ORDINANZA N. 302
ANNO 2004
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Valerio ONIDA Presidente
- Carlo MEZZANOTTE Giudice
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promossi con ordinanze del 17 gennaio 2003 dal Tribunale di Bolzano nel procedimento penale a carico di A.K.K. e del 18 novembre 2003 dal Tribunale di Reggio Emilia nel procedimento penale a carico di K.A., rispettivamente iscritte al n. 585 del registro ordinanze 2003 ed al n. 114 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2003 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2004 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Bolzano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui punisce con l’arresto da sei mesi ad un anno lo straniero che, «senza giustificato motivo», si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis del medesimo articolo;
che il giudice a quo premette di essere investito del processo penale nei confronti di una cittadina irachena imputata del reato previsto dalla norma impugnata, la quale — priva di documenti, di dimora, di denaro e di lavoro, e non in grado altresì di esprimersi in lingua italiana — si era presentata presso la questura di Bolzano, esponendo, senza specificarne le ragioni, la necessità di un prolungamento della sua permanenza in Italia per due giorni: circostanza nella quale era emerso che la donna — destinataria di provvedimento di espulsione e di conseguente ordine del questore di allontanamento entro cinque giorni dal territorio nazionale, ex art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 — si era ivi trattenuta oltre il termine;
che, ad avviso del rimettente, la norma incriminatrice impugnata, nel prevedere che il trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione dell’ordine del questore, integra il reato in assenza di «giustificato motivo», si porrebbe in contrasto con i principi di determinatezza della fattispecie criminosa e di personalità della responsabilità penale, sanciti dall’art. 25, secondo comma, e 27 Cost.;
che in difetto di «criteri selettivi e parametri oggettivi di apprezzamento», la generica formula in questione rimetterebbe, infatti, per un verso, al sostanziale arbitrio dell’interprete la valutazione dell’idoneità o meno del comportamento ad integrare l’illecito; e non consentirebbe, per un altro verso, al destinatario dell’ordine di comprendere quale sia la condotta atta ad evitare la violazione della norma penale: e ciò tanto più in quanto quest’ultima si indirizza esclusivamente a stranieri;
che il principio di colpevolezza — costituente espressione essenziale del carattere personale della responsabilità penale e presupposto, al tempo stesso, della funzione rieducativa della pena — sarebbe altresì compromesso in quanto i «giustificati motivi», di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, «dovrebbero includere tutte le situazioni in cui l’ordine del questore non sia eseguibile per impossibilità soggettiva o oggettiva senza colpa del soggetto», non potendo il destinatario dell’intimazione essere chiamato a rispondere — senza un vulnus del suddetto parametro — di una inosservanza che non aveva comunque modo di evitare;
che la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 3 Cost., in quanto parificherebbe situazioni del tutto diverse sotto il profilo del disvalore, quali quelle di chi può evitare l’inottemperanza all’ordine e di chi non è in grado di farlo, facendo inoltre ricadere su un soggetto incolpevole le conseguenze di una situazione di fatto che lo Stato è tenuto a rimuovere;
che sarebbe violato, ancora, il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., stante l’impossibilità per l’imputato di stabilire a priori — proprio a causa dell’indeterminatezza della fattispecie, nella parte in cui fa riferimento all’assenza di «giustificato motivo» — quale sia la prova idonea a far ritenere soddisfatto il precetto;
che, da ultimo, l’entità della pena comminata — arresto da sei mesi ad un anno — apparirebbe di dubbia proporzionalità rispetto al fatto tipico e tale da determinare una ingiustificata disparità di trattamento, in ulteriore violazione dell’art. 3 Cost.;
che anche il Tribunale di Reggio Emilia ha sollevato, con l’ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale del citato art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, in riferimento, peraltro, al solo art. 25 Cost., sotto il profilo della indeterminatezza del concetto di «giustificato motivo»;
che, ad avviso del giudice a quo, si tratterebbe di espressione eccessivamente lata e generica, tale da abbracciare una gamma di ipotesi non solo non determinata, ma neppure determinabile a priori in base a criteri obiettivi e precisi: con la conseguenza che — in violazione del principio di tassatività della norma penale — la definizione dei limiti del precetto resterebbe rimessa integralmente all’interprete;
che nel primo dei due giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata.
