Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande
Sezione), 6 maggio 2008
C-133/06, Parlamento
europeo – Consiglio dell’Unione europea
Nella causa C‑133/06,
avente ad oggetto un ricorso d’annullamento ai sensi dell’art. 230, primo
comma, CE, proposto l’8 marzo 2006,
Parlamento europeo,
rappresentato dai sigg. H. Duintjer Tebbens, A. Caiola, A. Auersperger Matić e
K. Bradley,
in qualità di agenti,
ricorrente,
sostenuto da:
Commissione delle Comunità
europee,
rappresentata dalla sig.ra C. O’Reilly nonché dai
sigg. P. Van Nuffel e J.-F. Pasquier,
in qualità di agenti,
con
domicilio eletto in Lussemburgo,
interveniente,
contro
Consiglio dell’Unione
europea,
rappresentato dalle sig.re M. Simm
e M. Balta, nonché dal sig. G. Maganza,
in qualità di agenti,
con
domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuto,
sostenuto da:
Repubblica francese,
rappresentata dai sigg. G. de Bergues e J.‑C. Niollet,
in qualità di agenti,
interveniente,
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai
sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas,
K. Lenaerts, A. Tizzano
e L. Bay Larsen (relatore), presidenti di
sezione, dal sig. J.N. Cunha Rodrigues, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. T. von Danwitz e A. Arabadjiev,
giudici,
avvocato generale: sig. M. Poiares
Maduro
cancelliere: sig. B. Fülöp, amministratore
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 giugno 2007,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del
27 settembre 2007,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 Col suo ricorso il Parlamento europeo chiede, in via
principale, l’annullamento degli artt. 29, nn. 1
e 2, e 36, n. 3, della direttiva del Consiglio 1° dicembre 2005,
2005/85/CE, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri
ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato
(GU L 326, pag. 13; in prosieguo: le «disposizioni impugnate»),
e, in subordine, l’annullamento di tale direttiva nel suo complesso.
2 Con ordinanza del presidente della Corte 25 luglio
2006,
Contesto normativo
Le disposizioni rilevanti del Trattato CE
3 L’art. 63, primo comma, CE, contenuto nel
titolo IV del Trattato intitolato «Visti, asilo, immigrazione ed altre
politiche connesse con la libera circolazione delle persone», così dispone:
«Il
Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all’articolo 67 [CE], entro
un periodo di cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam
adotta:
1) misure
in materia di asilo (...) nei seguenti settori:
(…)
d) norme
minime sulle procedure applicabili negli Stati membri per la concessione o la
revoca dello status di rifugiato;
2) misure
applicabili ai rifugiati ed agli sfollati nei seguenti settori:
a) norme
minime per assicurare protezione temporanea agli sfollati di paesi terzi che
non possono ritornare nel paese di origine e per le persone che altrimenti
necessitano di protezione internazionale;
(…)».
4 L’art. 67 CE, come modificato dal Trattato
di Nizza, prevede quanto segue:
«1. Per
un periodo transitorio di cinque anni dall’entrata in vigore del Trattato di
Amsterdam, il Consiglio delibera all’unanimità su proposta della Commissione o
su iniziativa di uno Stato membro e previa consultazione del Parlamento
europeo.
2. Trascorso
tale periodo di cinque anni:
– il
Consiglio delibera su proposta della Commissione;
– il
Consiglio, deliberando all’unanimità previa consultazione del Parlamento
europeo, prende una decisione al fine di assoggettare tutti o parte dei settori
contemplati dal presente titolo alla procedura di cui all’articolo 251 [CE] e
di adattare le disposizioni relative alle competenze della Corte di giustizia.
(...)
5. In
deroga al paragrafo 1, il Consiglio adotta secondo la procedura di cui
all’articolo 251 [CE]:
– le
misure previste all’articolo 63, punto 1) e punto 2), lettera a), [CE,] purché
il Consiglio abbia preliminarmente adottato, ai sensi del paragrafo 1 del
presente articolo, una normativa comunitaria che definisca le norme comuni e i
principi essenziali che disciplinano tali materie,
(...)».
