nella stessa professione, presso un datore di lavoro di suo gradimento, dopo tre anni di regolare impiego, fatta salva la precedenza da accordare ai lavoratori degli Stati membri della Comunità;

        libero accesso, in tale Stato membro, a qualsiasi attività salariata di suo gradimento, dopo quattro anni di regolare impiego».

19      L’art. 13 della decisione n. 1/80, contenuto nella medesima sezione I, così dispone:

«Gli Stati membri della Comunità e la Turchia non possono introdurre nuove restrizioni sulle condizioni d’accesso all’occupazione dei lavoratori e dei loro familiari che si trovino sui loro rispettivi territori in situazione regolare quanto al soggiorno e all’occupazione».

20      In conformità dell’art. 30 della decisione n. 1/80, quest’ultima è entrata in vigore il 1° luglio 1980. Tuttavia, a termini dell’art. 16, le disposizioni della sezione 1 del capitolo II di tale decisione sono applicabili a decorrere dal 1° dicembre 1980.

 La direttiva 68/360/CEE

21      L’art. 9, n. 1, della direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 13), stabiliva quanto segue:

«I documenti di soggiorno (...) concessi ai cittadini di uno Stato membro della CEE vengono rilasciati e rinnovati a titolo gratuito o contro versamento di una somma non eccedente i diritti e tasse richiesti per il rilascio delle carte d’identità ai cittadini».

22      La direttiva 68/30 è stata abrogata, a partire dal 30 aprile 2006, dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/38/CE, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU L 158, pag. 77, e rettifiche GU 2004, L 229, pag. 35, GU 2005, L 197, pag. 34, e GU 2007, L 204, pag. 28).

 La direttiva 2004/38

23      Ai sensi dell’art. 8 della direttiva 2004/38, gli Stati membri possono, per soggiorni di durata superiore a tre mesi, richiedere ai cittadini dell’Unione europea l’iscrizione presso le autorità competenti del luogo di residenza, formalità il cui adempimento è accertato tramite un attestato di registrazione a tal fine rilasciato. Analogamente, in applicazione dell’art. 9 della medesima direttiva, gli Stati membri possono prevedere l’obbligo dei familiari dei cittadini dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro di essere titolari di una carta di soggiorno, quando la durata del soggiorno previsto è superiore a tre mesi. L’inadempimento dell’obbligo di richiedere la carta di soggiorno può essere passibile di sanzioni proporzionate e non discriminatorie. Ai sensi dell’art. 11, n. 1, della detta direttiva, la carta di soggiorno ha un periodo di validità di cinque anni dalla data del rilascio o è valida per il periodo di soggiorno previsto del cittadino dell’Unione se tale periodo è inferiore a cinque anni.

24      L’art. 25 della direttiva 2004/38, intitolato «Disposizioni generali riguardanti i documenti di soggiorno», è così formulato:

«1.      Il possesso di un attestato d’iscrizione di cui all’articolo 8, di un documento che certifichi il soggiorno permanente, della ricevuta della domanda di una carta di soggiorno di familiare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente, non può in nessun caso essere un prerequisito per l’esercizio di un diritto o il completamento di una formalità amministrativa, in quanto la qualità di beneficiario dei diritti può essere attestata con qualsiasi altro mezzo di prova.

2.      I documenti menzionati nel paragrafo 1 sono rilasciati a titolo gratuito o dietro versamento di una somma non eccedente quella richiesta ai cittadini nazionali per il rilascio di documenti analoghi».

 La normativa nazionale

25      Secondo le indicazioni della decisione di rinvio, al 1° dicembre 1980, data alla quale le disposizioni in materia di occupazione e di libera circolazione dei lavoratori previste dalla decisione n. 1/80 – tra cui è compreso l’art. 13 di quest’ultima – sono entrate in vigore rispetto al Regno dei Paesi Bassi, tale Stato membro non richiedeva il pagamento di diritti per una domanda di permesso di soggiorno e non riscuoteva nemmeno tali diritti in caso di domanda di proroga della validità di tale permesso.

