SENTENZA N. 307
ANNO 2003
Commento alla decisione di
Quirino Camerlengo
per gentile concessione del Forum
di Quaderni costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
In
nome del Popolo italiano
composta dai signori Giudici:
- Riccardo CHIEPPA, Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY
- Valerio ONIDA
- Carlo MEZZANOTTE
- Fernanda CONTRI
- Guido NEPPI MODONA
- Piero Alberto CAPOTOSTI
- Annibale MARINI
- Franco BILE
- Giovanni Maria FLICK
- Ugo DE SIERVO
- Romano VACCARELLA
- Paolo MADDALENA
- Alfio FINOCCHIARO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 3, commi 3, 4 e 6, e 7, comma 3, della legge della Regione Marche 13 novembre 2001, n. 25 (Disciplina regionale in materia di impianti fissi di radiocomunicazione al fine della tutela ambientale e sanitaria della popolazione); degli articoli 1, comma 2, 2, commi 1, 2 e 3, 3, 7 e 8 della legge della Regione Campania 24 novembre 2001, n. 13 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi elettromagnetici generati da elettrodotti); degli articoli 3, comma 1, lettera m, 4, comma 1, e 10, commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia 8 marzo 2002, n. 5 (Norme transitorie per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico prodotto da sistemi di telecomunicazioni e radiotelevisioni operanti nell’intervallo di frequenza fra 0 Hz e 300 GHz); e degli articoli 1, commi 1 e 2, 2, 4, comma 1, lettera b, 5, comma 1, lettera c, e comma 2, 12, comma 1, 13 e 16 della legge della Regione Umbria 14 giugno 2002, n. 9 (Tutela sanitaria e ambientale dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), promossi con ricorsi del Presidente del Consiglio dei ministri notificati il 17 e il 25 gennaio, il 10 maggio e il 23 agosto 2002, depositati in cancelleria il 26 e il 31 gennaio, il 16 maggio e il 2 settembre 2002 ed iscritti, rispettivamente, ai numeri 4, 5, 35 e 52 del registro ricorsi 2002.
Visti gli atti di costituzione delle Regioni Marche, Campania, Puglia e Umbria nonché gli atti di intervento della Wind Telecomunicazioni s.p.a., dell’ENEL s.p.a., dell’ENEL Distribuzione s.p.a., della TERNA–Trasmissione Elettricità Rete Nazionale s.p.a., del Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale s.p.a., del Comune di Lacco Ameno e della Vodafone Omnitel s.p.a.;
udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2002 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi gli avvocati dello Stato
Ivo M. Braguglia e Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri,
gli avvocati Stefano Grassi per
Ritenuto
in fatto
1. – Con ricorso dell’11 gennaio 2002, depositato in cancelleria il 26
gennaio 2002 (registro ricorsi n. 4 del 2002), il Presidente del Consiglio dei
ministri ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge della
Regione Marche 13 novembre 2001, n. 25 (Disciplina regionale in materia di
impianti fissi di radiocomunicazione al fine della tutela ambientale e
sanitaria della popolazione), ed "in particolare” delle seguenti disposizioni:
dell’art. 3, commi 3 e
Il ricorrente, dopo avere notato che dal titolo della legge regionale n. 25 del 2001 e dal suo art. 1 risulta espressamente che la disciplina dettata dalla Regione Marche riguarda gli impianti fissi di radiocomunicazione "al fine della tutela ambientale e sanitaria della popolazione”, osserva, in linea generale, che lo Stato ha legislazione esclusiva nella materia della tutela ambientale (art. 117, secondo comma, lettera s, della Costituzione, nel testo novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), mentre costituiscono materie di legislazione concorrente (art. 117, terzo comma) la tutela della salute e l'ordinamento della comunicazione, con conseguente potestà legislativa esclusiva dello Stato nella determinazione dei principi fondamentali. Ciò premesso, alcune disposizioni della legge regionale impugnata apparirebbero invasive della competenza legislativa statale.