Il diritto derivato anteriore alla direttiva
2005/85
5 In base all’art. 63, primo comma, punto 1,
rispettivamente lett. a) e b), CE, sono stati adottati il regolamento (CE)
del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 343, che stabilisce i criteri e i
meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una
domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un
paese terzo (GU L 50, pag. 1), e la direttiva del Consiglio 27
gennaio 2003, 2003/9/CE, recante norme minime relative all’accoglienza dei
richiedenti asilo negli Stati membri (GU L 31, pag. 18).
6 Sul fondamento dell’art. 63, primo comma,
punti 1, lett. c), 2, lett. a), e 3, lett. a), CE, è stata
adottata la direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/83/CE, recante norme
minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica
di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale,
nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta
(GU L 304, pag. 12).
7 Sulla base dell’art. 67, n. 2, secondo
trattino, CE, è stata adottata la decisione del Consiglio 22 dicembre 2004,
2004/927/CE, che assoggetta taluni settori contemplati dal titolo IV, parte
terza, del Trattato che istituisce
8 L’art. 1, n. 2, di tale decisione così
dispone:
«A decorrere dal 1° gennaio 2005 il Consiglio
delibera secondo la procedura di cui all’articolo 251 [CE] allorché adotta le
misure di cui all’articolo 63, punto 2, lettera b) e punto 3, lettera b) [CE]».
9 Il quarto ‘considerando’ della medesima decisione
sottolinea come essa non riguardi le disposizioni dell’art. 67, n. 5,
CE.
La direttiva 2005/85
10 La direttiva 2005/85 è stata adottata, segnatamente,
in base all’art. 63, primo comma, punto 1, lett. d), CE.
11 Ai sensi del suo art. 1, la citata direttiva persegue
l’obiettivo di stabilire norme minime per le procedure applicate negli Stati
membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato.
12 I ‘considerando’ diciassettesimo e diciottesimo
della direttiva stessa precisano quanto segue:
«(17) Criterio
fondamentale per stabilire la fondatezza della domanda di asilo è la sicurezza
del richiedente nel paese di origine. Se un paese terzo può essere considerato
paese di origine sicuro, gli Stati membri dovrebbero poterlo designare paese
sicuro e presumerne la sicurezza per uno specifico richiedente, a meno che
quest’ultimo non adduca controindicazioni fondate.
(18) Visto
il grado di armonizzazione raggiunto in relazione all’attribuzione della
qualifica di rifugiato ai cittadini di paesi terzi e agli apolidi, si
dovrebbero definire criteri comuni per la designazione dei paesi terzi quali
paesi di origine sicuri».
13 In merito ai paesi di origine sicuri, il
diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva 2005/85 così recita:
«Se
il Consiglio ha accertato che uno specifico paese di origine soddisfa i
suddetti criteri e, pertanto, lo ha inserito nell’elenco comune minimo di paesi
di origine sicuri da adottare a norma della presente direttiva, gli Stati
membri dovrebbero essere tenuti ad esaminare le domande dei cittadini di detto
paese (...) in base alla presunzione confutabile della sicurezza dello stesso.
Alla luce dell’importanza politica della designazione dei paesi di origine
sicuri, soprattutto in vista delle implicazioni di una valutazione della
situazione dei diritti dell’uomo di un paese di origine e delle relative
implicazioni per le politiche dell’Unione europea nel settore delle relazioni
esterne, il Consiglio dovrebbe prendere le decisioni relative alla fissazione o
alla modifica dell’elenco previa consultazione del Parlamento europeo».
14 Per quanto concerne determinati paesi terzi europei
che rispettano norme particolarmente elevate in materia di diritti dell’uomo e
di protezione dei rifugiati, il ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva
in esame è così formulato:
«(...) Agli Stati membri
dovrebbe essere consentito di non procedere all’esame o all’esame completo
delle domande di asilo dei richiedenti che entrano nel loro territorio in
provenienza da detti paesi terzi europei. Viste le potenziali conseguenze
derivanti per il richiedente da un esame limitato od omesso, l’applicazione del
concetto di paese terzo sicuro dovrebbe essere limitata ai casi di paesi terzi
di cui il Consiglio abbia accertato che rispettano le norme elevate di
sicurezza stabilite nella presente direttiva. Al riguardo il
Consiglio dovrebbe deliberare previa consultazione del Parlamento europeo».
