Corte di Giustizia delle Comunità europee (Grande
Sezione), 18 luglio 2007
C-119/05, Ministero
dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato
–
Lucchini
SpA
Nel procedimento C‑119/05,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai
sensi dell’art. 234 CE, dal Consiglio di Stato con ordinanza 22
ottobre 2004, pervenuta in cancelleria il 14 marzo 2005, nella causa
Ministero dell’Industria,
del Commercio e dell’Artigianato
contro
Lucchini SpA, già Lucchini Siderurgica SpA,
composta dal sig. V. Skouris, presidente, dai
sigg. P. Jann, C.W.A. Timmermans, A. Rosas e
K. Lenaerts, presidenti di sezione, dal
sig. J.N. Cunha Rodrigues, dalla sig.ra R. Silva de Lapuerta, dai sigg. K. Schiemann
(relatore), J. Makarczyk, G. Arestis, A. Borg Barthet,
M. Ilešič e J. Malenovský,
giudici,
avvocato generale: sig. L.A. Geelhoed
cancelliere: sig.ra M. Ferreira, amministratore
principale
vista
la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del
6 giugno 2006,
considerate le osservazioni presentate:
– per
– per
il governo ceco, dal sig. T. Boček, in
qualità di agente;
– per
il governo italiano, dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal
sig. P. Gentili, avvocato dello Stato;
– per
il governo dei Paesi Bassi, dalla sig.ra H.G. Sevenster, dal sig. M. de Grave e dalla
sig.ra C. ten Dam, in qualità di agenti;
– per
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del
14 settembre 2006,
ha
pronunciato la seguente
Sentenza
1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sui
principi di diritto comunitario applicabili alla revoca di un atto nazionale di
concessione di aiuti di Stato incompatibili con il diritto comunitario,
adottato in applicazione di una pronuncia giurisdizionale nazionale che ha
acquistato autorità di cosa giudicata.
2 Tale
domanda è stata sollevata
nell’ambito di un ricorso proposto dalla società di diritto italiano Lucchini
SpA (già Siderpotenza SpA, successivamente Lucchini
Siderurgica SpA, in prosieguo: la «Lucchini») contro la decisione del Ministero
dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato (in prosieguo: il «MICA») che
ha disposto il recupero di un aiuto di Stato. Il MICA è subentrato ad altri
enti in precedenza incaricati della gestione degli aiuti di Stato nella regione
del Mezzogiorno (in prosieguo, collettivamente: le «autorità competenti»).
Contesto normativo
La normativa comunitaria
3 L’art. 4, lett. c), del Trattato CECA
vieta le sovvenzioni o gli aiuti concessi dagli Stati membri, in qualunque
forma, nei settori industriali del carbone e dell’acciaio.
4 A partire dal
5 In particolare, la decisione della Commissione 7
agosto 1981, n. 2320/81/CECA, recante norme comunitarie per gli aiuti a
favore dell’industria siderurgica (GU L 228, pag. 14; in
prosieguo: il «secondo codice»), ha adottato un secondo codice degli aiuti di
Stato alla siderurgia. Scopo del detto codice era di permettere la concessione
di aiuti per il risanamento delle imprese siderurgiche e la riduzione delle
loro capacità produttive al livello della domanda prevedibile, disponendo nel
contempo la soppressione graduale di tali aiuti entro scadenze prefissate, sia
per quanto riguarda la loro notifica alla Commissione (30 settembre 1982) e
loro autorizzazione (1° luglio 1983) che per la loro erogazione (31 dicembre
1984). Tali termini sono stati prorogati, per quanto riguarda la notifica, al
31 maggio 1985, per quanto riguarda l’autorizzazione, al 1º
agosto 1985, e, per quanto riguarda il versamento, al 31 dicembre 1985,
mediante la decisione della Commissione 19 aprile 1985, n. 1018/85/CECA,
che modifica la decisione 2320/81 (GU L 110, pag. 5).
