SENTENZA N. 129
ANNO 2006
Commento alla decisione
di
Alessandro Venturi
(per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
composta dai signori:
-
Annibale MARINI Presidente
-
Franco BILE Giudice
-
Giovanni Maria FLICK ”
-
Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
-
Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
-
Gaetano SILVESTRI ”
-
Sabino CASSESE ”
-
Maria Rita SAULLE ”
-
Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 9, commi 12 e
Visto
l’atto di costituzione della Regione Lombardia nonché gli atti di intervento
di TIM ITALIA S.p.a. e di VODAFONE OMNITEL N.V.;
udito
nell’udienza pubblica del 21 febbraio 2006 il Giudice relatore Gaetano
Silvestri;
uditi
l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei
ministri e gli avvocati Andrea Manzi e Nicolò Zanon per
Ritenuto in
fatto
1. – Con ricorso notificato il 16 maggio 2005 e depositato il 24 maggio
2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità
costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, commi 12 e 13, e dell’art.
11, comma 3; dell’art. 19, comma 2, lettera b),
numero 2, e dell’art. 10, comma 1, lettera d),
entrambi in relazione all’art. 55, comma 1, lettera b), e all’art. 57, comma 1, lettere a) e b); dell’art. 27,
comma 1, lettera e), numero 4, e
dell’art. 33 della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge
per il governo del territorio), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 11 del 16
marzo
L’Avvocatura dello Stato, preliminarmente, precisa
che la presentazione del ricorso è stata decisa dal Consiglio dei ministri
nella riunione del 13 maggio 2005 e che «si depositeranno» estratto del verbale
e relazione del Ministro proponente. L’estratto e la relazione risultano però
depositati contestualmente al ricorso.
Il ricorrente passa poi ad inquadrare l’oggetto della
legge impugnata nella materia «governo del territorio» di cui all’art. 117,
terzo comma, Cost. ed inizia l’esame delle singole norme poste ad oggetto del
ricorso.
1.1. – In primo luogo, è censurato il combinato
disposto dell’art. 9, commi 12 e 13, e dell’art. 11, comma 3. Il comma 12
dell’art. 9 prevede la possibilità da parte del proprietario di un’area
sottoposta a vincoli espropriativi di realizzare direttamente attrezzature e
servizi indicati dal «piano dei servizi», per la cui attuazione è preordinato
il vincolo di espropriazione. Il successivo comma 13 stabilisce che «non
configurano vincolo espropriativo e non sono soggette a decadenza le previsioni
del piano dei servizi che demandino al proprietario dell’area la diretta
realizzazione di attrezzature e servizi, ovvero ne contemplino la facoltà in
alternativa all’intervento della pubblica amministrazione». Infine, l’art. 11,
al comma 3, dopo aver stabilito che «alle aree destinate alla realizzazione di
interventi di interesse pubblico o generale, non disciplinate da piani e da
atti di programmazione, possono essere attribuiti, a compensazione della loro
cessione gratuita al Comune, aree in permuta o diritti edificatori trasferibili
su aree edificabili previste dagli atti di PGT anche non soggette a piano
attuativo», prevede che, in alternativa a tale attribuzione di diritti
edificatori, «sulla base delle indicazioni del piano dei servizi il
proprietario può realizzare direttamente gli interventi di interesse pubblico o
generale, mediante accreditamento o stipulazione di convenzione con il Comune per
la gestione del servizio».
L’Avvocatura dello Stato ritiene che le norme sopra
indicate, qualora l’entità dei lavori da realizzare superi la soglia stabilita
dalla normativa comunitaria, si pongano in contrasto con quest’ultima e con la
normativa statale che disciplina le modalità di affidamento degli appalti
pubblici di lavori e servizi. In particolare, sarebbero violati i principi
generali del Trattato sull’Unione europea in materia di tutela della
concorrenza e, nell’ambito specifico degli appalti, le direttive del Consiglio
delle Comunità europee 92/50 del 18 giugno 1992 (Direttiva del Consiglio che
coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi),
93/36 del 14 giugno 1993 (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di
aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture), 93/37 (Direttiva del
Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di
lavori), 93/38 (Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di appalto
degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi
di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle
telecomunicazioni), e le relative norme statali di attuazione, che prevedono il
ricorso a procedure di aggiudicazione ad evidenza pubblica per la realizzazione
degli interventi in questione. In proposito viene specificamente richiamato
l’art. 19, comma 01, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in
materia di lavori pubblici), secondo cui i lavori pubblici possono essere
realizzati esclusivamente mediante contratto di appalto o di concessione;
quest’ultimo contratto, come ricorda il ricorrente, negli anni è stato
equiparato dalla normativa comunitaria agli appalti pubblici, quanto alla
procedura di scelta del contraente, proprio per evitare che diventasse uno
strumento per eludere la disciplina comunitaria in materia.
Nel ricorso governativo si osserva che lo «scambio»
ipotizzato nelle norme impugnate, tra il proprietario dell’area, che realizza
direttamente i servizi previsti nel piano, e l’ente pubblico, che li acquista,
«riguarda comunque valori e diritti di stretta pertinenza pubblica, in
relazione ai quali il soggetto privato acquista connotazioni tipiche di
"organismo di diritto pubblico”, tali da non poter ragionevolmente sottrarsi
all’onere di realizzare tali interventi (finanziati, come detto, in tutto o in
parte con risorse e diritti di appartenenza pubblica) attraverso procedure di
evidenza pubblica che assicurino il miglior uso delle risorse collettive». Si
ricorda, al riguardo, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità
europee, sez. VI, del 12 luglio
1.2. – Sono oggetto di censura, inoltre, l’art. 19, comma 2, lettera b), numero 2, e l’art. 10, comma 1,
lettera d), entrambi in relazione
all’art. 55, comma 1, lettera b), e
all’art. 57, comma 1, lettere a) e b), della impugnata legge della Regione
Lombardia.
