ORDINANZA N. 306
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286, promosso dal Giudice di pace di Torino nel procedimento vertente tra C.R. ed il Comune di Torino con ordinanza del 12 gennaio 2009, iscritta al n. 153 del registro ordinanze 2009, pubblicata nella Gazzetta ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2009.
Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 novembre 2009 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di Torino ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286;
che il giudice remittente premette di essere investito dell’opposizione proposta dalla proprietaria di un autoveicolo avverso il verbale con il quale le veniva contestata – in forza della disposizione censurata – l’omessa comunicazione dei dati personali e della patente del conducente, resosi precedentemente responsabile dell’infrazione stradale sanzionata dall’art. 142 del medesimo codice della strada (Eccesso di velocità) e non identificato al momento della commessa violazione;
che il giudice a quo, sempre in punto di fatto, deduce che la ricorrente – essendole stato notificato, in data 19 marzo 2008, il verbale relativo alla pregressa violazione dell’art. 142 del codice della strada, accertata a carico del veicolo di sua proprietà – oltre ad impugnare tale verbale (radicando un primo giudizio, diverso rispetto a quello principale) forniva, con comunicazione inviata il 16 maggio 2008 a mezzo lettera raccomandata, «dichiarazione di impossibilità di risalire all’effettivo trasgressore»;
che, secondo il Giudice di pace di Torino, il predetto art. 126-bis, comma 2, «nella sua attuale formulazione letterale» e «per come viene interpretato dalla Corte di cassazione», non gli consentirebbe «di aderire alla richiesta di annullamento» del secondo verbale, avanzata nel giudizio principale dalla proprietaria della vettura;
che tale richiesta, infatti, risulta fondata sul fatto che la ricorrente, da un lato, «ha dichiarato di non essere in grado di risalire al guidatore dell’auto al momento della violazione» e, dall’altro, che «il verbale per la mancata comunicazione dei dati del guidatore le è stato notificato quando il primo accertamento» – quello, cioè, relativo alla violazione dell’art. 142 del codice della strada – «non era ancora divenuto definitivo»;
che in relazione al primo dei due profili, il giudice remittente richiama, innanzitutto, le vicende normative che hanno interessato la censurata disposizione;
che il testo originario dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada – introdotto dall’art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85) – stabiliva che l’organo accertatore della violazione comportante la perdita di punteggio dovesse dare notizia, entro trenta giorni dalla definizione della contestazione, all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida, «solo se la persona del conducente, quale responsabile della violazione», fosse stata «identificata inequivocabilmente»;
che, per contro, a seguito dell’avvenuta modifica della norma censurata (compiuta dall’art. 7, comma 3, lettera b, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, recante «Modifiche ed integrazioni al codice della strada», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214) era posta a carico del proprietario del veicolo, che non avesse provveduto a comunicare i dati personali e della patente del conducente non identificato al momento della commessa violazione, addirittura la sanzione personale della decurtazione del punteggio dalla patente di guida, oltre quella pecuniaria prevista dall’art. 180, comma 8, del codice della strada;
che, richiamata, altresì, la sentenza n. 27 del 2005 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale di tale novellata formulazione dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada (proprio nella parte in cui poneva a carico di un soggetto diverso dall’effettivo trasgressore la suddetta sanzione personale), il giudice a quo rammenta le ulteriori vicende che hanno interessato la censurata disposizione;
che – per effetto dell’ulteriore modifica apportata dall’art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286 – a carico del proprietario del veicolo, il quale non comunichi, entro sessanta giorni dalla richiesta, i dati personali e della patente del conducente non identificato al momento della commessa violazione, si applica la (sola) «sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 250 a euro 1.000», sempre che tale omissione sia posta in essere «senza giustificato e documentato motivo»;
che, tanto premesso, il Giudice di pace di Torino sottolinea come la Corte costituzionale – nell’interpretazione dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada – abbia ritenuto impossibile «un’opzione ermeneutica» che pervenga «alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei “dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”», giacché essa «presenterebbe una dubbia compatibilità con l’art. 24 Cost.», in quanto, «non consentendo in alcun modo all’interessato di sottrarsi all’applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilità» (ordinanza n. 434 del 2007);
che non in linea, tuttavia, con quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale si porrebbe, a dire del remittente, l’interpretazione fatta propria dalla Corte di cassazione;
