CORTE
EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA VARVARA c. ITALIA
(Ricorso n. 17475/09)
SENTENZA
STRASBURGO
29 ottobre 2013
Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni
definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.
Nella causa Varvara c. Italia,
La Corte europea dei
diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto de
Albuquerque,
Helen Keller,
giudici,
e da Stanley Naismith,
cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato
in camera di consiglio il 1° ottobre 2013,
Pronuncia la seguente
sentenza, adottata in tale data:
PROCEDURA
1. All'origine della causa
vi è un ricorso (n. 17475/09) proposto contro la Repubblica italiana con il
quale un cittadino di tale Stato, sig. Vincenzo Varvara
(«il ricorrente»), ha adito la Corte il 23 marzo 2009 in virtù dell’articolo 34
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali («la Convenzione»).
2. Il ricorrente è stato
rappresentato dall’avv. A. Gaito, del foro di Roma.
Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente E. Spatafora e dal suo co-agente P. Accardo.
3. Il ricorrente sostiene
che la confisca disposta nei suoi confronti è incompatibile con gli articoli 7
e 6 § 2 della Convenzione nonché con l’articolo 1 del Protocollo n. 1.
4. Il 21 maggio 2012 il
ricorso è stato comunicato al Governo. Come consentito dall’articolo 29 § 1
della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata
contestualmente sulla ricevibilità e sul merito.
IN FATTO
I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
5. Il ricorrente è nato nel
1943 e risiede a Gravina di Puglia.
A. Il piano di lottizzazione
6. Il ricorrente,
desiderando costruire dei manufatti in prossimità della Foresta di Mercadante,
presentò un piano di lottizzazione al comune di Cassano delle Murge. Tale
progetto fu approvato dal comune il 31 ottobre 1984. Il 1° marzo 1985 il
ricorrente concluse una convenzione di lottizzazione con il comune e ottenne i
permessi a costruire per un primo gruppo di edifici.
7. Il 6 febbraio 1986 fu
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale un decreto ministeriale del 1° agosto 1985.
Questo decreto dichiarava che i terreni situati attorno alla Foresta di
Mercadante dovevano essere sottoposti alla tutela paesaggistica di cui alla
legge n. 1497/1939 le cui disposizioni prevedevano che i permessi a costruire
potevano essere rilasciati soltanto dopo aver ottenuto un’autorizzazione
ministeriale.
8. Il comune di Cassano
delle Murge impugnò il decreto ministeriale dinanzi al tribunale amministrativo
per la Puglia e, con decisione del 10 marzo 1993, vinse parzialmente la causa.
Per effetto di questa decisione (che non è inserita nel fascicolo) i terreni
interessati dal progetto del ricorrente non furono più sottoposti ai vincoli
paesaggistici.
9. Peraltro, nel frattempo
erano entrate in vigore due leggi. La prima (legge n. 431/1985) aveva
attribuito alle regioni la competenza esclusiva a legiferare in materia di
tutela paesaggistica. La seconda (legge regionale n. 30/1990) sottoponeva i terreni
situati in prossimità dei boschi a vincoli paesaggistici che necessitavano
dell’autorizzazione della Regione, ad eccezione dei casi in cui il piano di
lottizzazione fosse stato approvato prima del 6 giugno 1990. Per effetto
combinato di queste leggi, i piani che dovevano essere approvati dopo questa
data dovevano ricevere il parere favorevole del comitato urbanistico regionale.
10. Nel 1993 il ricorrente
presentò al comune di Cassano delle Murge una variante al piano già approvato
nel 1984. Dal fascicolo risulta che la variante si era resa necessaria in
quanto il piano originale aveva inavvertitamente incluso una zona attraversata
da un acquedotto. Occorreva dunque ridurre la superficie del piano di 3.917
metri quadrati. Inoltre, poiché i proprietari dei fondi vicini avevano
rinunciato al piano, si era resa necessaria una modifica in particolare per
quanto riguarda la redistribuzione dei lotti edificatori. Questa variante fu
approvata dal comune di Cassano delle Murge il 30 maggio 1994.
11. Il 19 agosto 1994 il
ricorrente concluse una convenzione di lottizzazione con il comune che gli
rilasciò il permesso a costruire.
12. Il 21 maggio 2007 il
comune rilasciò un attestato di conformità alla legislazione in materia
paesaggistica di tutte le opere realizzate dal ricorrente prima del 30
settembre 2004.
B. Il procedimento penale
13. A carico del ricorrente
fu avviato un procedimento penale per lottizzazione abusiva. Il 6 febbraio 1997
i terreni e i manufatti (diciassette immobili contenenti ciascuno quattro alloggi)
furono sottoposti a sequestro conservativo.
14. Con sentenza del 1°
giugno 1998, il pretore di Acquaviva delle Fonti rilevò che il ricorrente aveva
costruito diciassette manufatti conformemente alla variante approvata nel 1994
e ai permessi a costruire rilasciati dal comune. Tuttavia il giudice ritenne
che questa variante non fosse una semplice modifica al piano del 1984, ma che
costituisse un nuovo piano di lottizzazione assoggettabile alla normativa nel
frattempo entrata in vigore. Dal momento che le norme in questione prevedevano
l’obbligo di richiedere e di ottenere il parere favorevole del comitato
urbanistico regionale, e che il ricorrente non lo aveva fatto, i permessi a
costruire rilasciati dal comune dovevano considerarsi privi di effetto.
La
situazione controversa ritornava dunque ad essere una lottizzazione abusiva che
aveva comportato il danneggiamento di un sito naturale protetto (articolo 20
lettere a) e c) della legge n. 47/1985; articolo 734 del codice penale). Dopo
aver tenuto conto delle circostanze attenuanti, il giudice condannò il
ricorrente alla pena condizionalmente sospesa di mesi nove di arresto e al
pagamento di una ammenda, disponendo la confisca e l’acquisizione al patrimonio
del comune dei terreni abusivamente lottizzati e degli immobili realizzati
sugli stessi.
15. Il ricorrente interpose
appello.
16. Con sentenza del 22
gennaio 2001, la corte d’appello di Bari accolse il ricorso del ricorrente e lo
assolse perché il fatto non sussiste. La corte d’appello ritenne che esistesse
un solo piano di lottizzazione che era stato autorizzato nel 1984, ossia ben
prima dell’entrata in vigore del decreto ministeriale del 1985 e della legge n.
431/1985. Considerò che nel 1994 il ricorrente avesse presentato una modifica
non essenziale al progetto già approvato. Pertanto i terreni del ricorrente non
erano sottoposti a tutela paesaggistica e non si trattava di un piano di
lottizzazione abusivo.
17. Il procuratore generale
e l’avvocato dello Stato proposero ricorso per cassazione.
18. Con sentenza del 17
maggio 2002, la Corte di cassazione annullò con rinvio la decisione impugnata.
19. Con sentenza del 5
maggio 2003, la corte d’appello di Bari condannò il ricorrente per
lottizzazione abusiva, ritenendo che la variante al piano di lottizzazione
costituisse un piano nuovo e autonomo.
20. Il ricorrente propose
ricorso per cassazione.
21. Con sentenza del 10
dicembre 2004, la Corte di cassazione accolse il ricorso del ricorrente e
annullò con rinvio la decisione impugnata.
22. Con sentenza del 23
marzo 2006, la corte d’appello di Bari dichiarò non luogo a procedere in quanto
i reati erano estinti per prescrizione dalla fine del 2002. La corte precisò
che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, era obbligatorio
infliggere la confisca contestata sia in caso di assoluzione nel merito (ad
eccezione della formula il fatto non sussiste) che in caso di prescrizione se
il piano di lottizzazione contrastava oggettivamente con alcune norme in
materia di assetto del territorio. Ora, essa considerò la variante come un
nuovo piano di lottizzazione e pertanto avrebbe dovuto ottenere
l’autorizzazione regionale prima che venissero rilasciati i permessi a
costruire. Peraltro, la corte d’appello dispose la confisca dei terreni e delle
opere costruite sugli stessi ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 47/1985.
23. Il ricorrente propose
ricorso per cassazione.
24. Con sentenza dell’11
giugno 2008, depositata in cancelleria il 1° ottobre 2008, la Corte di
cassazione respinse il ricorso del ricorrente.
II. IL DIRITTO E LA PRASSI
INTERNI PERTINENTI
A. Principi generali di diritto penale
25. a) L’articolo 27 comma
1 della Costituzione italiana prevede che «la responsabilità penale è
personale». La Corte costituzionale ha più volte affermato che non può esserci
responsabilità oggettiva in materia penale (si veda, fra altre, Corte
costituzionale, sentenza n. 1 del 10 gennaio 1997, e infra, «altri casi di
confisca». L’articolo 27 comma 3 della Costituzione prevede che «le pene … devono tendere alla rieducazione del
condannato».
b)
L’articolo 25 della Costituzione, ai commi secondo e terzo, prevede che
«nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in
vigore prima del fatto commesso» e che «nessuno può essere sottoposto a misure
di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge».
c)
L’articolo 1 del codice penale prevede che «nessuno può essere punito per un
fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene
che non siano da essa stabilite». L’articolo 199 del codice penale, riguardante
le misure di sicurezza, prevede che nessuno possa essere sottoposto a misure di
sicurezza che non siano stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge
stessa preveduti.
d)
L’articolo 42, 1° comma, del codice penale prevede che «nessuno può essere
punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non
l’ha commessa con coscienza e volontà». La stessa regola è stabilita
dall’articolo 3 della legge n. 689 del 25 novembre 1989 per quanto riguarda i
reati amministrativi.
e)
L’articolo 5 del codice penale prevede che «Nessuno può invocare a propria
scusa l’ignoranza della legge penale». La Corte costituzionale (sentenza n. 364
del 1988) ha dichiarato che questo principio non si applica quando si tratta di
errore inevitabile, di modo che questo articolo deve ormai essere letto come
segue: «L’ignoranza della legge penale non scusa tranne che si tratti di
ignoranza inevitabile». La Corte costituzionale ha indicato come possibile
origine dell’inevitabilità oggettiva dell’errore sulla legge penale «l’assoluta
oscurità del testo legislativo», le «assicurazioni erronee» di persone
istituzionalmente destinate a giudicare sui fatti da realizzare, lo stato
«gravemente caotico» della giurisprudenza.
B. La confisca
1. La confisca prevista dal codice penale
26. Ai sensi dell’articolo
240 del codice penale :
«1° comma: In caso di condanna,
il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate
a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto.
2°
comma: É sempre ordinata la confisca:
1. delle cose che costituiscono
il prezzo del reato;
2.
delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto o la detenzione o l’alienazione
delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
3°
comma: Le disposizioni della prima parte e del n. 1 del capoverso precedente
non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato.
4°
comma: La disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona
estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o
l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa.
»
27. In quanto misura di
sicurezza, la confisca rientra nella previsione dell’articolo 199 del codice penale
ai sensi del quale «nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non
siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dei casi dalla legge stessa
preveduti».
2. Altri casi di confisca / La giurisprudenza della
Corte costituzionale
28. In materia di dogane e
di contrabbando, le disposizioni applicabili prevedono la possibilità di
confiscare beni materialmente illeciti, anche se questi ultimi sono detenuti da
terzi. Con la sentenza n. 229 del 1974, la Corte costituzionale ha dichiarato
l’incompatibilità delle disposizioni pertinenti con la Costituzione (in
particolare con l’articolo 27) sulla base del seguente ragionamento:
«Possono, invero, esservi delle
cose (…) nelle quali é insita una illiceità oggettiva
in senso assoluto, che prescinde, pertanto, dal rapporto col soggetto che ne
dispone, e che debbono essere confiscate presso chiunque le detenga a qualsiasi
titolo (…).
Perché
la confisca obbligatoria delle cose appartenenti a persone estranee al
contrabbando non configuri, a carico di queste, una mera responsabilità
oggettiva, in base alla quale, per il solo fatto della appartenenza ad essi
delle cose coinvolte, subiscano conseguenze patrimoniali in dipendenza
dell'illecito finanziario commesso da altri, occorre che sia rilevabile nei loro
confronti un quid senza il quale, il reato, pur nella inconsapevolezza di
questo, non sarebbe avvenuto o comunque non sarebbe stato agevolato. Occorre,
in conclusione, che emerga nei loro confronti almeno un difetto di vigilanza.»