In particolare, l’art. 3, comma 3, della legge regionale, che prevede che
l'installazione degli impianti fissi di radiocomunicazione di cui al precedente
art. 2 venga sottoposta "ad opportune procedure di valutazione di impatto
ambientale ...”, e il comma 4 dello stesso art. 3, che prevede che
Ancora, per ciò che riguarda gli impianti fissi di telefonia mobile,
l'art. 2-bis, comma 2, del decreto legge
1° maggio 1997, n. 115, aggiunto dalla legge di conversione 1° luglio 1997, n.
Ancora, la disposizione di cui all'art. 3, comma 6, della legge regionale
impugnata, che prevede, sia pure in via transitoria, un valore limite di campo
elettrico per la progettazione, la realizzazione e la modifica degli impianti
di cui si tratta, invaderebbe l'attribuzione riservata allo Stato dalla
disposizione di cui all'art. 4, lettera a,
della legge n. 36 del 2001, che costituisce principio fondamentale in materia
di tutela della salute "in considerazione del preminente interesse nazionale
alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle
finalità indicate nell'art.
Infine, l'art. 7, comma 3, della legge regionale impugnata, che demanda alla Giunta regionale di adottare un valore di distanza minima, da determinate aree ed edifici, nell'installazione degli impianti di cui al precedente art. 2, introdurrebbe un parametro, quello della distanza, diverso da quelli di attenzione, la cui determinazione è riservata allo Stato dall'art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro n. 36 del 2001. Il solo parametro della distanza sarebbe inadeguato, dovendosi invece tenere conto delle caratteristiche rilevanti delle stazioni trasmittenti (altezza dal suolo, potenza irradiata, sistema radiante), nonché del livello massimo di campo ammissibile nelle aree abitate.
2. – Si è costituita nel giudizio
davanti alla Corte
Come
risulterebbe dall’insieme della disciplina legislativa dettata dalla legge
regionale impugnata, essa Regione avrebbe infatti esercitato la propria
competenza legislativa concorrente nelle materie della tutela della salute,
nonché del governo del territorio. La legge regionale, infatti, si limiterebbe
a disciplinare, in modo peraltro completo ed esaustivo, l’installazione degli
impianti fissi di radiocomunicazione, per consentirne una localizzazione in
grado di rispettare sia un corretto assetto del territorio sia il rispetto dei
principi fondamentali e delle esigenze ineludibili di tutela della salute dei
cittadini. Sotto questo profilo, la difesa regionale richiama, ritenendola
valida anche nel contesto del nuovo Titolo V della parte II della Costituzione,
la giurisprudenza di questa Corte secondo cui
Con
specifico riferimento alle norme di cui il ricorso contesta la legittimità
costituzionale, la difesa regionale osserva quanto segue.
Quanto
alla prima censura, la previsione della attivazione di procedure di valutazione
di impatto ambientale definite nelle loro modalità di attuazione con atto della
Giunta regionale sarebbe pienamente coerente con i principi fondamentali vigenti
in materia. Infatti, l’art. 2-bis,
comma 2, del decreto legge n. 115 del 1997, come convertito dalla legge n. 189
del 1997, prevede l’obbligo di sottoporre ad opportune procedure di valutazione
di impatto ambientale la installazione di infrastrutture quali quelle oggetto
della disciplina dettata dalla legge regionale impugnata. Sarebbe pacifico che
lo Stato potrà dettare principi fondamentali in materia, al fine di garantire
criteri uniformi per la installazione di queste infrastrutture; ma, in assenza
di una esplicita e puntuale definizione di tali principi, non vi sarebbero
dubbi che le Regioni possano (e debbano, per dare attuazione ai principi
costituzionali in materia di tutela della salute e ai valori connessi con la
tutela dell’ambiente) dettare norme in grado di consentire quella corretta
valutazione degli effetti diretti ed indiretti sui singoli fattori ambientali e
sul loro reciproco equilibrio. La valutazione di impatto ambientale sarebbe
infatti una procedura, le cui finalità sono definite dalle direttive
comunitarie 85/337/CEE e 97/11/CE, la cui attuazione costituisce una forma
concreta di gestione, nel rispetto del diritto alla salute e della tutela
dell’ambiente, dei poteri decisori relativi ad attività suscettibili di
rilevante impatto ambientale. L’attivazione della procedura di valutazione di
impatto ambientale costituirebbe quindi un preciso obbligo derivante da
direttive comunitarie, e si inquadrerebbe comunque come uno strumento
essenziale di gestione e governo del territorio, per tutti i poteri pubblici
che possano autorizzare attività in grado di produrre effetti sull’ambiente, la
cui disciplina deve essere dettata sia a livello legislativo statale sia – in
assenza dell’intervento della legge statale – a livello legislativo regionale.