26      Gli stranieri sono tenuti a pagare diritti per l’esame della domanda di permesso di soggiorno solo a partire dall’entrata in vigore, il 1° aprile 2001, della legge 23 novembre 2000 recante totale revisione della legge sugli stranieri (Wet tot algehele herziening van de Vreemdelingenwet; Stb. 2000, n. 495, in prosieguo: la «Vw 2000»), del decreto sugli stranieri del 2000 (Vreemdelingenbesluit 2000, Stb. 2000, n. 497), nonché del regolamento sugli stranieri (Voorschrift Vreemdelingen).

27      Inoltre, in base ad una modifica del regolamento sugli stranieri, applicabile a partire dal 1° maggio 2002, è stata prevista la riscossione di tali diritti anche in caso di domanda di proroga della validità del permesso di soggiorno. In tale occasione è stato aumentato l’importo dei diritti percepiti.

28      In conformità dell’art. 24, n. 2, della Vw 2000, il mancato pagamento entro il termine impartito dei diritti relativi alla domanda di permesso di soggiorno comporta che essa non sia presa in esame dall’autorità competente. D’altra parte, i diritti versati non sono rimborsati in caso di rigetto della domanda.

 Causa principale e questioni pregiudiziali

29      Dalla decisione di rinvio risulta che il sig. Sahin è un cittadino turco che, il 13 luglio 2000, otteneva un’autorizzazione provvisoria di soggiorno grazie alla quale entrava in territorio olandese il 12 settembre successivo.

30      Il 2 ottobre 2000, mentre soggiornava legalmente nei Paesi Bassi, egli presentava una domanda di permesso di soggiorno per poter convivere con la moglie di cittadinanza olandese.

31      Il 14 dicembre 2000, il Minister gli accordava tale permesso di soggiorno valido fino al 2 ottobre 2001. Tale autorizzazione non era accompagnata da alcuna restrizione circa lo svolgimento di attività lavorative.

32      Su richiesta del sig. Sahin, il 28 settembre 2001, il Minister prorogava la validità di tale permesso di soggiorno fino al 2 ottobre 2002.

33      Solo il 10 febbraio 2003 tuttavia, l’interessato sollecitava una nuova proroga della validità di tale permesso

34      Il 23 aprile 2003, il Minister, in applicazione della normativa olandese, rifiutava di esaminare quest’ultima domanda, in quanto il sig. Sahin non aveva pagato i diritti relativi ad essa, per l’importo di EUR 169.

35      Tuttavia, dopo aver versato tale importo, ma oltre il termine impartitogli, il 26 maggio 2003 il sig. Sahin presentava reclamo contro la decisione del Minister 23 aprile 2003, reclamo che quest’ultimo dichiarava infondato il 20 aprile 2004.

36      Il 16 maggio 2004, il sig. Sahin proponeva un ricorso contro quest’ultima decisione dinanzi al Rechtbanks‑Gravenhage, fondandosi sull’art. 13 della decisione n. 1/80. Tale giudice accoglieva il ricorso con sentenza 5 agosto 2004, annullando la decisione del Minister 20 aprile 2004 e ordinando a quest’ultimo di adottare una nuova decisione.

37      Il 17 settembre 2004, il Minister respingeva nuovamente il reclamo del sig. Sahin, dichiarandolo infondato.

38      Con sentenza 30 maggio 2005, il Rechtbanks‑Gravenhage accoglieva il ricorso proposto dal sig. Sahin il 15 ottobre 2004 contro la seconda decisione di rigetto del Minister, ritenendo che l’obbligo imposto al ricorrente di versare diritti in relazione alla domanda di proroga della validità del suo permesso di soggiorno nei Paesi Bassi fosse contrario all’art. 13 della decisione n. 1/80.

39      A sostegno dell’appello interposto contro la summenzionata sentenza dinanzi al Raad van State, il Minister sostiene che il giudice di primo grado ha erroneamente fatto rientrare la situazione del sig. Sahin nell’ambito di applicazione del summenzionato art. 13.

40      Secondo il Raad van State, il sig. Sahin non ha versato in tempo utile i diritti dovuti, cosicché, in applicazione del diritto nazionale, il Minister era tenuto a non esaminare la domanda dell’interessato.