Considerato che le ordinanze di rimessione propongono analoghe questioni, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione;
che nell’ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia manca qualsiasi descrizione della fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo, onde la questione da essa sollevata va dichiarata manifestamente inammissibile per carenza di motivazione sulla rilevanza, solo apoditticamente affermata dal rimettente;
che i dubbi di legittimità costituzionale formulati dal Tribunale di Bolzano sono stati, d’altro canto, già scrutinati, per la quasi totalità, da questa Corte, che ne ha escluso la fondatezza (cfr. sentenza n. 5 del 2004; ordinanza n. 80 del 2004);
che questa Corte ha in particolare rilevato come l’impiego — nella norma incriminatrice di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 — della clausola elastica «senza giustificato motivo» non comporti una violazione del principio di determinatezza dell’illecito penale, giacché la finalità dell’incriminazione (rendere effettivo il provvedimento di espulsione, rimuovendo situazioni di illiceità o di pericolo correlate alla presenza dello straniero nel territorio dello Stato) ed il quadro normativo in cui essa si innesta (che vede regolati in modo diverso, anche a livello costituzionale, l’ingresso e la permanenza degli stranieri nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti il diritto di asilo o rifugiati, ovvero di c.d. “migranti economici”) consentono comunque al giudice di stabilire il significato della formula considerata mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato; e, correlativamente, permettono al destinatario della norma incriminatrice di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo;
che, nella prospettiva indicata, risulta infatti evidente come la clausola in questione abbia riguardo a situazioni ostative di particolare pregnanza che — anche senza integrare delle cause di giustificazione in senso tecnico — incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; non anche, invece, ad esigenze che riflettano la condizione tipica del “migrante economico”, sebbene espressive di istanze in sé e per sé pienamente legittime: salvo, s’intende, che ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall’ordinamento;
che il necessario coordinamento della norma incriminatrice con le altre disposizioni del d.lgs. n. 286 del 1998 rende per altro verso palese come i motivi che, a mente dell’art. 14, comma 1, di tale decreto legislativo, legittimano la pubblica amministrazione a non procedere, in deroga al drastico imperativo di cui all’art. 13, comma 4 («l’espulsione è sempre eseguita …»), all’accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera — necessità di soccorso, difficoltà nell’ottenimento dei documenti per il viaggio, indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo — non possono non costituire sicuri indici di riconoscimento di situazioni nelle quali può ravvisarsi un «giustificato motivo» di inottemperanza dello straniero all’ordine del questore;
che, in tal ottica, resta dunque escluso sia che la norma incriminatrice si presti a reprimere anche inottemperanze dovute a situazioni di impossibilità incolpevole — oggettiva o soggettiva — di adempimento del precetto; sia, conseguentemente, che la stessa parifichi irragionevolmente situazioni diverse, quali quelle dello straniero che è in grado di adempiere all’ordine e dello straniero che non lo è;
che l’insussistenza della violazione del principio di determinatezza esclude, d’altro canto, anche la configurabilità di una lesione del diritto di difesa, sotto il profilo della “non conoscibilità” a priori delle situazioni idonee ad integrare il «giustificato motivo», da parte del destinatario del precetto;
che quanto, poi, alla presunta violazione dell’art. 3 Cost. connessa alla sproporzione della pena rispetto al fatto tipico — unica censura aggiuntiva formulata (in modo peraltro puramente assertivo) dall’odierna ordinanza di rimessione rispetto a quelle già esaminate — va ribadito che la configurazione delle ipotesi criminose e la determinazione della pena per ciascuna di esse rientra nella discrezionalità del legislatore, le cui scelte sono suscettibili di sindacato di costituzionalità solo nel caso di manifesta irrazionalità (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 117 del 2003; n. 144 del 2001; n. 58 del 1999): irrazionalità che, nella specie, non risulta in alcun modo argomentata dal giudice a quo;
che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 13, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevata, in riferimento all’art. 25 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Emilia con l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 27 della Costituzione, dal Tribunale di Bolzano con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 settembre 2004.
Valerio ONIDA, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 29 settembre 2004.