La prima delle norme citate prevede che il piano
territoriale regionale definisca gli indirizzi generali per il riassetto del territorio
ai fini della prevenzione dei rischi geologici, idrogeologici e sismici,
secondo quanto disposto dall’articolo 55, comma 1, lettera b). Quest’ultima norma, a sua volta, assegna alla competenza della
Giunta regionale la definizione degli «indirizzi per il riassetto del
territorio, anche in raccordo con i contenuti dei piani di bacino, ai fini
della prevenzione dei rischi geologici ed idrogeologici e della loro
mitigazione», nonché delle «direttive per la prevenzione del rischio sismico e
l’individuazione delle zone sismiche, ivi compresi la formazione e
l’aggiornamento degli elenchi delle zone medesime».
L’art. 57 stabilisce che, nel piano di governo del
territorio, il «documento di piano» contenga la definizione dell’assetto
geologico, idrogeologico e sismico comunale sulla base dei criteri ed indirizzi
emanati dalla Giunta regionale e che il piano delle regole dia attuazione ai
criteri e agli indirizzi in parola.
A parere del ricorrente le norme suddette si porrebbero in
contrasto con l’art. 107 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed
agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) e
con l’art. 5 del decreto-legge 7
settembre 2001, n. 343 (Disposizioni
urgenti per assicurare il coordinamento operativo delle strutture preposte alle
attività di protezione civile e per migliorare le strutture logistiche nel
settore della difesa civile), convertito, con modificazioni, dall’art. 1
della legge 9 novembre 2001, n. 401. Queste due norme, ritenute principi
fondamentali della materia protezione civile, vincolanti pertanto la relativa
potestà concorrente delle Regioni, affermerebbero la competenza statale in
ordine alla predisposizione degli indirizzi e dei criteri generali nonché delle
direttive per la previsione e la prevenzione delle varie ipotesi di rischio.
Per le stesse ragioni viene censurato l’art. 10, comma 1,
lettera d), nella parte in cui si
richiama a quanto previsto dall’art. 57, comma 1, lettera b).
1.3. – Infine, le censure governative si appuntano sull’art. 27, comma 1,
lettera e), numero 4, e sull’art. 33
della citata legge regionale n. 12 del 2005. La prima delle due norme afferma
che «l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e
di ripetitori per i servizi di telecomunicazione» rientra fra gli «interventi
di nuova costruzione», cioè fra quelli di trasformazione edilizia e urbanistica
del territorio. Di conseguenza l’installazione di torri, tralicci e ripetitori
di cui sopra è soggetta a permesso di costruire ai sensi dell’art. 33 della
legge impugnata.
Secondo il ricorrente le norme in parola, sottoponendo l’installazione
degli impianti di comunicazione elettronica ad un iter autorizzatorio
comunale «ulteriore» rispetto a quello già previsto dall’art. 87 del decreto
legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche),
attuativo di alcune direttive comunitarie, darebbero vita ad un «ingiustificato
appesantimento del procedimento», con conseguente violazione della normativa
nazionale e comunitaria richiamata.
In particolare, la difesa erariale ricorda come il Consiglio di Stato,
con la sentenza n. 100 del 2005, abbia stabilito che la procedura di
autorizzazione da applicare al riguardo sia soltanto quella di cui all’art. 87
del citato d.lgs. n. 259 del 2003 e non risulti pertanto necessario il rilascio
del permesso di costruire.
2. – Si è costituita in giudizio, con memoria
depositata il 6 giugno 2005,
3. – In data 27 giugno 2005, TIM ITALIA S.p.a. ha
depositato atto di intervento chiedendo che sia accolto il ricorso del Governo
e che la legge reg. della Lombardia n. 12 del 2005 sia quindi dichiarata
costituzionalmente illegittima, nei termini indicati dal ricorrente.
4. – In data 5 luglio 2005, VODAFONE OMNITEL N.V. ha
depositato atto di intervento chiedendo che sia accolto il ricorso del Governo.
5. – In data 20 settembre 2005,
5.1. – Con detta memoria la difesa regionale,
preliminarmente, eccepisce l’inammissibilità del ricorso del Governo, in quanto
quest’ultimo è stato depositato senza il contestuale deposito del verbale del
Consiglio dei ministri e della relazione ministeriale.
Secondo la resistente, ciò avrebbe privato
La difesa regionale esclude, in particolare, che
possa pervenirsi a conclusione diversa dall’inammissibilità del ricorso sulla
scorta delle sentenze
n. 134 del 2004 e n. 321 del 2005
di questa Corte. A detta della Regione, il fatto che nei relativi giudizi
5.2. – Passando alle norme oggetto delle singole
censure governative,
In merito alle censure mosse all’art. 9, comma 12, e
all’art. 11, comma 3, la resistente ricorda che, secondo il ricorrente,
sarebbero violate le norme di principio dettate in materia di lavori pubblici e
le norme comunitarie relative alle modalità di affidamento degli appalti
pubblici di lavori e servizi. Al riguardo, la difesa regionale osserva che,
dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, non può più
parlarsi della materia «lavori pubblici» e che, come affermato da questa Corte
nella sentenza
n. 303 del 2003, si tratta di «ambiti di legislazione che non integrano una
vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale
afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà
legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti».
A detta della Regione, pertanto, le norme della legge
impugnata vanno inquadrate nella materia dell’urbanistica e quindi in quella
del «governo del territorio».
