SENTENZA N.
22
ANNO 2007
Commento alla decisione di
Micaela
Malena
L'incoerenza
delle sanzioni penali per la permanenza illegale dello straniero: il monito
della Corte.
(per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, e
comma 5-quinquies, del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come
sostituiti dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni urgenti in materia di immigrazione), promossi con ordinanze del 10
dicembre 2004 e del 20 gennaio 2005 dal Tribunale di Genova, del 24 febbraio
2005 dal Tribunale di Torino, del 4 maggio 2005 dal Tribunale di Bologna, del
13 aprile 2005 dal Tribunale di Torino, del 9 giugno 2005 dal Tribunale di
Ancona (sezione distaccata di Jesi), dell’8 giugno 2005 dal Tribunale di
Gorizia, del 2 luglio 2005 dal Tribunale di Trieste, del 25 maggio 2005 dal
Tribunale di Milano, del 30 maggio 2005 dal Tribunale di Trani e del 14 ottobre
2005 dal Tribunale di Verona,
rispettivamente iscritte ai nn. 93, 267, 332,
344, 351, 459, 461, 487, 518 e 585 del registro ordinanze 2005 e al n. 65 del
registro ordinanze 2006, pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica, numeri 10, 21, 27, 28, 29, 39, 40, 43 e 51,
prima serie speciale, dell’anno 2005 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno
2006.
Visti
l’atto di costituzione, fuori termine, di R.A.F.E., nonché gli atti di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nella camera di consiglio del 6 dicembre 2006 il Giudice relatore Gaetano
Silvestri.
Ritenuto in fatto
1. –
Il Tribunale di Genova in composizione monocratica, con ordinanza del 10
dicembre 2004 (reg. ord. n. 93 del 2005), ha
sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione –
questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) – come sostituito
dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge, con modificazioni,
del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in
materia di immigrazione) – nella parte in cui prevede la pena della reclusione
da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si
trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis.
Il
rimettente procede alla celebrazione del giudizio nei confronti di persona di
nazionalità estera, trattenutasi in Italia nonostante la rituale notifica
dell’ordine di lasciare il paese, senza alcuna allegazione di un giustificato
motivo per il contestato inadempimento. Terminata la discussione, dovendo
procedere all’eventuale deliberazione di una sentenza di condanna, il giudice a quo rileva che i valori edittali della
sanzione da irrogare sarebbero irragionevolmente alti, tanto da comportare una
violazione dei principi di uguaglianza e di necessaria finalizzazione
rieducativa della pena.
L’incongruenza
del trattamento sanzionatorio sarebbe manifesta, anzitutto, alla luce della
vicenda evolutiva che ha segnato la materia. Appena due anni prima dell’ultimo
intervento di riforma, cui si deve l’attuale previsione, il legislatore aveva
delineato la figura di «indebito trattenimento» quale illecito
contravvenzionale, punito con sanzioni relativamente modeste. Nel testo
introdotto dalla legge n. 271 del 2004, la condotta è sanzionata invece quale
delitto, e soprattutto è intervenuto un «macroscopico» inasprimento della
sanzione, quadruplicata nel massimo e corrispondente, nel minimo, al valore più
alto della precedente previsione edittale. Una variazione così esasperata non
troverebbe giustificazione in una modificazione sostanziale del fenomeno posto
ad oggetto della disciplina (è citata, al riguardo, l’ordinanza di questa
Corte n. 368 del 1995).
D’altra
parte il legislatore, a parere del rimettente, avrebbe reso esplicita la reale
finalità del proprio intervento, mirato a contrastare gli effetti della sentenza n. 223 del
2004, con cui era stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998,
nella parte in cui stabiliva che, per il reato previsto dal precedente comma 5-ter, fosse obbligatorio l’arresto
dell’autore del fatto. In sostanza, la sanzione edittale sarebbe stata
aumentata al fine precipuo di conferirle valori compatibili con una nuova
previsione di arresto in flagranza. Secondo il giudice a quo, la «trasposizione
di un’esigenza processuale nel diritto penale sostanziale» sarebbe sintomo
evidente della rottura del rapporto di proporzionalità tra fatto e pena.
Il
rimettente prospetta una violazione del principio di uguaglianza anche
attraverso il raffronto fra il trattamento previsto per il reato de quo e quello riservato ad altre
ipotesi criminose, che sarebbero ad esso comparabili in quanto consistenti, a
loro volta, nella disobbedienza ad un provvedimento adottato dall’autorità
amministrativa per ragioni di ordine pubblico. L’art. 650 del codice penale,
anzitutto, punisce con la pena dell’arresto fino a tre mesi, o addirittura con
la sola ammenda, l’inosservanza di un provvedimento legalmente dato per ragioni
di giustizia o di sicurezza pubblica o d’ordine pubblico o di igiene. È poi
proposta una comparazione con l’art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423
(Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la
sicurezza): il contravventore al foglio di via obbligatorio, che oltretutto (a
differenza dello straniero espulso) sarebbe persona concretamente e non solo
potenzialmente pericolosa, è punito con la pena dell’arresto da uno a sei mesi.
In
definitiva, secondo il rimettente, il contrasto tra la norma censurata e l’art.
3 Cost. risulterebbe evidente una volta comparate le attuali sanzioni sia con
le pene previste per la medesima fattispecie appena due anni prima, sia con le
pene attualmente comminate per comportamenti illeciti della stessa natura.
Dal
difetto di proporzione scaturirebbe anche una violazione dell’art. 27, terzo
comma, Cost., posto che solo una pena proporzionata al fatto può esplicare una
vera funzione rieducativa.
1.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 29 marzo 2005.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta sarebbe infondata.
In effetti, il reato di «indebito trattenimento» sarebbe stato valutato con severità fin dal 2002, tanto da prescrivere l’arresto obbligatorio del responsabile nonostante la natura contravvenzionale dell’illecito. Con il successivo intervento di riforma, poi, il legislatore avrebbe tenuto distinte varie ipotesi di condotta conseguente all’espulsione, conservando la forma contravvenzionale per le fattispecie meno gravi, e dunque adottando una ragionevole ed articolata dosimetria della pena.
Sarebbe
infine ingiustificata, sempre a parere dell’Avvocatura dello Stato,
l’assimilazione della norma censurata alle previsioni di cui all’art. 650 cod. pen. ed all’art. 2 della legge n. 1423 del 1956. Non vi
sarebbe piena coincidenza, infatti, tra gli interessi pubblici coinvolti dalle
varie condotte criminose, posto che, in materia di immigrazione, assumono
specifico rilievo anche i vincoli di carattere internazionale e la politica di
governo dei flussi migratori. In ogni caso, anche nell’ambito della normativa
sugli stranieri, il legislatore avrebbe disegnato in forma contravvenzionale condotte
effettivamente assimilabili in punto di gravità a quelle assunte quali tertia comparationis,
come l’indebito trattenimento del soggetto espulso per non aver chiesto il
rinnovo del permesso di soggiorno già ottenuto. La norma censurata, invece,
sanzionerebbe condotte ben più gravi, perché conseguenti ad un ingresso
clandestino nel territorio dello Stato o ad altri comportamenti equipollenti.
2. –
Il Tribunale di Genova in composizione monocratica, con ordinanza del 20
gennaio 2005 (reg. ord. n. 267 del 2005), ha
sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della
legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da
uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si
trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis.
Il
Tribunale, all’esito del giudizio nei confronti di persona trattenutasi in
Italia nonostante la rituale notifica dell’ordine di lasciare il Paese, deve
procedere alla deliberazione della sentenza, e ritiene che i valori edittali
della sanzione da infliggere per il caso di condanna siano irragionevolmente
alti, comportando una violazione del principio di uguaglianza e di necessaria
finalizzazione rieducativa della pena.
L’inasprimento
sanzionatorio deliberato nel 2004 non risponderebbe a mutate esigenze di
politica criminale, ma alla sola finalità di «surrettiziamente ripristinare
l’arresto obbligatorio», come dovrebbe desumersi, secondo il rimettente, dalla
successione riscontrabile tra la sentenza n. 223 del
2004 (che aveva dichiarato l’illegittimità della previsione concernente
l’arresto), il decreto-legge n. 241 del 2004 (il cui tenore, ferma restando la
natura contravvenzionale della fattispecie, mirava a sopprimere formalmente la
previsione dichiarata illegittima) e la legge di conversione n. 271 del 2004
(segnata invece dalla trasformazione dell’indebito trattenimento in fattispecie
delittuosa, e di fatto mirata – come risulterebbe da vari passaggi dei lavori
parlamentari – a fissare la pena in guisa da consentire, a norma dell’art. 280
del codice di procedura penale, l’adozione della misura cautelare della
custodia in carcere, e da legittimare, conseguentemente, la rinnovata
previsione dell’arresto obbligatorio).