Del resto, l’attuale disciplina legislativa, che definisce l’assetto delle
competenze amministrative in questo settore, riserverebbe allo Stato la
competenza a definire le procedure di valutazione di impatto ambientale solo
con riferimento alle opere indicate nell’art. 71 del d.lgs. 112 del 1998: non
si potrebbe quindi negare, in attesa dell’ulteriore eventuale nuova definizione
legislativa delle relative competenze, la competenza regionale a disciplinare
legislativamente questo tipo di procedura.
Quanto
alla censura relativa all’art. 3, comma 6, della legge regionale, essa non
sarebbe fondata, per la considerazione che – come pure ammette lo stesso
ricorrente – l’obiettivo di qualità definito da tale norma (valori di campo
elettrico non superiori a tre Volt/metro, in corrispondenza di edifici adibiti
a permanenza non inferiore a 4 ore) viene definito ed imposto solo "fino
all’adozione dei decreti e regolamenti previsti dall’art. 4 della legge
36/2001”. Non vi sarebbe quindi invasione della competenza statale, che potrà
essere regolarmente esercitata, mediante l’emanazione delle norme regolamentari
e dei provvedimenti espressamente previsti dal citato art. 4 della legge n. 36
del 2001. Ma sarebbe altrettanto evidente che, nell’attesa delle norme che
debbono essere dettate a livello centrale (ed il termine relativo è già
abbondantemente scaduto), le Regioni abbiano piena competenza a disciplinare e
definire gli obiettivi di qualità in attuazione degli stessi principi fissati
dal legislatore statale nella legge quadro n. 36 del 2001. Ciò anche in
relazione alla circostanza che tali obiettivi di qualità sono dettati in
funzione della tutela della salute, e quindi la disciplina regionale
costituisce esercizio di competenza concorrente, sicuramente esplicabile in attesa
di una precisazione di ulteriori principi fondamentali da parte dello Stato.
Quanto
alla terza censura, la difesa regionale afferma che anche l’introduzione del
valore di distanza minima, indicato dall’art. 7, comma 3, della legge
regionale, costituirebbe corretto esercizio della competenza legislativa
concorrente della Regione in materia di governo del territorio e di tutela
della salute. Né si potrebbe ritenere che la determinazione di tale parametro
sia necessariamente riservata allo Stato, trattandosi di un parametro che, con
ogni evidenza, attiene anche e soprattutto al governo del territorio. Si
tratterebbe, inoltre, di un parametro che viene, in relazione a tali specifiche
finalità, stabilito dalla Regione, e che sarebbe da ritenere ulteriore rispetto
a quelli che lo Stato potrà definire in applicazione delle previsioni dell’art.
4, comma 1, lettera a, della legge n.
36 del 2001.
3. – Con ricorso del 21 gennaio
2002, depositato in cancelleria il 31 gennaio 2002 (reg. ric. n. 5 del 2002),
il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questione di legittimità
costituzionale delle seguenti disposizioni della legge della Regione Campania
24 novembre 2001, n. 13 (Prevenzione dei danni derivanti dai campi
elettromagnetici generati da elettrodotti): dell’art. 1, comma
La legge regionale impugnata
investirebbe, secondo la difesa statale, le materie della tutela della salute e
della produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, che sono di
legislazione concorrente ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della
Costituzione, ed anche la materia della tutela dell'ambiente che, ai sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera s,
della Costituzione, è di legislazione esclusiva dello Stato. La legge quadro 22
febbraio 2001, n. 36, sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici,
magnetici ed elettromagnetici, avrebbe posto la disciplina integrale ed
esclusiva rivolta alla tutela dell'ambiente ed i principi fondamentali per le
altre materie, ai quali la legislazione regionale si deve attenere. La legge
regionale impugnata in parte avrebbe invaso la sfera statale di legislazione
esclusiva ed in parte non avrebbe osservato i principi della legislazione
statale.