che, difatti, tanto dal testo dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada – considerato sia «il suo tenore letterale», che «la sua chiara ratio giustificatrice, rappresentata dall’obiettivo di individuare e quindi sanzionare il trasgressore della violazione» – emerge, secondo la giurisprudenza di legittimità, che l’obbligo in parola può considerarsi assolto soltanto con la comunicazione completa delle informazioni richieste, essendo, per contro, «del tutto priva di pregio» l’argomentazione secondo cui il proprietario avrebbe «comunque ottemperato all’obbligo di comunicazione mediante la dichiarazione di non essere in grado di indicare i dati del conducente» (Corte di cassazione, sezione II civile, n. 10786 del 31 gennaio 2008);
che su tali basi, quindi, il remittente assume un primo profilo di illegittimità costituzionale, «per quanto riguarda la rigida interpretazione della scriminante del “giustificato e documentato motivo”, secondo la Cassazione mai sussistente»;
che il giudice a quo ipotizza, poi, un secondo profilo di illegittimità della disposizione censurata, derivante dal fatto che la stessa – avuto riguardo, ancora una volta, tanto alla sua formulazione letterale, quanto all’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità – prevede che l’omessa comunicazione dei dati personali e della patente del conducente sia sanzionata prima della (e a prescindere dalla) definitività dell’accertamento della violazione riscontrata a carico dello stesso;
che, infatti, in base al tenore letterale della norma, soltanto la comunicazione «all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida» – comunicazione avente ad oggetto l’avvenuta decurtazione del punteggio da parte dell’organo «da cui dipende l’agente che ha accertato la violazione che comporta la perdita di punteggio» – deve avvenire non prima che siano trascorsi «trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata», evenienza (questa consistente nella definizione della contestazione) a propria volta ipotizzabile «quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi»;
che, viceversa, il proprietario del veicolo non deve attendere «trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata», essendo egli tenuto a comunicare «i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione» già «entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di contestazione» della medesima violazione;
che, inoltre, la chiara lettera della legge – osserva ancora il remittente – ha trovato ulteriore riscontro nell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità, la quale, muovendo dal presupposto secondo cui al proprietario del veicolo «non è riconoscibile alcun potere dispositivo delle informazioni in suo possesso», né alcuna «facoltà d’indagare sulla vicenda nella quale sia stato ravvisato l’illecito presupposto e di tenere comportamenti consequenziali», ha affermato che «sulla configurabilità dell’illecito da omessa comunicazione obbligatoria» deve ritenersi «del tutto ininfluente la pendenza del giudizio in ordine alla legittimità dell’accertamento e della contestazione dell’illecito presupposto e/o del procedimento d’irrogazione delle relative sanzioni, amministrative e, se del caso, penali» (Corte di cassazione, sezione II civile, sentenza n. 17348 del 30 maggio 2007);
che tale sistema, tuttavia, appare al remittente inficiato da irragionevolezza e non in linea con quanto affermato, seppure incidentalmente, da questa Corte con la già citata sentenza n. 27 del 2005;
che essa, infatti, nel pronunciarsi su di un preteso profilo di illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada (nel testo modificato dal già citato art. 7, comma 3, lettera b, del decreto-legge n. 151 del 2003, convertito nella legge n. 214 del 2003), derivante dal fatto che la norma, in quella sua formulazione, avrebbe determinato la «necessità per il proprietario del veicolo di autodenunciarsi» – e di subire, così, la decurtazione dei punti dalla propria patente di guida – quantomeno per evitare l’irrogazione della sanzione pecuniaria, ha osservato come «il dubbio di costituzionalità sollevato dai rimettenti» costituisse il risultato «di una inesatta esegesi del dato normativo»;
che, secondo la Corte, come rammenta l’odierno remittente, «la disposizione impugnata espressamente stabilisce che la comunicazione all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida dell’avvenuta perdita del punteggio dalla patente (e cioè l’adempimento che ha come presupposto, nel caso di mancata identificazione del conducente responsabile della violazione, proprio l’avvenuta inutile richiesta al proprietario del veicolo di fornire i dati personali e della patente del predetto conducente)» deve avvenire «entro trenta giorni dalla definizione della contestazione effettuata», definizione che presuppone, a sua volta, che «siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o giurisdizionali ammessi», ovvero che «siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi»;
che, oltre a contrastare con quanto affermato dalla Corte, il sistema delineato dalla norma censurata sarebbe – secondo il giudice remittente – anche affetto da un vizio di irragionevolezza «rilevante ex artt. 3 e 97 Cost.», ove si abbia riguardo alla «completa inutilità, per l’amministrazione, di tale anticipata comunicazione qualora la sanzione accessoria della decurtazione dei punti sulla patente divenga inapplicabile in conseguenza dell’annullamento del verbale di accertamento da parte del Prefetto o del Giudice di pace»;
che in contrasto, poi, «con i principi di buona amministrazione» si rivelerebbe – sempre secondo il remittente – «l’ulteriore attività di accertamento svolta in capo all’effettivo trasgressore»;