In
primo luogo, dunque, il giudice a quo ravvisa
una violazione dell’art. 3 Cost. in ragione dell’assenza, per l’inasprimento
sanzionatorio, di una giustificazione realmente connessa ad un mutamento
sostanziale del fenomeno regolato. La previsione edittale della pena
contrasterebbe poi, specie per quanto concerne il valore minimo, con il
principio di proporzionalità, essendo tra l’altro riferibile ad un reato di
mero pericolo.
Un
segnale di incongruenza della norma censurata sarebbe costituito, secondo il
Tribunale, dalla parificazione oggi esistente tra la pena fissata per
l’indebito trattenimento e quella comminata nella prima parte dell’art. 13,
comma 13-bis, del più volte citato
d.lgs. n. 286 del 1998, che punisce lo straniero già colpito da un
provvedimento giudiziale di espulsione e rientrato indebitamente nel territorio
dello Stato. Sarebbe, questa, una fattispecie ben più grave di quella in esame,
perché realizzata – con un comportamento attivo e non semplicemente omissivo –
da un soggetto già responsabile di altro reato e già destinatario da un
provvedimento che presuppone la sua concreta pericolosità. Non a caso, a parere
del rimettente, il legislatore aveva tenuto ben distinti i livelli sanzionatori
fino alla legge n. 271 del 2004, che avrebbe invece equiparato, del tutto arbitrariamente,
il trattamento di situazioni tanto diverse.
Una
violazione ulteriore del principio di uguaglianza (per l’analogo trattamento
instaurato tra fattispecie eterogenee) si riscontrerebbe rapportando la norma
censurata alla previsione della seconda parte del citato comma 13-bis dell’art.
Il
rimettente conclude osservando che la sproporzione per eccesso delle sanzioni
comminate dall’art. 14, comma 5-ter,
non emerge solo dal raffronto con altre previsioni incriminatrici dello stesso
d.lgs. n. 286 del 1998. Sarebbe infatti ingiustificata anche la differenza di
trattamento instaurata con fattispecie criminose ulteriori, assimilabili perché
relative a fenomeni di disobbedienza rispetto a provvedimenti assunti per
ragioni di ordine pubblico: il riferimento, nella specie, riguarda l’art. 650
cod. pen.
La
violazione del principio di proporzionalità, secondo il giudice a quo, priverebbe la pena della
necessaria funzione rieducativa, posto che l’autore del reato non potrebbe
viverla se non quale punizione immeritata, con conseguente induzione ad
ulteriori comportamenti trasgressivi.
3. –
Il Tribunale di Torino in composizione monocratica, con ordinanza del 24
febbraio 2005 (reg. ord. n. 332 del 2005), ha
sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della
legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da
uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si
trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis.
Il
rimettente, chiamato a celebrare il giudizio nei confronti di persona accusata
del reato di indebito trattenimento, deve valutare una richiesta congiunta di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen., ma dubita della legittimità della norma che fissa i
valori edittali della sanzione che dovrebbe essere applicata. Tale norma è censurata
in quanto irrazionale, e comunque discriminatoria per il più severo trattamento
instaurato rispetto a quello concernente altre condotte, del tutto assimilabili
eppure sanzionate in misura assai minore, o addirittura immuni da conseguenze
penali.
I tertia comparationis sono
individuati anzitutto in previsioni contenute nello stesso d.lgs. n. 286 del
1998, che riguardano altre condotte di inottemperanza all’ordine di lasciare il
territorio dello Stato. Tale inottemperanza – punita dall’art. 14, comma 5-ter, con la reclusione da uno a quattro
anni (se conseguente ad una espulsione disposta a seguito di ingresso illegale
nel territorio dello Stato o per altre ipotesi equivalenti) – è sanzionata con
l’arresto da sei mesi ad un anno per l’espulsione conseguente a mancata
richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno, e sarebbe addirittura
irrilevante, per il divieto di estensione analogica delle fattispecie
incriminatrici, nel caso di espulsione disposta dal Ministro dell’interno a
norma del comma 1 del precedente art. 13.
A
parere del rimettente, il legislatore non avrebbe potuto differenziare il
trattamento delle condotte indicate sulla base di situazioni ad esse
preesistenti (cioè le cause e le forme del provvedimento di espulsione), posto
che la lesione del bene giuridico sarebbe per tutte identica, e per tutte si
realizzerebbe con l’inutile scadenza del termine per l’abbandono del territorio
nazionale. L’omessa parificazione sarebbe il sintomo di un distacco delle
scelte sanzionatorie dal livello di offensività delle fattispecie, e dunque dal
criterio di proporzionalità.
Il
Tribunale ritiene, per altro verso, che il legislatore avrebbe dovuto
assimilare il trattamento della condotta in esame a quello di comportamenti
delineati da altre leggi di tutela dell’ordine pubblico. Si allude, nella
specie, all’art. 650 cod. pen. e all’art. 2 della
legge n. 1423 del 1956. La comunanza di struttura e di oggetto giuridico tra le
varie figure in esame documenterebbe che il più severo trattamento previsto
dalla norma censurata dipende dalla cittadinanza straniera dell’interessato, ed
introduce quindi una discriminazione inammissibile, almeno se riferita ad un
diritto fondamentale, qual è la libertà della persona.
Sarebbe
chiaro del resto, a parere del rimettente, che l’opzione maturata con la legge
n. 271 del 2004 è frutto della volontà legislativa di sanzionare la condotta de qua con una pena che consenta, a
mente dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione
di una misura cautelare carceraria e dunque, pure alla luce della sentenza n. 223 del
2004, la previsione dell’arresto obbligatorio: una scelta scollegata dalla
gravità effettiva del fatto e dunque incompatibile con il principio di
proporzionalità.
Il
giudice a quo rileva, da ultimo, che
l’osservanza del terzo comma dell’art. 27 Cost. deve essere assicurata non solo
con riguardo alla fase esecutiva, ma anche in sede di astratta determinazione
della pena, poiché il fine rieducativo cui questa deve tendere sarebbe
vanificato da una punizione manifestamente eccessiva dell’interessato (è
citata, qui, la sentenza
n. 343 del 1993 di questa Corte).
3.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 26 luglio 2005.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta è infondata, per le stesse ragioni
che l’Avvocatura dello Stato ha enunciato con la memoria citata in precedenza.
4. –
Il Tribunale di Bologna in composizione monocratica, con ordinanza del 4
maggio 2005 (reg. ord. n. 344 del 2005), ha sollevato
– in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della
legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da
uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si
trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis.
Il
rimettente, in esito al relativo giudizio, deve deliberare sentenza nei
confronti di persona di nazionalità straniera, trattenutasi in Italia
nonostante la rituale notifica dell’ordine di lasciare il Paese, e dubita, in
vista dell’eventuale decisione di condanna, che la norma incriminatrice sia
legittima nella parte in cui concerne i valori edittali della pena.
Il
Tribunale prospetta una «sorta di "eterogenesi” dei fini» cui avrebbe dato
luogo il recente innalzamento delle sanzioni per la gran parte dei fatti di
indebito trattenimento: perseguendo l’obiettivo di un governo delle espulsioni
mediante lo strumento dell’arresto obbligatorio, il legislatore avrebbe
conseguito il diverso effetto di un inasprimento delle pene non giustificato da
esigenze di politica criminale.
Secondo
il rimettente, la soddisfazione di un’esigenza processuale attraverso gli
strumenti del diritto penale sostanziale sarebbe di per sé in contrasto con i
principi di razionalità e di necessario finalismo rieducativo della pena. In
ogni caso avrebbe dato luogo, nella specie, ad una irragionevolezza della pena
edittale, specie quanto al valore minimo, manifestamente sproporzionato per
eccesso quando si pensi che del reato possono essere chiamati a rispondere
soggetti non pericolosi, né mai processati o condannati per altri comportamenti
criminosi.
A
conferma della soluzione di corrispondenza tra il fatto in esame e la relativa
sanzione, il Tribunale si sofferma su casi nei quali una sanzione della stessa
entità sarebbe collegata a comportamenti più gravi, e su casi nei quali è
prevista una pena assai inferiore, pur trattandosi di fattispecie che presenterebbero
gravità analoga a quella del reato in contestazione.
È
citata al riguardo, anzitutto, la prima parte del comma 13-bis dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, ove una pena identica
a quella concernente l’indebito trattenimento sarebbe comminata, a parere del
rimettente, per una ipotesi di reato ben più grave, dato che la relativa
condotta è attiva e non meramente omissiva, e soprattutto è posta in essere da
un soggetto necessariamente recidivo e già giudicato in concreto pericoloso. Un
ragionamento analogo è proposto con riferimento alla condotta delineata nella
seconda parte del citato comma 13-bis,
punita con una pena appena superiore (nel massimo) a quella prevista dalla
norma censurata, eppure molto più grave, trattandosi del reingresso di un soggetto
già colpito da due provvedimenti di espulsione. L’analogo trattamento di
situazioni non assimilabili comporterebbe, secondo il rimettente, una
violazione del principio di uguaglianza ed una conseguente violazione dell’art.