Quanto all’art. 1, comma 2, della
legge regionale, l’Avvocatura afferma che l’art. 5, comma 1, della legge
statale n. 36 del 2001, "al fine di tutelare l'ambiente”, ha disciplinato le
competenze ed il procedimento per la localizzazione dei tracciati e per la
progettazione, la costruzione e la modifica di elettrodotti e di impianti per
telefonia mobile e radiodiffusione, mentre in questa materia
Quanto all’art. 2, commi 1, 2, 3,
della legge regionale, secondo la difesa statale nell'art. 4, comma 1, lettera h, e nell'art. 5, comma 1, della legge
statale n. 36 del 2001 si troverebbe la normativa di principio sui parametri
per le fasce di rispetto per gli elettrodotti, mentre le norme impugnate
avrebbero fissato direttamente il valore limite di induzione magnetica (comma
3), attribuendo ai Comuni la disciplina dell'ampiezza dei corridoi ed alla
Regione il potere di direttiva, senza nessun raccordo con i parametri
desumibili dalla normativa statale, come se la materia rientrasse nella
legislazione esclusiva della Regione.
Nell’art. 3, invece, la legge
regionale disciplinerebbe la materia del risanamento degli elettrodotti
riservando alla Regione l'approvazione degli appositi piani, anche in questo
caso non tenendo conto di quanto dispone l'art. 4, comma 2 [recte: 1], lettera d, della legge statale n. 36 del 2001,
che avrebbe riservato allo Stato i "criteri di elaborazione dei piani di
risanamento” anche con riferimento "alle modalità di coordinamento delle
attività riguardanti più regioni”, e la norma regionale, non adeguandosi alla
disciplina statale di principio, si sarebbe sottratta ad ogni possibilità di
coordinamento. La legge regionale non avrebbe nemmeno tenuto conto del termine
fissato dall'art. 9 della legge statale per assicurare la necessaria uniformità
di tutela sull'intero territorio nazionale anche dal punto di vista temporale.
Quanto all’art. 7 della legge
regionale, l’Avvocatura sostiene che l'art. 15, comma 4, della legge statale,
nell'esercizio della competenza esclusiva a tutela dell'ambiente, avrebbe
previsto un apposito sistema sanzionatorio, assicurando così anche la
uniformità degli interventi repressivi in tutte le Regioni, in modo da evitare
che tra di esse possa instaurarsi una sorta di concorrenza sanzionatoria: ma
l'art. 7 della legge regionale avrebbe disciplinato un sistema del tutto
autonomo senza tenere conto della normativa statale.
Infine, quanto all’art. 8, la
normativa transitoria ivi prevista si sovrapporrebbe a quella fissata dall'art.
16 della legge statale senza alcun coordinamento. Del resto, secondo la difesa
erariale, una disciplina transitoria era indispensabile a tutela dell'ambiente
nell'esercizio della legislazione statale esclusiva, e principi generali
sarebbero necessari anche per la disciplina transitoria, che investe il periodo
in cui gli impianti preesistenti possono costituire pericolo non controllabile
per la salute.
4. – Ha
depositato memoria di costituzione e difesa
Riservandosi
di dimostrare in una successiva memoria la legittimità della disciplina
regionale,
4.1 – In
una successiva memoria
Nel merito,
4.2. – Nel giudizio nei confronti della legge della Regione Campania (reg. ric. n. 5 del 2002) ha depositato atto di intervento il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale s.p.a., chiedendo l’accoglimento delle conclusioni formulate nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri. Quanto alla ammissibilità dell’intervento, si sostiene che il corretto esercizio delle funzioni legislative di Stato e Regioni e il rispetto da parte di queste ultime dei principi fondamentali dettati dallo Stato e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario sarebbero essenziali affinché il Gestore della rete possa svolgere regolarmente le funzioni ad esso assegnate dal d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, recante "Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica”, e dai successivi decreti del Ministero dell’industria 21 gennaio e 17 luglio 2000.