6 Il secondo codice prevedeva una procedura
obbligatoria di approvazione da parte della Commissione di tutti gli aiuti
progettati. In particolare, il suo art. 8, n. 1, così disponeva:
«Alla
Commissione sono comunicati in tempo utile perché presenti le sue osservazioni
i progetti intesi ad istituire o modificare aiuti (…). Lo Stato membro
interessato può dare attuazione alle misure prospettate soltanto previa
autorizzazione della Commissione e conformandosi alle condizioni da essa
stabilite».
7 La decisione della Commissione 27 novembre 1985,
n. 3484/85/CECA, recante norme comunitarie per gli aiuti a favore della
siderurgia (GU L 340, pag. 1; in prosieguo: il «terzo codice»),
ha sostituito il secondo codice e ha istituito un terzo codice degli aiuti alla
siderurgia per consentire una nuova deroga, più limitata, dal 1º gennaio 1986
al 31 dicembre 1988, al divieto previsto all’art. 4, lett. c), del
Trattato CECA.
8 Ai sensi dell’art. 3 del terzo codice,
9 L’art. 1, n. 3, del terzo codice precisava
che gli aiuti potevano essere concessi soltanto in conformità delle procedure
dell’art. 6 e non potevano dar luogo a pagamenti posteriori al 31 dicembre
1988.
10 L’art. 6, nn. 1,
2 e 4, del terzo codice era formulato nei termini seguenti:
«1. Alla
Commissione sono comunicati, in tempo utile affinché possa pronunciarsi al
riguardo, i progetti intesi ad istituire o a modificare aiuti (…). Essa è
informata nello stesso modo dei progetti intesi ad applicare al settore
siderurgico regimi di aiuti sui quali essa si è già pronunciata sulla base
delle disposizioni del trattato CEE. Le notifiche dei progetti di aiuto di
cui al presente articolo devono essere effettuate entro il 30 giugno 1988.
2. Alla
Commissione sono comunicati in tempo utile affinché possa pronunciarsi al
riguardo, e al più tardi entro il 30 giugno 1988, tutti i progetti di
intervento finanziario (assunzioni di partecipazioni, conferimenti di capitale
o misure simili) da parte di Stati membri, enti territoriali o organismi che
utilizzano a tal fine risorse pubbliche, a favore di imprese siderurgiche.
(…)
4. Se,
dopo aver invitato gli interessati a presentare le loro osservazioni,
11 Il terzo codice è stato sostituito, a partire dal 1º
gennaio1989 e fino al 31 dicembre 1991, da un quarto codice, istituito con la
decisione della Commissione 1º febbraio 1989, n. 322/89/CECA, recante
norme comunitarie per gli aiuti a favore della siderurgia (GU L 38,
pag. 8), che riproduceva segnatamente l’art. 3 del terzo codice.
12 Dopo la scadenza del Trattato CECA, il 23 luglio
2002, anche agli aiuti di Stato nel settore siderurgico si applica il regime
previsto dal Trattato CE .
La normativa nazionale
13 La legge 2 maggio 1976, n. 183, sulla
disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno (GURI n. 121
dell’8 maggio 1976; in prosieguo: la «legge n. 183/1976») prevedeva, in
particolare, la possibilità di concedere agevolazioni finanziarie sia in conto
capitale sino al 30% dell’importo degli investimenti, che in conto interessi,
per la realizzazione di iniziative industriali nel Mezzogiorno.
14 L’art. 2909 del codice civile italiano,
intitolato «Cosa giudicata», dispone quanto segue:
«L’accertamento contenuto nella sentenza passata in
giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa».
15 Stando al giudice a quo, questa disposizione copre
il dedotto e il deducibile.
16 A livello processuale, essa preclude nuovi processi
relativamente a controversie sulle quali un altro organo giurisdizionale si sia
già pronunciato in via definitiva.