41      È pacifico che, dal 14 dicembre 2000 al 2 ottobre 2002, il sig. Sahin ha soggiornato regolarmente nei Paesi Bassi, nel senso della normativa nazionale, poiché era in possesso di un permesso di soggiorno valido per l’intero periodo menzionato. Durante tale periodo egli era altresì legittimato ad esercitare un’attività lavorativa nel territorio olandese. L’interessato, a partire dal marzo 2001, ha occupato anche numerosi posti di lavoro, per nessuno dei quali ha mai superato la durata di un anno senza interruzione alle dipendenze di uno stesso datore di lavoro, cosicché non è legittimato ad avvalersi dei diritti previsti all’art. 6 della decisione n. 1/80.

42      Pertanto, si porrebbe la questione se un’altra disposizione contenuta nella normativa adottata nell’ambito dell’associazione CEE‑Turchia osti all’applicazione della normativa olandese relativa all’obbligo di versare diritti per ottenere un titolo di soggiorno e al rifiuto del Minister di esaminare la domanda presentata a tal fine in caso di mancato versamento di tali diritti.

43      Il giudice del rinvio rileva in tale contesto che il sig. Sahin ha presentato una domanda di proroga della validità del suo permesso di soggiorno solo il 10 febbraio 2003, vale a dire dopo la scadenza di tale validità, per cui, in applicazione del diritto nazionale, nel periodo compreso tra il 2 ottobre 2002 e il 10 febbraio 2003 non si trovava più in situazione di soggiorno regolare e non aveva più il diritto di svolgere un’attività lavorativa dipendente nel territorio olandese finché tale domanda era in corso di esame. Pertanto, secondo tale giudice, il sig. Sahin in tale lasso di tempo ha occupato dei posti di lavoro illegittimamente dal punto di vista del diritto interno olandese.

44      Al contrario, dal momento in cui il sig. Sahin ha presentato domanda di proroga della validità del suo permesso di soggiorno, cioè dal 10 febbraio 2003, il suo soggiorno nei Paesi Bassi doveva, in conformità del diritto olandese, essere nuovamente considerato regolare. D’altra parte, poiché la domanda tardiva è stata introdotta nel termine ragionevole di sei mesi dalla fine del soggiorno regolare, essa dev’essere esaminata alla luce delle condizioni nazionali richieste per la proroga del soggiorno e non di quelle previste per il primo ingresso nel territorio olandese.

45      Nel caso di specie, occorrerebbe in particolare stabilire se un cittadino turco che si trovi in una situazione come quella descritta ai punti 29‑44 della presente sentenza possa utilmente avvalersi dell’art. 13 della decisione n. 1/80. Inoltre, se non esistono dubbi quanto al fatto che la normativa nazionale di cui alla causa principale deve essere considerata come «nuova» ai sensi di tale articolo, poiché essa comporta la conseguenza di rendere più sfavorevole la situazione dei cittadini turchi rispetto a quella che risultava dalle norme loro applicabili alla data in cui il summenzionato art. 13 è entrato in vigore nei confronti del Regno dei Paesi Bassi, occorrerebbe comunque stabilire se gli obblighi che essa impone a detto Stato membro rientrino nella nozione di «restrizioni» nel senso dello stesso articolo, in particolare alla luce del fatto che l’importo dei diritti percepiti per la domanda di cui trattasi supera di gran lunga quello imposto ai cittadini comunitari e ai loro familiari.

46      In tali circostanze, il Raad van State ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      a)     Se l’art. 13 della decisione n. 1/80 (...) alla luce dei punti 81 e 84 della sentenza 21 ottobre 2003, cause riunite C‑317/01 e C‑369/01, Abatay e a. (Racc. pag. I‑12301), debba essere interpretato nel senso che può far valere tale disposizione uno straniero, cittadino turco, che si sia attenuto alle regole per il primo ingresso e il soggiorno nel paese e che nel periodo dal 14 dicembre 2000 al 2 ottobre 2002 abbia regolarmente svolto attività di lavoro subordinato presso diversi datori di lavoro, ma che tuttavia non abbia richiesto entro i termini la proroga del periodo di validità del permesso di soggiorno rilasciatogli, cosicché dopo la scadenza di tale permesso e all’epoca della domanda di proroga dello stesso, secondo il diritto nazionale, non si trovava in una situazione di soggiorno regolare e non era neppure autorizzato a svolgere attività lavorative nel paese.