4.3. – Nel medesimo giudizio hanno in seguito depositato un unico atto di intervento le seguenti società: ENEL s.p.a., ENEL Distribuzione s.p.a. e TERNA – Trasmissione Elettricità Rete Nazionale s.p.a., chiedendo anch’esse l’accoglimento delle conclusioni formulate nel ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri. L’interesse delle società all’intervento sarebbe qualificato dalla necessità di assicurare uniformità di modalità di realizzazione della rete di trasmissione nazionale, di cui TERNA è proprietaria per il 95%, e di quella di distribuzione di energia, di cui ENEL Distribuzione è concessionaria: entrambe società detenute da ENEL s.p.a.
4.4. – Nel giudizio promosso nei confronti della legge della Regione Campania hanno depositato unico atto di intervento "ad opponendum” il Comune di Lacco Ameno, nella persona del Sindaco, nonché quest’ultimo quale Ufficiale di Governo. Essi, assumendo che l’esito del presente giudizio è destinato ad incidere su proprie posizioni giuridiche, che trovano adeguata tutela nella perdurante vigenza della legge impugnata – il riferimento è ad un giudizio amministrativo promosso in relazione all’inibizione, da esso Comune disposta, dell’attivazione di un impianto di trasformazione, annesso ad un elettrodotto, realizzato dall’Enel nel centro abitato – hanno concluso per l’infondatezza della questione sollevata.
5. – Con ricorso del 9 maggio 2002, notificato il 10 maggio 2002 (reg. ric. n. 35 del 2002), il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera m; 4, comma 1; 10, commi 1 e 2, della legge della Regione Puglia 8 marzo 2002, n. 5 (Norme transitorie per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico prodotto da sistemi di telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza fra 0 Hz e 300 GHz), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s, e 117, terzo comma (tutela della salute e ordinamento della comunicazione) della Costituzione, e in relazione agli artt. 4, comma 2; 5, comma 1; e 8, comma 1, della legge 22 febbraio 2001, n. 36.
Il ricorrente osserva innanzitutto in linea generale che la legge impugnata ha la finalità, come emerge dall’art. 1, di assicurare "la tutela dell’ambiente dall’inquinamento elettromagnetico connesso al funzionamento e all’esercizio degli impianti per telecomunicazione e radiotelevisivi”, e che essa sarebbe quindi invasiva della competenza statale, poiché lo Stato ha legislazione esclusiva nella materia della tutela ambientale, mentre costituiscono materie di legislazione concorrente quelle della tutela della salute e dell’ordinamento della comunicazione, con conseguente potestà legislativa dello Stato nella determinazione dei principi fondamentali.
Quanto alle
disposizioni dell’art. 3, comma 1, lettera m,
della legge regionale impugnata, che definisce le "aree sensibili”, e dell’art.
4, comma 1, secondo cui
Quanto all’art. 10, comma 1, della legge regionale, che vieta "l’installazione di sistemi radianti relativi agli impianti di emittenza radiotelevisiva e di stazioni radio base per telefonia mobile su ospedali, case di cura e di riposo, scuole e asili nido”, esso conterrebbe un divieto assoluto, eccedente rispetto al parametro richiamato in via transitoria dall’art. 16 della legge quadro statale n. 36 del 2001, e quindi rispetto all’art. 4 del d.m. 10 settembre 1998, n. 381, che assume come unico parametro il valore di campo elettromagnetico.
In ordine all’art. 10, comma 2, della legge regionale impugnata, che vieta la localizzazione degli impianti di cui all’art. 2, comma 1, nelle aree vincolate ai sensi del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, nelle aree classificate di interesse storico-architettonico, nelle aree di pregio storico, culturale e testimoniale, nonché nei parchi ed aree protette, esso invaderebbe, in primo luogo, la competenza esclusiva statale in materia ambientale, e contrasterebbe con l’art. 5, comma 1, della legge quadro n. 36 del 2001, che riserva ad apposito regolamento, di competenza statale, l’adozione di misure specifiche finalizzate alla tutela dell’ambiente e del paesaggio.