27, terzo comma, Cost.
Identica
valutazione si imporrebbe, mutatis mutandis, confrontando il trattamento sanzionatorio
della fattispecie in esame con quello, assai più lieve, che la legge collega ad
altre condotte di inottemperanza, come quelle delineate all’art. 650 cod. pen. ed all’art. 2 della legge n. 1423 del 1956,
quest’ultima addirittura più grave, posto che il destinatario del foglio di via
obbligatorio sarebbe, a differenza dello straniero espulso, persona di
pericolosità già in concreto accertata.
La
normativa censurata si troverebbe in contrasto con l’art. 3 e con l’art. 27,
terzo comma, Cost., in definitiva, anche per il difforme trattamento di
situazioni assimilabili.
4.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 2 agosto 2005.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta è inammissibile e, comunque,
infondata.
Il
rimettente non avrebbe dato adeguatamente conto, anzitutto, della rilevanza
della questione, che sarebbe solo enunciata, «senza alcun ragguaglio sulla
posizione dell’imputato». Nel merito, poi, il dubbio di legittimità sarebbe
infondato per le stesse ragioni che l’Avvocatura dello Stato ha illustrato con
le memorie citate in precedenza.
5. –
Il Tribunale di Torino in composizione monocratica, con ordinanza del 13
aprile 2005 (reg. ord. n. 351 del 2005), ha
sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter,
prima parte, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della
legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena della reclusione da
uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato motivo, si
trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore ai sensi del precedente comma 5-bis.
È
inoltre sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma
5-quinquies, ultimo periodo, del
d.lgs. n. 286 del
Una
cittadina straniera accusata del reato di indebito trattenimento è stata
presentata al giudice rimettente per la convalida dell’arresto e per il
successivo giudizio direttissimo. Lo stesso giudice, nel sollevare le questioni
sopra indicate, ha disposto la sospensione del procedimento di convalida,
ordinando nel contempo la liberazione dell’imputata.
A
parere del Tribunale, il comma 5-ter
dell’art. 14 del più volte citato d.lgs. n. 286 del 1998 delinea un illecito di
mera disobbedienza, non condizionato dalla violazione di interessi sottostanti
che assumano un diretto significato penale, ed in particolare non sanzionato
per la connotazione clandestina o comunque illegale del pregresso soggiorno
dello straniero in territorio italiano.
Ciò
premesso, il rimettente considera irragionevole che, nell’ambito della stessa
norma censurata, sia stata introdotta una vistosa divergenza di trattamento per
analoghe condotte di disobbedienza. Non vi sarebbero differenze sostanziali, in
particolare, tra l’inottemperanza di chi sia stato espulso per non aver chiesto
il rinnovo del permesso di soggiorno (condotta punita a titolo di
contravvenzione, secondo il disposto dell’ultima parte del comma 5-ter) e quella di chi sia stato espulso
per non aver richiesto detto permesso dopo la scadenza di un visto turistico
(caso che ricorre nel giudizio a quo).
La sperequazione non potrebbe essere giustificata in base al carattere legale o
non dell’ingresso o della precedente permanenza sul suolo nazionale, perché
sarebbe altrimenti contraddetta la scelta legislativa di non sanzionare, per se
stessa, la condizione di clandestinità.
Sarebbero per altro verso ingiustificate, a
parere del rimettente, le differenze di trattamento sanzionatorio tra la norma
censurata e l’art. 650 cod. pen., o l’art. 2 della
legge 1423 del 1956, ove pure viene incriminata una violazione dell’ordine di
lasciare un luogo determinato, con la differenza, semmai, che si tratterebbe di
condotte sempre riferibili ad un soggetto comprovatamente
pericoloso.
La
violazione del principio di ragionevolezza emergerebbe, infine, guardando alla
norma censurata «in prospettiva diacronica». L’esame dei lavori parlamentari
concernenti la legge n. 271 del 2004 porrebbe in evidenza come il legislatore
si fosse astenuto da ogni valutazione sostanziale circa l’intrinseca gravità
del reato in questione, ed avesse semplicemente voluto «reagire» alla sentenza n. 223 del
2004, creando le premesse per una nuova previsione di arresto obbligatorio:
si assisterebbe qui, secondo il Tribunale, «al capovolgimento di quello che è
il fisiologico rapporto tra norme penali sostanziali e processuali».
Riguardo
all’ulteriore questione concernente il comma 5-quinquies dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, il rimettente
osserva che, una volta stabilita l’illegittimità della norma incriminatrice
nella parte in cui fissa il massimo della pena in quattro anni di reclusione,
la disposizione processuale risulterebbe a sua volta illegittima, proprio per
le ragioni già indicate da questa Corte con la citata sentenza n. 223 del
2004: la previsione dell’arresto sarebbe contraria al disposto degli artt.
3 e 13 Cost., se (nuovamente) riferita ad un reato che non consentirebbe, in
seguito, l’applicazione di «alcuna misura cautelare».
6.
– Il Tribunale di Ancona, sezione
distaccata di Jesi, con ordinanza del 9 giugno 2005 (reg. ord.
n. 459 del 2005), ha sollevato – in riferimento agli artt. 2, 3 e 27 Cost. –
questione di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituiti dall’art. 1
della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevedono, rispettivamente, la
pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza
giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione
dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore ai sensi del
precedente comma 5-bis, e l’arresto
obbligatorio per il responsabile di detta violazione.
Il
rimettente, investito d’una «richiesta di convalida della misura cautelare» (recte, per quanto si desume dal
complesso della motivazione, di una richiesta di convalida dell’arresto),
richiama esplicitamente, riportandole per esteso, le censure prospettate in una
ordinanza di rimessione in precedenza deliberata dal Tribunale di Trani, meglio
descritte al punto 10 che segue.
In
sintesi, secondo il giudice a quo,
solo la condizione di «straniero irregolare inottemperante» spiegherebbe (senza
giustificarlo) il trattamento deteriore della fattispecie in esame rispetto a
quella dell’art. 650 cod. pen., od a quella dell’art.
2 della legge n. 1423 del 1956. La sproporzione per eccesso della previsione
sanzionatoria violerebbe, oltre che la regola di uniforme garanzia dei diritti
essenziali della persona, anche il principio di necessaria finalizzazione
rieducativa della pena.
Il
Tribunale riferisce infine, svolgendo diffuse considerazioni concernenti le
«peculiarità del caso concreto», che il giudizio a quo riguarda un soggetto gravato da molti precedenti, il che
parrebbe renderebbe adeguata – secondo lo stesso rimettente – la risposta
sanzionatoria prescritta dalla norma censurata. Il trattamento cautelare e
sanzionatorio dell’indebito trattenimento costituirebbe per altro un
«espediente» per assicurare tutela a beni diversi, non efficacemente garantiti
mediante le fattispecie poste a loro diretta protezione: il Tribunale lamenta,
in sostanza, che l’imputato abbia potuto essere scarcerato dopo aver commesso
reati di vario genere, e che debba essere «paradossalmente» detenuto, invece,
per il solo fatto della inottemperanza all’ordine di allontanamento. A parere
del rimettente, «qualcosa non funziona nel sistema», che vorrebbe garantire con
espedienti «di natura assolutamente rozza e generica» beni che, in ipotesi,
«non si è riusciti a tutelare in via normale e lineare».
6.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 18 ottobre 2005.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta è infondata, a prescindere dal
carattere contraddittorio, fino al limite dell’incongruenza tra argomenti e
conclusioni, che segnerebbe l’ordinanza di rimessione, specie nella sua parte
finale.
Nel
merito, le scelte compiute dal legislatore in punto di dosimetria della pena
dovrebbero ritenersi pienamente rispettose del limite della ragionevolezza,
alla luce dei rilievi già esposti dall’Avvocatura dello Stato con le memorie
citate in precedenza.
7. –
Il Tribunale di Gorizia in composizione monocratica, con ordinanza dell’8
giugno 2005 (reg. ord. n. 461 del 2005), ha sollevato
– in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito
dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede il limite
edittale minimo di un anno di reclusione per lo straniero che, senza
giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione
dell’ordine ai allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente
comma 5-bis.
Il
rimettente deve deliberare, nel procedimento a carico di uno straniero per il
delitto di indebito trattenimento, in merito ad una richiesta congiunta di
applicazione della pena ex art. 444
cod. proc. pen., elaborata a partire dal minimo
edittale fissato nella norma censurata.