che tale ulteriore attività, resa possibile dall’avvenuta comunicazione del nominativo del conducente all’autorità procedente, da parte del proprietario del veicolo in ottemperanza alla richiesta rivoltagli ex art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, può portare ad una «eventuale duplicazione dei ricorsi», con l’effetto, «in caso di accertata illegittimità della originaria contestazione», di una possibile «duplicazione di spese legali per l’amministrazione stessa», senza tacere «della violazione dei principi in materia di giusto processo», stante «l’aumentato numero dei ricorsi inutili»;
che, in forza di tali rilievi, il Giudice di pace di Torino ha chiesto dichiararsi l’illegittimità costituzionale del censurato comma 2 dell’art. 126-bis «secondo la lettera della norma e l’interpretazione fornita dalla Cassazione», e ciò «sia con riferimento all’obbligo di comunicazione del nominativo del conducente prima (e a prescindere) della intervenuta definitività dell’accertamento della violazione, sia per quanto riguarda la rigida interpretazione della scriminante del “giustificato e documentato motivo”, secondo la Cassazione mai sussistente»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili o, in subordine, non fondate;
che in relazione, difatti, alla questione che investe la disciplina del “giustificato e documentato motivo”, idoneo ad escludere la responsabilità per l’omessa comunicazione prevista dal censurato comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada, la difesa statale rileva come questa Corte – con la sentenza n. 165 del 2008 – abbia respinto analoga questione sollevata da altro remittente;
che in quella occasione, in particolare, è stato osservato come il giudice a quo «non avesse attribuito il dovuto rilievo “alla circostanza che agli illeciti amministrativi contemplati dal codice della strada si applica la disciplina generale dell’illecito depenalizzato di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il cui art. 3, nel subordinare la responsabilità all’esistenza di un’azione od omissione che sia “cosciente e volontaria”, ha inteso, appunto, prevedere il caso fortuito o la forza maggiore quali circostanze idonee ad esonerare l’agente da responsabilità»;
che non in contrasto con tali principi si porrebbe – secondo l’Avvocatura generale dello Stato – l’interpretazione della norma censurata proposta dalla giurisprudenza di legittimità;
che essa, infatti, ha affermato che il proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che dei terzi, è «tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento, in guisa da essere in grado d’adempiere al dovere di comunicare l’identità del conducente» (è citata la sentenza della Corte di cassazione, sezione II civile, n. 13748 del 15 maggio 2007);
che tanto premesso, le sentenze richiamate dal giudice remittente – osserva ancora l’Avvocatura generale dello Stato – «si limitano a chiarire che l’obbligo di comunicazione di cui all’art. 126-bis non può ritenersi assolto con la mera dichiarazione del proprietario di non essere in grado di indicare i dati del conducente, in quanto l’obbligo di comunicazione è strumentale alla soddisfazione di un interesse, la repressione delle infrazioni stradali, che è strettamente collegato alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e giustifica il rigore con cui è stata disciplinata la prova idonea ad esonerare da responsabilità il proprietario»;
che, per contro, conclude sul punto la difesa statale, il «compito di verificare l’esimente della responsabilità omissiva a carico del proprietario del veicolo è esercitato dal Giudice di pace nel momento in cui il primo proponga ricorso, sostenendo l’ingiusta valutazione da parte dell’autorità verbalizzante del motivo addotto a giustificazione dell’impossibilità di fornire i dati del conducente»; tale giudizio, in quanto attiene al merito della vicenda, è «come tale incensurabile in sede di legittimità»;
che, quanto, invece, alla seconda questione, ovvero a quella che attiene alla previsione di un «obbligo di comunicazione del nominativo del conducente prima e a prescindersi dall’intervenuta definitività dell’accertamento della violazione», l’Avvocatura generale dello Stato richiama la sentenza di questa Corte n. 27 del 2005;
che tale sentenza, «pur non affrontando ex professo il tema» (concernendo la norma in esame in una formulazione anteriore a quella vigente ed applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio principale), ha affermato – osserva sempre la difesa statale – che «in nessun caso il proprietario è tenuto a rivelare i dati personali e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione», dovendosi la contestazione ritenere “definita” «quando sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la proposizione dei medesimi»;
che, pertanto, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, nel sistema delineato dal codice della strada, «l’applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti è l’effetto della definitività dell’accertamento, sicché il proprietario potrà adempiere all’obbligo di comunicazione dei dati nel termine di sessanta giorni dalla notifica del verbale, ossia a seguito dell’inutile decorso del termine utile per il ricorso, senza che questo venga proposto, sia entro il termine di sessanta giorni dalla conoscenza del rigetto del ricorso, eventualmente proposto», ciò che palesa la manifesta infondatezza dei «profili di irrazionalità ravvisati dal giudice remittente».