b)      Se per la soluzione della questione 1, lett. a) abbia rilevanza la circostanza che una domanda di proroga, presentata dallo straniero oltre i termini, che sia stata ricevuta entro sei mesi dalla scadenza del periodo di validità di tale permesso di soggiorno, pur essendo equiparata, secondo il diritto nazionale, ad una domanda di concessione del primo permesso di soggiorno, viene esaminata alla luce dei requisiti posti per consentire la prosecuzione del soggiorno e che lo straniero può attendere nel paese la decisione su tale domanda.

2      a)     Se il termine “restrizione” di cui all’art. 13 della decisione n. 1/80 debba essere interpretato nel senso che in esso rientra l’obbligo di pagamento di diritti – relativi all’esame di una domanda di proroga della validità di un permesso di soggiorno – dovuti da un cittadino turco rientrante nell’ambito di applicazione della decisione n. 1/80, diritti il cui mancato pagamento comporta che la sua domanda non è presa in esame, a norma dell’art. 24, n. 2, della Vw 2000.

b)      Se sia diversa la soluzione della questione 2, lett. a) nel caso in cui l’importo dei diritti non superi i costi dell’esame della domanda.

3.      Se l’art. 13 della decisione n. 1/80, che mira a dare attuazione al protocollo addizionale all’[Accordo di associazione], in combinato disposto con l’art. 59 del detto protocollo, debba essere interpretato nel senso che l’importo dei diritti dovuti per l’esame di una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno ovvero per la proroga dello stesso (che all’epoca dei fatti ammontavano a EUR 169 per lo straniero) non possa superare per i cittadini turchi rientranti nell’ambito di applicazione della decisione n. 1/80 l’importo dei diritti (EUR 30) esigibili nei confronti dei cittadini della Comunità europea per l’esame di una domanda di verifica alla luce del diritto comunitario e di rilascio dei documenti di soggiorno a questo collegati (vedi art. 9, n. 1, della direttiva 68/360/CEE, rispettivamente art. 25, n. 2, della direttiva 2004/38/CE)».

 Sulle questioni pregiudiziali

 Osservazioni preliminari

47      Con la sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio intende in sostanza stabilire, da un lato, se un cittadino turco come il sig. Sahin si trovi nello Stato membro ospitante in una situazione regolare tale da farlo rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 13 della decisione n. 1/80. Dall’altro lato, tale giudice chiede alla Corte se la clausola di «standstill» enunciata in tale articolo osti a che sia sancito in tale Stato un obbligo a carico di detto cittadino di versare diritti per l’esame della sua domanda di ottenimento di un permesso di soggiorno o di proroga della sua validità, in particolare qualora tali diritti siano notevolmente più elevati di quelli applicati ai cittadini comunitari che si trovino in una situazione comparabile.

48      Per fornire una risposta utile al detto giudice e consentirgli di dirimere la controversia dinanzi ad esso pendente, occorre esaminare in successione questi due aspetti.

 Sull’ambito di applicazione ratione personae dell’art. 13 della decisione n. 1/80

49      Il giudice del rinvio si pone la questione se un cittadino turco come il sig. Sahin soddisfi il requisito di regolarità in materia di soggiorno e di occupazione enunciato all’art. 13 della decisione n. 1/80. Tale giudice ha effettivamente constatato che l’interessato aveva, da un lato, rispettato non solo le norme nazionali pertinenti in materia di primo ingresso nel territorio olandese, ma anche quelle in materia di soggiorno fino al 2 ottobre 2002 e, dall’altro lato, che tale cittadino turco fino alla stessa data vi era stato legalmente occupato dal punto di vista del diritto interno. Tuttavia, tale giudice si chiede se, successivamente, il sig. Sahin possa ancora fondarsi validamente sul detto art. 13, poiché, in applicazione del diritto nazionale, la scadenza del suo permesso di soggiorno e l’introduzione oltre il termine stabilito della domanda di proroga dello stesso, a causa del versamento tardivo dei diritti dovuti a questo titolo, hanno reso la sua situazione non conforme alle norme nazionali per quanto riguarda tanto il soggiorno quanto l’occupazione e poiché, inoltre, non ricorrevano ancora nei suoi confronti le condizioni necessarie per poter beneficiare di diritti concreti in materia di occupazione e di soggiorno nello Stato membro ospitante sulla base dell’art. 6, n. 1, della medesima decisione.