Il
giudice a quo, che ricorda d’essere
chiamato anche ad un vaglio di congruenza della pena concordata tra le parti, osserva
che le scelte sanzionatorie del legislatore sarebbero discrezionali solo fino
al limite della ragionevolezza, e non potrebbero risolversi nella comminatoria
di pene sproporzionate al disvalore del fatto criminoso (è citata, tra le
altre, la sentenza
di questa Corte n. 409 del 1989). La stessa funzionalità rieducativa del
trattamento sarebbe pregiudicata da una palese eccedenza del sacrificio della
libertà personale in proporzione all’offesa recata dalla condotta punibile (sentenze n. 343
del 1993 e n.
313 del 1990).
Nel
caso di specie, la discrezionalità del legislatore non sarebbe stata esercitata
secondo i parametri appena indicati. L’assunto è basato in primo luogo sui
lavori preparatori della legge n. 271 del 2004, ove mai si darebbe conto di una
«giustificazione contingente e sostanziale» dell’inasprimento della sanzione,
del quale anzi sarebbe svelata la strumentalità in senso processuale (a fini di
legittimazione della rinnovata previsione concernente l’arresto).
Il cattivo bilanciamento tra diritto di
libertà dei singoli ed esigenze tutelate mediante l’incriminazione sarebbe
posto in evidenza, a parere del Tribunale, anche dal raffronto fra le pene
comminate nella norma censurata e quelle previste per altre fattispecie di
inottemperanza a provvedimenti amministrativi. Sono citati, al proposito, i
reati di cui all’art. 650 cod. pen. ed all’art. 2
della legge n. 1423 del 1956.
Da
ultimo, il rimettente osserva che la riforma concernente le pene per l’indebito
trattenimento non sarebbe congruente neppure con il fine concretamente
perseguito dal legislatore, cioè la previsione di un trattamento sanzionatorio
tale da consentire l’applicazione di misure cautelari detentive e da
legittimare, dunque, la reintroduzione dell’arresto obbligatorio. Le norme
generali che disciplinano la restrizione cautelare della libertà – cioè l’art.
280 e l’art. 274, lettera c), del
codice di rito – hanno infatti riguardo al valore massimo della pena prevista
per i singoli delitti, senza che il minimo assuma alcuna rilevanza. La scelta
legislativa di fissare in un anno di reclusione la pena minima per il reato in
questione sarebbe dunque del tutto ingiustificata.
7.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 18 ottobre 2005.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta è infondata. A tale proposito
l’Avvocatura dello Stato riproduce rilievi già svolti con altri atti di
costituzione, sopra richiamati.
8. –
Il Tribunale di Trieste in composizione monocratica, con ordinanza del 2
luglio 2005 (reg. ord. n. 487 del 2005), ha sollevato
– in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito
dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena
della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato
motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore ai sensi del precedente comma 5-bis.
Il
rimettente, chiamato a deliberare sentenza nei confronti di uno straniero
imputato del reato di indebito trattenimento, per il quale il pubblico
ministero ha sollecitato una condanna alla minima pena prevista dalla legge,
dubita in particolare della legittimità della previsione che fissa il relativo
valore edittale in un anno di reclusione.
Il
giudice a quo – dopo aver richiamato
la giurisprudenza costituzionale concernente l’illegittimità di norme che
prevedano sanzioni irragionevoli o sproporzionate (sono citate, tra le altre,
le sentenze n.
313 del 1995, n.
25 del 1994, n.
343 del 1993, n.
409 del 1989) – concentra l’attenzione sulla pronuncia con la quale questa
Corte ha dichiarato manifestamente infondata una questione posta riguardo alla
pena minima fissata per il delitto di estorsione, che il legislatore aveva
recentemente elevato da tre a cinque anni. L’ordinanza (n. 368
del 1995) era stata motivata sul presupposto che l’inasprimento non aveva
determinato «macroscopiche differenze» rispetto al trattamento sanzionatorio
della rapina, fattispecie giudicata per altro «non del tutto assimilabile» a
quella dell’estorsione, ed era stato attuato anche per indurre una risposta
repressiva più determinata ad un fenomeno criminale in piena evoluzione. Il
rimettente deduce, allora, che una «macroscopica differenza» nel trattamento
sanzionatorio introdotto da una riforma legislativa, non giustificata da
mutamenti del fenomeno criminale sottostante, darebbe luogo ad un contrasto con
i principi costituzionali di uguaglianza e di necessaria finalizzazione
rieducativa della pena.
Nel
caso di specie, la nuova previsione sanzionatoria darebbe luogo ad una
«macroscopica differenza» in una duplice direzione: rispetto alla pena che per
lo stesso reato il legislatore aveva fissato appena due anni prima, con la
legge n. 189 del 2002, senza che il fenomeno disciplinato abbia subito
modificazioni sostanziali (non prospettate, in alcun modo, nei lavori
preparatori della legge n. 271 del 2004); rispetto alla pena prevista per
analoghe fattispecie di inottemperanza ad un ordine dato dall’autorità per
ragioni di sicurezza ed ordine pubblico (sono citati l’art. 650 cod. pen. e l’art. 2 della legge n. 1423 del 1956).
Non
varrebbe obiettare – osserva il rimettente – che la normativa in materia di
misure di prevenzione prevede una fattispecie delittuosa assimilabile, nei
profili sanzionatori, alla norma censurata (si tratta dell’art. 9, comma 2,
della citata legge n. 1423 del 1956, che punisce con la pena della reclusione
da uno a cinque anni colui che contravvenga agli obblighi ed alle prescrizioni
inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno). Tale
fattispecie concerne infatti un soggetto la cui pericolosità è già stata
accertata in concreto, con un provvedimento giudiziale e non semplicemente
amministrativo, e sanziona una condotta di attiva violazione del precetto,
consistente, a seconda dei casi, nell’allontanarsi o nel portarsi in un certo
luogo. Una figura, dunque, comparabile a quella delineata nel comma 5-quater dell’art. 14 del d.lgs. n. 286
del 1998 (indebito reingresso nel territorio dello Stato) ma non, a parere del
Tribunale, alla condotta di mera inosservanza dell’ordine di allontanamento.
In
definitiva, risultando sproporzionata sia rispetto ai valori di pena
precedentemente fissati per il medesimo reato, sia rispetto alle sanzioni
previste per fattispecie analoghe, la previsione censurata implicherebbe un
sacrificio non giustificato del bene della libertà personale, che per lo
straniero trova tutela in tutto corrispondente a quella assicurata per il
cittadino.
8.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 25 ottobre 2005.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta è infondata. A tale proposito
l’Avvocatura dello Stato riproduce rilievi già svolti con altri atti di
costituzione, sopra richiamati.
9. –
Il Tribunale di Milano in composizione monocratica, con ordinanza del 25
maggio 2005 (reg. ord. n. 518 del 2005), ha sollevato
– in riferimento agli artt. 3, 16 e 27, terzo comma, Cost. – questione di
legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito
dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevede la pena
della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato
motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore ai sensi del precedente comma 5-bis.
In
punto di rilevanza, il giudice a quo riferisce
d’essere chiamato a valutare, nel procedimento a carico di uno straniero
imputato del reato di indebito trattenimento, una richiesta di applicazione
della pena ex art. 444 cod. proc. pen. Della norma censurata dovrebbe essere fatta immediata
applicazione, posta l’asserita insussistenza, nel caso di specie, dei
presupposti per una decisione di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.
La previsione di pena contenuta nell’art. 14,
comma 5-ter, del citato d.lgs. n. 286
del 1998 è palesemente sproporzionata, a parere del Tribunale, rispetto
all’offesa che la condotta tipica reca agli interessi tutelati
dall’incriminazione (è citata la sentenza di questa Corte n. 341 del
1994), ed anche rispetto ai vantaggi che il sacrificio di libertà del
condannato comporta per quegli stessi interessi (sentenza n. 409 del
1989).
Una
tale sproporzione contrasterebbe con il principio di uguaglianza e
vanificherebbe il fine rieducativo della pena (è citata la sentenza n. 343 del
1993).
Inoltre,
come questa stessa Corte avrebbe riconosciuto deliberando su una richiesta di
referendum abrogativo concernente il d.lgs. n. 286 del 1998 (sentenza n. 31 del
2000), il corpo normativo nel quale è inserita la disposizione censurata
sarebbe strumentale anche alla garanzia della libertà di circolazione, in
armonia con la prescrizione dell’art. 16 Cost., che riconosce un diritto di
libertà della persona, come tale riferibile anche agli stranieri. È vero –
osserva il rimettente – che la giurisprudenza costituzionale ha più volte
legittimato disposizioni restrittive riguardanti i soli soggetti di nazionalità
estera, ma per la discrezionalità legislativa sarebbe stato sempre fissato,
anche su questo terreno, un limite concernente le scelte manifestamente irragionevoli
(sono citate le sentenze
n. 62 del 1994, n. 144 del 1970
e n. 104 del
1969).