La causa principale
e le questioni pregiudiziali
La domanda di aiuti della Lucchini
17 Il 6 novembre 1985,
18 Con lettera del 20 aprile 1988, le autorità
competenti notificavano alla Commissione il progetto di aiuto a favore della
Lucchini, a norma dell’art. 6, n. l, del terzo codice. Secondo la
notifica, tale aiuto riguardava un investimento volto al miglioramento della
tutela ambientale. Il valore del contributo in conto interessi sul prestito di
ITL 1 020 milioni veniva indicato in ITL 367 milioni.
19 Con lettera del 22 giugno 1988,
20 Il 16 novembre 1988, all’approssimarsi della
scadenza del termine fissato al 31 dicembre di quello stesso anno dal terzo
codice per l’erogazione degli aiuti, le autorità competenti decidevano di
accordare provvisoriamente alla Lucchini un contributo in conto capitale di
ITL 382,5 milioni, ovvero il 15% dell’importo degli investimenti (in luogo
del 30% previsto dalla legge n. 183/76), da erogare entro il 31 dicembre
1988, come prescritto dal terzo codice. Il contributo in conto interessi veniva
invece negato in quanto esso avrebbe portato l’importo totale degli aiuti
accordati oltre la soglia del 15% prevista dal detto codice. Ai sensi
dell’art. 6 del terzo codice, l’adozione del provvedimento definitivo di
concessione dell’aiuto veniva subordinata all’approvazione della Commissione e
non veniva effettuato alcun pagamento da parte delle autorità competenti.
21
22 Con telex del 9 agosto 1989 le autorità competenti
fornivano informazioni supplementari riguardo agli aiuti di cui trattasi. Con
lettera del 18 ottobre 1989
La decisione della Commissione 90/555/CECA
23 Con decisione 20 giugno 1990, 90/555/CECA,
riguardante taluni progetti di aiuti delle autorità italiane a favore delle
Acciaierie del Tirreno e di Siderpotenza (N195/88 –
N200/88) (GU L 314, pag. 17),
24 La decisione veniva notificata alle autorità
competenti il 20 luglio 1990 e pubblicata nella Gazzetta ufficiale delle
Comunità europee il 14 novembre 1990.
Il procedimento dinanzi al giudice civile
25 Prima dell’adozione della decisione 90/555,
26 Con sentenza 24 giugno 1991, dunque successivamente
alla decisione 90/555, il Tribunale civile e penale di Roma dichiarava che
27 Le autorità competenti impugnavano la sentenza
dinanzi alla Corte d’appello di Roma. Esse eccepivano il difetto di
giurisdizione del giudice civile, sostenevano che non incombeva loro alcun
obbligo all’erogazione dell’aiuto e affermavano per la prima volta, in via
subordinata, che tale obbligo sussisteva, in virtù dell’art. 3 del terzo
codice, solo fino a concorrenza del limite del 15% dell’investimento.
28 Con sentenza 6 maggio 1994,
29 Con nota del 19 gennaio 1995 l’Avvocatura Generale
dello Stato analizzava la sentenza d’appello e concludeva per la sua
correttezza tanto sotto il profilo della motivazione quanto dell’applicazione
del diritto. Di conseguenza, le autorità competenti non la impugnavano in
cassazione. La sentenza d’appello, non essendo stata impugnata, passava in
giudicato il 28 febbraio 1995.
30 Poiché l’aiuto permaneva non versato, il 20 novembre
1995, su ricorso della Lucchini, il Presidente del Tribunale civile e penale di
Roma ingiungeva alle autorità competenti di pagare gli importi dovuti alla
Lucchini. Il decreto era dichiarato provvisoriamente esecutivo e nel febbraio
1996
31 L’8 marzo 1996, con decreto n. 17975 del
direttore generale del MICA, venivano pertanto accordati alla Lucchini un
contributo di ITL 765 milioni in conto capitale e di ITL 367 milioni
in conto interessi, in esecuzione della sentenza della Corte d’Appello di Roma.