15 L’art. 29, nn. 1
e 2, della stessa direttiva, dal titolo «Elenco comune minimo di paesi terzi
considerati paesi di origine sicuri», così dispone:
«1. Il
Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione
e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta un elenco comune minimo
dei paesi terzi considerati dagli Stati membri paesi d’origine sicuri a norma
dell’allegato II.
2. Il
Consiglio può modificare, deliberando a maggioranza qualificata su proposta
della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, l’elenco
comune minimo aggiungendo o depennando paesi terzi a norma dell’allegato II.
16 L’allegato II alla direttiva 2005/85, intitolato
«Designazione dei paesi di origine sicuri ai fini degli articoli 29 e 30,
paragrafo 1», così definisce i criteri che consentono di considerare un paese
come paese di origine sicuro:
«Un
paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status
giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico
e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono
generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della
direttiva 2004/83/CE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o
degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di
conflitto armato interno o internazionale.
Per effettuare tale valutazione si tiene conto, tra
l’altro, della misura in cui viene offerta protezione contro le persecuzioni ed
i maltrattamenti mediante:
a) le
pertinenti disposizioni legislative e regolamentari del paese ed il modo in cui
sono applicate;
b) il
rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione
contro la tortura, in particolare i diritti ai quali non si può derogare a norma
dell’articolo 15, paragrafo 2, di detta Convenzione europea;
c) il
rispetto del principio di "non refoulement" conformemente alla
convenzione di Ginevra;
d) un
sistema di rimedi efficaci contro le violazioni di tali diritti e libertà».
17 Ai sensi dell’art. 36, nn. 1-3,
della direttiva 2005/85, recante il titolo «Concetto di paesi terzi europei
sicuri»:
«1. Gli
Stati membri possono prevedere che l’esame della domanda di asilo e della
sicurezza del richiedente stesso relativamente alle sue condizioni specifiche,
secondo quanto prescritto al capo II, non abbia luogo o non sia condotto
esaurientemente nei casi in cui un’autorità competente abbia stabilito, in base
agli elementi disponibili, che il richiedente asilo sta cercando di entrare o è
entrato illegalmente nel suo territorio da un paese terzo sicuro a norma del
paragrafo 2.
2. Un
paese terzo può essere considerato paese terzo sicuro ai fini del paragrafo 1,
se:
a) ha
ratificato e osserva la convenzione di Ginevra senza limitazioni geografiche;
b) dispone
di una procedura di asilo prescritta per legge;
c) ha
ratificato
d) è
stato designato tale dal Consiglio a norma del paragrafo 3.
3. Il
Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione
e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta o modifica un elenco
comune di paesi terzi considerati paesi terzi sicuri ai fini del paragrafo 1».
18 Il Consiglio non ha applicato le disposizioni
impugnate allo scopo di redigere i due elenchi previsti da tali disposizioni.
Sul ricorso
19 A sostegno del proprio ricorso il Parlamento deduce
quattro motivi d’annullamento, basati rispettivamente su una violazione del
Trattato CE derivante dall’inosservanza dell’art. 67, n. 5,
primo trattino, CE, sull’incompetenza del Consiglio ad adottare le disposizioni
impugnate, su una violazione dell’obbligo di motivazione di queste ultime e,
infine, sull’inosservanza dell’obbligo di leale cooperazione.
20 I due primi motivi devono essere esaminati
congiuntamente poiché, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 11
delle sue conclusioni, essi sono indissociabili.
Sui due primi motivi, basati su una violazione
dell’art. 67, n. 5, primo trattino, CE, nonché sull’incompetenza del Consiglio
Argomenti delle parti
21 Il Parlamento sostiene che, tenuto conto della
legislazione comunitaria già adottata, vale a dire il regolamento
n. 343/2003 nonché le direttive 2003/9 e 2004/83, l’adozione della
direttiva 2005/85 ha rappresentato l’ultima tappa legislativa per l’adozione
delle norme comuni e dei principi essenziali la cui attuazione è destinata a
consentire il passaggio alla procedura prevista dall’art. 251 CE (in
prosieguo: la «procedura di codecisione»), in
conformità ai requisiti di cui all’art. 67, n. 5, primo trattino, CE.