Sarebbe
anzitutto eccessivo, secondo il Tribunale, il valore minimo della pena prevista
dalla norma censurata. Risulterebbero infatti appiattite sull’elevato livello
di un anno di reclusione situazioni soggettivamente ed oggettivamente diverse,
che spaziano da fattispecie di minimo allarme ad altre di significato lesivo
ben più marcato. Le situazioni in cui l’inottemperanza e la stessa precedente
espulsione non denotano per se stesse una significativa capacità criminale (al
cui novero sarebbe riconducibile il caso di specie) dovrebbero essere comparate
alla residua figura contravvenzionale dell’art. 14, comma 5-ter (espulsione per omessa richiesta di
rinnovo del permesso di soggiorno), e non certo alle più gravi ipotesi cui oggi
sono assimilate nel trattamento sanzionatorio.
Il
giudice a quo prospetta, in secondo
luogo, una manifesta irragionevolezza per la previsione concernente il massimo
edittale della pena. La quadruplicazione del livello iniziale non troverebbe
giustificazione in un incremento di significato lesivo del fatto, ma solo nella
volontà legislativa di ripristinare l’arresto obbligatorio in flagranza, dopo
la sentenza n.
223 del 2004, senza una formale violazione dei principi nell’occasione
enunciati da questa Corte. Il livello attuale della sanzione, inoltre, sarebbe
sperequato per eccesso rispetto a fattispecie punite in modo sostanzialmente
analogo, ma pertinenti a fatti di ben maggiore gravità, e rispetto a
fattispecie sanzionate in termini assai più blandi, per quanto pertinenti a
comportamenti essenzialmente analoghi a quello in considerazione.
Nella
prima prospettiva è citato il reato di cui all’art. 14, comma 5-quater, dello stesso d.lgs. n. 286 del
1998, che consiste nell’indebito reingresso di persona già espulsa dal
territorio nazionale: ipotesi ben più grave da quella di mera inottemperanza
all’ordine di allontanamento, e come tale trattata dal legislatore fino alla
riforma attuata con la legge n. 271 del 2004, che avrebbe invece indebitamente
equiparato (salvo che per una lieve differenza nel massimo) il trattamento
sanzionatorio delle due figure di reato. Sarebbero invece comparabili alla
condotta in considerazione altre ipotesi criminose, pertinenti a fatti di
inosservanza d’un divieto o di un obbligo, e sanzionate con pene comunque assai
più lievi: l’inosservanza di un provvedimento dell’autorità, di cui all’art.
650 cod. pen.; la contravvenzione al foglio di via
obbligatorio, di cui all’art. 2 della legge n. 1423 del 1956; la
contravvenzione ai divieti od obblighi imposti a fini di prevenzione della
violenza nelle manifestazioni sportive, di cui all’art. 6, comma 6, della legge
13 dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse
clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni
sportive), sanzionata in via alternativa con la pena pecuniaria e quella
detentiva, e tra l’altro concernente soggetti già denunciati o condannati per
gravi reati, o comunque già coinvolti in episodi di violenza.
9.1 – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 15 novembre 2005.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta è infondata. A tale proposito
l’Avvocatura dello Stato riproduce rilievi già svolti con altri atti di
costituzione, sopra richiamati.
10.
– Il Giudice per le indagini
preliminari nel Tribunale di Trani, con ordinanza del 30 maggio 2005 (reg. ord. 585 del 2005), ha sollevato – in riferimento agli
artt. 2, 3 e 27 Cost. – questione di legittimità costituzionale degli artt. 14,
commi 5-ter e 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituiti dall’art. 1
della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui prevedono, rispettivamente, la
pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza
giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione
dell’ordine di allontanarsene, impartitogli dal questore ai sensi del
precedente comma 5-bis, e l’arresto
obbligatorio per il responsabile di detta violazione.
Il
rimettente, premesso che procede nei confronti di uno straniero per il reato di
indebito trattenimento, riferisce, in punto di rilevanza, che «in base al combinato
disposto dei commi 5-ter e 5-quinquies l’arresto obbligatorio operato
dalla p.g. è sfociato nella convalida richiesta dal p.m.».
Il
Tribunale rileva, quindi, che sarebbe dubbia la proporzionalità e la
ragionevolezza delle norme impugnate, espressione di un «diritto penale
speciale» in conflitto, per sua stessa natura, con i parametri costituzionali
sopra indicati, nonché con l’enunciato dell’art. 13 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo, secondo cui «ogni individuo ha diritto di lasciare
qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese». Solo la
condizione di «straniero irregolare inottemperante», in effetti, spiegherebbe
(senza giustificarlo) il trattamento deteriore della fattispecie rispetto a
quella dell’art. 650 cod. pen., che sanziona con una
blanda pena detentiva l’inosservanza di provvedimenti dell’autorità da parte
dei «cittadini residenti», ed a quella dell’art. 2 della legge n. 1423 del
1956, ove pure si punisce l’inottemperanza di una persona concretamente
pericolosa (il rimettente evoca anche il delitto di cui all’art. 9 della citata
legge n. 1423 del 1956, che per altro non è affatto punito «con pena di gran
lunga meno grave», essendo prevista la reclusione da uno a cinque anni).
La
determinazione della cornice edittale sarebbe tanto più irragionevole, nella
norma censurata, considerando la ritenuta evanescenza del bene giuridico
protetto, di carattere solo formale: «il diritto penale si allontana dal
paradigma del reato inteso quale lesione di un bene giuridico, per ergersi a
baluardo dell’obbedienza […] di fronte a provvedimenti dell’autorità». La
previsione censurata violerebbe il principio di uguaglianza, dunque, anche per
la sua eccedenza rispetto al disvalore del fatto tipico (è citata la sentenza di
questa Corte n.
409 del 1989), e per la sproporzione tra i vantaggi ottenuti a tutela dei
beni protetti dall’incriminazione ed il sacrificio di libertà del condannato.
La
carenza di proporzionalità del trattamento punitivo comporterebbe infine,
secondo il rimettente, una deroga al principio di necessaria funzionalità
rieducativa della pena. Tale funzionalità sarebbe pregiudicata, in particolare,
dall’applicazione di una sanzione che l’imputato non potrebbe percepire quale
punizione corrispondente al disvalore del fatto da lui posto in essere. In
proposito il giudice a quo osserva
come il legislatore abbia ritenuto adeguate allo scopo di rieducazione del
condannato pene più miti, pur collegate a reati che sarebbero più gravi, perché
recanti un’offesa diretta ad interessi primari dei cittadini e della
collettività (sono citate, a tale proposito, le fattispecie di cui agli artt.
316, 316-bis, 318, 319, 624, 640,
644, 646 del codice penale).
Con
l’inasprimento della sanzione per l’indebito trattenimento, e con il
trattamento processuale che le si connette (a partire dall’arresto in
flagranza), sarebbero stati elusi i principi che questa Corte avrebbe inteso
fissare con la sentenza
n. 223 del 2004, sterilizzandone «il significato garantistico […] quanto
all’impianto costituzionale sotteso agli artt. 2, 3 e 27». In materia di
diritti inviolabili dell’uomo, d’altra parte,
10.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 10 gennaio 2006.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta è infondata. A tale proposito
l’Avvocatura dello Stato riproduce rilievi già svolti con altri atti di
costituzione, sopra richiamati.
11. –
Il Tribunale di Verona in composizione monocratica, con ordinanza del 14
ottobre 2005 (reg. ord. 65 del 2006), ha sollevato –
in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. – questione di legittimità
costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter,
del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del
2004, nella parte in cui prevede, per lo straniero che, senza giustificato
motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore, la pena della reclusione da uno a
quattro anni, «anziché una pena equiparabile a quella prevista dagli artt. 650
c.p., 157 t.u.l.p.s. e
Il
rimettente, chiamato a celebrare il giudizio nei confronti di uno straniero
imputato per indebito trattenimento (dopo averne convalidato l’arresto),
premette che le scelte sanzionatorie del legislatore non potrebbero assimilare
una fattispecie ad altre concernenti reati sostanzialmente più gravi, o
distinguerla, sempre sul piano della sanzione, da figure criminose di gravità
sostanzialmente analoga, pena la violazione del principio di uguaglianza e di
finalizzazione rieducativa della pena (sono citate le sentenze n. 343 del
1993 e n.
409 del 1989).