50      A tale proposito, occorre, da un lato, ricordare che, ai punti 75‑84 della citata sentenza Abatay e a., la Corte ha dichiarato che l’art. 13 della decisione n. 1/80 non è subordinato alla condizione che il cittadino turco interessato soddisfi i requisiti dell’art. 6, n. 1, della medesima decisione e che la portata di tale disposizione non è limitata ai lavoratori migranti turchi che svolgono un lavoro subordinato.

51      Infatti, queste due disposizioni della decisione n. 1/80 riguardano ipotesi distinte, poiché l’art. 6 disciplina le condizioni di esercizio di un’occupazione che consente l’integrazione progressiva dell’interessato nello Stato membro ospitante, mentre l’art. 13 riguarda le misure nazionali relative all’accesso all’occupazione, pur comprendendo nel suo ambito di applicazione i familiari il cui ingresso nel territorio di uno Stato membro non dipende dall’esercizio di un’attività lavorativa. La Corte ha dedotto, nella stessa sentenza Abatay e a., cit., che detto art. 13 non è destinato a tutelare i cittadini turchi già integrati nel mercato del lavoro di uno Stato membro, ma può applicarsi precisamente ai cittadini turchi che non godono ancora dei diritti in materia di occupazione e, correlativamente, di soggiorno ai sensi dell’art. 6, n. 1, della decisione n. 1/80.

52      Pertanto, la circostanza che il sig. Sahin non soddisfi i requisiti per essere titolare di diritti concreti sulla base di quest’ultima disposizione non è tale da privarlo della possibilità di invocare utilmente l’art. 13 della decisione n. 1/80.

53      D’altro canto, per quanto riguarda la nozione di «situazione regolare» ai sensi dell’art. 13 della decisione n. 1/80, risulta dalla giurisprudenza che essa implica che il lavoratore turco o il suo familiare deve aver rispettato la normativa dello Stato membro ospitante in materia di ingresso, soggiorno e, eventualmente lavoro, in modo da trovarsi legittimamente nel territorio del detto Stato (v., in particolare, sentenza Abatay e a., cit., punto 84 e giurisprudenza ivi citata). Così tale articolo non può applicarsi a un cittadino turco che versi in una situazione irregolare (sentenza Abatay e a., cit., punto 85).

54      A tale proposito, risulta dal fascicolo che il sig. Sahin è stato legalmente ammesso ad entrare e a soggiornare nel territorio olandese e che, inoltre, le autorità nazionali competenti gli hanno conferito il diritto incondizionato ad esercitare nello Stato membro ospitante un’attività lavorativa di suo gradimento, diritto che egli ha d’altronde effettivamente esercitato.

55      È pertanto pacifico che il sig. Sahin ha osservato tutte le norme nazionali pertinenti in materia di polizia degli stranieri e di impiego, dal momento del suo ingresso legale nei Paesi Bassi il 12 settembre 2000 e fino al 2 ottobre 2002, data nella quale è scaduto il periodo di validità del suo permesso di soggiorno. In particolare, l’interessato si trovava in situazione regolare in tale Stato membro alla data di entrata in vigore della nuova normativa interna che imponeva la riscossione di diritti per l’ottenimento e la proroga del permesso di soggiorno e che, secondo il fascicolo a disposizione della Corte, costituisce l’unico oggetto della causa principale.

56      Secondo le indicazioni fornite dal giudice del rinvio, è solo a partire dal 3 ottobre 2002 che la situazione del sig. Sahin, per quanto riguarda il soggiorno e l’occupazione, è divenuta temporaneamente non conforme ai requisiti prescritti dalla normativa nazionale, fino a quando, meno di sei mesi dopo la data di scadenza della validità del suo permesso di soggiorno, l’interessato aveva chiesto, nel rispetto delle forme e adempiendo all’obbligo di versare i diritti previsti a tal fine, la proroga del summenzionato permesso.