Il decreto precisava che tali aiuti avrebbero potuto
essere revocati, in tutto in parte, tra l’altro, «in caso di decisioni
comunitarie sfavorevoli in merito alla concedibilità
ed erogabilità delle agevolazioni finanziarie». Il 22
marzo 1996 venivano versati tali aiuti, per un importo di ITL l 132 milioni, cui si aggiungeva la somma di
ITL 601,375 milioni, corrisposta il 16 aprile
Lo scambio di corrispondenza tra
32 Con nota del 15 luglio 1996 rivolta alle autorità
italiane
«(...) a seguito di una
sentenza della Corte d’Appello di Roma in data 6 maggio 1994, la quale, in
spregio ai più elementari principi del diritto comunitario, avrebbe stabilito
il diritto per [
33 Le autorità competenti rispondevano con nota in data
26 luglio 1996 osservando che gli aiuti erano stati concessi «fatto salvo il
diritto di ripetizione».
34 Con nota del 16 settembre 1996, n. 5259,
La revoca dell’aiuto
35 Con decreto 20 settembre 1996, n. 20357, il
MICA revocava il precedente decreto 8 marzo 1996, n. 17975, e ordinava
alla Lucchini di restituire la somma di ITL 1 132 milioni, maggiorata
di interessi nella misura del tasso di riferimento, nonché la somma di
ITL 601,375 milioni, maggiorata della rivalutazione monetaria.
Il procedimento dinanzi al giudice del rinvio
36 Con ricorso del 16 novembre 1996,
37 L’Avvocatura Generale dello Stato, per conto del
MICA, il 2 novembre 1999 proponeva appello dinanzi al Consiglio di Stato,
deducendo, in particolare, un motivo secondo il quale il diritto comunitario
immediatamente applicabile, comprendente sia il terzo codice che la decisione
90/555, doveva prevalere sull’autorità di cosa giudicata della sentenza della
Corte d’appello di Roma.
38 Il Consiglio di Stato constatava la sussistenza di
un conflitto tra tale sentenza e la decisione 90/555.
39 Secondo il Consiglio di Stato, risulta evidente che
le autorità competenti avrebbero potuto e dovuto tempestivamente eccepire
l’esistenza della decisione 90/555 nel corso della controversia risolta dalla
Corte d’appello di Roma, controversia nella quale, fra l’altro, si discuteva in
ordine alla legittimità della mancata erogazione del contributo per la
necessità di attendere l’approvazione della Commissione. In tali condizioni,
avendo poi le autorità competenti rinunciato ad impugnare la sentenza
pronunciata dalla Corte d’appello di Roma, non vi sarebbe dubbio che la
predetta sentenza sia passata in giudicato, e che l’area dei fatti coperta dal
giudicato sia estesa alla compatibilità comunitaria della sovvenzione,
quantomeno con riferimento alle decisioni comunitarie preesistenti al
giudicato. Gli effetti del giudicato sarebbero quindi astrattamente invocabili
anche con riguardo alla decisione 90/555, intervenuta prima della conclusione
della controversia.
40 Alla luce di quanto sopra, il Consiglio di Stato ha
deciso di sospendere il processo e di sottoporre alla Corte le due questioni
pregiudiziali seguenti:
«1) Se,
in forza del principio del primato del diritto comunitario immediatamente
applicabile, costituito nella specie [dal terzo codice], dalla decisione
[90/555], nonché dalla [nota] n. 5259 (...), di intimazione del recupero
dell’aiuto – atti tutti alla stregua dei quali è stato adottato l’atto di
recupero impugnato nel presente processo (ossia il decreto n. 20357 [...])
– sia giuridicamente possibile e doveroso il recupero dell’aiuto da parte
dell’amministrazione interna nei confronti di un privato beneficiario,
nonostante la formazione di un giudicato civile affermativo dell’obbligo
incondizionato di pagamento dell’aiuto medesimo.