La
sanzione comminata dall’art. 14, comma 5-ter,
del d.lgs. n. 286 del 1998 sarebbe sproporzionata, invece, in entrambe le
direzioni enunciate.
Il
reato de quo, anzitutto,
presenterebbe struttura e valenza assimilabili a quelle di varie fattispecie contravvenzionali,
pure concernenti l’inosservanza di provvedimenti amministrativi adottati per
ragioni di sicurezza e ordine pubblico. Il Tribunale richiama, a tale
proposito, l’art. 650 cod. pen. e l’art. 2 della
legge n. 1423 del 1956, nonché l’art. 157 del regio decreto 18 giugno 1931, n.
773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), che
all’ultimo comma sanziona con l’arresto da uno a sei mesi il contravventore al
foglio di via obbligatorio per l’allontanamento da un comune diverso da quello
di residenza.
L’indebito
trattenimento, per altro verso, sarebbe punito con una pena equiparabile a
quella prevista dall’art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956, sebbene
questa norma sanzioni (con la reclusione da uno a cinque anni) un comportamento
ben più grave, in quanto realizzato non da un soggetto dalla pericolosità solo
ipotetica (quale sarebbe lo straniero inottemperante), bensì da persona
pericolosa in modo concreto e qualificato, in quanto tale colpita da un
provvedimento giudiziale di prevenzione.
Infine,
secondo il rimettente, la norma censurata contrasterebbe con l’art. 3 Cost.
sotto un ulteriore profilo. L’incriminazione darebbe infatti vita ad un
cosiddetto «reato ostacolo», essendo mirata a prevenire situazioni di rischio per
beni giuridici ulteriori. Il legislatore, in particolare, vorrebbe assicurare
l’effettività dell’espulsione per evitare che l’interessato possa commettere
eventuali reati contro il patrimonio. Ciò premesso, il Tribunale osserva che
sarebbe priva di ragionevolezza una norma «ostacolo» con sanzione più elevata
di quella comminata da molte figure di reato contro il patrimonio, perché una
condotta di mera potenzialità offensiva sarebbe punita più di quella
direttamente e concretamente lesiva del bene protetto dalla legge penale.
11.1. – Il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è
costituito con atto depositato il 4 aprile 2006.
Secondo
la difesa erariale, la questione proposta è infondata. A tale proposito
l’Avvocatura dello Stato riproduce rilievi già svolti con altri atti di
costituzione, sopra richiamati. Sarebbe poi apodittica, e comunque assurda,
l’affermazione secondo cui l’inottemperanza all’ordine di allontanamento non
potrebbe essere punita più gravemente di alcune fattispecie criminose poste a
tutela del patrimonio.
Considerato
in diritto
1.
– Con tutte le ordinanze fin qui descritte è stata sollevata, anzitutto,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come
sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in legge,
con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni urgenti in materia di immigrazione).
La
norma censurata prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni per lo
straniero che, senza giustificato motivo, si trattenga nel territorio dello
Stato in violazione dell’ordine di allontanarsene impartitogli dal questore in
applicazione del comma 5-bis dello
stesso art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998. Uno dei rimettenti (reg. ord. n. 461 del 2005) dubita della legittimità della
disposizione nella parte in cui fissa la pena minima nella misura di un anno di
reclusione. Tutti gli altri giudici a quibus censurano la disposizione nel suo complesso,
cioè per il carattere asseritamente eccessivo del
trattamento sanzionatorio compreso tra il minimo ed il massimo nella previsione
edittale.
2.
– I provvedimenti di rimessione prospettano, senza eccezioni, profili di
contrasto della disposizione de qua con
l’art. 3 della Costituzione. Si tratta, nel complesso, dei rilievi che seguono.
2.1.
– La pena originariamente prevista per il reato di indebito trattenimento –
introdotto in forma contravvenzionale dall’art. 13 della legge 30 luglio 2002,
n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo) –
consisteva nell’arresto da sei mesi ad un anno. La sanzione è stata poi
fortemente inasprita, per specie e quantità, con la citata legge n. 271 del
2.2.
– Con il descritto innalzamento della pena, in particolare, il legislatore
avrebbe perseguito una finalità di carattere esclusivamente processuale. Dopo
la sentenza n.
223 del 2004 – che aveva dichiarato l’illegittimità della norma concernente
l’arresto obbligatorio per il reato di indebito trattenimento, allora previsto
in forma contravvenzionale – l’introduzione di valori sanzionatori compatibili
con l’applicazione di misure cautelari coercitive avrebbe avuto il solo scopo
di legittimare una nuova previsione di arresto obbligatorio per lo straniero
inottemperante all’ordine di allontanamento. Sennonché la manipolazione del
diritto sostanziale, in assenza di finalità collegate a variazioni effettive
del fenomeno disciplinato, sarebbe di per sé arbitraria, e darebbe luogo, per
alcuni dei rimettenti, ad una violazione del principio di ragionevolezza (reg. ord. nn. 344 e 351 del 2005).
2.3.
– Secondo il Tribunale di Gorizia, d’altro canto, la riforma, nella parte
concernente il valore minimo della pena edittale, non sarebbe giustificata
neppure dallo scopo di legittimare la nuova introduzione dell’arresto in
flagranza, attraverso la previsione di valori sanzionatori che consentano – in
base agli artt. 274, lettera c), e
280 del codice di procedura penale – la successiva applicazione di una misura
coercitiva: le disposizioni citate, infatti, assegnano rilevanza esclusiva al
massimo della pena prevista per ciascun delitto (reg. ord.
n. 461 del 2005).
2.4.
– Le pene comminate mediante la norma censurata sarebbero palesemente
sproporzionate per eccesso rispetto alla gravità effettiva del fatto
incriminato, che consisterebbe in un reato di pericolo, non sintomatico per sé
di pericolosità sociale (reg. ord. nn. 267, 332, 459 e 518 del 2005).
Secondo
uno dei rimettenti (reg. ord. n. 65 del 2006), il
difetto di proporzionalità sarebbe evidente una volta considerato che per un
tipico «reato ostacolo», finalizzato a rimuovere il mero pericolo della lesione
di beni giuridici sostanziali, sono previste sanzioni più alte di quelle
conseguenti alle condotte direttamente lesive dei beni giuridici in questione
(ad esempio, il patrimonio).
Per
altro verso, livelli di pena tanto elevati non assicurerebbero un adeguato
bilanciamento tra il sacrificio della libertà personale del condannato ed i
vantaggi che ne derivano in termini di tutela degli interessi protetti dalla
previsione incriminatrice (reg. ord. nn. 518 e 585 del 2005).
2.5.
– La pena minima attualmente prevista dalla norma in questione, data la sua
rilevanza, non consentirebbe di modulare il trattamento sanzionatorio per le
varie ed eterogenee fattispecie riconducibili alla previsione astratta, così
determinando una violazione del principio di uguaglianza (reg. ord. n. 518 del 2005).
2.6.
– I valori di pena fissati nella norma censurata eccederebbero in misura
macroscopica quelli previsti da disposizioni assimilabili, perché concernenti a
loro volta condotte di inottemperanza a provvedimenti adottati dall’autorità
amministrativa per ragioni di sicurezza e ordine pubblico, così diversificando
senza giustificazione il trattamento di situazioni analoghe. In particolare
sono evocate, quali tertia comparationis,
le fattispecie di cui alle seguenti disposizioni:
–
art. 650 del codice penale (Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità):
arresto fino a tre mesi o ammenda fino ad euro 206 (tutte le ordinanze di rimessione);
–
art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei
confronti delle persone pericolose per la sicurezza), relativamente alla
contravvenzione a foglio di via obbligatorio: arresto da uno a sei mesi (reg. ord. nn. 93, 332, 344, 351, 459,
461, 487, 518 e 585 del 2005, n. 65 del 2006);
–
art. 14, comma 5-ter, seconda parte,
del d.lgs. n. 286 del 1998, relativamente allo straniero espulso per non aver
chiesto il rinnovo del permesso di soggiorno in precedenza ottenuto: arresto da
sei mesi ad un anno (reg. ord. nn.
332, 351 e 518 del 2005);
– art. 6, comma 6, della legge 13
dicembre 1989, n. 401 (Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse
clandestini e tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni
sportive), relativamente al contravventore dei provvedimenti di divieto ed
obbligo finalizzati a prevenire atti di violenza nel corso di manifestazioni sportive:
multa o reclusione da tre a diciotto mesi (reg. ord.
n. 518 del 2005);
–
art. 157 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico
delle leggi di pubblica sicurezza), relativamente al contravventore al foglio
di via obbligatorio: arresto da uno a sei mesi (reg. ord.
n. 65 del 2006).
2.7.