29. La Corte costituzionale
ha ribadito questo principio nelle sentenze n. 1 del 1997 e n. 2 del 1987 in
materia di dogane e di esportazione di opere d’arte.
3. La confisca del caso di specie (articolo 19
della legge n. 47 del 28 febbraio 1985)
30. L’articolo 19 della
legge n. 47 del 28 febbraio 1985 prevede la confisca delle opere abusive e dei
terreni abusivamente lottizzati quando la sentenza definitiva del giudice
penale accerta che vi è stata lottizzazione abusiva. La sentenza penale è
immediatamente trascritta nei registri immobiliari.
4. L’articolo 20 della legge n. 47 del 28 febbraio
1985
31. Questa norma prevede
sanzioni definite «penali» fra le quali non figura la confisca.
In
caso di lottizzazione abusiva - così come viene definita dall’articolo 18 di
questa stessa legge - le sanzioni previste sono l’arresto fino a due anni e
l’ammenda fino a 100 milioni di lire italiane (circa 51.646 euro).
5. L’articolo 44 del Testo Unico in materia
edilizia (DPR n. 380 del 2001)
32. Il Decreto del
Presidente della Repubblica n. 380 del 6 giugno 2001 («Testo unico delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia») ha codificato le
norme esistenti soprattutto in materia di diritto a costruire. Al momento della
codifica, gli articoli 19 e 20 della legge n. 47 del 1985 di cui sopra sono
confluiti in un’unica norma, ossia l’articolo 44 del testo unico, così
intitolato:
«Art. 44 (L) – Sanzioni penali
(...)
2.
La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata
lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati
e delle opere abusivamente costruite. »
6. La giurisprudenza relativa alla confisca per
lottizzazione abusiva
33. In un primo tempo i
giudici nazionali avevano qualificato la confisca applicabile in caso di
lottizzazione abusiva come sanzione penale. Pertanto essa poteva essere
applicata soltanto ai beni dell’imputato riconosciuto colpevole del delitto di lottizzazione
illegale, conformemente all’articolo 240 del codice penale (Corte di
cassazione, Sez. 3, 18 ottobre 1988, Brunotti; 8 maggio 1991, Ligresti; Sezioni
Unite, 3 febbraio 1990, Cancilleri).
34. Con sentenza del 12
novembre 1990, la terza sezione della Corte di cassazione (causa Licastro)
dichiarò che la confisca era una sanzione amministrativa e obbligatoria,
indipendente dalla condanna in ambito penale. Essa poteva dunque essere
ordinata nei confronti di terzi in quanto all’origine della confisca vi è una
situazione (una costruzione, una lottizzazione) che deve essere materialmente
abusiva, indipendentemente dall’elemento morale. Di conseguenza, la confisca
può essere ordinata quando l’autore è assolto in mancanza l’elemento morale
perché il fatto non costituisce reato e non può essere ordinata se l’autore è
assolto in ragione della non materialità dei fatti perché il fatto non
sussiste.
35. Questa giurisprudenza
fu largamente seguita (Corte di cassazione, Sez. 3, sentenza del 16 novembre
1995, Besana; 25 giugno 1999, Negro; 15 maggio 1997 n. 331, Sucato;
23 dicembre 1997 n. 3900, Farano; n. 777 del 6 maggio
1999, Iacoangeli). Con l’ordinanza n. 187 del 1998,
la Corte costituzionale ha riconosciuto la natura amministrativa della
confisca.
Pur
essendo considerata dalla giurisprudenza sanzione amministrativa, la confisca
non può essere annullata da un giudice amministrativo, in quanto la competenza
in materia spetta unicamente al giudice penale (Corte di cassazione, sez. 3,
sentenza 10 novembre 1995, Zandomenighi).
La
confisca di beni si giustifica in quanto questi ultimi sono «gli oggetti
materiali del reato» In quanto tali, i terreni non sono «pericolosi», ma lo
diventano quando mettono in pericolo il potere decisionale che è riservato
all’autorità amministrativa (Corte di cassazione, Sez. 3, n. 1298/2000, Petrachi e altri).
Se
l’amministrazione regolarizza ex post la lottizzazione, la confisca deve essere
revocata (Corte di cassazione, sentenza del 14 dicembre 2000 n. 12999, Lanza,
21 gennaio 2002, n. 1966, Venuti).
Lo
scopo della confisca è quello di rendere indisponibile una cosa di cui si
presume nota la pericolosità: i terreni oggetto di lottizzazione abusiva e le
opere abusivamente costruite. Si evita così di immettere sul mercato
immobiliare questo tipo di immobili. Quanto ai terreni si evita di commettere
ulteriori reati e non si lascia spazio a eventuali pressioni sugli
amministratori locali affinché regolarizzino la situazione (Corte di
cassazione, Sez. 3, 8 febbraio 2002, Montalto).
C. Il diritto interno pertinente successivo alla
sentenza Sud Fondi S.r.l. e altri c. Italia, n. 75909/01, 20 gennaio 2009
1. La Corte costituzionale
36. Il 9 aprile 2008,
nell’ambito di un processo penale che non riguarda il ricorrente, la corte
d’appello di Bari - basandosi sulla decisione sulla ricevibilità nella causa
Sud Fondi (Sud Fondi srl e altri c. Italia (dec.), n. 75909/01, 30 agosto 2007) – aveva investito la
Corte costituzionale della questione sulla legalità della confisca che era
stata inflitta automaticamente, anche a prescindere dall’accertamento della
responsabilità penale.
Con
la sentenza n. 239 del 2009, la Corte costituzionale ha dichiarato
inammissibile la questione di legittimità costituzionale. Nella parte finale
del suo ragionamento ha fatto osservare che quando vi è un apparente contrasto
fra disposizioni legislative interne e una disposizione della CEDU, anche quale
interpretata dalla Corte di Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità
solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa.
Spetta pertanto al giudice nazionale interpretare la norma interna
compatibilmente con la norma internazionale, entro i limiti nei quali ciò è
permesso dai testi delle norme e, qualora ciò non sia possibile, il giudice
nazionale può investire la Corte costituzionale delle relative questioni di
legittimità costituzionale.
2. La Corte di cassazione
37. La Corte di cassazione
ha ribadito la sua tesi secondo la quale la confisca in esame è una sanzione di
natura amministrativa. Ne deriva che l’applicazione della sanzione è
autorizzata anche quando il procedimento penale per lottizzazione abusiva non
si conclude con la condanna dell’accusato (Sez. 3, sentenze n. 36844 del 9
luglio 2009 e n. 397153 del 6 ottobre 2010).
38. Quando il reato di
lottizzazione abusiva si estingue per prescrizione in data antecedente
all’esercizio dell’azione penale, il giudice che pronuncia il non luogo a
procedere non può disporre la confisca oggetto di controversia. Quando la
prescrizione interviene dopo l’esercizio dell’azione penale, il giudice che
pronuncia il non luogo a procedere può disporre la confisca oggetto di
controversia (Sez. 3, sentenza n. 5857 del 2011).
39. Anche se interviene la
prescrizione, il giudice può assolvere l’imputato nel merito se dagli atti
risulta evidente che l’imputato non ha commesso il fatto, che il fatto non
sussiste, che il fatto non costituisce reato o che non è previsto dalla legge
come reato (articolo 129 comma 2 del codice di procedura penale).
3. La legge n. 102 del 2009
40. Ai sensi dell’articolo
4ter della legge n. 102 del 3 agosto 2009, fermi restando gli effetti della
revoca della confisca dei beni (…) quando la Corte europea dei diritti
dell'uomo ha accertato il contrasto della misura della confisca con la Convenzione,
la stima degli immobili avviene comunque in base alla destinazione urbanistica
attuale e senza tenere conto del valore delle opere abusivamente costruite. Ove
sugli immobili confiscati siano stati realizzati interventi di riparazione
straordinaria, se ne tiene conto al valore in essere all'atto della
restituzione all'avente diritto. Ai medesimi fini si tiene conto delle spese
compiute per la demolizione delle opere abusivamente realizzate e per il
ripristino dello stato dei luoghi.
D. Le decisioni al termine di un procedimento
penale
41. La prescrizione è una
delle cause per le quali un procedimento può concludersi con un non luogo a
procedere. Quando si dichiara non doversi procedere per prescrizione, il reato
si estingue e, di conseguenza, non è possibile applicare la pena (Corte
costituzionale n. 85 del 2008).
42. Il giudice pronuncia
sentenza di assoluzione nel merito quando è provata l’innocenza dell’imputato,
quando vi è insufficienza di prove o se le prove sono contraddittorie (articolo
530 del codice di procedura penale). Tuttavia, quando interviene la
prescrizione, l’articolo 129 comma 2 permette al giudice di assolvere nel
merito l’imputato soltanto se dagli atti risulta evidente che l’imputato non ha
commesso il fatto, che il fatto non sussiste, che il fatto non costituisce
reato o che non è previsto dalla legge come reato (si veda anche il paragrafo
39 supra)
43. Il giudice pronuncia
sentenza di condanna soltanto se l’imputato risulta colpevole del reato al di
là di ogni ragionevole dubbio (articolo 533 del codice di procedura penale) e
può quindi applicare la pena.
IN DIRITTO
I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 7 DELLA
CONVENZIONE
44. Il ricorrente denuncia
l’illegalità della confisca che ha colpito i suoi beni, in quanto questa
sanzione sarebbe stata inflitta senza una sentenza di condanna, e invoca
l’articolo 7 della Convenzione, che recita:
«1. Nessuno può essere
condannato per una azione od omissione che, nel momento in cui è stata
commessa, non costituiva reato secondo la legge nazionale o internazionale.
Parimenti non può essere inflitta una pena più grave di quella che sarebbe
stata applicata al tempo in cui il reato è stato consumato.
2.
Il presente articolo non vieterà il giudizio o la punizione di una persona
colpevole di una azione od omissione che, al momento in cui è stata commessa,
era ritenuta crimine secondo i principi generali del diritto riconosciuto dalle
nazioni civili.»
A. Sulla ricevibilità
45. La Corte constata che
questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo
35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità. Lo
dichiara dunque ricevibile.
B. Sul merito
1. Argomenti del ricorrente
46. Il ricorrente lamenta
di essere stato oggetto di una sanzione penale che è stata applicata nonostante
l’assenza di una condanna, e osserva che in diritto italiano l’azione penale
non può essere avviata quando un reato è estinto per prescrizione. Nel caso di
specie, secondo il ricorrente già nell’agosto 2001 il reato era prescritto.
Tuttavia, l’azione penale è stata proseguita fino al 2008 al solo scopo di
poter infliggere una pena.
Il
ricorrente fa inoltre notare la discrepanza fra le seguenti situazioni.
Normalmente, il giudice deve assolvere l’imputato ogni volta che le prove
risultino insufficienti ovvero quando vi siano prove contraddittorie (articolo
530 CPP) o quando l’imputato non può essere ritenuto colpevole al di là di ogni
ragionevole dubbio (articolo 533 CPP). Tuttavia, se il reato è estinto per
prescrizione, il giudice può assolvere nel merito soltanto se risulta evidente
che l’imputato non ha commesso i fatti o che i fatti non sussistono o che i
fatti non costituiscono reato o che non è previsto dalla legge come reato
(articolo 129, comma 2 CPP). Vi è quindi inversione dell’onere della prova, dal momento che il ricorrente ha dovuto cercare di
dimostrare la prova della sua innocenza, e questa situazione non è compatibile
con le garanzie del processo equo e con la Convenzione.
47. Tra l’altro, il ricorrente
ricorda che il piano di lottizzazione è stato autorizzato dal comune di Cassano
delle Murge; che ha edificato in conformità ai permessi a costruire che gli
sono stati rilasciati; che ha ricevuto l’assicurazione che il suo progetto era
conforme alle norme applicabili. Secondo il ricorrente, il comportamento delle
autorità, che hanno inizialmente autorizzato e perfino incoraggiato il progetto
di costruzione e che, successivamente, hanno cambiato radicalmente
atteggiamento dopo aver permesso la realizzazione dei lavori, è decisamente
criticabile. Infine, il ricorrente precisa che il fatto che i suoi vicini
abbiano rinunciato al piano di lottizzazione non ha rapporto alcuno con la
conformità o meno del progetto stesso al diritto nazionale.