La difesa regionale, dopo aver sottolineato l’estrema
difficoltà di individuare i principi fondamentali in siffatta materia, ritiene
che possa essere utile, pur non costituendo ancora diritto vigente, l’esame del
disegno di legge AS 3519 (Principi in materia di governo del territorio). In
particolare,
Pur ribadendo che si tratta di norme non ancora
vigenti, la resistente ritiene che esse non costituiscano «una novità assoluta
nel panorama dell’urbanistica»; il disegno di legge citato rappresenterebbe,
infatti, «soltanto la conferma definitiva dell’ingresso dei principi
"consensual-perequativi” all’interno della materia urbanistica». In proposito,
la difesa della Regione ricorda come la legislazione statale e regionale
preveda già il ricorso ad alcune forme di accordi pubblico-privato,
analogamente a quanto introdotto dalle norme impugnate.
Si sottolinea, poi, come l’adozione di modelli
perequativi risponda alla necessità di coniugare le scelte urbanistiche con le
esigenze di uguaglianza e giustizia sociale. Inoltre le norme della Regione
Lombardia troverebbero, a suo dire, ampia copertura nel principio di
sussidiarietà orizzontale di cui al nuovo art. 118 Cost., nonché nella sentenza n. 179 del
1999 di questa Corte, nella quale è stata riconosciuta la validità dell’accordo
tra il privato e l’amministrazione pubblica nella materia in questione.
Per quanto attiene alla presunta violazione del
diritto comunitario, la difesa regionale contesta che il privato, realizzando i
servizi e le attrezzature pubbliche grazie al finanziamento, totale o parziale,
da parte della pubblica amministrazione, acquisti la veste di organismo di
diritto pubblico. Al riguardo
Nel caso di specie, alla luce di quanto sopra,
dovrebbe escludersi l’esistenza dei requisiti di cui alle lettere a) e b):
infatti, per un verso, la nozione di organismo «sembra indicare sempre e
comunque un "ente”, una "persona giuridica”, e difficilmente può estendersi a
ricomprendere una persona fisica», mentre, per altro verso, la legge «in nessun
modo prevede che l’opera venga finanziata attraverso contributi statali».
In merito poi alla sentenza della Corte di giustizia
12 luglio 2001 (C-399/98), citata dal ricorrente, la difesa della Regione
Lombardia osserva come la controversia risolta in quella sede presentasse
profili assai diversi da quelli dell’odierno giudizio. In particolare, la
differenza tra i due casi emergerebbe dal fatto che le norme della Regione
Lombardia non si rivolgono al titolare di una concessione o di un piano di
lottizzazione, come nel caso risolto dalla Corte di giustizia, ma al
proprietario dell’area. Ciò renderebbe «non comparabili» le due situazioni,
anche in considerazione del fatto che, nella normativa oggi impugnata, si
prevede che l’area resti di proprietà privata.
Sempre in relazione alla presunta violazione del
diritto comunitario, la difesa regionale ricorda come i requisiti stabiliti
dall’art. 1, lettera a), della
direttiva 93/37/CEE, ai fini dell’applicazione della stessa, siano sei: 1) la
contrattualità; 2) l’onerosità; 3) la forma scritta del contratto; 4) la
qualifica soggettiva di amministrazione aggiudicatrice per una parte; 5) la
qualificazione soggettiva di imprenditore per l’altra; 6) la natura di opera
pubblica dell’oggetto dei lavori.
In particolare
In via subordinata, qualora
5.3. – In merito alle censure mosse all’art. 19, comma 2, lettera b), numero 2, e all’art. 10, comma 1,
lettera d), entrambi in relazione
all’art. 55, comma 1, lettera b), e
all’art. 57, comma 1, lettere a) e b), della citata legge della Regione
Lombardia, la difesa regionale ritiene che esse siano infondate per i motivi di
seguito esposti.
In particolare, si sottolinea come l’intero sistema
della protezione civile, secondo quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 327 del
2003, sia «ispirato ad un modello non più centralizzato, ma caratterizzato
da una organizzazione diffusa a carattere policentrico». In questo modello un
«rilevante ruolo» sarebbe riconosciuto alle Regioni, sia per l’adozione di atti
normativi, sia per lo svolgimento di funzioni amministrative.
A detta della resistente le norme impugnate, e
specificamente l’art. 55, sarebbero rispettose dell’art. 108 del d.lgs. n. 112
del 1998, che attribuisce alle Regioni le funzioni relative alla
predisposizione degli indirizzi di previsione e prevenzione dei rischi, sulla
base degli indirizzi nazionali, e di quelle relative agli indirizzi per la
predisposizione dei piani provinciali di emergenza in caso di eventi
calamitosi.
Ulteriori conferme della competenza regionale in
materia si avrebbero dalla sentenza n. 228 del
2003, in relazione al d.l. n. 343 del 2001, e dal decreto-legge 31 maggio
2005, n. 90 (Disposizioni urgenti in materia di protezione civile) che,
all’art.
A parere della difesa regionale, la conferma decisiva
si avrebbe, comunque, dalla sentenza n. 327 del
2003 di questa Corte. Nell’occasione sono state dichiarate infondate alcune
questioni di legittimità costituzionale su norme della Regione Marche che, a
detta della resistente, attribuiscono alla competenza regionale funzioni
«analoghe» a quelle previste dalla legge lombarda oggetto del presente
giudizio.
5.4. – Infine, in relazione all’art. 27, comma 1,
lettera e), numero 4, e all’art. 33
della citata legge regionale n. 12 del 2005,
Nel merito, la difesa regionale ritiene che il
ricorso sia infondato. Al riguardo, si ricorda come questa Corte, con la sentenza n. 303 del
2003, abbia dichiarato l’illegittimità costituzionale, per eccesso di
delega, del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la
realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la
modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della
legge 21 dicembre 2001, n. 443), il quale, al comma 2 dell’art. 3,
stabiliva che le stazioni radio base per reti di comunicazione mobili GSM/UMTS
«sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in
ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici
e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento».