– La pena attualmente comminata dalla norma de
qua sarebbe analoga a quella prevista per comportamenti delittuosi di
gravità molto maggiore, così equiparando senza giustificazione il trattamento
di situazioni eterogenee. In particolare risultano evocate, in chiave
comparativa, le seguenti disposizioni:
–
art. 13, comma 13-bis, prima parte,
del d.lgs. n. 286 del 1998, relativamente all’indebito reingresso dello
straniero già colpito da provvedimento giudiziale di espulsione: reclusione da
uno a quattro anni (reg. ord. nn.
267 e 344 del 2005);
–
art. 13, comma 13-bis, seconda parte,
del d.lgs. n. 286 del 1998, relativamente all’indebito reingresso dello
straniero già denunciato per un analogo precedente delitto: reclusione da uno a
cinque anni (reg. ord. nn.
267 e 344 del 2005);
–
art. 14, comma 5-quater, del d.lgs.
n. 286 del 1998, relativamente all’indebito reingresso dello straniero già
espulso a norma del precedente comma 5-ter:
reclusione da uno a cinque anni (reg. ord. n. 518 del
2005);
–
art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956, relativamente all’inosservanza
di obblighi e prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o
il divieto di soggiorno: reclusione da uno a cinque anni (reg. ord. n. 487 del 2005 e n. 65 del 2006).
3.
– Tutti i giudici a quibus,
tranne uno (reg. ord. n. 351 del 2005), prospettano
un contrasto tra la norma censurata ed il terzo comma dell’art. 27 Cost., in
quanto la relativa previsione sanzionatoria, essendo priva di proporzionalità
rispetto al fatto incriminato, non potrebbe assolvere alla necessaria funzione
rieducativa della pena.
4.
– Tra i parametri costituzionali evocati figurano, infine, l’art. 16 Cost. (la
previsione di pene irragionevoli per il reato di indebito trattenimento
comporterebbe una illecita compressione del diritto di libera circolazione
delle persone: reg. ord. n. 518 del 2005) e l’art. 2
Cost. (reg. ord. nn. 459 e
585 del 2005).
5.
– Con alcune delle ordinanze in epigrafe è stata sollevata una ulteriore
questione di legittimità costituzionale, concernente l’art. 14, comma 5-quinquies, ultimo periodo, del d.lgs. n.
286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella
parte in cui prevede l’arresto obbligatorio dello straniero che si trattenga
nel territorio dello Stato in violazione del precedente comma 5-ter, primo periodo (reg. ord. nn. 351, 459 e 585 del
2005).
La
disposizione violerebbe gli artt. 3 e
13 Cost., poiché la previsione dell’arresto, posta l’asserita illegittimità
della pena edittale pari nel massimo a quattro anni di reclusione, necessaria
per la successiva applicazione di una misura coercitiva, contrasterebbe con i
principi di ragionevolezza e inviolabilità della libertà personale (reg. ord. n. 351 del 2005).
Secondo
altri rimettenti la disposizione concernente l’arresto, coniugata ai livelli
della pena introdotta con la legge n.
271 del 2004, realizzerebbe un trattamento «sanzionatorio» sproporzionato per
un reato privo di concreta offensività, «conferendo alla norma penale una
impropria torsione in senso amministrativo, in contrasto con il principio di
sussidiarietà del diritto penale». Da ciò discenderebbe, in particolare, una
violazione degli artt. 2, 3 e 27 Cost. (reg. ord. nn. 459 e 585 del 2005).
6.
– Poiché tutte le questioni sollevate riguardano il trattamento sanzionatorio e
processuale del reato previsto dall’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998, può essere disposta
la riunione dei relativi giudizi.
7.
– Le questioni di legittimità
costituzionale concernenti l’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del d.lgs. n. 286 del 1998 – come modificato
dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004 – sono inammissibili.
7.1.
– Le ordinanze di rimessione prospettano, in primo luogo, un contrasto della
norma censurata con l’art. 3 Cost., che si asserisce violato sia in
comparazione con altre norme penali che prevedono fattispecie simili, sia per
intrinseca irragionevolezza, avuto riguardo al rapporto di proporzionalità
necessaria tra gravità del disvalore sociale del fatto ed entità delle
sanzioni.
7.2.
– Un primo gruppo tra le norme penali assunte come tertia comparationis comprende – come in
dettaglio si è visto ai precedenti punti 2.6 e 2.7 – previsioni che trovano la
loro ratio nell’esigenza di
approntare una sanzione di carattere generale e residuale per qualsiasi tipo di
inottemperanza ad ordini legalmente dati dall’autorità per i motivi indicati
dall’art. 650 cod. pen., o di fronteggiare specifiche
situazioni di pericolo per la sicurezza pubblica provocate dalla condotta dei
soggetti che violino determinati ordini amministrativi. In tutti i casi
richiamati non è rinvenibile la finalità che il legislatore intende perseguire
con la norma oggetto delle questioni sollevate nel presente giudizio: il
controllo dei flussi migratori e la disciplina dell’ingresso e della permanenza
degli stranieri nel territorio nazionale.
Si
tratta di un grave problema sociale, umanitario ed economico che implica
valutazioni di politica legislativa non riconducibili a mere esigenze generali
di ordine e sicurezza pubblica né sovrapponibili o assimilabili a problematiche
diverse, legate alla pericolosità di alcuni soggetti e di alcuni comportamenti
che nulla hanno a che fare con il fenomeno dell’immigrazione.
Per
quanto detto, la comparazione con le norme penali suindicate non può certo
essere condotta in chiave di confronto rivolto alla rilevazione di
ingiustificate disparità di trattamento censurabili dal giudice delle leggi, ma
può servire eventualmente al legislatore per una considerazione sistematica di
tutte le norme che prevedono sanzioni penali per violazioni di provvedimenti
amministrativi in materia di sicurezza pubblica, senza dimenticare peraltro che
il reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale dello straniero
espulso riguarda la semplice condotta di inosservanza dell’ordine di
allontanamento dato dal questore, con una fattispecie che prescinde da una
accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili. In altri termini,
ciò che può costituire materia di utile riflessione per il legislatore non può
rendere ammissibile una pronuncia di questa Corte, cui non è consentito
trasporre sanzioni penali da una fattispecie ad un'altra in esito ad una
altrettanto inammissibile scelta tra quelle che potrebbero presentare una
qualche affinità.
7.3.
– A conclusioni analoghe conduce l’analisi delle questioni basate su una
pretesa violazione dell’art. 3 Cost., quale risulterebbe da una comparazione,
per così dire "interna”, tra la norma censurata ed altre contenute nello stesso
testo unico in materia di immigrazione.
Occorre
tuttavia riconoscere che il quadro normativo in materia di sanzioni penali per
l’illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale,
risultante dalle modificazioni che si sono succedute negli ultimi anni, anche
per interventi legislativi successivi a pronunce di questa Corte, presenta
squilibri, sproporzioni e disarmonie, tali da rendere problematica la verifica
di compatibilità con i principi costituzionali di uguaglianza e di
proporzionalità della pena e con la finalità rieducativa della stessa.
Parte dei
ricorrenti censura la scelta di maggior severità nel trattamento della
fattispecie in questione rispetto a quella, strutturalmente analoga,
dell’inottemperanza ad un ordine di allontanamento conseguente ad espulsione
disposta per l’omessa richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno (art. 14,
comma 5-ter, secondo periodo, del
citato d.lgs. n. 286 del 1998). La scelta della pena, commisurata dal
legislatore alla differente gravità dei reati, non può tuttavia essere
sindacata da questa Corte.
Si
deve segnalare, poi, come condotte che possono essere più gravi di quella
prevista dalla norma oggetto del presente giudizio siano punite con sanzioni
pressoché equivalenti. Difatti, mentre l’art. 14, comma 5-ter, del t.u. citato prevede la pena della
reclusione da uno a quattro anni per il semplice trattenimento indebito nel
territorio nazionale, il precedente art. 13, comma 13-bis, prima parte, stabilisce la medesima pena della reclusione da
uno a quattro anni per l’indebito reingresso dello straniero già colpito da
provvedimento giudiziale di espulsione; è prevista la pena della reclusione da
uno a cinque anni per l’indebito reingresso dello straniero già denunciato per
un analogo precedente delitto (art. 13, comma 13-bis, seconda parte); infine, l’art. 14, comma 5-quater, prima parte, dello stesso t.u.
prevede la pena della reclusione da uno a cinque anni per lo straniero, già espulso
ai sensi del comma 5-ter, primo
periodo, che venga trovato, in violazione delle norme vigenti, nel territorio
dello Stato, mentre la seconda parte dello stesso comma prevede la pena della
reclusione da uno a quattro anni se lo straniero che rientra indebitamente nel
territorio nazionale sia stato espulso ai sensi del comma 5-ter, secondo periodo.