2. Argomenti del Governo
48. Il Governo osserva
anzitutto che in seguito alla constatazione di violazione rilevata nella
sentenza Sud Fondi (Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia, n. 75909/01, 20 gennaio
2009), la Corte costituzionale (sentenza n. 239 del 24 luglio 2009) ha dichiarato
che la legge nazionale deve essere interpretata in conformità alla Convenzione
e che, secondo i principi affermati nella sentenza Sud Fondi, «la confisca non
può derivare automaticamente da un’urbanizzazione abusiva, senza tener conto
della responsabilità dei fatti».
Inoltre,
la legge n. 102 del 3 agosto 2009 ha disposto la revoca della confisca e dei
criteri di indennizzo per coloro che abbiano subito una confisca ingiustificata
dal punto di vista della Convenzione.
49. Il Governo osserva poi
che, nel diritto italiano, la confisca controversa è sempre considerata dalle
autorità giudiziarie come una sanzione amministrativa, e pertanto il fatto di
ordinarla nel caso di specie è compatibile con l’articolo 7 della Convenzione.
A
differenza della causa Sud Fondi, nel caso di specie il ricorrente non è stato
assolto nel merito ma ha beneficiato di un non luogo a procedere per
intervenuta prescrizione. Secondo il Governo, il ricorrente avrebbe potuto
rinunciare all’applicazione della prescrizione e chiedere al giudice di
decidere ai sensi dell’articolo 129 comma 2 del codice di procedura penale. In
ogni caso, il Governo, facendo riferimento alla giurisprudenza della Corte di
cassazione (sentenza n. 5857 del 16 febbraio 2011), fa osservare che nel caso
di specie la prescrizione non era intervenuta prima dell’avvio dell’azione
penale, il che depone a favore della legalità della sanzione ordinata.
Le
opere realizzate contravvenivano obiettivamente a delle norme di legge;
sussisteva quindi il reato di urbanizzazione abusiva in quanto il progetto di
lottizzazione era abusivo. Secondo il Governo, il ricorrente conosceva
l’esistenza dei vincoli paesaggistici. I vicini del ricorrente si sarebbero
dissociati dal progetto per non essere coinvolti in una speculazione immobiliare.
L’articolo 7 della Convenzione non è stato violato in quanto le norme
applicabili erano accessibili e prevedibili. Comportandosi nel modo in cui si è
comportato, il ricorrente sapeva di rischiare la confisca dei beni, che quindi
era una conseguenza prevedibile.
50. Nel caso in cui la
Corte dovesse concludere per una violazione della Convenzione, il Governo
chiede di tener conto di queste tesi ai fini dell’equa soddisfazione.
3. Valutazione della Corte
a) Applicabilità dell’articolo 7 della Convenzione
51. La Corte ricorda che,
nella causa Sud Fondi (Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia, decisione sopra
citata), ha affermato che la confisca controversa si traduce in una pena, e,
pertanto, trova applicazione l’articolo 7 della Convenzione.
b) Principi applicabili
52. La garanzia sancita
dall’articolo 7, elemento fondamentale della preminenza del diritto, occupa un
posto primordiale nel sistema di tutela della Convenzione, come attestato dal
fatto che l’articolo 15 non ne autorizza alcuna deroga in tempo di guerra o di
altro pericolo pubblico. Come si deduce dal suo oggetto e dal suo scopo, deve
essere interpretato ed applicato in modo da garantire un’effettiva tutela da
azioni penali, da condanne e da sanzioni arbitrarie (sentenze S.W. c. Regno
Unito, 22 novembre 1995, § 34, serie A n. 335 B e C.R. c. Regno Unito del 22
novembre 1995, serie A nn. 335-B e 335-C, § 32).
53. L’articolo 7 § 1
sancisce in particolare il principio della legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege). Esso vieta in
particolare di estendere il campo d’applicazione dei reati esistenti a fatti
che, in precedenza, non costituivano reati, ordinando inoltre di non applicare
la legge penale in maniera estensiva a scapito dell’imputato, per esempio per
analogia (vedi, tra le altre, Coëme e altri c.
Belgio, nn. 32492/96, 32547/96, 32548/96, 33209/96 e
33210/96, §145, CEDU 2000 VII).
54. Ne segue che la legge
deve definire chiaramente i reati e le pene applicabili (Achour
c. Francia [GC], n. 67335/01, § 41, CEDU 2006 IV). Questa condizione è
soddisfatta quando la persona sottoposta a giudizio può sapere, a partire dalla
formulazione della norma pertinente e, se necessario, con l’aiuto
dell’interpretazione data dai tribunali, quali atti e omissioni implichino la sua
responsabilità penale.
55. La nozione di «diritto»
(«law») usata nell’articolo 7 corrisponde a quella di «legge» che figura in
altri articoli della Convenzione; essa comprende il diritto d’origine sia
legislativa sia giurisprudenziale e implica delle condizioni qualitative, tra
cui quella dell’accessibilità e della prevedibilità (Cantoni c. Francia, 15
novembre 1996, § 29, Recueil des
arrêts et des décisions 1996 V; S.W., sopra citata, § 35; Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, §§ 40-42, serie A n.
260 A). Per quanto chiara possa essere la formulazione di una norma legale, in
qualunque sistema giuridico, compreso il diritto penale, esiste immancabilmente
un elemento di interpretazione giuridica. Sarà sempre necessario delucidare i
punti dubbi e adattarsi alle mutate situazioni. Tra l’altro, è saldamente
stabilito nella tradizione giuridica degli Stati parte alla Convenzione che la
giurisprudenza, in quanto fonte del diritto, contribuisce necessariamente alla
progressiva evoluzione del diritto penale. Non si può interpretare l’articolo 7
della Convenzione come una norma che vieta il graduale chiarimento delle norme
della responsabilità penale attraverso l’interpretazione giuridica da una causa
all’altra, a condizione che il risultato sia coerente con la sostanza del reato
e ragionevolmente prevedibile (Streletz, Kessler e
Krenz c. Germania [GC], nn. 34044/96, 35532/97 e
44801/98, § 50, CEDU 2001 II).
56. La portata del concetto
di prevedibilità dipende in gran parte dal contenuto del testo di cui si
tratta, dell’ambito interessato nonché dal numero e dalla qualità dei suoi
destinatari. La prevedibilità di una legge non si contrappone al fatto che la
persona interessata sia portata ad avvalersi di consigli illuminati per
valutare, a un livello ragionevole nelle circostanze della causa, le
conseguenze che possono derivare da un determinato atto. Questo vale in
particolare per i professionisti, abituati a dover dare prova di grande
prudenza nell’esercizio del loro lavoro. Perciò ci si può aspettare che essi valutino
con particolare attenzione i rischi che esso comporta (Pessino
c. Francia, n. 40403/02, § 33, 10 ottobre 2006).
57. Spetta quindi alla
Corte assicurarsi che, nel momento in cui un imputato ha commesso l’atto che ha
portato all’azione penale e alla condanna, esistesse una norma legale che
rendeva l’atto punibile, e che la pena imposta non abbia oltrepassato i limiti
fissati da questa norma (Murphy c. Regno Unito, n. 4681/70, decisione della
Commissione, 3 e 4 ottobre 1972, Recueil des décisions 43; Coëme e altri, sopra citata, § 145).
c)
L’applicazione di questi principi al caso di specie
58. La Corte ricorda che
nella causa Sud Fondi (Sud Fondi s.r.l. e altri c. Italia sopra citata, §§ 112
e 114), aveva concluso che l’applicazione della confisca malgrado la decisione
di assolvere i ricorrenti non aveva una base legale, era arbitraria e violava
l’articolo 7 della Convenzione. Era stata pronunciata l’assoluzione in quanto i
ricorrenti avevano commesso un errore inevitabile e scusabile nell’interpretare
la legge.
59. Nel caso di specie, il
ricorrente ha beneficiato di un non luogo a procedere in quanto il reato di
lottizzazione abusiva era estinto per prescrizione ed era stato oggetto di una
sanzione, ossia la confisca delle opere costruite e dei terreni interessati dal
progetto di lottizzazione controverso. La Corte ha il compito di esaminare se
l’applicazione di questa sanzione è compatibile con l’articolo 7 della
Convenzione.
60. Anzitutto, la Corte
osserva che ai sensi della norma applicabile (paragrafo 30 supra),
la confisca delle opere abusive nonché dei terreni lottizzati abusivamente è
autorizzata quando i giudici penali hanno accertato con una «sentenza
definitiva» che la lottizzazione è abusiva, ma il testo non precisa che la
«sentenza definitiva» deve essere una decisione di condanna.
I
giudici nazionali hanno interpretato questa norma nel senso che era possibile
applicare la sanzione senza una condanna dal momento in cui hanno ritenuto che
si trattasse di una sanzione amministrativa. La Corte nota in proposito che
esiste un principio nel diritto nazionale (si veda diritto interno capitoli A.
e D.) stando al quale non si può punire un imputato in mancanza di una
condanna. In particolare, quando il reato è prescritto, non si può comminare
una pena (paragrafo 41, supra). Inoltre,
l’interpretazione della norma applicabile da parte dei giudici nazionali è
stata fatta a scapito dell’imputato.
61. In secondo luogo, la Corte ha
difficoltà a capire come la punizione di un imputato il cui processo non si è
concluso con una condanna possa conciliarsi con l’articolo 7 della Convenzione,
norma che esplicita il principio di legalità nel diritto penale.
62. Dato che nessuno può
essere riconosciuto colpevole di un reato che non sia previsto dalla legge, e
che nessuno può subire una pena che non sia prevista dalla legge, una prima
conseguenza è ovviamente il divieto per i giudici nazionali di interpretare in
modo estensivo la legge a scapito dell’imputato, altrimenti quest’ultimo
potrebbe essere punito per un comportamento non previsto come reato.
63. Un’altra conseguenza di
fondamentale importanza deriva dal principio di legalità nel diritto penale: il
divieto di punire una persona se il reato è stato commesso da un’altra.
64. La Corte ha finora
avuto l’opportunità di affrontare questa questione dal punto di vista
dell’articolo 6 § 2 della Convenzione.
65. Nella causa A.P., M.P.
e T.P. c. Svizzera, 29 agosto 1997, Recueil des arrêts et décisions
1997 V), alcuni eredi erano stati puniti per reati commessi dal defunto. La
Corte ha ritenuto che la sanzione penale inflitta agli eredi per una frode
fiscale attribuita al defunto contrastasse con una regola fondamentale del
diritto penale, secondo cui la responsabilità penale non sopravvive all’autore
del reato (ibid., § 48). È quanto riconosciuto esplicitamente dal diritto
svizzero, e la Corte ha affermato che questa norma è altresì richiesta per la
presunzione di innocenza sancita dall’articolo 6 § 2 della Convenzione.
Ereditare la colpevolezza del defunto non è compatibile con le norme della
giustizia penale in una società in cui vige il principio della preminenza del
diritto. Il principio è stato ribadito nella causa Lagardère
(Lagardère c. Francia, n. 18851/07, 12 aprile 2012, §
77), in cui la Corte ha ricordato che, per la presunzione di innocenza sancita
dall’articolo 6 § 2 della Convenzione, è richiesta anche la norma secondo la
quale la responsabilità penale non sopravvive all’autore del reato, ma anche
che ereditare la colpevolezza del defunto non è compatibile con le norme della
giustizia penale in una società regolata dalla preminenza del diritto.
66. Visto l’accostamento degli
articoli 6 § 2 e 7 § 1 della Convenzione (Guzzardi c.
Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A n. 39), la Corte ritiene che la norma
da lei appena ricordata sia valida anche dal punto di vista dell’articolo 7
della Convenzione, che impone di vietare che nel diritto penale si possa
rispondere per un fatto commesso da altri. Infatti, se è vero che ogni persona
deve poter stabilire in ogni momento cosa è permesso e cosa è vietato per mezzo
di leggi precise e chiare, non si può concepire un sistema che punisca coloro
che non sono responsabili, perché il responsabile è stato un terzo.
67. Non si può neppure
concepire un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, comunque, senza
alcun grado di responsabilità penale constatata in una sentenza di colpevolezza
subisca una pena. Si tratta di una terza conseguenza del principio di legalità
nel diritto penale: il divieto di comminare una pena senza accertamento di
responsabilità, che deriva anch’esso dall’articolo 7 della Convenzione.