In particolare, osserva la resistente, questa Corte
ha riconosciuto (sentenza
n. 307 del 2003) che «l’autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali
di regolare l’uso del proprio territorio trova pieno vigore, purché criteri
localizzativi e standard urbanistici rispettino le esigenze della
pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da
impedire od ostacolare ingiustificatamente l’insediamento degli stessi».
Di conseguenza, sempre a detta della difesa
regionale, stante il disposto dell’art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 259 del
2003, il quale assimila le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione
alle opere di urbanizzazione primaria, soggette a permesso di costruire, deve
ritenersi che anche per le infrastrutture citate sia necessario il «titolo
abilitativo edilizio».
5.5. – Infine
6. – In prossimità dell’udienza TIM ITALIA S.p.a. ha
depositato una memoria nella quale, preliminarmente e con specifico riguardo
alle censure mosse agli artt. 27 e 33 della legge impugnata, sostiene di avere
un «interesse rilevante, autonomo e particolarmente qualificato ad ottenere
l’accertamento della illegittimità» delle norme censurate dal Governo.
Trattandosi infatti di soggetto titolare di licenze per l’installazione e
l’esercizio di reti di radiotelefonia cellulare, osserva la difesa
dell’interveniente, l’esito del giudizio di legittimità costituzionale avrà «un
effetto diretto e immediato» sulla sua sfera giuridica.
In particolare, si rileva come «l’installazione,
l’esercizio e la fornitura di reti di telecomunicazione, nonché la prestazione
dei servizi ad essa connessi accessibili al pubblico» costituiscano «attività
di preminente interesse generale» ai sensi dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. n.
259 del 2003. Inoltre, il possesso della licenza per i servizi di telefonia
mobile «costituisce dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e
urgenza delle opere di realizzazione della rete».
Quindi la società interveniente, in quanto titolare
di licenza di un’attività di preminente interesse generale, presenterebbe «un
puntuale titolo di qualificazione all’intervento». Ad ulteriore sostegno di
queste considerazioni, si osserva che TIM ha altresì l’obbligo di assicurare il
«servizio universale» ai sensi del decreto del Ministro delle comunicazioni 10
marzo 1998 (Finanziamento del servizio universale nel settore delle
telecomunicazioni), inteso come insieme minimo di servizi di qualità a
disposizione della generalità dell’utenza. Inoltre, la rete di telefonia mobile
è definita come «strumento dell’azione amministrativa di protezione civile».
Dopo aver sinteticamente illustrato i principi
fondamentali vigenti nella normativa comunitaria in materia, la difesa
dell’interveniente conclude sul punto sottolineando «l’estrema rilevanza che ha
per il gestore l’eliminazione di norme regionali che bloccano la realizzazione
in modo celere della rete», nonché l’«innegabile» utilità della partecipazione
al processo da parte del gestore «al fine di una esauriente acquisizione di
elementi oggettivi di giudizio». Si precisa infine che dall’eventuale rigetto
del ricorso del Governo, TIM subirebbe una «diretta e irrimediabile lesione
della propria sfera giuridica e precisamente del proprio diritto costituzionale
di libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.)»; tra l’altro, quanto
statuito dalla Corte costituzionale, se non venisse ammesso l’intervento in
giudizio, risulterebbe «incontestabile in altre sedi giudiziarie», con
conseguente pregiudizio del diritto di difesa.
Qualora, poi,
Nel merito, la difesa della società chiede che sia
accolto il ricorso presentato avverso la legge della Regione Lombardia n. 12
del 2005.
7. – In prossimità dell’udienza VODAFONE OMNITEL N.V.
ha depositato una memoria nella quale, preliminarmente, chiede venga
riconsiderato l’orientamento di questa Corte, che nega l’ammissibilità
dell’intervento, nei giudizi di legittimità costituzionale promossi in via
principale, di soggetti diversi da quelli titolari delle potestà legislative
della cui delimitazione si discute.
In particolare, un’apertura in tal senso sarebbe
rinvenibile nell’ordinanza
n. 20 del 2005, nella quale gli interventi in giudizio di soggetti diversi
da quelli legittimati al ricorso sono stati dichiarati inammissibili «non
essendo stati addotti argomenti che inducano questa Corte ad abbandonare il
proprio precedente indirizzo». Osserva l’interveniente che, a contrario, «in talune circostanze e a
fronte di validi motivi»
Nel caso di specie la società interveniente ritiene
che sussistano i presupposti per l’ammissibilità del suo intervento,
rappresentati dalla titolarità di licenze individuali rilasciate dal Ministero
delle comunicazioni, dal carattere di «preminente interesse generale»
riconosciuto dal legislatore nazionale agli impianti di telecomunicazioni,
dagli effetti «rilevanti, diretti ed immediati» che l’eventuale dichiarazione
di illegittimità costituzionale delle norme impugnate produrrebbe sull’attività
svolta da VODAFONE ed infine dalla ingiustificata compressione del diritto di
difesa che essa subirebbe qualora l’intervento fosse dichiarato inammissibile.
Nel merito la difesa della società chiede che sia
accolta la questione di legittimità costituzionale promossa dal Governo e che
sia dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 27, comma 1, lettera e), numero 4, e 33 della legge della
Regione Lombardia n. 12 del 2005.
8. – In prossimità dell’udienza
Al riguardo si sottolinea come esso, pur non essendo
attualmente diritto vigente, risulti «non irrilevante» ai fini della risoluzione
del presente giudizio; si tratta infatti di principi già esistenti in materia.