6. –
Riservandosi
di svolgere in una successiva memoria più ampie deduzioni difensive,
6.1. – Ha
depositato atto di intervento
7. – Con ricorso del 13 agosto 2002, notificato il 23 agosto 2002 (reg. ric. n. 52 del 2002), il Presidente del Consiglio dei Ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, commi 1 e 2; 2; 4, comma 1, lettera b; 5, commi 1, lettera c, e 2; 12, comma 1; 13 e 16 della legge della Regione Umbria 14 giugno 2002, n. 9 (Tutela sanitaria e ambientale dall’esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), in riferimento agli articoli 3, 117, secondo comma, lettere e (tutela della concorrenza) e s (tutela dell’ambiente), e 117, terzo comma (tutela della salute) della Costituzione, ed in relazione agli artt. 4, commi 1 e 2; 5, comma 1; 8, comma 1; e 9, commi 3 e 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, e all’art. 1, comma 4, del d.P.R. 12 aprile 1996 (Atto di indirizzo e coordinamento per l'attuazione dell'art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n. 146, concernente disposizioni in materia di valutazione di impatto ambientale).
La difesa statale premette che, poiché la legge regionale indica tra le sue finalità, all’art. 1, comma 1, anche la salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio, essa sarebbe illegittima in quanto contrastante con l’attribuzione della tutela dell’ambiente alla legislazione esclusiva dello Stato, qualunque sia la nozione di ambiente che si voglia seguire.
Quanto
all’art. 1, comma 2, della legge regionale impugnata, l’Avvocatura dello Stato
premette che
Secondo la difesa statale, una volta accertato che la materia rientra nella competenza esclusiva dello Stato, va escluso che la disciplina introdotta dalla legge statale possa essere messa nel nulla da quella regionale successiva.
Se poi si ritenesse che la disciplina regionale sia volta alla tutela della salute, occorrerebbe verificare se le norme statali richiamate abbiano o meno natura di principi fondamentali ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione. E tale indagine, a sua volta, sarebbe condizionata alla verifica se sia o non ragionevole che il livello di protezione contro le radiazioni elettromagnetiche in Umbria sia diverso (maggiore o minore non importerebbe) di quello previsto, ad esempio, in Piemonte o in Puglia. La risposta positiva, secondo l’Avvocatura, potrebbe basarsi soltanto su una accertata diversità biologica degli abitanti delle Regioni interessate o su una situazione ambientale che neutralizzi in tutto o in parte gli effetti dannosi delle radiazioni: ipotesi entrambe smentite dalle attuali acquisizioni scientifiche.
Di qui la
conferma che tra i principi fondamentali rimessi allo Stato ci sono anche
quelli che assicurano la realizzazione del principio di uguaglianza quando,
naturalmente, operante. E non a caso nell’art. 4, comma 1, della legge statale
sarebbe stata posta per prima, tra le funzioni dello Stato, quella di tutelare
"il preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e
normative omogenee in relazione alle finalità di cui all’articolo
Quanto all’art. 2 della legge regionale impugnata, che richiede ai gestori e ai concessionari la dimostrazione della indispensabilità degli impianti, non prevista dalla legge statale, in vista di una successiva verifica da parte della Regione, la difesa statale premette che l’art. 8 della legge quadro, sempre in considerazione del principio di eguaglianza, ha fissato le competenze delle Regioni, individuandole nelle materie nelle quali una differenziazione territoriale delle discipline risulta ragionevole.
Nel caso,
quella svolta dai gestori e dai concessionari sarebbe attività di impresa, e la
indispensabilità degli impianti sarebbe valutazione attinente alla gestione,
sulla quale
Anche in ordine all’art. 4, comma 1, lettera b, della legge regionale impugnata, che attribuisce ai Comuni poteri vari per il risanamento degli impianti esistenti, in relazione al principio di eguaglianza non sarebbe giustificabile una differenza di discipline, articolata addirittura per territori comunali.