68. Anche questo principio
è stato affermato dalla Corte relativamente all’articolo 6 § 2 della
Convenzione. Nella causa Geerings (Geerings c. Paesi Bassi, n. 30810/03, § 47, 1. marzo 2007), i tribunali nazionali avevano confiscato i beni
dell’interessato in quanto avevano ritenuto che questi avesse tratto profitto
dal reato in questione anche se il ricorrente non era mai stato trovato in
possesso di beni di cui non era stato in grado di spiegare l’origine. La Corte
aveva ritenuto che la confisca dei «benefici ottenuti illecitamente» fosse una
misura inadeguata tanto più che l’interessato non era stato dichiarato
colpevole del reato e che non era mai stato stabilito che avesse avuto dei
benefici dal reato. La Corte aveva ritenuto che questa situazione non potesse
essere compatibile con la presunzione di innocenza e aveva concluso con la
violazione dell’articolo 6 § 2 della Convenzione.
69. L’accostamento
dell’articolo 5 § 1 a) agli articoli 6 § 2 e 7 § 1 mostra che ai fini della
Convenzione non si può avere «condanna» senza che sia legalmente accertato un
illecito – penale o, eventualmente, disciplinare (Engel e altri c. Paesi Bassi,
8 giugno 1976, § 68, serie A n. 22; Guzzardi c.
Italia, 6 novembre 1980, § 100, serie A n. 39), così come non si può avere una
pena senza l’accertamento di una responsabilità personale.
70. Certo, gli Stati
contraenti restano liberi, in linea di principio, di reprimere penalmente un
atto compiuto fuori dall’esercizio normale di uno dei diritti tutelati dalla
Convenzione e, quindi, di definire gli elementi costitutivi di questo reato:
essi possono, in particolare, sempre in linea di principio e ad alcune
condizioni, rendere punibile un fatto materiale o oggettivo considerato di per
sé, che derivi o meno da un intento criminale o da una negligenza; le
rispettive legislazioni ne offrono degli esempi (Salabiaku
c. Francia, 7 ottobre 1988, serie A n. 141, § 27). Lo stesso principio è stato
affermato in Janosevic c. Svezia (n. 34619/97, 23
luglio 2002, § 68) in cui la Corte ha aggiunto che «la mancanza di elementi
soggettivi non priva necessariamente un reato della sua natura penale; in
realtà, le legislazioni degli Stati contraenti offrono esempi di reati basati
unicamente su elementi oggettivi». L’articolo 7 della Convenzione non richiede
espressamente un «nesso psicologico» o «intellettuale» o «morale» tra
l’elemento materiale del reato e la persona che ne è ritenuta l’autore. Tra
l’altro, la Corte ha recentemente concluso per la non violazione dell’articolo
7 in un caso in cui era stata inflitta una multa a una parte ricorrente che
aveva commesso un reato senza dolo o colpa (Valico S.r.l. c. Italia (dec.), n. 70074/01, CEDU 2006 III). L’accertamento di
responsabilità era sufficiente per giustificare l’applicazione della sanzione.
71. La logica della «pena»
e della «punizione», e la nozione di «guilty» (nella
versione inglese) e la corrispondente nozione di «persona colpevole» (nella
versione francese), depongono a favore di un’interpretazione dell’articolo 7
che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici
nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena
al suo autore. In mancanza di ciò, la punizione non avrebbe senso (Sud Fondi e
altri, sopra citata, § 116). Sarebbe infatti incoerente esigere, da una parte,
una base legale accessibile e prevedibile e permettere, dall’altra, una
punizione quando, come nel caso di specie, la persona interessata non è stata
condannata.
72. Nella presente causa,
la sanzione penale inflitta al ricorrente, quando il reato era estinto e la sua
responsabilità non era stata accertata con una sentenza di condanna, contrasta
con i principi di legalità penale appena esposti dalla Corte e che sono parte
integrante del principio di legalità che l’articolo 7 della Convenzione impone
di rispettare. La sanzione controversa non è quindi prevista dalla legge ai
sensi dell’articolo 7 della Convenzione ed è arbitraria.
73. Pertanto, vi è stata
violazione dell’articolo 7 della Convenzione.
II. SULLA DEDOTTA
VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 2 DELLA CONVENZIONE
74. Il ricorrente sostiene
che la confisca disposta nei suoi confronti nonostante la decisione di non
luogo a procedere ha violato il principio della presunzione di innocenza, come
previsto dall’articolo 6 § 2 della Convenzione, così formulato:
«2. Ogni persona accusata di un
reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata
legalmente accertata.»
75. Il Governo contesta
questa tesi.
76. La Corte rileva che
questo motivo di ricorso è legato a quello esaminato sopra e dunque anch’esso
deve essere dichiarato ricevibile.
77. Essa nota poi che
questo motivo di ricorso è strettamente legato ai fatti che l’hanno indotta a
concludere per una violazione dell’articolo 7 della Convenzione. In queste
condizioni, la Corte ritiene che non si debba esaminare separatamente il motivo
di ricorso relativo alla violazione di questa disposizione.
III. SULLA DEDOTTA
VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1
78. Il ricorrente denuncia
l’illegalità nonché il carattere sproporzionato della confisca disposta sui
suoi beni e deduce violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 che, nella
sua parte pertinente, dispone:
«Ogni
persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può
essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle
condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto
internazionale.
Le
disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre
in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni
in modo conforme all’interesse generale.»
79. Il Governo contesta
questa tesi.
A. Sulla ricevibilità
80. La Corte constata che
questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo
35 § 3 a) della Convenzione. La Corte rileva peraltro che esso non incorre in
altri motivi di irricevibilità. Lo dichiara dunque ricevibile.
B. Sul merito
1. Tesi delle parti
81. Il ricorrente richiama
essenzialmente gli argomenti sollevati relativamente all’articolo 7 e chiede
alla Corte di concludere per la violazione di questa disposizione. Egli osserva
inoltre che la sanzione in causa è sproporzionata, dal momento che il 90% dei
terreni confiscati non sono edificati.
82. Il Governo contesta
questa tesi. Secondo lui, le condizioni di legalità e di proporzionalità sono
rispettate, visto che lo scopo dissuasivo della confisca la rende proporzionata
anche se riguarda tutto il territorio circostante e non soltanto i manufatti
costruiti. Il Governo chiede alla Corte di tener conto di questi argomenti ai
fini dell’equa soddisfazione nel caso in cui dovesse concludere per una
violazione della Convezione.
2. Valutazione della Corte
a) Sull’applicabilità dell’articolo 1 del
Protocollo n. 1
83. Come dichiarato dalla
Corte nella causa Sud Fondi (sopra citata, §§ 125, 129), la confisca dei
terreni e dei manufatti in contestazione, di cui i ricorrenti erano
proprietari, ha costituito una ingerenza nel godimento del loro diritto al
rispetto dei beni. Occorre concludere che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 è
applicabile. Rimane da stabilire se questa situazione ricada sotto la prima o
la seconda norma di questa disposizione. L’articolo 1 del Protocollo n. 1
contiene tre norme distinte: la prima, che si esprime nella prima frase del
primo comma ed è di carattere generale, enuncia il principio del rispetto della
proprietà; la seconda, che figura nella seconda frase dello stesso comma,
riguarda la privazione di proprietà e la sottopone ad alcune condizioni; quanto
alla terza, inserita nel secondo comma, essa riconosce agli Stati il potere,
tra altri, di regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse
generale. Non per questo si tratta di regole prive di rapporto tra loro. La
seconda e la terza riguardano particolari esempi di violazioni del diritto di
proprietà; pertanto, esse devono essere interpretate alla luce del principio
sancito dalla prima (si vedano, tra altre, James e altri c. Regno Unito, 21
febbraio 1986, § 37, serie A n. 98, e Iatridis c.
Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999-II).
Nella causa Sud Fondi (sopra
citata §§ 128-129), la Corte ha dichiarato:
«128. La Corte osserva che la
presente causa si distingue dalla causa Agosi c.
Regno Unito (sentenza del 24 ottobre 1986, serie A n.108), in cui la confisca è
stata disposta nei confronti di beni che costituivano l’oggetto del reato (objectum sceleris), a seguito
della condanna degli imputati, perché nella fattispecie, invece, la confisca è
stata disposta a seguito di una assoluzione. Per lo stesso motivo, la presente
causa si distingue da C.M. c. Francia ([dec.], n.
28078/95, CEDU 2001 VII) o da Air Canada c. Regno Unito (sentenza del 5 maggio
1995, serie A n. 316 A), in cui la confisca, ordinata dopo la condanna degli
imputati, aveva colpito dei beni che costituivano l’instrumentum sceleris e che si trovavano in possesso di terzi. Per
quanto riguarda i proventi di un’attività criminale (productum
sceleris), la Corte ricorda di aver esaminato una
causa in cui la confisca aveva seguito la condanna del ricorrente (si veda
Phillips c Regno Unito, n. 41087/98, §§ 9-18, CEDU 2001-VII) nonché alcune
cause in cui la confisca era stata disposta indipendentemente dall’esistenza di
un procedimento penale, poiché il patrimonio dei ricorrenti era presumibilmente
di origine illecita (si vedano Riela e altri c.
Italia (dec.), n. 52439/99, 4 settembre 2001; Arcuri
e altri c. Italia (dec.), n. 52024/99, 5 luglio 2001;
Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994, Serie A n. 281-A, § 29) o veniva
presumibilmente utilizzato per attività illecite (Butler c. Regno Unito (dec.), n. 41661/98, 27 giugno 2002). Nella prima causa
sopra citata, la Corte ha dichiarato che la confisca costituiva una pena ai
sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Phillips,
sentenza sopra citata, § 51, e, mutatis mutandis, Welch c. Regno Unito, 9 febbraio 1995, serie A n.
307-A, § 35), mentre nelle altre cause ha affermato che si trattava della
regolamentazione dell’uso dei beni.
129.
Nella presente causa, la Corte ritiene che non sia necessario determinare se la
confisca ricada nella prima o nella seconda categoria, poiché in ogni caso è
applicabile il secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 (Frizen c. Russia, n. 58254/00, § 31, 24 marzo 2005).»
Come
nella causa Sud Fondi (sopra citata, § 129), la Corte ritiene che non sia
necessario stabilire se la confisca ricada nella prima o nella seconda
categoria, perché in tutti i casi è applicabile il secondo paragrafo
dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
b) Sull’osservanza dell’articolo 1 del Protocollo
n. 1
84. La Corte rammenta che
l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che una
ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni
sia legale: la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una
privazione della proprietà soltanto «nelle condizioni previste dalla legge»; il
secondo comma riconosce agli Stati il diritto di regolamentare l’uso dei beni
mettendo in vigore delle «leggi». Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei
principi fondamentali di una società democratica, è intrinseco in tutti gli
articoli della Convenzione (Iatridis c. Grecia [GC],
n. 31107/96, § 58, CEDU 1999 II; Amuur c. Francia, 25
giugno 1996, § 50, Recueil 1996 III). Ne consegue che
la necessità di verificare che sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le
esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della
salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (Sporrong
e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 69, serie
A n. 52; Ex-re di Grecia e altri c. Grecia [GC], n. 25701/94, § 89, CEDU 2000
XII) può farsi sentire soltanto se risulta che l’ingerenza contestata abbia
rispettato il principio di legalità e non fosse arbitraria.
85. La Corte ha appena
constatato che il reato in relazione al quale è stata ordinata la confisca dei
beni del ricorrente non era previsto dalla legge nel senso dell’articolo 7
della Convenzione ed era arbitrario (paragrafi 72-73 supra).
Questa conclusione la induce a dichiarare che l’ingerenza nel diritto al
rispetto dei beni del ricorrente era contraria al principio di legalità ed era
arbitraria e che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
Questa conclusione esonera la Corte dal verificare se vi sia stata rottura del
giusto equilibrio.
IV. SULL’APPLICAZIONE
DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
86. Ai sensi dell’articolo
41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è
stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto
interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di
rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso,
un’equa soddisfazione alla parte lesa.»
A. Danno
87. Il ricorrente chiede la
restituzione dei beni confiscati più la somma di 500.000 euro (EUR) a titolo di
indennizzo per il deterioramento delle opere. Chiede, inoltre, il versamento di
250.000 EUR per il danno morale.
88. Il Governo si oppone
alla concessione di qualsiasi somma perché ritiene che il ricorso non ponga
alcun problema rispetto alla Convenzione. Nel caso in cui la Corte concludesse
per una violazione, chiede che, ai fini dell’equa soddisfazione, si tenga conto
del fatto che il ricorrente non è stato assolto nel merito.