8.1. – Con riferimento al primo motivo di ricorso,
avente ad oggetto l’art. 9, commi 12 e 13, e l’art. 11, comma 3, della legge
impugnata, la resistente ritiene di particolare interesse il contenuto
dell’art. 8, commi 11 e 16, dello schema di decreto legislativo sopra citato.
In particolare, il comma 11 prevede la possibilità per l’amministrazione di
ricorrere all’«iniziativa economica privata, o mista pubblica-privata, tramite
strumenti di convenzionamento, senza la necessità di ablazione del bene
privato» al fine di realizzare obiettivi di interesse generale per dotare il
territorio di attrezzature e servizi.
Il comma 16 del medesimo art. 8, invece, stabilisce
che l’amministrazione, «ai fini dell’attuazione dello strumento urbanistico
generale», può applicare il principio della «perequazione urbanistica»,
consistente «nel riconoscere a tutte le proprietà immobiliari ricomprese in
ambiti oggetto di trasformazione urbanistica un diritto edificatorio la cui
entità sia indifferente rispetto alla destinazione d’uso, ma derivi invece
dallo stato di fatto e di diritto in cui si trovano le proprietà stesse al
momento della formazione del piano urbanistico».
I principi espressi dalle due norme sopra menzionate,
a detta della difesa regionale, coinciderebbero con quelli che ispirano le
norme regionali impugnate.
Da questa disposizione, a detta della difesa
regionale, si ricaverebbe a contrario
che le norme regionali impugnate non si porrebbero in contrasto con alcun
principio fondamentale, non prevedendo in nessun modo che l’opera venga
finanziata attraverso contributi statali.
8.2. – Anche per quanto attiene al secondo motivo di
ricorso, la difesa della Regione Lombardia ritiene che possano trarsi utili
indicazioni dallo schema di decreto legislativo citato. La resistente si
sofferma in special modo sull’art. 8, comma 1-bis, il quale stabilisce che le Regioni emanino norme «sui criteri
per la formazione degli strumenti urbanistici ai fini della prevenzione del
rischio sismico», e sull’art. 51, che si limita a disporre un rinvio agli
articoli da
Fra le norme cui fa rinvio l’art. 51, la difesa
regionale reputa di particolare importanza l’art. 83 del t.u. sull’edilizia,
secondo il quale «le Regioni, sentite le Province e i Comuni interessati,
provvedono alla individuazione delle zone dichiarate sismiche, alla formazione
e all’aggiornamento degli elenchi delle medesime zone e dei valori attribuiti
ai gradi di sismicità, nel rispetto dei criteri generali».
Si sottolinea, inoltre, come l’art. 89 del t.u.
individui nell’ufficio tecnico regionale l’autorità competente a fornire, ai
Comuni nei quali sono applicabili le norme relative alla prevenzione sismica,
il parere sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati e sulle
lottizzazioni e loro varianti.
8.3. – In merito all’ultimo motivo di ricorso, la
difesa regionale ribadisce che il d.lgs. n. 259 del
La resistente ritiene, al riguardo, che «l’unicità e
l’onnicomprensività» dell’autorizzazione prevista nel Codice delle
comunicazioni elettroniche avrebbero dovuto essere esplicitamente previste,
come nel d.lgs. n. 198 del 2002. Di conseguenza, nel silenzio del legislatore
statale, le norme regionali non contrastano con i principi fondamentali in
materia.
Infine, si sottolinea come il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, sez. I-quater,
con ordinanza 16 dicembre 2004, n. 16332, abbia sollevato questione di
legittimità costituzionale degli artt. 87 e 88 del Codice delle comunicazioni,
in riferimento agli artt. 3, 76, 97 e 117 Cost. In particolare, secondo il
Tribunale rimettente, la violazione dell’art. 76 Cost. si avrebbe in quanto
l’art. 41 della legge delega 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di
infrastrutture e trasporti), non avrebbe affidato al Governo la revisione della
disciplina urbanistico-edilizia con specifico riguardo al permesso di
costruire.
Inoltre, gli artt. 87 e 88 sarebbero lesivi delle
competenze regionali in materia di governo del territorio.
La difesa regionale conclude affermando l’esistenza
di un rapporto di pregiudizialità tra la questione di cui ora si discute e
quella sollevata dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con la
conseguenza che un eventuale accoglimento di quest’ultima non potrebbe che
comportare il rigetto del presente ricorso governativo.
Considerato in
diritto
1. – Con ricorso notificato il 16 maggio 2005 e depositato il 24 maggio
2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità
costituzionale del combinato disposto dell’art. 9, commi 12 e 13, e dell’art.
11, comma 3; dell’art. 19, comma 2, lettera b),
numero 2, e dell’art. 10, comma 1, lettera d),
entrambi in relazione all’art. 55, comma 1, lettera b), e all’art. 57, comma 1, lettere a) e b); dell’art. 27,
comma 1, lettera e), numero 4, e
dell’art. 33 della legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge
per il governo del territorio), pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione n. 11 del 16
marzo
2. – Preliminarmente
vanno dichiarati inammissibili gli interventi nel presente procedimento di TIM
ITALIA S.p.a. e di VODAFONE OMNITEL N.V. Infatti, nel giudizio di costituzionalità delle leggi
promosso in via d’azione, parti sono soltanto i soggetti titolari delle potestà
legislative in contestazione. Pertanto, alla stregua della normativa in vigore
e conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte (ex
plurimis: sentenze numeri 80, 59 e
51 del 2006, 469 e 383 del 2005), non è ammesso l’intervento in tali giudizi di soggetti privi di potere
legislativo.
3. –
L’eccezione non può
essere accolta.