57      Infatti, come ha precisato il giudice del rinvio, a partire dalla data di tale domanda, il soggiorno del sig. Sahin nei Paesi Bassi doveva, in conformità del diritto interno, essere nuovamente considerato regolare. Inoltre, in applicazione del medesimo diritto, una siffatta domanda di rinnovo tardiva doveva essere esaminata con riferimento alle condizioni nazionali richieste per la proroga del permesso di soggiorno e non di quelle disciplinanti il rilascio del summenzionato permesso.

58      Occorre aggiungere che non è contestato che il sig. Sahin avrebbe ottenuto la proroga del suo titolo di soggiorno se avesse versato in tempo utile i diritti relativi alla sua domanda. Il fascicolo non contiene alcun elemento tale da far ritenere che le autorità olandesi competenti avrebbero voluto mettere fine al soggiorno dell’interessato o minacciato di espellerlo.

59      In ogni caso, la Corte ha già dichiarato che un permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità nazionali ha solo un valore dichiarativo e probatorio e che, sebbene gli Stati membri abbiano la facoltà di esigere che gli stranieri presenti nel loro territorio possiedano un titolo di soggiorno valido e presentino in tempo utile una domanda per la sua proroga e sebbene essi rimangono, in linea di principio, competenti a sanzionare la violazione di tali obblighi, cionondimeno essi non possono adottare al riguardo misure sproporzionate rispetto a situazioni nazionali comparabili (v. sentenza 16 marzo 2000, causa C‑329/97, Ergat, Racc. pag. I‑1487, punti 52, 55, 56, 61 e 62).

60      Spetterà al giudice del rinvio valutare, tenendo in debito conto l’insieme di tali circostanze particolari che caratterizzano la causa principale, se la situazione del sig. Sahin nello Stato membro ospitante debba essere considerata come non più regolare, per quanto riguarda il soggiorno e l’occupazione, ai fini dell’applicazione dell’art. 13 della decisione n. 1/80.

61      Nell’ipotesi in cui tale condizione di regolarità risultasse soddisfatta nel caso di specie, occorre statuire sul secondo quesito contenuto nella domanda di pronuncia pregiudiziale, esposta al punto 47 della presente sentenza, relativo al significato esatto della clausola di «standstill» dell’art. 13 della decisione n. 1/80.

 Sulla portata della clausola di «standstill» prevista all’art. 13 della decisione n. 1/80

62      A tale proposito, occorre anzitutto ricordare che da giurisprudenza costante della Corte risulta che l’art. 13 della decisione n. 1/80 può essere invocato dinanzi ai giudici degli Stati membri da cittadini turchi ai quali è applicabile al fine di escludere l’applicazione della normativa interna in contrasto con esso (v. sentenze 20 settembre 1990, causa C‑192/89, Sevince, Racc. pag. I‑3461, punto 26, nonché Abatay e a., cit., punti 58, 59 e 117, primo trattino).

63      Risulta altresì da giurisprudenza costante che la clausola di «standstill» prevista al summenzionato art. 13 proibisce in generale l’introduzione di qualsiasi nuova misura interna che abbia per oggetto o per effetto di assoggettare l’esercizio da parte di un cittadino turco della libera circolazione dei lavoratori sul territorio nazionale a condizioni più restrittive di quelle che gli erano applicabili al momento dell’entrata in vigore della decisione n. 1/80 nei confronti dello Stato membro considerato (v. sentenza Abatay e a., cit, punti 66 e 117, secondo trattino, nonché per analogia, per quanto riguarda la clausola di «standstill» in materia di diritto di stabilimento e di libera prestazione di servizi di cui all’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, sentenza 19 febbraio 2009, causa C‑228/06, Soysal e Savatli, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 47).

64      La Corte ha così più in particolare considerato che l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, a partire dall’entrata in vigore nello Stato membro ospitante dell’atto giuridico di cui tale disposizione fa parte, vieta l’introduzione di qualsiasi nuova restrizione all’esercizio della libertà di stabilimento o della libera prestazione dei servizi, incluse quelle riguardanti le condizioni sostanziali e/o procedurali in materia di prima ammissione nel territorio del detto Stato dei cittadini turchi che intendono avvalersi di tali libertà economiche (v. sentenze 20 settembre 2007, causa C‑16/05, Tum e Dari, Racc. pag. I‑7415, punto 69, nonché Soysal e Savatli, cit., punti 47 e 49).