Potrebbero
in effetti trovarsi sullo stesso piano lo straniero che si rende responsabile
per la prima volta del reato di indebito trattenimento nel territorio nazionale
e lo straniero che, dopo essere stato effettivamente estromesso a seguito di
uno o più provvedimenti di espulsione (eventualmente collegati a fatti di
significato criminoso), si attiva per reiterare una violazione delle vigenti
disposizioni in materia, vanificando gli effetti dell’attività giudiziale ed
amministrativa culminata con il suo allontanamento.
Il
sindacato di costituzionalità, tuttavia, può investire le pene scelte dal
legislatore solo se si appalesi una evidente violazione del canone della
ragionevolezza, in quanto ci si trovi di fronte a fattispecie di reato
sostanzialmente identiche, ma sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio (ex plurimis,
tra le pronunce più recenti, sentenze n. 325 del
2005, n. 364
del 2004; ordinanze
numeri 158 e 364
del 2004). Se non si riscontra una sostanziale identità tra le fattispecie
prese in considerazione, e si rileva invece, come nel caso in esame, una
sproporzione sanzionatoria rispetto a condotte più gravi, un eventuale intervento
di riequilibrio di questa Corte non potrebbe in alcun modo rimodulare le
sanzioni previste dalla legge, senza sostituire la propria valutazione a quella
che spetta al legislatore.
7.4.
– Quanto all’eccessivo rigore della norma censurata, lamentato in gran parte
delle ordinanze di rimessione, da cui si dedurrebbe una irragionevolezza
intrinseca della norma stessa, si deve anzitutto ricordare che questa Corte,
conformemente alla sua recente giurisprudenza (sentenza n. 5 del
2004; ordinanze
numeri 302 e 80
del 2004), ha sottolineato «il ruolo
che, nell’economia applicativa della fattispecie criminosa, è chiamato a
svolgere il requisito negativo espresso dalla formula "senza giustificato
motivo”, presente nella descrizione del fatto incriminato dal citato comma 5-ter dell’art. 14» (ordinanza n. 386
del 2006).
Tale
formula, secondo la citata giurisprudenza, copre tutte le ipotesi di
impossibilità o di grave difficoltà (mancato rilascio di documenti da parte
dell’autorità competente, assoluta indigenza che rende impossibile l’acquisto
di biglietti di viaggio e altre simili situazioni), che, pur non integrando
cause di giustificazione in senso tecnico, impediscono allo straniero di
prestare osservanza all’ordine di allontanamento nei termini prescritti.
I
giudici rimettenti, in realtà, hanno censurato la previsione legislativa della
misura delle pene, minima e massima, per la fattispecie di cui alla norma
oggetto del presente giudizio, indipendentemente dalla restrizione dell’ambito
applicativo che, nell’apprezzamento della concreta offensività delle condotte
sanzionate, deve essere operata in via d’interpretazione.
Si
deve aggiungere a quanto detto sopra che questa Corte non può, in ogni caso,
procedere ad un nuovo assetto delle sanzioni penali stabilite dal legislatore,
giacché mancano nell’attuale quadro normativo in subiecta materia precisi punti di
riferimento che possano condurre a sostituzioni costituzionalmente obbligate.
Né una pronuncia caducatoria né una pronuncia
additiva potrebbero introdurre nuove sanzioni penali o trasporre pene edittali
da una fattispecie ad un’altra, senza l’esercizio, da parte del giudice delle
leggi, di un inammissibile potere discrezionale di scelta.
Non
sarebbe neppure possibile dichiarare – come richiesto da uno dei giudici
rimettenti (reg. ord. n. 461 del 2005) –
l’illegittimità costituzionale della sola disposizione concernente il minimo
edittale di un anno, facendo espandere di conseguenza la previsione generale di
cui all’art. 23 cod. pen. Il precedente invocato in
proposito (sentenza
n. 341 del 1994) non può valere nel presente giudizio.
La
norma censurata dalle attuali ordinanze di rimessione è frutto, invece, di una
scelta recente del legislatore, che non si caratterizza soltanto per un
notevole inasprimento del minimo edittale, ma per un complessivo innalzamento
delle pene, le quali devono essere prese in considerazione nell’ambito di un
esame comparativo dell’intero quadro della normativa in materia, spettante al
legislatore stesso. Una eventuale pronuncia di questa Corte sul solo minimo
edittale inciderebbe in modo parziale sul quadro degli squilibri denunciati,
senza determinarne un superamento completo ed effettivo, surrogando un
intervento legislativo che ben più efficacemente potrebbe ripristinare un
sistema sanzionatorio dagli equilibri compatibili coi valori costituzionali
evocati.
In
estrema sintesi, la rigorosa osservanza dei limiti dei poteri del giudice
costituzionale non esime questa Corte dal rilevare l’opportunità di un
sollecito intervento del legislatore, volto ad eliminare gli squilibri, le
sproporzioni e le disarmonie prima evidenziate.
8. –
La rilevata, e sopra motivata, inammissibilità di un intervento manipolativo di
questa Corte sull’entità delle pene fissate dal legislatore rende superflua una
disamina nel merito delle diverse censure prospettate dalle ordinanze di
rimessione in riferimento agli artt. 2, 16 e 27, nonché, sotto profili diversi
da quelli prima esaminati, all’art. 3 della Costituzione (tra cui la
commistione di implicazioni sostanziali e valutazioni processuali sottesa,
secondo la prospettazione di parte dei rimettenti, alla norma censurata),
giacché ogni possibile conclusione cui questa Corte potrebbe arrivare
incontrerebbe il medesimo ostacolo già segnalato con riferimento ai profili
presi in considerazione.
9.
– Alcune delle ordinanze di rimessione, come sopra si è visto, pongono
questioni di legittimità anche con riguardo alla norma che – dopo la sentenza
di questa Corte
n. 223 del 2004, e contestualmente alla riforma per specie e quantità delle
sanzioni previste per il reato di indebito trattenimento – ha nuovamente
introdotto per tale reato la previsione dell’arresto obbligatorio (art. 14,
comma 5-quinquies, ultimo periodo,
del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del
2004).
Si
tratta, in tutti i casi, di questioni inammissibili.
9.1.
– La questione costruita sulla pretesa illegittimità costituzionale della norma
che fissa in quattro anni il valore edittale massimo per il delitto in
considerazione è interamente fondata su un quadro normativo ipotetico, dato dal
superamento, per effetto di una eventuale sentenza di accoglimento,
dell’attuale regime di applicabilità d’una misura cautelare coercitiva dopo
l’arresto, così difettando già sul piano della rilevanza.
9.2.
– Le ulteriori questioni concernenti la norma processuale sono inammissibili
per carenza assoluta di motivazione circa le specifiche ragioni di contrasto
con i parametri costituzionali evocati. La pretesa confluenza di regole
sostanziali e processuali, in una sorta di complessiva «fattispecie
discriminatoria», priva della minima specificità le doglianze dei rimettenti.
Analogo vizio segna un rilievo che pure concerne il tema dell’arresto
obbligatorio, il quale sarebbe indebitamente prescritto per un «reato di pericolo
astratto» in un sistema che, per il resto, adotterebbe tale trattamento solo
per condotte di offesa «ad interessi protetti di rango costituzionale». È
assente, infatti, la motivazione del perché l’interesse protetto dalla norma
censurata non avrebbe rango costituzionale. A prescindere poi dal fondamento
delle asserzioni richiamate, l’ordinanza è priva di argomentazioni che
giustifichino una comparazione, tra
norme concernenti misure cautelari, condotta sul solo piano dell’offensività
piuttosto che su quello, più ampio,
delle complessive esigenze che possono essere assicurate attraverso le
misure in questione.
per questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, primo periodo, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti
la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come
sostituito dall’art. 1 della legge 12 novembre 2004, n. 271 (Conversione in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante
disposizioni urgenti in materia di immigrazione), nella parte in cui prevede la
pena della reclusione da uno a quattro anni per lo straniero che, senza giustificato
motivo, si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine di
allontanarsene, impartitogli dal questore a norma del precedente comma 5-bis, sollevate, in riferimento agli
artt. 2, 3, 16 e 27 della Costituzione, dai Tribunali di Genova, Torino,
Bologna, Ancona (sezione distaccata di Jesi), Gorizia, Trieste, Milano, Trani e
Verona, con le ordinanze indicate in epigrafe.
dichiara inammissibili
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998,
come sostituito dall’art. 1 della legge n. 271 del 2004, nella parte in cui
prevede l’arresto obbligatorio dello straniero che si trattenga nel territorio
dello Stato in violazione del precedente comma 5-ter, primo periodo, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e
27 Cost., dai Tribunali di Torino, Ancona (sezione distaccata di Jesi) e Trani,
con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 2007.
F.to:
Depositata
in