89. La Corte ritiene che,
nelle circostanze del caso, la questione dell’articolo 41 non sia matura per la
decisione sul danno materiale, vista la complessità della causa e l’eventualità
che le parti trovino una forma di riparazione a livello nazionale. Pertanto,
questa questione deve essere riservata e la procedura successiva deve essere
fissata tenendo conto di un eventuale accordo tra lo Stato convenuto e il
ricorrente (articolo 75 § 1 del regolamento).
90. Trattandosi di danno
morale, la Corte, decidendo in via equitativa, accorda 10.000 EUR al
ricorrente.
B. Spese
91. Il ricorrente non
chiede il rimborso delle spese sostenute fino a questa fase della procedura. In
tali circostanze, la Corte ritiene che al ricorrente non debba essere versata
alcuna somma per questo capo.
C. Interessi moratori
92. La Corte ritiene
opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle
operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato
di tre punti percentuali.
PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE
1.
Dichiara,
all’unanimità, il ricorso ricevibile;
2.
Dichiara, con sei
voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 7 della Convenzione;
3.
Dichiara,
all’unanimità, che il motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 2 della
Convenzione non deve essere esaminato;
4.
Dichiara,
all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1
della Convenzione;
5.
Dichiara
all’unanimità,
a.
che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre
mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva
conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, la somma di 10.000 EUR
(diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per
il danno morale;
b.
che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al
versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a
un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale
della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre
punti percentuali;
6.
Dichiara,
all’unanimità, che la questione dell’articolo 41 della Convenzione non è matura
per la decisione sul danno materiale; di conseguenza:
a.
riserva questa questione;
b.
invita il Governo e il ricorrente a informarla, entro sei mesi,
degli accordi eventualmente raggiunti;
c.
riserva la procedura e delega al presidente l’eventuale onere di
fissarla;
7.
Rigetta,
all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 29
ottobre 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Danutė Jočienė
Presidente
Stanley Naismith
Cancelliere
Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli
articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione
dell’opinione separata del giudice Pinto de Albuquerque.
D.J.
S.H.N.
OPINIONE IN PARTE
CONCORDANTE, IN PARTE DISSENZIENTE DEL GIUDICE PINTO DE ALBUQUERQUE
Nella causa Varvara, la Corte
ha nuovamente esaminato il caso di una confisca non fondata su alcuna condanna
pronunciata all’esito di un procedimento penale. Se nella causa Sud Fondi srl e altri la confisca era stata disposta a carico delle
società ricorrenti, che erano persone estranee rispetto agli imputati nel
procedimento penale al termine del quale questi ultimi erano stati assolti in
quanto non potevano essere loro addebitate né colpa né intenzione nel
commettere i reati e avevano commesso un «errore inevitabile e scusabile»
nell’interpretare disposizioni regionali «oscure e mal formulate»[1], nella presente causa era il ricorrente
stesso ad essere imputato in un procedimento penale nel quale è stato
pronunciato un non luogo a procedere per prescrizione. Considerate le
incertezze nella giurisprudenza della Corte sulla questione di principio
relativa alla compatibilità con la Convenzione europea dei diritti
dell’uomo («la Convenzione») dei regimi di confisca senza condanna penale e di
confisca estesa, la presente causa avrebbe potuto consentire alla Corte di chiarire
le condizioni e le modalità di questo fondamentale strumento della politica
penale contemporanea, tenendo conto degli sviluppi del diritto internazionale
dei diritti dell’uomo, del diritto penale internazionale, del diritto penale
comparato e del diritto dell’Unione europea. La camera ha scelto di non farlo.
Ed è esattamente questo che mi propongo di fare in questa opinione, in attesa
dell’urgente intervento chiarificatore della Grande Camera. Saranno così messe
in evidenza le ragioni per le quali io non condivido la constatazione di
violazione dell’articolo 7 della Convenzione, pur approvando la constatazione
di violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 ed il non luogo a deliberare
in relazione all’articolo 6 § 2.
L’obbligo internazionale
di confisca degli strumenti e dei proventi di reato
Il diritto internazionale riconosce da tempo l’importanza
capitale della confisca come misura di lotta alle forme più gravi di
criminalità, come ad esempio il traffico di stupefacenti, il terrorismo, la
criminalità transnazionale organizzata e la corruzione.
L’articolo 37 della
Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, modificata dal Protocollo del
1972, prevede la confisca di tutti gli stupefacenti, di tutte le sostanze (obiectum sceleris) e di tutti i
materiali utilizzati per commettere uno dei reati previsti dall’articolo 36 o
destinati a commettere tale reato (instrumentum sceleris).
L’articolo 22 (3) della Convenzione sulle sostanze psicotrope del 1971 riprende
questa disposizione. L’articolo 5 della Convenzione delle Nazioni Unite del
1988 contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope
estende la confisca al di là di stupefacenti, sostanze psicotrope, materiali e
attrezzature o altri strumenti utilizzati o destinati ad essere utilizzati in
qualche maniera nel commettere i reati previsti dal paragrafo 1 dell’articolo 3
della suddetta Convenzione, per includere i proventi ottenuti dai reati citati
nel suddetto paragrafo ovvero i beni il cui valore corrisponde a quello dei
citati proventi (productum sceleris).
I redditi o gli altri vantaggi tratti da questo provento di reato, i beni nei
quali il provento è stato trasformato o convertito ovvero i beni ai quali è
stato unito possono anch’essi essere oggetto di confisca, fatto salvo il caso
di violazione dei diritti di terzi di buona fede. L’onere della prova
dell’origine lecita del presunto provento di reato o di altri beni confiscabili
può essere posto a carico del convenuto[2]. Questo regime di confisca è stato ripreso
in diverse altre disposizioni internazionali vincolanti, quali gli articoli 77
(2) (b), 93 (1) (k), e 109 (1) dello Statuto di Roma del 1998 della Corte
Penale Internazionale[3], l’articolo 8 della Convenzione internazionale
del 1999 per la repressione del finanziamento del terrorismo[4], l’articolo 12 della Convenzione delle
Nazioni Unite del 2000 contro la criminalità organizzata transnazionale[5], l’articolo 31 della Convenzione delle
Nazioni Unite del 2003 contro la corruzione[6], e l’articolo 16 della Convenzione
dell’Unione africana del 2003 sulla prevenzione e la lotta alla corruzione[7].
In Europa, la regola
internazionale in materia di confisca è ben radicata. Nell’ambito del Consiglio
d’Europa, gli articoli 2 e 13 della Convenzione del Consiglio d’Europa del 1990
sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato,
prevedevano già la confisca degli strumenti e dei proventi di reato, la
confisca di valori corrispondenti e la confisca senza condanna penale[8]. Gli articoli 5 e 23 della convenzione del
2005 sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di
reato e sul finanziamento del terrorismo hanno precisato le disposizioni precedenti[9].
L’attuale quadro
giuridico dell’Unione Europea in materia di confisca degli strumenti e dei
proventi di reato è costituito da più testi: la decisione-quadro 2001/500/JAI,
che obbliga gli Stati membri a non formulare né mantenere alcuna riserva sulle
disposizioni della convenzione del Consiglio d’Europa in materia di confisca
quando il reato è punito con una pena privativa della libertà o con una misura
di sicurezza di durata massima superiore a un anno, ad autorizzare la confisca
per un valore corrispondente ai proventi di reato quando i proventi diretti del
reato non possono essere rintracciati e a vigilare affinché le richieste
presentate dagli altri Stati membri siano trattate con lo stesso grado di
priorità accordato alle procedure nazionali[10]; la decisione-quadro 2003/577/JAI, che
prevede il reciproco riconoscimento delle decisioni di blocco; la
decisione-quadro 2005/212/JAI, che prevede la confisca ordinaria, compresa la
confisca per un valore corrispondente, per tutti i reati punibili con una pena
privativa della libertà della durata massima superiore ad un anno e la confisca
di tutta o parte dei beni detenuti da una persona riconosciuta colpevole di
alcuni reati gravi, quando sono «commessi nel quadro di una organizzazione
criminale», senza stabilire una relazione tra gli averi che si presume abbiano
un’origine criminale e un reato preciso; la decisione-quadro 2006/783/JAI, che
prevede il riconoscimento reciproco delle decisioni di confisca; e la decisione
2007/845/JAI del Consiglio relativa alla cooperazione tra gli uffici di
recupero dei beni degli Stati membri[11].
Infine, una solida opinio iuris in favore di norme
internazionali in materia di confisca di strumenti e proventi di reato si è
sviluppata con l’adozione da parte di molte organizzazioni internazionali di
raccomandazioni e di guide delle migliori prassi, come ad esempio la
raccomandazione n. 3 del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI)
dell’OCSE, rivista nel febbraio 2012[12]. Il GAFI ha suggerito che gli Stati
adottino misure simili a quelle indicate nelle convenzioni di Vienna e di
Palermo, comprese quelle di natura legislativa, di modo che le loro autorità
competenti possano confiscare i beni riciclati, i proventi derivanti dal
riciclaggio di capitali o dai reati sottostanti, nonché gli strumenti
utilizzati o destinati ad essere utilizzati per commettere questi reati o beni
il cui valore corrisponda a questi proventi, senza pregiudizio per i terzi di
buona fede. Secondo il GAFI, gli Stati possono prevedere di adottare misure che
permettano la confisca di siffatti prodotti o strumenti senza che sia
intervenuta una condanna penale o che obblighino il presunto autore del reato a
fornire la prova dell’origine lecita dei beni che si presumono confiscabili,
nella misura in cui tale obbligo sia conforme ai principi del loro diritto
interno. La terza delle nove raccomandazioni speciali del GAFI sul
finanziamento del terrorismo rafforza questa proposta per quanto riguarda il
blocco e la confisca dei beni dei terroristi.
È inevitabile
concludere, in merito alla prassi costante e quasi universale degli Stati e
dell’opinio iuris sopra
citata, che esiste oggi una norma consuetudinaria internazionale in materia di
confisca di strumenti e proventi di reato, che comprende le sei seguenti
tipologie: confisca degli strumenti utilizzati nel momento in cui è commesso il
reato o destinati a quest’ultimo, confisca dei proventi di reato, confisca del
loro valore equivalente, confisca dei proventi trasformati o uniti ad altri
beni, confisca degli introiti e degli altri vantaggi indiretti[13] e
protezione del terzo di buona fede[14]. L’obbligo di confiscare strumenti e
proventi di reato, secondo le ampie modalità descritte, riguarda il numero più
elevato possibile di reati e, almeno, quelli creati conformemente alle
convenzioni sopra menzionate. Questa norma universale in materia di confisca di
strumenti e proventi di reato costituisce una soglia minima e gli Stati hanno la
facoltà di andare oltre nella loro legislazione interna.
La confisca di strumenti
e proventi di reato nella giurisprudenza della Corte
La Corte ha sino ad oggi evitato di pronunciarsi sulla
questione di principio della compatibilità con la Convenzione dei regimi di
confisca senza condanna penale e di confisca estesa. Spesso le questioni che si
ponevano sono state decise sulla base di aspetti secondari del regime legale
della misura applicata dallo Stato convenuto, addirittura di fatti molto
particolari di ogni caso di specie, come l’ammontare dei beni perduti dal
ricorrente. Questo approccio casistico ha dato origine ad una giurisprudenza
contraddittoria e incoerente.
Secondo la Corte, non
beneficia delle garanzie previste dagli articoli 6 §§ 2-3 e 7 della Convenzione
e dall’articolo 4 del Protocollo n. 7 la confisca, prevista dall’articolo 2 ter
della legge italiana n. 575/1965 (oggi articolo 24 del codice antimafia
introdotto con il decreto legislativo del 6 settembre 2011 n. 159), di beni
appartenenti direttamente o indirettamente ad ogni persona sospettata di
partecipare ad una associazione di stampo mafioso, quando il valore di questi
beni sembra sproporzionato rispetto agli introiti o alle attività economiche di
questa persona o quando è possibile ragionevolmente affermare, in base alle
prove di cui si dispone, che questi beni costituiscono il provento di attività
illecite, se non è apportata nessuna spiegazione soddisfacente a sostegno della
loro origine lecita[15]. Lo stesso dicasi per la confisca in un
procedimento civile in rem[16]. In questo stesso senso, la Corte ritiene
che le misure di confisca possono essere applicate ai terzi a seguito della
condanna dell’accusato in un procedimento penale o anche dopo la morte di
costui. Essa esamina tuttavia la compatibilità di siffatte misure con
l’elemento civile dell’articolo 6 e con l’articolo 1 del Protocollo n. 1[17]. Infine, essa ammette anche
l’applicazione delle misure di confisca agli accusati assolti o prosciolti per
ragioni diverse dall’assoluzione all’esito di un procedimento penale[18], come pure nell’ambito della fase
consecutiva alla condanna che è parte integrante dell’iter per la
determinazione della pena[19].