65      Poiché la Corte ha già dichiarato che la clausola di «standstill» di cui all’art. 13 della decisione n. 1/80 è una disposizione avente la stessa natura di quella contenuta nell’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale e che le due clausole hanno un’identica finalità (v. sentenze 11 maggio 2000, causa C‑37/98, Savas, Racc. pag. I‑2927, punto 50, nonché Abatay e a., cit., punti 70‑74), l’interpretazione menzionata al punto precedente deve valere anche per quanto riguarda l’obbligo di status quo che costituisce il fondamento del summenzionato art. 13 in materia di libera circolazione dei lavoratori.

66      Nella fattispecie il giudice del rinvio ha già rilevato che la normativa interna di cui trattasi deve essere considerata «nuova» ai sensi dell’art. 13 della decisione n. 1/80, poiché essa è stata adottata dopo l’entrata in vigore di quest’ultima.

67      Tuttavia, la Corte ha ancora dichiarato a tale proposito che l’adozione di nuove norme che si applicano allo stesso modo nei confronti dei cittadini turchi e dei cittadini comunitari non è in contraddizione con una delle clausole di «standstill» previste nei settori compresi nell’associazione CEE‑Turchia (v., per analogia, per quanto riguarda l’art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, sentenza Soysal e Savatli, cit., punto 61). La Corte ha aggiunto, allo stesso punto di tale sentenza, che se norme siffatte si applicassero nei confronti dei cittadini comunitari, ma non dei cittadini turchi, questi ultimi sarebbero posti in una situazione più favorevole di quella dei primi, il che sarebbe manifestamente in contrasto con l’esigenza posta dall’art. 59 del protocollo addizionale, secondo cui la Repubblica di Turchia non può beneficiare di un trattamento più favorevole di quello che gli Stati membri si accordano reciprocamente in virtù del Trattato CE.

68      Orbene, nella causa principale, da un lato, risulta dal fascicolo che nei Paesi Bassi il rilascio dei documenti che certificano l’identità dei cittadini nazionali è assoggettato al versamento di un diritto di un determinato importo. Dall’altro lato, in applicazione dell’art. 25, n. 2, della direttiva 2004/38, i documenti menzionati al n. 1 dello stesso articolo, tra cui quelli relativi ai cittadini dell’Unione che entrano o soggiornano in uno Stato membro diverso da quello di cui hanno la cittadinanza e i permessi di soggiorno riguardanti i loro familiari, a prescindere dalla loro cittadinanza, che li accompagnano o li raggiungono, sono rilasciati a titolo gratuito o dietro versamento di una somma non eccedente quella richiesta ai cittadini dello Stato membro di cui trattasi per il rilascio di documenti analoghi.

69      Ne consegue che i lavoratori turchi e i loro familiari non possono fondarsi validamente su una delle norme di status quo previste nell’ambito dell’associazione CEE‑Turchia, come l’art. 13 della decisione n. 1/80, per esigere che lo Stato membro ospitante li esoneri dal pagamento di qualsiasi diritto in via preliminare all’esame di una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno o di proroga della sua validità, laddove, all’entrata in vigore di detta decisione nei confronti di tale Stato membro, quest’ultimo Stato non li aveva assoggettati ad alcun obbligo di siffatta natura. Infatti, una diversa interpretazione non sarebbe conforme all’art. 59 del protocollo addizionale, che vieta agli Stati membri di riservare ai cittadini turchi un trattamento più favorevole di quello accordato ai cittadini comunitari che si trovino in una situazione comparabile.

70      Quindi, la clausola di «standstill» di cui all’art. 13 della decisione n. 1/80 non osta, di per se stessa, all’introduzione di una normativa di questo tipo che condiziona il rilascio di un permesso di soggiorno o la proroga della sua validità al pagamento di diritti imposti agli stranieri residenti nel territorio dello Stato membro interessato.