2) Ovvero
se, stante il pacifico principio secondo il quale la decisione sul recupero
dell’aiuto è regolata dal diritto comunitario ma la sua attuazione ed il
relativo procedimento di recupero, in assenza di disposizioni comunitarie in
materia, è retta dal diritto nazionale (principio sul quale cfr. Corte di
Giustizia 21 settembre
Sulla competenza della Corte
41 Va osservato preliminarmente che
42 Per altri motivi,
43 A tale proposito, occorre ricordare che, nell’ambito
di un procedimento ex art. 234 CE, basato sulla netta separazione di
funzioni tra i giudici nazionali e
44 Tuttavia,
45 Occorre rilevare che così non è nel caso di specie.
46 È infatti manifesto che la presente domanda di
pronuncia pregiudiziale verte su norme di diritto comunitario. Nel caso di
specie si chiede alla Corte non di interpretare il diritto nazionale o una
sentenza di un giudice nazionale, bensì di precisare i limiti entro i quali i
giudici nazionali sono tenuti, in forza del diritto comunitario, a disapplicare
il diritto nazionale. Ne risulta pertanto che le questioni sollevate sono in
relazione con l’oggetto della controversia, come definito dal giudice a quo, e
che la soluzione delle questioni sollevate può essere utile a quest’ultimo per
consentirgli di disporre o meno l’annullamento dei
provvedimenti adottati per il recupero degli aiuti di cui trattasi.
47
Sulle questioni
pregiudiziali
48 Con le questioni sollevate, che è opportuno
esaminare congiuntamente, il giudice a quo domanda in sostanza se il diritto
comunitario osti all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale,
come l’art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio
dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale
disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto
con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è
stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva.
49 In tale contesto va ricordato anzitutto che,
nell’ordinamento giuridico comunitario, le competenze dei giudici nazionali
sono limitate sia per quanto riguarda il settore degli aiuti di Stato sia
relativamente alla dichiarazione d’invalidità degli atti comunitari.
Sulle competenze dei giudici nazionali in
materia di aiuti di Stato
50 In materia di aiuti di Stato, ai giudici nazionali
possono essere sottoposte controversie nelle quali essi siano tenuti ad
interpretare e ad applicare la nozione di aiuto di cui all’art. 87,
n. 1, CE, segnatamente al fine di valutare se un provvedimento statale,
adottato senza seguire il procedimento di controllo preventivo di cui
all’art. 88, n. 3, CE, debba o meno esservi soggetto (sentenze 22
marzo 1977, causa 78/76, Steinike & Weinlig, Racc. pag. 595, punto 14, e 21 novembre
1991, causa C‑354/90, Fédération nationale du commerce
extérieur des produits alimentaires et Syndicat national
des négociants et transformateurs de saumon, Racc. pag. I‑5505, punto 10).
Analogamente, al fine di poter determinare se una misura statale attuata senza
tener conto della procedura di esame preliminare prevista dall’art. 6 del
terzo codice dovesse esservi o meno assoggettata, un
giudice nazionale può essere indotto a interpretare la nozione di aiuto di cui
all’art. 4, lett. c), del Trattato CECA e all’art. 1 del terzo
codice (v., per analogia, sentenza 20 settembre 2001, causa C‑390/98, Banks, Racc. pag. I‑6117, punto 71).
51 Per contro, i giudici nazionali non sono competenti
a pronunciarsi sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune.
52 Emerge infatti da una giurisprudenza costante che la
valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di
un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che
opera sotto il controllo del giudice comunitario (v. sentenze Steinike & Weinlig, cit.,
punto 9; Fédération nationale
du commerce extérieur des produits
alimentaires et Syndicat national des négociants et transformateurs de saumon, cit., punto 14, nonché 11 luglio 1996, causa C‑39/94,
SFEI e a., Racc. pag. I‑3547, punto 42).
Sulle competenze dei giudici nazionali per
quanto riguarda la dichiarazione d’invalidità degli atti comunitari
53 Sebbene in linea di principio i giudici nazionali
possano trovarsi ad esaminare la validità di un atto comunitario, non sono però
competenti a dichiarare essi stessi l’invalidità degli atti delle istituzioni
comunitarie (sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto‑Frost,
Racc. pag. 4199, punto 20).