Considerato che il Giudice di pace di Torino ha sollevato – in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286;
che il remittente premette di essere chiamato ad esaminare l’opposizione proposta, ai sensi dell’art. 204-bis del codice della strada, avverso il verbale con il quale – a norma dell’art. 126-bis, comma 2, del medesimo codice – è stata inflitta alla proprietaria di un’autovettura (veicolo a carico del quale era stata in precedenza accertata l’infrazione stradale dell’eccesso di velocità, ex art. 142 del codice della strada, senza però l’immediata identificazione del suo autore) la sanzione pecuniaria prevista per non avere la stessa comunicato «i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione»;
che nella specie il giudice a quo esclude di poter «aderire alla richiesta di annullamento» del verbale, avanzata dalla ricorrente nel giudizio principale;
che – a suo dire – osterebbe a tale esito, in primo luogo, la circostanza che la ricorrente «ha dichiarato di non essere in grado di risalire al guidatore dell’auto al momento della violazione», rendendo, così, una dichiarazione “negativa”, come tale non idonea (secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità) ad evitare l’irrogazione della sanzione pecuniaria prevista dal citato comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada;
che, in secondo luogo, ulteriore impedimento all’accoglimento della domanda di annullamento proposta dalla ricorrente deriverebbe dal fatto che «il verbale per la mancata comunicazione dei dati del guidatore le è stato notificato quando il primo accertamento» – quello, cioè, relativo alla violazione dell’art. 142 del codice della strada – «non era ancora divenuto definitivo», essendo stato dalla stessa già impugnato nella sua qualità di responsabile “in solido” per il pagamento della sanzione pecuniaria;
che, tanto premesso, il remittente censura il comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada sotto un duplice profilo;
che se ne assume, difatti, l’illegittimità costituzionale innanzitutto nella parte in cui esso fa «riferimento all’obbligo di comunicazione del nominativo del conducente» prima della (e a prescindere dalla) «intervenuta definitività dell’accertamento della violazione» in relazione alla quale è stata richiesta, alla proprietaria del veicolo, la prescritta comunicazione;
che si contesta, inoltre, la norma anche «per quanto riguarda la rigida interpretazione della scriminante del “giustificato e documentato motivo”» (che esclude l’applicazione della sanzione), giacché essa «secondo la Cassazione» dovrebbe, di fatto, ritenersi «mai sussistente»;
che le due questioni risultano, rispettivamente, la prima manifestamente inammissibile e la seconda manifestamente infondata;
che, infatti, l’affermazione del remittente relativa ad un preteso contrasto tra la giurisprudenza di questa Corte e quella di legittimità in ordine al significato da attribuire al «giustificato e documentato motivo» di cui alla norma censurata appare frutto di un erroneo presupposto interpretativo;
che, difatti, i due indirizzi ermeneutici posti a confronto dal Giudice remittente si riferiscono all’applicazione del comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada in un testo del quale egli, ratione temporis, non deve fare applicazione per decidere la fattispecie oggetto del giudizio principale;
che tali indirizzi, infatti, si riferiscono alla norma censurata come modificata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 1° agosto 2003, n. 214;
che il remittente, invece, è chiamato a fare applicazione del testo della norma de qua come ulteriormente modificato – tra l’altro sulla scorta di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 27 del 2005 e con l’ordinanza n. 244 del 2006 – dall’art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dalla relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286;
che, pertanto, nella presente ipotesi deve affermarsi «che il ricordato orientamento giurisprudenziale è incongruamente evocato, essendo sorto sulla base di una legislazione precedente a quella ora in esame», donde la manifesta infondatezza della questione sollevata (ordinanza n. 254 del 2008);
che, in ogni caso, l’esito della declaratoria di manifesta infondatezza della prima questione, relativa al significato da attribuire al «giustificato e documentato motivo» di cui alla norma censurata, si impone anche per l’ulteriore ragione che il remittente ha ignorato quanto affermato da questa Corte proprio con riferimento al significato da attribuire al testo della norma del quale egli deve fare, invece, applicazione;
che è stato, infatti, chiarito come non sia «corretto affermare che la disposizione in contestazione costringe i soggetti tenuti alla comunicazione “a doversi procurare ex post e per iscritto la prova dell’esimente”, giacché l’onere di documentazione, su di essi gravante, non investe l’impossibilità di comunicare, bensì semplicemente (…) quelle circostanze idonee a rivelare la non esigibilità, nel caso di specie, dell’obbligo di trasmissione dei dati» (ordinanza n. 424 del 2008);