22 Pertanto, la successiva adozione dell’elenco comune
minimo di paesi terzi considerati come paesi di origine sicuri e dell’elenco
comune dei paesi terzi europei sicuri (in prosieguo, congiuntamente: gli
«elenchi dei paesi sicuri») dovrebbe intervenire secondo la procedura di codecisione.
23 Mediante le disposizioni impugnate il Consiglio
avrebbe quindi illegittimamente posto in essere, nell’ambito di un atto di
diritto derivato, fondamenti normativi che gli consentono di procedere
all’adozione degli elenchi dei paesi sicuri applicando una procedura che
richiede solamente la consultazione del Parlamento.
24 Creando in tal modo un fondamento giuridico
derivato, il Consiglio si sarebbe attribuito una «riserva di legge». Orbene, il
Trattato non avrebbe in alcun modo previsto che il Consiglio possa, al di fuori
delle procedure esistenti di adozione degli atti normativi e degli atti
esecutivi, porre in essere nuovi fondamenti normativi ai fini dell’adozione di
disposizioni normative derivate.
25 Il Parlamento ritiene che l’eventuale esistenza di
una prassi del Consiglio consistente nel porre in essere fondamenti normativi
derivati non possa valere quale giustificazione.
26 Facendo riferimento alla sentenza della Corte 23
febbraio 1988, causa 68/86, Regno Unito/Consiglio (Racc. pag. 855),
esso afferma che, nel settore normativo, il Trattato si applica senza che sia
possibile apportare modifiche alle procedure da esso previste.
27
28 Il legislatore comunitario non disporrebbe della
facoltà di determinare le modalità di esercizio delle proprie competenze. Le
istituzioni potrebbero operare solamente nei limiti delle attribuzioni conferite
dai Trattati, che determinano in via esclusiva le procedure d’adozione di atti
normativi.
29 A parere della Commissione, le disposizioni
impugnate non possono essere considerate riserve di competenze di esecuzione,
che il Consiglio potrebbe effettuare sulla base dell’art. 202, terzo
trattino, CE.
30 Le disposizioni impugnate rappresenterebbero un
doppio sviamento di procedura, in primo luogo, con riferimento alla regola
dell’unanimità prevista dall’art. 63, primo comma, punto 1,
lett. d), CE al momento dell’adozione della direttiva 2005/85 e, in
secondo luogo, con riferimento alla procedura di codecisione,
che è destinata a sostituirsi alla regola citata una volta adottata la
legislazione comunitaria che definisca le norme comuni e i principi essenziali
disciplinanti la politica in materia di asilo.
31 Il Consiglio afferma, invece, che nulla nel
Trattato CE osta a che un atto adottato secondo la procedura prevista dal
fondamento giuridico applicabile crei un fondamento giuridico derivato, ai
fini, segnatamente, dell’ulteriore adozione di un atto normativo in tale ambito
mediante una procedura decisionale semplificata.
32 A suo parere, il ricorso ai fondamenti normativi
derivati è una tecnica legislativa confermata, illustrata in numerosi atti
comunitari. Il solo insegnamento da trarsi dalla citata sentenza Regno
Unito/Consiglio sarebbe quello secondo cui un fondamento normativo derivato non
può condurre ad un aggravamento della procedura prevista dal Trattato, il che
non avverrebbe nel caso della procedura istituita dalla direttiva 2005/85.
33 Il Consiglio ritiene che le circostanze della
fattispecie consentano di fare ricorso a un fondamento normativo derivato,
senza che a ciò osti l’art. 67, n. 5, primo trattino, CE.
34 Gli strumenti costituiti dagli elenchi dei paesi
sicuri rientrerebbero in un settore caratterizzato sia dalle marcate
sensibilità politiche degli Stati membri, sia dalla necessità pratica di
reagire rapidamente ed efficacemente a cambiamenti di situazione nei paesi
terzi di cui trattasi. Orbene, questi strumenti potrebbero essere utilizzati in
maniera efficace solo qualora la loro adozione e le
loro ulteriori modifiche intervengano nell’ambito di una procedura quale quella
instaurata dalle disposizioni impugnate.