54 Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, una
decisione adottata dalle istituzioni comunitarie che non sia stata impugnata
dal destinatario entro il termine stabilito dall’art. 230, quinto comma,
CE diviene definitiva nei suoi confronti (v., in particolare, sentenze 9 marzo
1994, causa C‑188/92, TWD Textilwerke Deggendorf, Racc. pag. I‑833, punto 13, e
22 ottobre 2002, causa C‑241/01, National Farmers’
Union, Racc. pag. I‑9079, punto 34).
55
56 Se ne deve pertanto concludere che correttamente il
giudice a quo ha deciso di non sottoporre alla Corte una questione concernente
la validità della decisione 90/555, decisione che
Sulla competenza dei giudici nazionali nella
causa principale
57 Dalle considerazioni sin qui svolte emerge che né il
Tribunale civile e penale di Roma né
58 A questo proposito, si può del resto rilevare che né
la sentenza della Corte d’appello di Roma, di cui si fa valere l’autorità di
cosa giudicata, né la sentenza del Tribunale civile e penale di Roma si
pronunciano esplicitamente sulla compatibilità con il diritto comunitario degli
aiuti di Stato richiesti dalla Lucchini e tantomeno sulla validità della
decisione 90/555.
Sull’applicazione dell’art. 2909 del
codice civile italiano
59 Stando al giudice nazionale, l’art. 2909 del
codice civile italiano osta non solo alla possibilità di dedurre nuovamente, in
una seconda controversia, motivi sui quali un organo giurisdizionale si sia già
pronunciato esplicitamente in via definitiva, ma anche alla disamina di
questioni che avrebbero potuto essere sollevate nell’ambito di una controversia
precedente senza che ciò sia però avvenuto. Da siffatta interpretazione della
norma potrebbe conseguire, in particolare, che a una decisione di un giudice
nazionale vengano attribuiti effetti che eccedono i limiti della competenza del
giudice di cui trattasi, quali risultano dal diritto comunitario. Come ha
osservato il giudice a quo, è chiaro che l’applicazione di tale norma, così
interpretata, impedirebbe nel caso di specie l’applicazione del diritto
comunitario in quanto renderebbe impossibile il recupero di un aiuto di Stato
concesso in violazione del diritto comunitario.
60 In tale contesto va ricordato che spetta ai giudici
nazionali interpretare le disposizioni del diritto nazionale quanto più
possibile in modo da consentirne un’applicazione che contribuisca
all’attuazione del diritto comunitario.
61 Risulta inoltre da una giurisprudenza costante che
il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria
competenza, le norme di diritto comunitario ha l’obbligo di garantire la piena
efficacia di tali norme, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa,
qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale (v., in
particolare, sentenze 9 marzo 1978, causa 106/77, Simmenthal,
Racc. pag. 629, punti 21‑24; 8 marzo 1979, causa 130/78,
Salumificio di Cornuda, Racc. pag. 867,
punti 23‑27, e 19 giugno 1990, causa C‑213/89, Factortame
e a., Racc. pag. I‑2433, punti 19‑21).
62 Come dichiarato al punto 52 della presente
sentenza, la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di
aiuto o di un regime di aiuti è di competenza esclusiva della Commissione, che
agisce sotto il controllo del giudice comunitario. Questo principio è
vincolante nell’ordinamento giuridico nazionale in quanto corollario della
preminenza del diritto comunitario.
63 Le questioni sollevate vanno pertanto risolte nel
senso che il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del
diritto nazionale, come l’art. 2909 del codice civile italiano, volta a
sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui
l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato
erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il
mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta
definitiva.
Sulle spese
64 Nei confronti delle parti nella causa principale il
presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice
nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri
soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a
rifusione.
Per questi motivi,
Il diritto comunitario
osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come
l’art. 2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio
dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale
disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto
con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è
stata dichiarata con decisione della Commissione delle Comunità europee
divenuta definitiva.
(Seguono le firme)