Al contrario, la
Corte ritiene parallelamente che la confisca prevista dall’articolo 19 della
legge n. 47 del 1985 benefici delle garanzie dell’articolo 7 della Convenzione[20]. Come si vedrà, l’applicazione di questa
misura risponde a condizioni molto più rigorose della confisca del regime
antimafia. Nel contesto di una confisca di valore corrispondente in Grecia, la
Corte non ha potuto cogliere la portata dei termini utilizzati, che operavano
una distinzione, secondo lei artificiale, tra una constatazione di colpevolezza
e una constatazione di perpetrazione «oggettiva» di un reato come base di un
ordine di confisca, ed ha concluso per una violazione dell’articolo 6 § 2 della
Convenzione[21]. In un’altra causa, essa è giunta alla
conclusione che la confisca era una «misura non appropriata per dei beni di cui
non si sapeva se fossero mai stati nel possesso della persona interessata, a
fortiori se la misura in causa si riferiva a un atto delittuoso di cui la
persona in questione non era stata in realtà riconosciuta colpevole», poiché
l’articolo 6 § 2 vietava siffatta misura[22].
Così, al di là delle
contraddizioni tre le cause aventi ad oggetto misure sostanzialmente della
stessa natura, la Corte accorda garanzie più deboli ad alcune misure di
confisca più gravi, addirittura più intrusive, e garanzie più forti a misure di
confisca meno gravi. Alcune misure «civili» e certe misure di «prevenzione
penale» che nascondono una vera misura di annientamento delle capacità
economiche degli imputati, talvolta sotto la minaccia della detenzione in caso
di mancato pagamento della somma dovuta, sono sottoposte ad un controllo debole
e vago, sfuggono addirittura al controllo della Corte, mentre alcune misure di
natura intrinsecamente ammnistrativa sono talvolta assimilate a pene e
sottoposte al controllo più rigoroso degli articoli 6 e 7 della Convenzione.[23]
La natura della confisca
per lottizzazione abusiva
Con sentenza del 12 novembre 1990, la Corte di cassazione
italiana dichiarò che la confisca prevista dall’articolo 19 della legge n. 47
del 1985 era una sanzione amministrativa e obbligatoria, indipendente dalla
condanna penale e dall’elemento morale del reato[24]. Essa ritenne che questa misura potesse
dunque essere applicata nei confronti di terzi in quanto all’origine della confisca
vi era una situazione - in questo caso un manufatto o una lottizzazione o
entrambi - che era materialmente abusiva, indipendentemente dall’elemento
morale. Di conseguenza, a suo parere, la confisca poteva essere disposta in
caso di proscioglimento dell’accusato perché il fatto non costituisce reato, ma
non poteva esserlo in casi di proscioglimento dell’accusato perché il fatto non
sussiste.
La Corte di
cassazione introdusse due eccezioni significative a questo principio, la prima
è quella dei terzi di buona fede che non hanno preso parte alla commissione dei
fatti[25] e
la seconda quella della prescrizione del reato di lottizzazione abusiva
intervenuta prima dell’avvio dell’azione penale[26]. In questi casi, a suo parere, la
confisca era esclusa.
Nella causa Sud
Fondi, la Corte ha deciso diversamente. Essa ha ritenuto che la misura prevista
dall’articolo 19 della legge n. 47 del 1985 non tendesse alla riparazione
pecuniaria di un danno, ma mirasse essenzialmente a punire per impedire che
venissero nuovamente violate le condizioni fissate dalla legge. Questa
conclusione era rafforzata secondo lei dalla constatazione che la confisca
aveva colpito l’85% dei terreni non edificati, senza dunque che vi fosse stata
una effettiva violazione in materia paesaggistica. La Corte ha rilevato la
gravità della sanzione concreta che riguardava tutti i terreni inclusi nel
progetto di lottizzazione, che in pratica rappresentavano una superfici di
50.000 m2. Essa ha sottolineato inoltre che il testo unico in materia edilizia
del 2001 classificava tra le sanzioni penali la confisca per lottizzazione
abusiva.
Classificare la
confisca tra le « pene» è molto discutibile, dal punto
di vista sia dei criteri della dogmatica penale classica che dei criteri,
tratti dalla giurisprudenza Engel¸ di qualificazione giuridica del reato nel
diritto della Convenzione. La legge nazionale non è chiara in quanto gli
articoli 19 e 20 della legge n. 47 del 1985 non menzionano la confisca come
sanzione penale, contrariamente all’articolo 44 del testo unico in materia
edilizia (DPR n. 380 del 2011), che ha dato una nuova formulazione degli
articoli di cui sopra. Dal momento che la confisca si prefigge di contrastare
la speculazione immobiliare non rispettosa dell’assetto territoriale e della
tutela ambientale, il suo carattere preventivo è evidente. La sua presunta
natura «repressiva» e «punitiva» non lo è altrettanto. Per giustificare questo
scopo «punitivo» non è sufficiente fare affidamento sulle percentuali dei
terreni non edificati confiscati e ancor meno sulla superficie dei terreni
confiscati. La gravità concreta di una sanzione penale non può che confermarne
la natura penale, ma non può sostituirla. La natura «penale» della confisca non
può dipendere dalla sua gravità concreta. Piuttosto è il regime legale della
confisca, come stabilito dalla legge e interpretato e applicato dalla
giurisprudenza, a dover condurre a una conclusione sulla sua natura. Per
evitare la frode delle etichette, così ricorrente in questo campo, occorre
richiamare alla mente la saggezza di Celso: scire leges
non hoc est: verba earum
tenere, sed vim ac potestatem (conoscere le leggi
non è tenerne a mente le parole, ma lo spirito e la forza).
Questo scopo «punitivo»
è contraddetto dal fatto che i beni confiscati in virtù dell’articolo 19 della
legge n. 47 del 1985 sono acquisiti non al patrimonio dello Stato, come nel
caso della confisca penale prevista dall’articolo 240 del codice penale, ma
degli enti locali e la confisca può essere revocata se l’amministrazione
regolarizza ex post facto la lottizzazione[27]. Nel diritto penale moderno, una pena non
può essere revocata da un atto retroattivo dell’amministrazione. Il principio
della separazione dei poteri lo vieterebbe. Se l’amministrazione può sanare la
lottizzazione successivamente ad una decisione giudiziaria definitiva di
confisca e revocare questa misura, occorre concludere che il giudice penale che
emette questa decisione non ha l’ultima parola per quanto riguarda la legalità
della lottizzazione. Così la confisca disciplinata dall’articolo 19 della legge
n. 47 del 1985 è precisamente una misura provvisoria e conservativa volta a
fronteggiare il pericolo di una speculazione immobiliare non conforme alle
prescrizioni legali e amministrative fino a che l’organo competente
dell’amministrazione non decida definitivamente sulla legalità della
lottizzazione. In altre parole, il giudice penale si sostituisce,
provvisoriamente, all’amministrazione in funzione di supplenza nel ruolo di
garante dell’interesse pubblico in materia di assetto territoriale e di tutela
dell’ambiente. Questa conclusione è confermata da altri aspetti importanti del
regime legale: la procedura penale non ha un effetto sospensivo sulla procedura
amministrativa[28] e
l’amministrazione può anche evitare la pronuncia di una confisca da parte del
giudice penale prima che questa misura passi in giudicato se autorizza ex post
facto l’intervento di lottizzazione o modifica il piano di assetto territoriale
in modo da rendere edificabili i terreni già lottizzati[29] e,
inoltre, essa può sanare i manufatti costruiti senza autorizzazione se sono
conformi alle norme urbanistiche vigenti alla data in cui decide sulla domanda
di condono, anche se non lo sarebbero state con le norme vigenti alla data di
realizzazione del manufatto abusivo[30]. È necessario concludere da tutti questi
aspetti del regime legale che la confisca per lottizzazione abusiva è di natura
amministrativa e non dipende dalla verifica dell’esistenza delle condizioni
oggettive (actus reus) e
soggettive (mens rea) di applicazione delle «pene»
alla data dei fatti, nonostante siano pronunciate da un tribunale penale
all’esito di un procedimento penale. La nozione costituzionale di «funzione
sociale della proprietà» non è estranea al modo in cui è articolata la confisca
amministrativa[31].
Così, dal punto di
vista della Convenzione, la confisca per lottizzazione abusiva può essere
considerata come una «violazione» del diritto di proprietà «necessaria per
regolamentare l’uso dei beni conformemente all’interesse generale», la cui
legittimità deve essere valutata dal punto di vista dei criteri della legalità
e della proporzionalità dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, ma certamente non
come una «pena» sottoposta alle condizioni dell’articolo 7 della Convenzione[32].
La legalità della
confisca per lottizzazione abusiva
La base legale della confisca disposta dalle autorità
giudiziarie italiane non è in contestazione: si tratta dell’articolo 19 della
legge n. 47 del 1985[33]. Sono piuttosto le modalità di
applicazione della misura ad essere al centro della controversia tra le parti.
Da un lato il governo sostiene che gli elementi oggettivi e soggettivi del
reato di urbanizzazione abusiva erano costituiti tenuto conto che esistevano
vincoli paesaggistici, come risulterebbe dalla decisione del tribunale
amministrativo della Puglia del 10 marzo 1993, dall’assenza di un piano di
urbanizzazione legittimo e dal fatto che il ricorrente sarebbe stato pienamente
consapevole dei due elementi precedenti. Dall’altro lato, il ricorrente
sostiene che la decisione del tribunale amministrativo aveva reso inoperante il
decreto ministeriale del 1° agosto 1985 e, pertanto, aveva privato di base
giuridica la decisione di confisca emessa dal giudice penale.
È opportuno ricordare
che il capo di accusa nel caso del ricorrente considerava che la variante
approvata nel 1994 al piano di lottizzazione, già approvato nel 1984, non
sarebbe stata una semplice modifica del progetto del 1984, ma un nuovo
progetto, sottoposto all’obbligo di richiedere e ottenere un parere favorevole
del comitato urbanistico regionale competente in materia urbanistica. In
assenza di un nuovo piano di lottizzazione e di detto parere favorevole, il
tribunale di primo grado dichiarò la lottizzazione abusiva, ravvisando in ciò
una violazione del decreto ministeriale del 1° agosto 1985. Questo capo di
accusa non fu contestato né dalla corte di appello di Bari nella sentenza del
22 gennaio 2001[34], né dalla Corte di cassazione nella sua
sentenza del 10 dicembre 2004[35], ma fu preso in considerazione dalla
corte di appello di Bari nella sentenza del 5 maggio 2003 e dalla Corte di
cassazione nella sentenza del 17 maggio 2002. Infine, nella sentenza del 23
marzo 2006, la corte d’appello di Bari vide nella variante una nuova
lottizzazione e, pertanto, una lottizzazione abusiva. In conclusione, essa
dispose la confisca dei manufatti e dei terreni edificati e non edificati. La
Corte di cassazione confermò questo ragionamento nella sentenza dell’11 giugno
2008. Di per sé, le profonde divergenze tra le diverse autorità giudiziarie
nazionali dimostrano il carattere discutibile dell’interpretazione alla fine
adottata in merito alla natura della convenzione di lottizzazione conclusa
nell’agosto 1994 e dei relativi permessi a costruire e, pertanto, del reato
ascritto al ricorrente. Inoltre, il comune di Cassano delle Murge dichiarò le
opere costruite dal ricorrente prima del 30 settembre 2004 conformi alla
legislazione in materia paesaggistica e la Soprintendenza per i Beni Ambientali
concluse anche, dopo un sopralluogo, che «l’intervento edificatorio posto in
essere non abbia comportato specifico pregiudizio all’integrità complessiva
dell’area boscata»[36]. Ad ogni modo, anche concedendo allo
Stato convenuto il beneficio del dubbio sul carattere «naturale» della Foresta
di Mercadante, sulla natura «essenziale»della
modifica apportata al progetto iniziale e, pertanto, sulla illegalità della
convenzione di lottizzazione conclusa nell’agosto 1994, nonché sulla legalità
della confisca che ne conseguì, l’esame della proporzionalità della misura di
confisca porta a una conclusione che gli è sfavorevole.