35 Il Consiglio contesta la tesi secondo cui i
fondamenti normativi derivati contenuti nelle disposizioni impugnate si pongono
in conflitto con la procedura di codecisione prevista
dall’art. 67, n. 5, primo trattino, CE. Tale disposizione sarebbe
applicabile solamente alla duplice condizione che l’atto da adottarsi sia
basato sull’art. 63, primo comma, punti 1 o 2, lett. a), CE e
che il Consiglio abbia preliminarmente adottato una normativa comunitaria che
definisca le norme comuni e i principi essenziali che disciplinano la materia.
36 Quanto alla prima di tali condizioni, il Consiglio
osserva, in sostanza, che gli elenchi dei paesi sicuri saranno adottati non
sulla base dell’art. 63 CE, bensì sul fondamento delle disposizioni
impugnate, che prevedono una procedura più leggera rispetto a quella seguita
per l’adozione dell’atto di base. Esso aggiunge che, poiché il Trattato
imponeva, ai fini dell’adozione della direttiva 2005/85, una mera consultazione
del Parlamento, il ricorso alle disposizioni impugnate, che prevedono lo stesso
livello di partecipazione di quest’ultimo, sembra difficilmente contestabile.
37 Per quanto riguarda la seconda condizione, il
Consiglio ritiene che, facendo riferimento a «una normativa comunitaria»,
l’art. 67, n. 5, primo trattino, CE non imponga che le norme comuni e
i principi essenziali siano emanati in un unico atto legislativo e in un
momento determinato. Il passaggio alla procedura di codecisione
sarebbe legato a un criterio sostanziale e non a un criterio formale o
temporale.
38 Non ricorrendo le condizioni previste per il
passaggio alla procedura di codecisione, non si
sarebbe arrecato alcun pregiudizio alle prerogative del Parlamento né
all’equilibrio istituzionale.
39
40 Per quanto riguarda la questione generale della
possibilità di far ricorso ad un fondamento normativo derivato, tale Stato
membro ritiene, analogamente al Consiglio, che nulla nell’ambito del Trattato
vi si opponga.
41 Il ricorso a fondamenti normativi derivati corrisponderebbe
ad una prassi costante del legislatore comunitario. Certamente, una semplice
prassi non può derogare alle norme del Trattato e non potrebbe quindi creare un
precedente vincolante per le istituzioni comunitarie. Tuttavia, la
giurisprudenza rivelerebbe che
42 Infine, per quanto riguarda le condizioni
sostanziali per un ricorso a fondamenti normativi derivati, esse risulterebbero
soddisfatte nel caso di specie. Infatti, le disposizioni impugnate sarebbero
caratterizzate da forte sensibilità politica e implicherebbero la necessità
pratica di reagire rapidamente ed efficacemente a cambiamenti di situazione in
paesi terzi.
Giudizio della Corte
43 Con i suoi due primi motivi, il Parlamento solleva
in sostanza la questione se il Consiglio potesse legittimamente prevedere,
nelle disposizioni impugnate, l’adozione e la modifica degli elenchi dei paesi
sicuri a maggioranza qualificata su proposta della Commissione e previa
consultazione del Parlamento.
44 A tal proposito, si deve ricordare che, ai sensi
dell’art. 7, n. 1, secondo comma, CE, ciascuna istituzione agisce nei
limiti delle attribuzioni che le sono conferite dal Trattato (v. sentenza 23
ottobre 2007, causa C‑403/05, Parlamento/Commissione, non ancora
pubblicata nella Raccolta, punto 49 e giurisprudenza ivi citata).
45 Occorre in primo luogo osservare che il Consiglio,
in sede di adozione della direttiva 2005/85 secondo le modalità previste
dall’art. 67, n. 1, CE, aveva la possibilità di applicare
l’art. 202, terzo trattino, CE per l’adozione di misure che non presentano
un carattere essenziale per la materia di cui trattano (v., in tal senso,
sentenza 27 ottobre 1992, causa C‑240/90, Germania/Commissione,
Racc. pag. I‑5383, punto 36).
46 Così, a voler supporre che gli elenchi dei paesi
sicuri rivestano un tale carattere non essenziale e rappresentino un caso
specifico, esso avrebbe potuto decidere di riservarsi l’esercizio di competenze
di esecuzione, a condizione di motivare in modo circostanziato la propria
decisione (v., in tal senso, sentenza 18 gennaio 2005, causa C‑257/01,
Commissione/Consiglio, Racc. pag. I‑345, punto 50).