che, quindi, nulla impedisce al Giudice remittente – per concludere sul punto – di verificare se la ricorrente abbia adeguatamente documentato, nel rendere la sua dichiarazione “negativa”, e dunque affermando «di non essere in grado di risalire al guidatore dell’auto al momento della violazione», l’esistenza di quelle circostanze suscettibili di rivelare la inesigibilità di una comunicazione avente un diverso (e “positivo”) contenuto;
che le considerazioni appena svolte, peraltro, condizionano anche l’esito della seconda questione sollevata;
che, una volta esclusa l’esistenza di un impedimento a carico del giudice a quo nella definizione del giudizio principale in senso favorevole alla ricorrente, non si comprende in quale misura egli sarebbe impossibilitato ad «aderire alla richiesta di annullamento», e ciò a causa della ulteriore circostanza che la sua decisione deve essere adottata prima della (e a prescindere dalla) «intervenuta definitività dell’accertamento della violazione» in relazione alla quale era stata richiesta, alla proprietaria del veicolo, la comunicazione prescritta dall’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada;
che, sotto questo profilo, dunque, deve concludersi che la mancata illustrazione, da parte del rimettente, delle pretese ragioni che conferiscono carattere “pregiudiziale” al primo giudizio radicato dalla parte opponente (quello avente ad oggetto l’annullamento del verbale di accertamento dell’infrazione stradale ex art. 142 del codice della strada), rispetto a quello principale, si risolve in una carenza di descrizione della fattispecie e, di riflesso, in un difetto di motivazione sulla rilevanza della seconda questione sollevata, donde la sua manifesta inammissibilità (in tal senso, da ultimo, ordinanze n. 219 e n. 157 del 2009);
che tale esito, vieppiù, si impone ove si consideri che il primo degli argomenti dedotti a sostegno di questa ulteriore questione – il solo che appare in astratto conferente (giacché l’altro si riferisce, chiaramente, ad un’ipotesi diversa da quella oggetto del giudizio principale, non riguardando l’impugnativa della sanzione pecuniaria comminata ai sensi del comma 2 dell’art. 126-bis) – costituisce il risultato, anche in questo caso, di un’erronea interpretazione effettuata dal remittente;
che, infatti, il giudice a quo – nell’assumere la «completa inutilità, per l’amministrazione, di tale anticipata comunicazione» (prevista dalla norma censurata), allorché «la sanzione accessoria della decurtazione dei punti sulla patente divenga inapplicabile in conseguenza dell’annullamento del verbale di accertamento da parte del Prefetto o del Giudice di pace» – ravvisa, impropriamente, una generalizzata connessione tra gli esiti, da un lato, di tali procedimenti e quello, dall’altro, del giudizio avente ad oggetto l’annullamento della sanzione pecuniaria comminata ai sensi del comma 2 dell’art. 126-bis del codice della strada;
che, per contro, la constatazione che tale norma – specie dopo gli interventi legislativi resi necessari dalla sua parziale declaratoria di illegittimità costituzionale (sentenza n. 27 del 2005) – ha inteso sanzionare un’autonoma infrazione, e cioè l’omissione della collaborazione che il cittadino deve prestare all’autorità preposta alla vigilanza sulla circolazione stradale, smentisce l’assunto del remittente, inducendo a circoscrivere le ipotesi nelle quali senz’altro ricorre un nesso di pregiudizialità tra quei procedimenti ed un giudizio del tipo di quello principale;
che, difatti, tale evenienza è ravvisabile soltanto quando venga dedotta una circostanza – quale, esemplificativamente, l’avvenuto uso del veicolo contro la volontà del proprietario ovvero l’errore nell’identificazione del numero di targa – idonea ex se ad integrare quel «documentato e giustificato motivo» al quale dà espresso rilievo l’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada;
che, pertanto, l’erroneità, sotto questo profilo, del presupposto interpretativo da cui muove il remittente rafforza quanto già rilevato circa la carente descrizione della fattispecie in un punto determinante ai fini dell’apprezzamento della rilevanza e comporta la manifesta inammissibilità della questione sollevata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286, sollevata – in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione – dal Giudice di pace di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, modificato dall’art. 2, comma 164, del decreto-legge n. 262 del 2006, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 286 del 2006, sollevata – in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione – dal Giudice di pace di Torino con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 novembre 2009.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alfonso QUARANTA , Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2009.