La proporzionalità della
confisca per lottizzazione abusiva
In effetti, ogni misura che violi il diritto di proprietà
deve essere proporzionata. Questa conclusione a maggior ragione vale per i
proprietari ai quali non può essere ascritto alcun comportamento illecito, di natura
penale, amministrativo o civile. La portata della confisca deve dunque
limitarsi a quello che è strettamente necessario al perseguimento degli scopi
preventivi specifici e della finalità generale «di interesse pubblico» di
qualsiasi misura lesiva del diritto di proprietà nel contesto del caso di
specie.
Secondo
l’interpretazione accolta autorità giudiziarie italiane, la confisca per
lottizzazione abusiva colpisce in maniera automatica non soltanto i manufatti
ma anche i terreni (e la totalità di questi ultimi ,
non soltanto quelli edificati)[37]. La misura della confisca che ne è
derivata nella fattispecie è manifestamente sproporzionata e questo per vari
motivi[38]. In primo luogo, i terreni non costruiti
costituivano più del 90% di quelli confiscati. In secondo luogo, la confisca
non si è limitata ai cambiamenti introdotti dalla convenzione del 1994: essa è
stata estesa alla lottizzazione già autorizzata nel 1984. In terzo luogo, anche
accettando, per ipotesi, il carattere abusivo della lottizzazione, il vizio
atterrebbe al mancato rispetto di un vincolo paesaggistico che necessita del
parere favorevole del comitato urbanistico regionale, ossia ad un vizio di
procedura relativo («vincolo d’inedificabilità relativo»), eventualmente
sanabile, e non ad un vizio di merito insanabile, come una inedificabilità
assoluta. In quarto luogo, poiché i fatti si erano prescritti alla fine del
2001, come sostiene il ricorrente, o alla fine del 2002, come dichiara la corte
d’appello di Bari, il mantenimento, tra il mese di febbraio 1997 e la fine del
procedimento penale nel giugno 2008, di un sequestro conservativo dei terreni e
dei manufatti costituisce una violazione eccessiva. In quinto luogo, non sembra
ragionevole che il comune responsabile del rilascio dei permessi a costruire
illegali benefici del frutto della sua colpa.
L’interpretazione
rigida della confisca per lottizzazione abusiva che la rendeva «un
provvedimento ablativo radicale, nelle forme e nelle conseguenze», in cui
«senza discrezionalità alcuna, la proprietà dei terreni e dei beni lottizzati
venga trasferita dai privati al patrimonio del comune»[39], viola chiaramente il principio della
proporzionalità. Questo principio impone un’altra interpretazione della «forma»
e delle «conseguenze» della confisca, che le giurisdizioni nazionali possono e
devono seguire alla luce degli articoli 42 e 44 della Costituzione italiana e
dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. Se lo scopo della misura che consiste nel
confiscare dei terreni lottizzati e dei manufatti illegali è quello di
infliggere una battuta di arresto alle attività criminali e ai proventi di
queste ultime e di evitare che il danno all’assetto del territorio e
all’ambiente non si aggravi fino a che l’amministrazione prenda una decisione
definitiva sulla legalità della lottizzazione, l’intervento del giudice deve
essere misurato e non può essere «assoluto» né «automatico». In tal modo, il
giudice italiano deve non soltanto verificare se vi sia in concreto una
situazione di pericolo immediato e serio per l’assetto del territorio e per la
tutela ambientale, ma deve anche adattare la reazione statale alla minaccia
immobiliare esistente e così proporzionare la misura della confisca alle
circostanze specifiche della causa[40].
Conclusione
Secondo le stime dell’ONU, l’ammontare dei proventi di
reato su scala mondiale aveva raggiunto nel 2009 circa 2.100 miliardi di
dollari americani, ossia il 3,6% del PIL mondiale[41]. In risposta a questo problema mondiale,
una norma consuetudinaria internazionale che impone la confisca in quanto
misura di politica penale si è consolidata, sia rispetto agli strumenti che ai
proventi di reato, salvo nel caso del terzo di buona fede. Sotto il nomen iuris di confisca, gli
Stati hanno creato misure di prevenzione penale ante delictum,
delle sanzioni penali (accessorie o anche principali), delle misure di
sicurezza lato sensu, delle misure amministrative
adottate nell’ambito di un procedimento penale o al di fuori di quest’ultimo e
delle misure civili in rem. Di fronte a questo complesso immenso di mezzi di
reazione di cui lo Stato dispone, la Corte non ha ancora sviluppato una
giurisprudenza coerente fondata su un ragionamento di principio.
Nel caso della
confisca per lottizzazione abusiva prevista dall’articolo 19 della legge n. 47
del 1985, se la sua applicazione in assenza di condanna penale,
indipendentemente dalla causa di estinzione del procedimento penale, è conforme
alla Convenzione, la sua portata non lo è. Una misura che dispone
automaticamente e assolutamente la confisca di costruzioni e di terreni
abusivamente lottizzati viola il principio della proporzionalità. Questo è il
caso della confisca applicata al ricorrente. Pertanto, concludo per la
violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, ma anche per la non violazione
dell’articolo 7 della Convenzione.
Note:
nota 1 Sud
Fondi srl e altri c. Italia, n. 75909/01, 20 gennaio
2009, e le due decisioni parziali sulla ricevibilità emesse il 23 settembre
2004 ed il 30 agosto 2007.
nota 2 La
Convenzione ha 188 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 31 dicembre
1991. All’articolo primo, la confisca è definita come «la privazione permanente
di beni su decisione di un tribunale o altra autorità competente». Questa
definizione è ripresa negli altri testi delle Nazioni unite
nota 3 Lo
Statuto di Roma ha 122 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 26 luglio
1999. Inoltre, l’articolo 110 (4) (b) prevede la possibilità di riduzione della
pena nei casi in cui un convenuto abbia spontaneamente facilitato l’esecuzione
di decisioni e ordinanze della Corte in altri casi, in particolare agevolando
la localizzazione di beni oggetto di decisioni di confisca, che possono essere
utilizzati a vantaggio delle vittime.
nota 4 La
convenzione ha 185 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 27 marzo 2003.
nota 5 La
convenzione ha 178 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 2 agosto 2006.
nota 6 La
convenzione ha 168 Stati parte, fra cui lo Stato convenuto, dal 5 dicembre
2009. Un’importante novità è stata introdotta dall’articolo 54 (1) (c) della
Convenzione contro la corruzione, che impone agli Stati parte, nell’ambito
dell’assistenza internazionale ai fini della confisca, di ordinare la confisca,
in assenza di condanna penale, di beni acquisiti a mezzo di reato qualora
l’autore del medesimo non possa essere perseguito a causa di decesso, fuga,
assenza o in altri casi opportuni. Una nota interpretativa indica che, in tale
contesto, il termine «autore del reato» potrebbe, nei casi opportuni, includere
le persone intestatarie di un bene, allo scopo di occultare l’identità dei veri
proprietari del bene in questione (A/58/422/Add.1, par. 59). Anche se come
indicazione facoltativa, si tratta del riconoscimento universale della confisca
senza condanna. Sulla prassi interna degli Stati, si vedano le leggi di 175
paesi sul recupero dei beni, consultabili sul sito UNODC.
nota 7 La
convenzione ha 31 Stati parte. All’articolo primo, la confisca è definita come
«ogni sanzione o misura che comporti la privazione definitiva di beni, guadagni
o proventi, ordinata da un tribunale al termine di un procedimento promosso per
uno o più fatti di corruzione».
nota 8 STE
n. 141, e suo rapporto esplicativo. La convenzione ha 48 Stati parte, fra cui
lo Stato convenuto, dal 1° maggio 2004. All’articolo primo, essa definisce la
confisca come «una pena o una misura disposta da un tribunale a seguito di un
procedimento per uno o più reati, che consiste nella privazione permanente del
bene». Questa definizione è diventata la pietra angolare dei testi del
Consiglio d’Europa e dell’Unione Europea in materia. La convenzione del 1990
escludeva la confisca che non fosse in relazione con un reato, come ad esempio
la confisca amministrativa, ma includeva la decisione di confiscare che non
fosse stata adottata da un tribunale con competenze in materia penale all’esito
di una procedura penale, purché la procedura fosse stata condotta da autorità
giudiziarie e fosse stata di natura penale o, in altri termini, purché
riguardasse strumenti o proventi di reato. Questi tipi di procedura potevano includere,
ad esempio, le procedure dette in rem ed erano riportate nel testo della
convenzione sotto il nome di «procedure a fini di confisca».
nota 9 STCE
n. 198, e suo rapporto esplicativo. La convenzione ha 23 Stati parte. Lo Stato
convenuto l’ha firmata ma non l’ha ratificata. Al nuovo paragrafo 5
dell’articolo 23, la convenzione precisa bene nel corpo del testo che
l’assistenza relativa all’esecuzione di misure che portano ad una confisca, che
non sono sanzioni penali, deve essere assicurata nella maniera più ampia
possibile. Come riconosce il rapporto esplicativo della convenzione del 2005, era
chiaro che, già dinanzi al testo della convenzione del 1990, le Parti avevano
libertà sul modo di approcciare la confisca nel loro diritto interno, essendo
uno di questi la procedura civile in rem.
nota 10 La
decisione-quadro ha abrogato, in parte, l'azione comune 98/699/JAI riguardante
l'individuazione, il rintracciamento, il blocco o sequestro e la confisca degli
strumenti e dei proventi di reato.
nota 11 La
Proposta di direttiva del parlamento europeo e del Consiglio riguardante il
blocco e la confisca dei proventi di reato nell’Unione europea, fatta nel 2012,
prevedeva la confisca senza condanna penale quando il convenuto non può essere
perseguito perché deceduto, malato o in fuga; la confisca estesa nella misura
in cui un giudice constati in base a concreti elementi di fatto, che una
persona riconosciuta colpevole di un reato è in possesso di beni che molto
probabilmente provengono da altre attività criminali simili piuttosto che da un
altro tipo di attività, e la confisca di beni di terzi quando il terzo
acquirente, avendo pagato una somma inferiore al valore di mercato, avrebbe
dovuto sospettare che i beni erano di origine criminale (COM(2012) 85 final). Nel suo rapporto sulla proposta di direttiva,
redatto nel maggio 2013, la Commissione delle libertà civili, della giustizia e
degli affari interni ha precisato che la direttiva in questione copriva solo le
forme di confisca non basate su una condanna considerate di natura penale
(COM(2012)0085 – C7-0075/2012 – 2012/0036(COD); e il parere emesso a tale
proposito nel dicembre 2012 dall’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Unione
europea). La procedura legislativa è ancora in questa fase. Appare evidente un
disaccordo tra l’approccio del Consiglio d’Europa, che apre la porta a misure
che conducono ad una confisca senza condanna e che non sono «sanzioni penali»,
anche se adottate al termine di un procedimento penale, e l’approccio della
Commissione delle libertà civili del Parlamento europeo, che assoggetta la
confisca senza condanna penale alle garanzie convenzionali collegate ad ogni
«pena» e, esplicitamente, alle disposizioni dell’articolo 6 della Convenzione.
nota 12 Si
vedano anche le risoluzioni 1267 (1999), 1373 (2001) e 1377 (2001) del
Consiglio di sicurezza sul finanziamento del terrorismo e la Guida tecnica per
l’attuazione della risoluzione 1373 (2001) del Consiglio di sicurezza, nonché i
seguenti documenti: G8 Best Practice Principles on Tracing, Freezing and Confiscation of Assets, 2003 ; Commonwealth Model Legislative Provisions on Civil Recovery of Assets Including Terrorist Property, 2005; Model Bilateral
Agreement on the Sharing of Confiscated
Proceeds of Crime or Property
covered by the United
Nations Convention against Transnational
Organized Crime and the United
Nations Convention against Illicit
Traffic in Narcotic Drugs and Psychotropic Substances of 1988, 2005; Arricchimento indebito: Una guida
delle buone prassi in materia di confisca di beni senza condanna (CSC), 2009, e
Barriers to Asset Recovery An Analysis of the Key Barriers and Recommendations for
Action, 2011, pubblicati dalla Banca internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo e dalla Banca Mondiale; come pure il rapporto sui lavori del Gruppo di
lavoro intergovernativo aperto sul recupero di beni, redatto dalla Conferenza
degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.
nota 13 Come
espresso in una nota interpretativa riguardante delle formule equivalenti nella
Convenzione contro la criminalità organizzata, le parole «altri vantaggi»
devono ricomprendere i vantaggi materiali nonché i diritti legali, titoli e
crediti opponibili a terzi che possono essere oggetto di una confisca
(A/55/383/Add.1, par. 23).
nota 14 Se
anche il loro contenuto è identico, la norma convenzionale non sostituisce la
norma consuetudinaria: esse coesistono parallelamente perché la norma
convenzionale si applica soltanto agli Stati parte mentre la norma
consuetudinaria si applica a tutti gli Stati. Inoltre, la consuetudine
internazionale può disciplinare non soltanto i rapporti interstatali, ma anche
le relazioni tra Stati e cittadini in quanto essa è direttamente applicabile
nell’ordinamento giuridico interno e, in alcune circostanze, può essere
invocata dai cittadini. Ad esempio, la consuetudine internazionale può
includere norme di diritto penale materiale, come il divieto della legge penale
retroattiva, ma anche norme di diritto penale procedurale, come la norma del
giudice naturale nel diritto penale (si veda la mia opinione separata nella
causa Maktouf e Damyanovic
c. Bosnia-Erzegovina (GC). La questione non può essere sviluppata nei limiti
della presente opinione.
nota 15 Raimondo
c. Italia, 22 febbraio 1994, serie A n. 281-A, pag. 17, §§ 30 e 43; Prisco c.