47 Il Consiglio è infatti tenuto a giustificare
debitamente, in funzione della natura e del contenuto dell’atto di base da
attuare, un’eccezione alla regola secondo la quale, nel sistema del Trattato,
qualora occorra adottare, a livello comunitario, misure di esecuzione di un
atto di base, spetta normalmente alla Commissione esercitare tale competenza
(sentenza Commissione/Consiglio, cit., punto 51).
48 Nella fattispecie, il Consiglio ha fatto esplicito
riferimento, al diciannovesimo ‘considerando’ della direttiva 2005/85,
all’importanza politica della designazione dei paesi di origine sicuri e, al
ventiquattresimo ‘considerando’ della direttiva stessa, alle potenziali
conseguenze derivanti dal concetto di paesi terzi sicuri per il richiedente
asilo.
49 Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale al
paragrafo 21 delle sue conclusioni, i motivi esposti nei citati ‘considerando’
sono intesi a giustificare la consultazione del Parlamento in merito alla compilazione
degli elenchi dei paesi sicuri e alle relative modifiche, ma non a motivare in
maniera sufficiente una riserva di esecuzione che presenti carattere specifico
per il Consiglio.
50 Inoltre, nella presente controversia, che riguarda
una direttiva le cui disposizioni impugnate attribuiscono al Consiglio una
competenza non limitata nel tempo, il Consiglio non ha sollevato alcun
argomento inteso a riqualificare queste ultime come disposizioni in base alle
quali esso si sarebbe riservato di esercitare direttamente specifiche
competenze di esecuzione. Al contrario, in sede di udienza, esso ha confermato
che le disposizioni in parola conferiscono al Consiglio una competenza
legislativa derivata.
51 Di conseguenza, non si pone la questione di un’eventuale
riqualificazione delle disposizioni impugnate nel senso di poter ritenere che
il Consiglio abbia applicato l’art. 202, terzo trattino, CE.
52 Occorre in secondo luogo rilevare che, nell’ambito
dell’applicazione dell’art. 67 CE, le misure da assumersi nelle
materie di cui all’art. 63, punti 1 e 2, lett. a), CE sono
adottate secondo due distinte procedure, previste dall’art. 67 CE,
vale a dire la procedura di adozione all’unanimità previa consultazione del
Parlamento, ovvero la procedura di codecisione.
53 Le disposizioni impugnate istituiscono una procedura
d’adozione delle misure citate a maggioranza qualificata su proposta della
Commissione e previa consultazione del Parlamento, procedura diversa da quella
prevista dall’art. 67 CE.
54 Orbene, è già stato stabilito che le regole relative
alla formazione della volontà delle istituzioni comunitarie trovano la loro
fonte nel Trattato e che esse non sono derogabili né dagli Stati membri né
dalle stesse istituzioni (v. sentenza Regno Unito/Consiglio, cit.,
punto 38).
55 Solamente il Trattato può, in casi specifici quali
quello previsto dall’art. 67, n. 2, secondo trattino, CE, autorizzare
un’istituzione a modificare una procedura decisionale da esso prevista.
56 Riconoscere ad un’istituzione la facoltà di porre in
essere fondamenti normativi derivati, che vadano nel senso di un aggravio
ovvero di una semplificazione delle modalità d’adozione di un atto,
significherebbe attribuire alla stessa un potere legislativo che eccede quanto
previsto dal Trattato.
57 Ciò significherebbe, del pari, consentirle di
arrecare pregiudizio al principio dell’equilibrio
istituzionale, che comporta che ogni istituzione eserciti le proprie competenze
nel rispetto di quelle delle altre istituzioni (sentenza 22 maggio 1990, causa
C‑70/88, Parlamento/Consiglio, Racc. pag. I‑2041,
punto 22).
58 Il Consiglio non può validamente affermare che la
procedura di adozione introdotta dalle disposizioni impugnate non si pone in
conflitto con la procedura di codecisione in quanto
gli elenchi dei paesi sicuri saranno redatti non sulla base
dell’art. 63 CE, bensì sulla base delle disposizioni citate, che
prevedono una procedura più leggera rispetto a quella utilizzata per l’adozione
dell’atto di base. Infatti, un tale ragionamento condurrebbe ad attribuire a
disposizioni di diritto derivato la preminenza su disposizioni di diritto
primario, nella fattispecie l’art. 67 CE, i cui nn. 1
e 5 devono applicarsi in ordine successivo nel rispetto delle condizioni da
essi previste a tal fine.