I due documenti prima
citati risultano essere stati effettivamente depositati presso la cancelleria
della Corte costituzionale e non emergono elementi per ritenere che tale
deposito non sia stato contestuale a quello del ricorso.
4. – Con specifico riguardo
alle censure contenute nel ricorso governativo, va anzitutto dichiarata
l’inammissibilità di quella avente ad oggetto il comma 13 dell’art. 9 della
legge regionale impugnata, in quanto manca ogni motivazione circa la sua
asserita illegittimità costituzionale. La norma in questione si limita infatti
a stabilire che non costituiscono vincolo espropriativo e non sono soggette a
decadenza le previsioni del piano dei servizi che demandino al proprietario
dell’area la diretta realizzazione di attrezzature e servizi, ovvero ne
contemplino la facoltà in alternativa all’intervento della pubblica
amministrazione. Nessun legame emerge tra tale disposizione e le questioni di
legittimità costituzionale illustrate nel ricorso dall’Avvocatura dello Stato,
con la conseguenza che la stessa non può essere assoggettata a controllo di
costituzionalità.
5. – Espunto il comma
13 dell’art. 9 della legge regionale impugnata, rimane da esaminare la censura
riguardante il comma 12 del medesimo articolo, in combinato disposto con l’art.
11, comma 3, della stessa legge. Il ricorrente sostiene che tale norma sia
costituzionalmente illegittima perché non prevede – e quindi implicitamente
esclude – che nell’ipotesi di realizzazione diretta, da parte del proprietario
dell’area sottoposta a vincolo espropriativo, delle attrezzature e dei servizi
per la cui attuazione è preordinato il detto vincolo, la scelta del contraente,
per appalti che eguaglino o superino la soglia comunitaria, avvenga secondo
procedure di evidenza pubblica. Vi sarebbe violazione delle direttive del
Consiglio delle Comunità europee 92/50 del 18 giugno 1992 (Direttiva del
Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici
dei servizi), 93/36 del 14 giugno 1993 (Direttiva del Consiglio che coordina le
procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture), 93/37
(Direttiva del Consiglio che coordina le procedure di aggiudicazione degli
appalti pubblici di lavori) e 93/38 (Direttiva del Consiglio che coordina le
procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che
forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle
telecomunicazioni) e quindi dell’art. 117, primo comma, della Costituzione.
5.1. – La questione è
fondata nei limiti di seguito precisati.
5.2. – La normativa
comunitaria in materia di appalti pubblici, contenuta in un gruppo di
direttive, che hanno ricevuto attuazione mediante atti legislativi nazionali, prevede
che in ogni caso, quando si realizzi un’opera o si affidi un servizio o una
fornitura per importi uguali o superiori ad un certo valore, il soggetto che
procede all’appalto debba adottare procedure di evidenza pubblica per la scelta
del contraente. L’obbligo sussiste sia che l’attribuzione dell’appalto spetti
ad un ente pubblico territoriale o ad altro «organismo di diritto pubblico»
(secondo la dizione delle direttive prima citate), sia che lo stesso venga
effettuato da un privato, il quale in tal caso assume – come chiarito dalla
Corte di giustizia delle Comunità europee – la veste di «titolare di un mandato
espresso», conferito dall’ente pubblico che intende realizzare l’opera o il
servizio (sentenza 12 luglio
Il principio fissato
dalla Corte di giustizia è stato riversato nell’ordinamento italiano per mezzo
dell’art. 2, comma 5, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in
materia di lavori pubblici), nel testo sostituito dall’art. 7, comma 1, della
legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e
trasporti), che, riferendosi agli interventi eseguiti direttamente dai privati
a scomputo di contributi connessi all’attività edilizia o alla lottizzazione di
aree, stabilisce che «per le singole opere d’importo superiore alla soglia
comunitaria i soggetti privati sono tenuti ad affidare le stesse nel rispetto
delle procedure di gara previste dalla […] direttiva 93/37/CEE».
La fattispecie
configurata dalle norme regionali impugnate è assimilabile a quella oggetto
delle direttive comunitarie sopra citate, nell’interpretazione datane dalla
Corte di giustizia e riprodotta dal legislatore nazionale italiano. Si tratta
infatti di accordi che i privati proprietari di aree destinate ad essere
espropriate per la realizzazione di attrezzature e servizi pubblici possono
stipulare con il Comune competente, in base ai quali «il proprietario può
realizzare direttamente gli interventi di interesse pubblico o generale,
mediante accreditamento o stipulazione di convenzione con il Comune per la
gestione del servizio» (art. 11, comma 3, della legge reg. Lombardia n. 12 del
2005). Si tratta quindi di accordi a titolo oneroso, dai quali derivano per le
parti contraenti diritti e obblighi reciproci, che consentono al proprietario
espropriando, in particolare, di mantenere la proprietà dell’area e di ottenere
la gestione del servizio previsto in cambio della realizzazione diretta degli
interventi necessari. Tutta l’operazione prevista dalle norme impugnate è
preordinata alla soddisfazione di interessi pubblici, come viene confermato
dall’art. 9, comma 12, della legge regionale de qua, che fa riferimento a vincoli previsti «per la realizzazione
esclusivamente ad opera della pubblica amministrazione, di attrezzature e
servizi».
Da quanto sinora
detto si deduce come sia applicabile anche al proprietario espropriando che
accetta di realizzare l’opera prevista dall’ente pubblico la qualifica di
«titolare di un mandato espresso» conferito dal Comune, di cui alla citata
sentenza della Corte di giustizia.