Per le
medesime ragioni sarebbe incostituzionale anche l’art. 5, comma 1, lettera c, della legge regionale impugnata, con
il quale
L’art. 5,
comma 2, della legge impugnata, che attribuisce alla Regione un potere di
proposta, si sovrapporrebbe alla disciplina contenuta nell’art. 9, commi 3 e 6,
della legge quadro statale, secondo cui competente è il Ministero
dell’ambiente, sentiti le Regioni e i Comuni interessati. Attribuendosi un
potere di proposta,
Quanto
all’art. 12, comma 1, della legge regionale impugnata, che richiede la
valutazione d’impatto ambientale in violazione dell’art. 4, comma 1, del d.P.R.
14 aprile
In ordine all’art. 13 della legge regionale impugnata, che rimette alla Giunta regionale la disciplina, oltre che dei procedimenti amministrativi, anche dei criteri preordinati alla localizzazione ed al risanamento degli impianti, la difesa statale afferma che la illegittimità costituzionale sarebbe evidente con riguardo ai criteri, che sarebbero addirittura rimessi alla sede amministrativa senza la fissazione di limiti o orientamenti legislativi, e che, con riguardo al procedimento, la norma violerebbe l’art. 9 della legge quadro statale.
Quanto all’art. 16 della legge regionale impugnata, che prevede che una apposita disciplina transitoria sia posta con regolamento, esso sarebbe illegittimo, poiché la disciplina transitoria è stata posta dall’art. 16 della legge quadro statale.
8. – Si è
costituita in giudizio
La difesa regionale riassume
dapprima l’intera vicenda relativa alla legge impugnata. L’originario disegno
di legge, predisposto nel vigore del testo costituzionale previgente, era stato
rinviato dal Governo con nota del 23 giugno 2001, prot. n. 01/439, nella quale venivano
formulati cinque rilievi. Il Consiglio regionale, aderendo alle valutazioni
svolte dalla II Commissione consiliare, aveva poi riapprovato con modificazioni
il testo, adeguandosi integralmente a due rilievi e parzialmente ad altri due.
Il Governo aveva quindi presentato ricorso in via principale di fronte alla
Corte, censurando alcune disposizioni della delibera regionale.
Poiché tuttavia nelle more del
giudizio è entrata in vigore la riforma del titolo V della parte II della
Costituzione, il giudizio davanti alla Corte è stato definito con ordinanza di
improcedibilità n. 182 del 2002.
Successivamente, il testo della
delibera legislativa regionale è stato approvato nuovamente, senza
modificazioni, dal Consiglio regionale, e poi impugnato dal Governo nei termini
sopra esposti.
Ritenendo che la prima censura del
ricorso governativo si appunti anche
sull’art. 1, comma 1, della legge regionale impugnata, la difesa regionale
sostiene che l’approccio del Governo, secondo cui lo scopo dichiarato della
legge sarebbe quello di tutelare l’ambiente e il paesaggio, è fondato su una
interpretazione formalistica e nominalistica della materia oggetto della legge
regionale e della legge statale. Chiarisce quindi che la finalità preminente
della legge regionale, peraltro espressamente indicata nello stesso art. 1,
comma 1, è quella di tutelare la salute della popolazione dagli effetti della
esposizione ai campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici; e considera
inoltre che la conservazione di un ambiente salubre costituisce espressione del
diritto fondamentale alla salute riconosciuto ai cittadini dall’art. 32 della
Costituzione, la cui tutela è ora attribuita alla competenza concorrente della
Regione.
Quanto alla censura relativa
all’art. 1, comma 2, della legge impugnata, la difesa regionale sostiene che
dal confronto di questa norma con quella contenuta nell’art. 5, comma 1, della
legge quadro statale n. 36 del 2001 emergerebbe che il potere normativo dello
Stato, destinato ad assicurare profili di tutela ambientale, e quello della
Regione sarebbero diretti a soddisfare finalità diverse. In particolare,
sarebbe manifestamente estranea alla disciplina statale la considerazione
puntuale di qualunque profilo attinente alla tutela della salute. Paradossale
sarebbe quindi il timore del Governo che disposizioni regionali dettate
nell’esercizio della potestà legislativa concorrente possano prevalere su
quelle dettate dallo Stato in materia di competenza esclusiva.
