ORDINANZA N. 244
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell'art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, promosso con ordinanza del 15 novembre 2005 dal Giudice di pace di Aosta, nel procedimento civile vertente tra Autosalone Columbia s.n.c. e la Regione Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste, iscritta al n. 20 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2006.
Visto, l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di Aosta ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento all'art. 3 della Costituzione – dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell'art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;
che il rimettente premette di dover giudicare il ricorso proposto dalla società “Autosalone Columbia” s.n.c. avverso ordinanza-ingiunzione prefettizia che confermava l'irrogazione della sanzione, contemplata dall'art. 180, comma 8, del codice della strada, a carico della predetta società, per non avere la stessa ottemperato all'invito a fornire, ai sensi dell'art. 126-bis, comma 2, del medesimo codice, le generalità del conducente della vettura di proprietà della società ricorrente;
che, secondo il Giudice di pace di Aosta, il combinato disposto delle norme testé menzionate – nel sanzionare sul piano pecuniario la mancata comunicazione, da parte del proprietario del veicolo, dei dati personali e della patente del conducente non identificato al momento dell'accertata infrazione – violerebbe l'art. 3 della Costituzione sotto due distinti profili;
che, difatti, in virtù di tali norme «si impone al titolare di una ditta» – per sottrarsi all'irrogazione della sanzione di cui all'art. 180, comma 8, del codice della strada – di «indicare quale dipendente sia stato alla guida di un veicolo aziendale» in occasione dell'accertata infrazione, ovvero, in caso contrario, «di effettuare il pagamento di una somma di denaro»;
che in tal modo si darebbe vita, ex lege, ad «una evidente disparità di trattamento tra i cittadini, in particolare tra coloro che hanno la capacità patrimoniale di assolvere all'adempimento imposto e coloro che non hanno tale capacità», ponendosi questi ultimi nella necessità di «indicare un nominativo che funga da “capro espiatorio”»;
che accanto all'ipotizzato contrasto con il principio di eguaglianza si assume la violazione dell'art. 3 della Costituzione «anche sotto il profilo della ragionevolezza»;
che il rimettente – non senza evidenziare che «la sanzione prevista per il proprietario del veicolo non è riconducibile alla trasgressione di una specifica norma relativa alla circolazione stradale» – sottolinea che essa appare destinata ad operare anche quando, come «nel caso in questione», il destinatario abbia ottemperato, «presentandosi o scrivendo», all'invito a rispondere, seppur al solo fine di esporre di non poter rivelare i dati personali e della patente del conducente non identificato al momento dell'infrazione, tenuto conto «che la richiesta perviene a distanza di molti mesi dall'avvenuta violazione», e dunque fornendo una motivazione «legittima e ragionevole», specie in considerazione della inesistenza di norme che impongano al proprietario del veicolo «di prendere nota giornalmente dei dati del conducente, familiare o dipendente»;
che su tali basi, quindi, il giudice a quo ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale del combinato disposto delle norme impugnate;
che è intervenuto in giudizio, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha concluso per la inammissibilità o infondatezza della questione sollevata;
che, secondo la difesa dello Stato, la stessa «è da ritenersi inammissibile in quanto il giudice a quo ha omesso di descrivere la fattispecie sottoposta al suo esame e di motivare sulla rilevanza»;
che la difesa erariale evidenzia, in subordine, come il prospettato dubbio di costituzionalità sia comunque privo «di ogni fondamento»;
che, difatti, la scelta della «sanzionabilità, sul piano patrimoniale, della condotta del proprietario del veicolo che ometta di comunicare – ai fini dell'applicazione delle sanzioni anche di natura personale previste dal codice della strada – i dati personali e della patente del conducente», lungi dall'essere irragionevole, si presenta coerente con l'obbligo di vigilanza «posto a carico di chi ha la disponibilità del veicolo» dall'art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e dagli artt. 196 e 214, comma 1-bis, del codice della strada, non presentando alcun profilo di incostituzionalità, come avrebbe ribadito questa Corte nella sentenza n. 27 del 2005.