Italia (dec.), n. 38662/97, 15 giugno 1999; Arcuri e
altri c. Italia (dec.), n. 52024/99, 5 luglio 2001; e
Riela e altri c. Italia (dec.),
n. 52439/99, 4 settembre 2001. Questa misura di prevenzione, che era
tradizionalmente considerata come una misura
amministrativa assimilata, per contenuto ed effetti, a una misura di sicurezza
(Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza del 3 luglio 1996, n. 18), è
stata recentemente considerata oggettivamente sanzionatoria e, pertanto,
soggetta al principio della non retroattività della pena (Corte di cassazione,
sentenza del 13 novembre 2012, n. 14044/13). In effetti, la misura è
applicabile quando anche la presunta pericolosità del reo non è più reale come
pure in caso di morte del reo, potendo colpire tutto il patrimonio disponibile
de iure o de facto del reo (Corte costituzionale, sentenza del 9 febbraio 2012,
n. 21).
nota 16 AGOSI
c. Regno Unito, 24 ottobre 1986, serie A n. 108, §§ 34, 56-62 (sulla sezione 44
(b) e sezione 44 (f) della legge del 1952); Air Canada c. Regno Unito, 13
luglio 1995, serie A n. 316, § 52 (sull’articolo 141 della legge del 1979, che
non prevedeva alcuna tutela del terzo innocente); Butler c. Regno Unito (dec.), n. 41661/98, 27 giugno 2002; Webb
c. Regno Unito (dec.), n. 56054/00, 10 febbraio 2004,
e Saccoccia c. Austria, n. 69917/01, §§ 87-91, 18 dicembre 2008. Negli ultimi
due casi inglesi, la Corte ha esplicitamente constatato che l’ordinanza che
disponeva la confisca era una «,misura preventiva» non
assimilabile a una sanzione penale dal momento che mirava a far ritirare dalla
circolazione del denaro che si presumeva legato al traffico internazionale di
stupefacenti.
nota 17 Yildirim
c. Italia (dec.), n. 38602/02, CEDU 2003-IV, e C.M.
c. Francia (dec.), n. 28078/95, 26 giugno 2001.
Tuttavia, nella causa Silickienė c. Lituania, n.
20496/02, § 50, 10 aprile 2012, la Corte ha stabilito il principio contrario:
essa ha certo dichiarato che «in linea di principio, chiunque si vede
confiscare il suo bene deve formalmente beneficiare della qualità di parte alla
procedura nel corso della quale viene disposta la confisca», ma essa ha
accettato, «nelle particolari circostanze della causa», la confisca dei beni di
un terzo dopo il decesso dell’accusato durante un procedimento penale.
nota 18 Van
Offeren c. Paesi Bassi (dec.),
n. 19581/04, 5 luglio 2005, in cui il ricorrente ha dovuto pagare 162.026,31
euro confiscati, sotto minaccia di diciotto mesi di detenzione in caso di
mancato pagamento della somma confiscata; Waldemar Nowakowski
c. Polonia, n. 55167/11, §§ 51-58, 24 giugno 2012, e, in un caso simile in cui
un ordine di demolizione era stato imposto ad un imputato prosciolto all’esito
di un procedimento penale, Saliba c. Malta (dec.), nº 4251/02, 23 novembre 2004.
nota 19 Phillips
c. Regno Unito, n. 41087/98, § 34, CEDU 2001‑VII (riguardante la legge
del 1994 sul traffico di stupefacenti), in cui il ricorrente aveva dovuto
pagare 91.400 lire sterline confiscate, sotto la minaccia di una pena
addizionale di due anni di detenzione; Grayson e Barnham c. Regno Unito, nn.
19955/05 e 15085/06, § 49, 23 settembre 2008 (riguardante la stessa legge),
dove il primo ricorrente aveva dovuto pagare 1.236.748 lire sterline
confiscate, sotto la minaccia di una pena addizionale di otto anni di
detenzione, e il secondo ricorrente 1.460.615 lire sterline, sotto la minaccia
di cinque anni e tre mesi di detenzione; e Woolley c.
Regno Unito, n. 28019/10, §§ 80-84, 10 aprile 2012 (riguardante l’articolo 75
della legge del 1988 sulla giustizia penale e sull’articolo 139 della legge del
2000 sulle attribuzioni delle giudici penali (determinazione delle pene), dove
il ricorrente aveva dovuto subire quattro anni di detenzione in più della pena
che gli era stata inflitta perché non aveva pagato 497.784,02 lire sterline
confiscate.
nota 20 Sud
Fondi srl e altri c. Italia (dec.),
n. 75909/01, 30 agosto 2007, e anche Welch c. Regno Unito, n. 17440/90, § 33, 9
febbraio 1995 (riguardante la legge del 1986 sul traffico di stupefacenti).
nota 21 Paraponiaris c. Grecia, n. 42132/06, § 33, 25 settembre
2008.
nota 22 Geerings c. Paesi Bassi, n. 30810/03, § 47, 1° marzo 2007
(sull’articolo 36e del codice penale), in cui il ricorrente aveva dovuto pagare
147.493 fiorini olandesi, sotto minaccia di 490 giorni di detenzione.
nota 23 Le
ripercussioni della giurisprudenza della Corte possono essere considerevoli nel
caso di una confisca estesa in quanto misura privativa di beni in generale (ad
esempio, articolo 43° del codice penale tedesco e articolo 229-49 del codice
penale francese), di beni aventi uno scopo illegale (ad esempio, § 72 del
codice penale svizzero e § 20b del codice penale austriaco) e di beni di
presunta provenienza illecita (ad esempio, § 73d del codice penale tedesco,
articolo 20b (2) del codice austriaco e articolo 7 della legge portoghese n.
5/2002).
nota 24 La
Corte costituzionale ha confermato questo ragionamento nella sentenza n. 187
del 1998.
nota 25 Corte
di cassazione, sentenza del 24 ottobre 2008, n. 427, sentenza del 9 luglio
2009, n. 36844, e sentenza del 6 ottobre 2010, n. 397153.
nota 26 Corte
di cassazione, sentenza del 16 febbraio 2011, n. 5857.
nota 27 Corte
di cassazione, sentenza del 14 dicembre 2000 n. 12999, e sentenza del 21
gennaio 2002, n. 1966. Ma la stessa alta giurisdizione ha anche sottolineato,
nella sentenza del 29 maggio 2007, n. 21125, che la sanatoria amministrativa
della lottizzazione abusiva, una volta passata in giudicato la decisione di
confisca, non implicava la restituzione dei beni confiscati ai precedenti
proprietari. Come si vedrà di seguito, questo aspetto del regime legale pone
problemi sul piano della proporzionalità.
nota 28 In
effetti, un atto amministrativo che dispone la demolizione di manufatti abusivi
può essere eseguito in pendenza di procedimento penale (Consiglio di Stato,
sentenza del 12 marzo 2012, n. 1260, e Corte di cassazione, sentenza del 14
gennaio 2009, n. 9186).
nota 29 Corte
di cassazione, sentenze dell’8 ottobre 2009, n. 39078, e del 29 maggio 2007, n.
21125.
nota 30 Consiglio
di Stato, sentenze del 21 ottobre 2003, n. 6498, e del 7 maggio 2009, n. 2835.
nota 31 Corte
di cassazione, sentenze del 27 gennaio 2005, n. 10037, e del 2 ottobre 2008, n.
37472.
nota 32 Il
ragionamento e la presa di posizione di principio della Corte sulla confisca
devono tener conto degli argomenti portati dinanzi ad alcuni giudici nazionali
sui limiti costituzionali della confisca, come durante il dibattimento che si è
svolto negli Stati Uniti sull’applicazione ad alcune forme di confisca
dell’ottavo emendamento relativo alle pene crudeli o di quello che ha avuto
luogo in Germania sulla costituzionalità della confisca generale (si vedano,
tra altre, le sentenze della Corte Costituzionale tedesca del 20 marzo 2002 e
del 14 gennaio 2004).
nota 33 Sull’illegalità
delle misure di confisca, si vedano Frizen c. Russia,
n. 58254/00, § 36, 24 marzo 2005; Baklanov c. Russia,
n. 68443/01, § 46, 9 giugno 2005, e Adzhigovich c.
Russia, n. 23202/05, § 34, 8 ottobre 2009.
nota 34 La
corte d’appello ha dichiarato che la Foresta di Mercadante non era un bosco
naturale, ma un bosco artificiale, come aveva confermato il perito del Pubblico
ministero all’udienza del 23 marzo 1998; che l’articolo 1 della legge n. 431/85
era stata abrogata dall’articolo 146 del decreto legislativo n. 490/99, con
l’esclusione del vincolo paesaggistico sui terreni in questione; che la
variante al piano di lottizzazione iniziale non rappresentava una modifica
essenziale del piano di lottizzazione approvato nel 1984, e infine che i
manufatti edificati dal ricorrente non costituivano una «modifica sostanziale
di parametri paesistici dell’area».
nota 35 La
Corte di cassazione ha censurato la sentenza della corte di appello di Bari del
5 maggio 2003 per non aver valutato autonomamente se la variante mascherava un
nuovo ed autonomo piano di lottizzazione.
nota 36 Sentenza
della Corte d’appello di Bari del 22 gennaio 2001, pagina 11: «l’intervento
edificatorio posto in essere non abbia comportato specifico pregiudizio
all’integrità complessiva dell’area boscata».
nota 37 Corte
di cassazione, sentenza del 9 maggio 2005, n. 17424: «la confisca deve essere
estesa a tutta l’area interessata dall’intervento lottizzatorio, compresi i
lotti non ancora edificati o anche non ancora alienati al momento
dell’accertamento del reato, atteso che anche tali parti hanno perso la loro
originaria vocazione e destinazione rientrando nel generale progetto
lottizzatorio.»
nota 38 Sulla
mancata proporzionalità delle misure di confisca, si vedano Ismayilov
c. Russia, n. 30352/03, § 38, 6 novembre 2008, e soprattutto Grifhorst c. Francia, n. 28336/02, § 100, 26 febbraio 2009
(confisca «automatica» di «tutta» la somma trasportata).
nota 39 Corte
di cassazione, sentenza del 29 maggio 2007, n. 21125, ma si veda anche Corte
costituzionale, sentenza del 24 giugno 2009, n. 239.
nota 40 Per
esempio, il giudice deve operare una distinzione tra un «ecomostro» creato da
un costruttore avido e in malafede che gioca a nascondino con le autorità
amministrative e un manufatto realizzato con l’assenso più o meno compiacente
delle autorità amministrative competenti e la cui costruzione è stata
volontariamente bloccata dal suo autore. Le misure necessarie nel primo caso
non sarebbero le stesse nel secondo.
nota 41 Ufficio
delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, «Stima dei flussi finanziari
illeciti derivanti dal traffico di droga e da altri crimini transnazionali»,
ottobre 2011.