Non entrano in
discussione, per i profili di costituzionalità evocati nella presente
questione, le modalità della cosiddetta urbanistica consensuale e perequativa,
ma soltanto l’obbligo di procedere alle prescritte gare di appalto, poste a
base della normativa europea citata, a tutela della trasparenza e della
concorrenza, qualora l’importo delle realizzazioni superi un certo limite. Il
ricorso a procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente non può
peraltro essere ritenuto incompatibile con gli accordi tra privati e pubblica
amministrazione, giacché la possibilità che tali procedure siano svolte dagli
stessi privati risulta già ammessa nell’ordinamento proprio nella fattispecie
oggetto della richiamata pronuncia della Corte di giustizia e disciplinata in
modo conforme dal citato art. 2, comma 5, della legge n. 109 del 1994, come
sostituito dalla legge n. 166 del 2002.
5.3. – Sulla scorta
delle precedenti considerazioni, non si può dubitare che le direttive
comunitarie prima citate – in materia di procedure ad evidenza pubblica per
l’attribuzione di lavori, forniture e servizi – debbano essere osservate anche
nell’ipotesi che sia conferito ad un privato il compito di realizzare
direttamente l’opera necessaria per la successiva prestazione del servizio
pubblico, la cui gestione può essere affidata, mediante convenzione, al privato
medesimo. Come questa Corte ha già affermato (sentenze n. 406 del
2005, n. 7
e n. 166 del
2004), le direttive comunitarie fungono da norme interposte atte ad
integrare il parametro per la valutazione di conformità della normativa
regionale all’art. 117, primo comma, Cost. La norma costituzionale citata,
collocata nella Parte seconda della Costituzione, si ricollega al principio
fondamentale contenuto nell’art. 11 Cost. e presuppone il rispetto dei diritti
e dei principi fondamentali garantiti dalla Costituzione italiana. Pertanto la
mancata previsione, nelle norme regionali impugnate, dell’obbligo di adottare
procedure ad evidenza pubblica in ogni caso in cui l’appalto sia di importo
uguale o superiore alla soglia comunitaria, determina la loro illegittimità
costituzionale.
6. – Il Presidente
del Consiglio dei ministri ha pure impugnato l’art. 19, comma 2, lettera b), numero 2, e l’art. 10, comma 1,
lettera d), entrambi in relazione
all’art. 55, comma 1, lettera b) ed
all’art. 57, comma 1, lettere a) e b), della legge della Regione Lombardia
n. 12 del 2005. Tali norme violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., ed in
particolare i principi fondamentali della materia «protezione civile», di cui
all’art. 107 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997 n. 59), in quanto
attribuiscono alla Regione, e non allo Stato, la predisposizione degli
indirizzi e dei criteri generali per il riassetto del territorio ai fini della
prevenzione dei rischi geologici, idrogeologici e sismici, nonché delle
direttive per la prevenzione del rischio sismico.
6.1. – La questione
non è fondata.
6.2. – Questa Corte
ha già rilevato che il legislatore statale, con la legge 24 febbraio 1992, n.
225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), «ha
rinunciato ad un modello centralizzato per una organizzazione diffusa a
carattere policentrico» (sentenza n. 327 del
2003). In materia di prevenzione dei rischi, la legislazione nazionale
vigente configura un sistema composito di competenze, ordinato secondo il
criterio della maggiore o minore generalità degli indirizzi, in base al quale
ciascun livello di governo deve contenere l’esercizio dei propri poteri
all’interno degli indirizzi dettati su più vasta scala dal livello superiore.
Alla luce del
criterio prima indicato, si può osservare che l’art. 107 del d.lgs. n. 112 del
1998 attribuisce allo Stato «gli indirizzi per la predisposizione e l’attuazione
dei programmi di previsione e prevenzione in relazione alle varie ipotesi di
rischio». Le norme regionali impugnate attribuiscono alla Giunta regionale la
definizione degli indirizzi per il riassetto del territorio, «ai fini della
prevenzione dei rischi geologici e idrogeologici e della loro mitigazione»
(art. 55, comma 1, lettera b, della
legge reg. Lombardia n. 12 del 2005). Gli indirizzi in parola devono però
confluire nel piano territoriale regionale (art. 19, comma 2, lettera b, numero 2, della legge reg. Lombardia
n. 12 del 2005), il quale costituisce «atto fondamentale di indirizzo, agli
effetti territoriali, della programmazione di settore della Regione, nonché di
orientamento della programmazione e pianificazione territoriale dei Comuni e
delle Province» (art. 19, comma 1, della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005).
Dall’esame della
normativa statale e regionale in materia emerge che
6.3. – Per quanto
riguarda l’individuazione delle zone sismiche, bisogna rilevare che l’art. 83
del d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
edilizia), dispone: «Le regioni, sentite le province e i comuni interessati,
provvedono alla individuazione delle zone dichiarate sismiche […], alla
formazione e all’aggiornamento degli elenchi delle medesime zone e dei valori
attribuiti ai gradi di sismicità, nel rispetto dei criteri generali di cui al
comma 2». Tale ultima disposizione richiamata stabilisce che il Ministro per le
infrastrutture ed i trasporti, di concerto con il Ministro per l’interno,
sentiti il Consiglio superiore dei lavori pubblici, il Consiglio nazionale
delle ricerche e
Come si vede, il
quadro normativo sistematico di allocazione delle competenze ai vari livelli di
governo è chiaro e non risulta contraddetto dalla norma regionale impugnata,
che deve essere interpretata nel contesto ora richiamato.
7. – Il Governo ha
infine promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 27, comma 1,
lettera e), numero 4, e dell’art. 33
della legge reg. della Lombardia n. 12 del 2005, per violazione dell’art. 87
del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259 (Codice delle comunicazioni
elettroniche), in quanto sottopongono l’installazione di torri e tralicci per
impianti di radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di
telecomunicazione ad un iter
autorizzatorio comunale (rilascio del permesso di costruire) ulteriore rispetto
a quello già previsto dal citato art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003.
