ORDINANZA N.158
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10, decimo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), promosso con ordinanza del 9 gennaio 2003 dal Tribunale di Trento nel procedimento penale a carico di S.E.L., iscritta al n. 222 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 2003.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 marzo 2004 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Trento ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, decimo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), che punisce con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 206 a euro 1.032 l’inosservanza dei divieti e degli obblighi stabiliti dal sesto, ottavo e nono comma del medesimo articolo in materia di collezione di armi;
che il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, di essere investito del processo penale nei confronti di persona imputata del reato previsto dalla norma impugnata, per aver continuato a detenere munizioni, già regolarmente denunciate, dopo l’ottenimento della licenza di collezione di armi, violando così il divieto sancito dal nono comma dell’art. 10 della legge n. 110 del 1975;
che, ad avviso del rimettente, la norma incriminatrice censurata lederebbe il principio di uguaglianza, in quanto accomunerebbe nel medesimo trattamento sanzionatorio condotte di gravità notevolmente differenziata, impedendo così al giudice di adeguare la pena alle caratteristiche oggettive e soggettive del singolo fatto criminoso;
che la pena comminata dalla norma censurata risulterebbe, in particolare, «assolutamente sperequata» per eccesso, con riferimento alla fattispecie oggetto del giudizio a quo, ossia alla detenzione, da parte di soggetto fornito di licenza di collezione, di munizioni regolarmente denunciate: fattispecie che — non evidenziando una «personalità criminale» dell’autore del reato — si presenterebbe come di disvalore assai ridotto;
che l’irragionevolezza del trattamento sanzionatorio censurato emergerebbe anche dalla circostanza che la detenzione di munizioni denunciate, da parte del collezionista di armi, risulta punita più gravemente sia rispetto alla detenzione di munizioni non denunciate da parte di qualsiasi altro soggetto, configurata come semplice contravvenzione dall’art. 697 cod. pen. (e ciò — in base al «diritto vivente» — anche qualora si tratti di munizioni relative ad arma clandestina); sia — e addirittura — rispetto alla detenzione di munizioni per armi da guerra, allorché ricorra l’ipotesi attenuata di cui all’art. 5 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi);
che l’irrogazione di una pena sproporzionata all’effettivo disvalore del fatto ed alla personalità del reo — quale quella che si avrebbe in applicazione della norma impugnata, la quale rifletterebbe l’idea di un regime sanzionatorio commisurato al «tipo d’autore» — comprometterebbe, altresì, il principio della finalità rieducativa della pena, enunciato dall’art. 27, terzo comma, Cost.;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.
Considerato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, la configurazione delle singole ipotesi criminose e la determinazione della pena per ciascuna di esse rientra nell’ambito della discrezionalità legislativa: discrezionalità che può essere censurata, in sede di sindacato di costituzionalità, solo ove il relativo esercizio contrasti in modo manifesto con il canone della ragionevolezza (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 177 del 2003; n. 110 del 2002; n. 144 del 2001);
che in tale ottica — come parimenti rilevato in più occasioni da questa Corte, anche con specifico riferimento alla disciplina delle armi — non è precluso in linea di principio al legislatore includere in una medesima previsione punitiva una pluralità di fattispecie diverse per struttura e disvalore: restando affidato in tal caso al giudice il compito di far emergere la differenza tra le varie ipotesi criminose, tramite la graduazione della pena da irrogare in concreto nell’ambito della cornice edittale (cfr. sentenza n. 285 del 1991; ordinanza n. 145 del 1998);
che, nel caso in esame, il significativo divario tra il minimo ed il massimo edittale della pena prevista dalla norma impugnata rende il trattamento punitivo ampiamente flessibile, in rapporto all’esigenza di adeguamento al differente disvalore delle singole infrazioni che — a seguito del richiamo, in funzione sanzionatoria, ai divieti ed obblighi stabiliti in materia di collezione di armi — rientrano nel campo di applicazione della norma stessa;
che — per quanto attiene poi, in particolare, al trattamento sanzionatorio riservato dalla norma censurata alla detenzione di munizioni, ancorché denunciate, relative alle armi da collezione — l’irragionevolezza della scelta legislativa non può essere desunta dal fatto che detta risposta punitiva risulta più severa di quella prefigurata per l’ipotesi generale della detenzione abusiva di munizioni, di cui all’art. 697 cod. pen., nonché per quella della detenzione di munizioni da guerra (art. 2 della legge 2 ottobre 1967, n. 895), allorché ricorra la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità, di cui all’art. 5 della medesima legge n. 895 del 1967;
che, infatti, il giudice rimettente trascura completamente di considerare il significato assunto — sul piano della valutazione della gravità dell’illecito — dall’elemento specializzante proprio dell’ipotesi criminosa delineata dal decimo comma dell’art. 10 della legge n. 110 del 1975 con il richiamo al nono comma dello stesso articolo: ossia la qualità di titolare di licenza di collezione di armi dell’autore del fatto;
che, invero — come questa Corte ha già avuto modo di sottolineare, in sede di esame di quesito di costituzionalità analogo a quello odierno — la detenzione di armi per finalità di collezione si caratterizza per il divieto di uso delle armi stesse da parte del detentore (cfr. ordinanza n. 68 del 1997): divieto a garanzia della cui osservanza è specificamente posta la proibizione assoluta di detenzione delle relative munizioni;
che, in simile prospettiva, appare dunque evidente l’eterogeneità dell’illecito represso dalla norma incriminatrice impugnata rispetto a quelli puniti dalle norme invocate come tertia comparationis: norme le quali assoggettano a pena la detenzione di munizioni di per sé, prescindendo — a livello di fattispecie astratta — dalla contestuale disponibilità di armi sul cui specifico regime giuridico detta detenzione si rifletta;
che, conseguentemente, risulta altrettanto evidente come la scelta di punire più severamente la detenzione di munizioni da parte del collezionista, pur se denunciate — rispetto alla detenzione di munizioni non denunciate per armi comuni da sparo da parte di altri soggetti, ovvero alla detenzione di munizioni da guerra (limitatamente, peraltro, in quest’ultimo caso, all’ipotesi in cui il fatto debba ritenersi di lieve entità) — rifletta un apprezzamento legislativo non palesemente irrazionale ed arbitrario: tale dovendosi ritenere, in specie, la valutazione per cui la contestuale disponibilità di una pluralità di armi e delle relative munizioni — da parte di soggetto autorizzato a detenere solo le prime, senza poterne far uso, e proprio per questo non le seconde — crea una situazione di maggior pericolo ed allarme sociale rispetto a quella ingenerata da chi detiene illecitamente soltanto delle munizioni;
che alla luce delle considerazioni che precedono va altresì esclusa l’asserita violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost.: violazione che il giudice a quo fa invero discendere, quale automatica conseguenza, unicamente dalla presunta irragionevolezza del trattamento sanzionatorio;
che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10, decimo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di Trento con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 maggio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2004.