59 L’adozione di fondamenti normativi derivati non può
neppure essere giustificata in base a considerazioni riguardanti il carattere
politicamente delicato della materia di cui trattasi o riguardanti la volontà
di garantire l’efficacia di un’azione comunitaria.
60 Peraltro, non può validamente invocarsi l’esistenza
di una prassi anteriore riguardante l’attuazione di fondamenti normativi
derivati. Infatti, anche a volerla considerare dimostrata, una tale prassi non
vale a derogare a norme del Trattato e non può quindi costituire un precedente
che vincoli le istituzioni (v., in tal senso, sentenze Regno Unito/Consiglio,
cit., punto 24, e 9 novembre 1995, causa C‑426/93,
Germania/Consiglio, Racc. pag. I‑3723, punto 21).
61 Risulta da quanto precede che il Consiglio,
inserendo nella direttiva 2005/85 i fondamenti normativi derivati costituiti
dalle disposizioni impugnate, ha violato l’art. 67 CE, eccedendo in
tal modo le competenze attribuitegli dal Trattato.
62 Si deve aggiungere, per quanto riguarda la futura
adozione degli elenchi dei paesi sicuri nonché la modifica degli stessi, che
spetta al Consiglio procedervi nel rispetto delle procedure instaurate dal
Trattato.
63 A tal proposito, per stabilire se l’adozione e la
modifica degli elenchi dei paesi sicuri per via legislativa, ovvero l’eventuale
decisione di procedere all’applicazione dell’art. 202, terzo trattino, CE,
sotto forma di una delega o di una riserva di esecuzione, siano riconducibili
ai nn. 1 o 5 dell’art. 67 CE, è
necessario verificare se, con l’adozione della direttiva 2005/85, il Consiglio
abbia adottato una normativa comunitaria che definisce le norme comuni e i
principi essenziali che disciplinano le materie di cui all’art. 63, primo
comma, punti 1 e 2, lett. a), CE.
64 Per quanto riguarda le procedure applicabili negli
Stati membri per la concessione o la revoca dello status di rifugiato,
l’art. 63, primo comma, punto 1, lett. d), CE si limita a
prevedere l’adozione di «norme minime».
65 Come risulta dai punti 10-17 di questa sentenza, la
direttiva 2005/85 stabilisce taluni criteri dettagliati che consentono la
successiva adozione degli elenchi dei paesi sicuri.
66 Si deve quindi ritenere che, mediante tale atto
legislativo, il Consiglio abbia adottato «una normativa comunitaria che
definisca le norme comuni e i principi essenziali» ai sensi dell’art. 67,
n. 5, primo trattino, CE, cosicché risulta applicabile la procedura di codecisione.
67 Alla luce di quanto precede, i due primi motivi
dedotti dal Parlamento a sostegno del proprio ricorso d’annullamento devono
essere accolti e le disposizioni impugnate devono essere pertanto annullate.
Sul terzo e sul quarto motivo, basati su una
violazione dell’obbligo di motivazione delle disposizioni impugnate e
sull’inosservanza dell’obbligo di leale cooperazione
68 Poiché i due primi motivi risultano fondati, non
occorre esaminare il terzo e il quarto motivo, dedotti dal Parlamento a
sostegno del proprio ricorso.
Sulle spese
69 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del
regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è
stata fatta domanda. Poiché il Parlamento ne ha fatto domanda, il Consiglio,
rimasto soccombente, va condannato alle spese. Ai sensi del n. 4, primo
comma, del detto articolo, gli intervenienti nella causa sopportano le proprie
spese.
Per questi motivi,
1) Gli
artt. 29, nn. 1 e 2, e 36, n. 3, della
direttiva del Consiglio 1° dicembre 2005, 2005/85/CE, recante norme minime per
le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della
revoca dello status di rifugiato, sono annullati.
2) Il
Consiglio dell’Unione europea è condannato alle spese.
3)
(Seguono
le firme)