7.1. –
Preliminarmente si deve rigettare l’eccezione di inammissibilità proposta dalla
difesa regionale e motivata dalla mancanza, nel ricorso dell’Avvocatura dello
Stato, dell’indicazione del parametro di costituzionalità di cui si assume la
violazione. Deve infatti rilevarsi che l’art. 117, terzo comma, Cost. è evocato
nella parte generale del ricorso, con particolare riferimento alla materia
«governo del territorio», e che la norma impugnata è indicata espressamente nel
medesimo contesto. Nel punto 3) dei motivi specifici, il ricorrente non ha
ritenuto di dover ripetere l’indicazione della norma costituzionale e si è
limitato a far riferimento alla norma interposta. Ciò non determina tuttavia
incertezze nella individuazione della disposizione costituzionale di cui si
lamenta la violazione.
7.2. – Nel merito la
questione è fondata.
7.3. – L’art. 87 del
d.lgs. n. 259 del 2003 costituisce attuazione della delega legislativa
contenuta nell’art. 41, comma 2, lettera a), della legge n. 166 del 2002,
che in materia di telecomunicazioni prescrive, al numero 3, la «previsione di
procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del
diritto di installazione di infrastrutture», e al numero 4 la «riduzione dei
termini per la conclusione dei procedimenti amministrativi, nonché regolazione
uniforme dei medesimi procedimenti anche con riguardo a quelli relativi al
rilascio di autorizzazioni per la installazione delle infrastrutture di reti
mobili».
Con tali norme il
legislatore nazionale ha posto la tempestività delle procedure e la riduzione
dei termini per l’autorizzazione all’installazione delle infrastrutture di cui
sopra come principi fondamentali operanti nella materia «governo del
territorio», di competenza legislativa concorrente. La confluenza in un unico
procedimento dell’iter finalizzato
all’ottenimento dell’autorizzazione a costruire tali impianti risponde pertanto
ai principi generali sopra richiamati perché, come ha osservato il Consiglio di
Stato (sezione VI, sentenza n. 4159 del 2005), le «esigenze di tempestività e
contenimento dei termini resterebbero vanificate se il nuovo procedimento
venisse ad abbinarsi e non a sostituirsi a quello previsto in materia
edilizia».
Bisogna aggiungere
che l’unificazione dei procedimenti non priva l’ente locale del suo potere di
verificare la compatibilità urbanistica dell’impianto per cui si chiede
l’autorizzazione. Il citato art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 prevede infatti
che tali installazioni vengano autorizzate dagli enti locali, previo
accertamento, da parte dell’organismo competente ad effettuare i controlli,
della compatibilità del progetto con i limiti di esposizione, i valori di
attenzione e gli obiettivi di qualità. Questi ultimi sono specificati dall’art.
3, comma 1, lettera d), numeri 1 e 2,
della legge 22 febbraio 2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle
esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici). Nella suddetta
disposizione sono compresi «i criteri di localizzazione» e «gli standard urbanistici». La tutela del
territorio e la programmazione urbanistica sono salvaguardate dalle norme
statali in vigore ed affidate proprio agli enti locali competenti, i quali, al
pari delle Regioni (sentenza n. 336 del
2005), non vengono perciò spogliati delle loro attribuzioni in materia, ma
sono semplicemente tenuti ad esercitarle all’interno dell’unico procedimento
previsto dalla normativa nazionale, anziché porre in essere un distinto procedimento.
7.4. – Da quanto
detto si deduce che la previsione di un ulteriore procedimento finalizzato al
rilascio del permesso di costruire, che si sovrappone ai controlli da
effettuarsi a cura dello stesso ente locale nell’ambito del procedimento
unificato, costituisce un inutile appesantimento dell’iter autorizzatorio per l’installazione di torri e tralicci per
impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di
telecomunicazione, in contrasto con le esigenze di tempestività e di
contenimento dei termini, da ritenersi, con riferimento a questo tipo di
costruzioni, principi fondamentali di governo del territorio. Da ciò consegue
l’illegittimità costituzionale delle norme regionali impugnate per violazione
dell’art. 117, terzo comma, Cost.
8. – L’art. 33 della
legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, impugnato insieme all’art. 27,
comma 1, lettera e),
numero 4, resta immune dalla censura di illegittimità costituzionale
prospettata nel ricorso, giacché disciplina in generale il permesso di costruire,
dall’ambito del quale viene sottratta, per effetto della presente sentenza,
l’autorizzazione all’installazione di torri e tralicci per le finalità di cui
sopra.
per questi motivi
dichiara inammissibili gli interventi di TIM ITALIA
S.p.a. e di VODAFONE OMNITEL N.V.;
dichiara l’illegittimità costituzionale del combinato
disposto dell’art. 9, comma 12, e dell’art. 11, comma 3, della Regione
Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio), nella
parte in cui non prevede l’obbligo di procedure ad evidenza pubblica per tutti
i lavori, da chiunque effettuati, di importo pari o superiore alla soglia
comunitaria;
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma
1, lettera e), numero 4, della legge
della Regione Lombardia n. 12 del 2005;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 19, comma 2, lettera b), numero 2, e dell’art. 10, comma 1, lettera d), entrambi in relazione all’art. 55, comma 1,
lettera b), e all’art. 57, comma 1,
lettere a) e b), della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, promossa
dal Governo in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione;
dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 33 della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005,
promossa dal Governo in riferimento all’art. 117, terzo comma, della
Costituzione;
dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 13, della legge della Regione Lombardia n. 12
del 2005, promossa dal Governo in riferimento all’art. 117, primo e terzo
comma, della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23
marzo 2006.
Depositata
in