Considerato che il Giudice di pace di Aosta ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento all'art. 3 della Costituzione – dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell'art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992;
che la censura di violazione dell'art. 3 della Costituzione, prospettata sotto il profilo della supposta «disparità di trattamento tra i cittadini, in particolare tra coloro che hanno la capacità patrimoniale di assolvere all'adempimento imposto e coloro che non hanno tale capacità», è manifestamente inammissibile, essendo la stessa «sollevata in modo astratto ed ipotetico» (ordinanza n. 66 del 2005);
che l'ordinanza di rimessione non contiene, difatti, «alcun riferimento alle condizioni economiche» dell'attore nel giudizio principale, «né ad un'eventuale eccezione svolta dal medesimo in relazione ad una pretesa incapacità economica ad assolvere l'obbligo di pagamento» previsto dalle censurate disposizioni; omissioni che comportano «la inammissibilità della questione per difetto di motivazione sulla rilevanza» (ordinanza n. 66 del 2005);
che è, del pari, manifestamente inammissibile la censura di violazione dell'art. 3 della Costituzione, prospettata sotto il profilo del difetto di ragionevolezza che connoterebbe l'impugnato combinato disposto normativo;
che tale doglianza – a parte il poco comprensibile rilievo svolto dal rimettente, secondo cui «la sanzione prevista per il proprietario del veicolo non è riconducibile alla trasgressione di una specifica norma relativa alla circolazione stradale», giacché la sanzione ex art. 180, comma 8, del codice della strada è proprio diretta a reprimere non già un'infrazione stradale, bensì «l'omessa collaborazione che il cittadino deve prestare all'autorità amministrativa al fine di consentirle di effettuare i necessari e previsti accertamenti» (così, da ultimo, Cass. 23 giugno 2005, n. 13488; nello stesso senso già Cass. 5 marzo 2002, n. 3123 e Cass. 20 luglio 2001, n. 9924) – mira a stigmatizzare la equiparazione che le norme impugnate stabilirebbero tra condotte del tutto differenti;
che, difatti, la sanzione pecuniaria de qua colpirebbe indifferentemente, secondo il rimettente, tanto il comportamento di chi si disinteressi completamente della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, quanto il contegno di chi, «presentandosi o scrivendo», espliciti, invece, le ragioni che gli impediscono di ottemperare all'invito a rispondere, fornendo una giustificazione «legittima e ragionevole»;
che il rimettente, tuttavia, non ha esplorato la possibilità di pervenire ad un'interpretazione delle norme impugnate conforme a Costituzione;
che il giudice a quo, per un verso, ha omesso di verificare se il rinvio dell'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada alla «sanzione prevista dall'art. 180, comma 8» del medesimo codice non sia esteso anche ai presupposti necessari, ai sensi della norma richiamata, per l'irrogazione di tale sanzione, e dunque se sussista in concreto un «giustificato motivo»;
che, inoltre, il giudice rimettente neppure ha attribuito rilievo alla circostanza che agli illeciti amministrativi contemplati dal codice della strada si applica la disciplina generale dell'illecito depenalizzato di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il cui art. 3, nel subordinare la responsabilità all'esistenza di un'azione od omissione che sia «cosciente e volontaria», ha inteso, appunto, prevedere il caso fortuito o la forza maggiore quali circostanze idonee ad esonerare l'agente da responsabilità;
che, dunque, il rimettente non ha verificato se, alla stregua di tale duplice argomento ermeneutico (letterale e sistematico), già esista la possibilità di discernere il caso di chi, inopinatamente, ignori del tutto l'invito «a fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione», da quello di colui che, «presentandosi o scrivendo», adduca invece l'esistenza di motivi idonei a giustificare l'omessa trasmissione di tali dati;
che, pertanto, la mancata verifica circa la possibilità di giungere ad un'interpretazione secundum Constitutionem del combinato disposto delle due norme censurate rende manifestamente inammissibile la questione sollevata (ordinanze n. 64 e n. 57 del 2006).
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 7, comma 1, del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2003, n. 214, nonché dell'art. 180, comma 8, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Aosta con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2006.