71      Cionondimeno una simile normativa non deve comportare la creazione di una restrizione nel senso dell’art. 13 della decisione n. 1/80. Infatti, letto in combinato disposto con l’art. 59 del protocollo addizionale, tale art. 13 implica che se è vero che un cittadino turco a cui si applicano tali disposizioni non deve essere collocato in una situazione più favorevole di quella dei cittadini comunitari, tuttavia non gli si possono imporre obblighi nuovi sproporzionati rispetto a quelli previsti per questi ultimi.

72      Orbene, dalla decisione di rinvio risulta che, al momento dei fatti della causa principale, i cittadini turchi erano tenuti, in applicazione della normativa olandese, a versare una somma di EUR 169 per l’esame di una domanda di permesso di soggiorno o di proroga della sua validità, mentre l’importo che poteva essere richiesto nei Paesi Bassi ai cittadini comunitari per esaminare un’analoga domanda era di soli EUR 30. Inoltre, è pacifico che il periodo di validità dei titoli di cui trattasi è talvolta più breve in caso di rilascio a cittadini turchi, cosicché questi ultimi sono costretti a sollecitarne il rinnovo più spesso dei cittadini comunitari e pertanto l’onere finanziario risulta rilevante per i detti cittadini turchi, tanto più che la somma versata non viene rimborsata in caso di rigetto della domanda.

73      A tale riguardo, il governo olandese non ha invocato, né nelle osservazioni scritte presentate alla Corte né in risposta ai quesiti che gli sono stati rivolti nel corso dell’udienza, alcun argomento pertinente tale da giustificare una differenza così rilevante dell’importo dei diritti imposti ai cittadini turchi rispetto a quello previsto per i cittadini comunitari. In tale contesto occorre precisare che non può essere accolta la tesi del governo olandese secondo cui le ricerche e i controlli preliminari al rilascio di un titolo di soggiorno ad un cittadino turco sarebbero più complessi e maggiormente onerosi di quelli necessari per un cittadino comunitario, poiché, in applicazione della normativa olandese, il versamento del diritto costituisce un’operazione preliminare allo stesso esame della domanda di permesso di soggiorno o di proroga della sua validità e poiché, d’altra parte, nulla impedisce ad uno Stato membro di esigere che il richiedente stesso fornisca alle autorità competenti un fascicolo contenente tutti i documenti giustificativi richiesti a sostegno di tale domanda.

74      Occorre quindi concludere che una normativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale costituisce una restrizione vietata dall’art. 13 della decisione n. 1/80 in quanto, ai fini dell’esame di una domanda di rilascio di un permesso di soggiorno o di proroga della sua validità, impone il versamento a carico dei cittadini turchi, a cui si applica detto art. 13, di diritti per un importo sproporzionato rispetto a quello richiesto, in circostanze analoghe, ai cittadini comunitari.

75      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere le questioni sottoposte dichiarando che l’art. 13 della decisione n. 1/80 deve essere interpretato nel senso che osta all’introduzione, a partire dall’entrata in vigore di tale decisione rispetto allo Stato membro di cui trattasi, di una normativa interna, come quella di cui alla causa principale, che fa dipendere il rilascio di un permesso di soggiorno o la proroga della sua validità dal pagamento di diritti, qualora l’importo dei diritti a carico dei cittadini turchi sia sproporzionato rispetto a quello richiesto ai cittadini comunitari.

 Sulle spese

76      Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Per questi motivi la Corte (Prima Sezione) dichiara:

L’art. 13 della decisione 19 settembre 1980, n. 1/80, relativa allo sviluppo dell’associazione, adottata dal Consiglio di associazione istituito dall’Accordo che crea un’associazione tra la Comunità economica europea e la Repubblica di Turchia, deve essere interpretato nel senso che osta all’introduzione, a partire dall’entrata in vigore di tale decisione rispetto allo Stato membro di cui trattasi, di una normativa interna, come quella di cui alla causa principale, che fa dipendere il rilascio di un permesso di soggiorno o la proroga della sua validità dal pagamento di diritti, qualora l’importo dei diritti a carico dei cittadini turchi sia sproporzionato rispetto a quello richiesto ai cittadini comunitari.

 

                       (Seguono le firme)