Quanto alla censura proposta in via
subordinata all’art. 1, comma 2, e a quelle rivolte contro gli artt. 4, comma
1, lettera b, e 5, comma 1, lettera c, della legge impugnata, relative alla
necessità di rispettare il principio di eguaglianza e di ragionevolezza, esse
sarebbero "del tutto infondate, anzi aberranti, ponendosi al di fuori sia del
sistema costituzionale delle competenze e dei meccanismi che presiedono
all’esercizio del potere legislativo regionale concorrente, sia delle più
consolidate applicazioni del principio di uguaglianza”.
Inoltre, erronea sarebbe la
qualificazione dell’art. 5, comma 1, quale norma di principio, essendo tale
norma esclusivamente destinata a fissare una competenza statale, la cui
riconducibilità alla legislazione esclusiva dello Stato andrebbe peraltro
puntualmente dimostrata e non data semplicemente per presupposta.
Ancora, le censure del Governo si
fonderebbero su una interpretazione del principio di uguaglianza rigida e
formalistica, che verrebbe a impedire alle Regioni di intervenire a tutela
della salute dei propri cittadini offrendo più elevati standard di protezione rispetto a quelli essenziali che vanno
garantiti su tutto il territorio nazionale. Anzi, a causa dell’incertezza circa
la pericolosità delle emissioni di cui si discute e dell’imponderabilità, allo
stato delle attuali conoscenze scientifiche, delle conseguenze sulla salute
della collettività, la legge regionale impugnata costituirebbe un intervento
all’avanguardia, in coerenza con i principi sanciti dall’art. 152 del Trattato
CE, che impongono l’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute umana.
Quanto alla censura sull’art. 2
della legge impugnata, la difesa regionale sostiene che con l’introduzione del
principio di giustificazione
Né il legislatore regionale avrebbe
invaso la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della
concorrenza: così ritenendo, infatti, si giungerebbe ad una sistematica
erosione delle competenze della Regione in rilevanti settori
economico-produttivi.
Anche la censura relativa all’art.
5, comma 2, della legge impugnata non sarebbe fondata, in quanto il potere
sostitutivo attribuito alla Regione, in caso di mancata presentazione della
proposta da parte dei gestori del piano di risanamento per gli elettrodotti con
tensione superiore a 150kv, integra la previsione statale e non incide sul
potere attribuito al Ministro dell’ambiente, di concerto con gli altri Ministri
competenti, di approvare il piano medesimo.
In ordine alla censura relativa
all’art. 12, comma 1, della legge impugnata, la difesa regionale fa notare che
l’art. 2-bis del decreto legge 1
maggio 1997, n. 115, convertito nella legge 1 luglio 1997, n. 189, prevede che
la installazione di infrastrutture relative alla telefonia mobile "dovrà essere
sottoposta ad opportune procedure di valutazione di impatto ambientale”. In
ogni caso, la procedura di v.i.a. di cui si discute apparterrebbe al potere
legislativo concorrente regionale, inerendo alla tutela della salute, alla
valorizzazione dei beni ambientali e culturali e, soprattutto, al governo del
territorio. Inoltre, la scelta del legislatore regionale umbro di sottoporre a
valutazione di impatto ambientale la installazione di impianti di telefonia
mobile, in casi determinati da individuarsi successivamente con regolamento
della Giunta, rientrerebbe nell’ambito della sua potestà legislativa e sarebbe
ragionevole esercizio di discrezionalità politica, non censurabile in sede di
controllo di costituzionalità.
Quanto alle censure svolte nei
confronti dell’art. 13,
Inconferente sarebbe inoltre il
rilievo circa il contrasto della disposizione regionale impugnata con l’art. 9,
commi 3 e 6, della legge quadro n. 36 del 2001, commi che disciplinano nelle
loro linee generali le sole procedure concernenti i piani di risanamento degli
elettrodotti con tensione superiore a 150 kv
(e gli effetti del mancato risanamento degli stessi), delle stazioni e
dei sistemi radioelettrici, degli impianti per telefonia mobile e degli
impianti per radiodiffusione, conseguenti all’inerzia o all’inadempienza dei
gestori. In ogni caso, anche a voler applicare le disposizioni statali, queste
risultano palesemente insufficienti a disciplinare i concreti aspetti
procedimentali che meglio debbono essere precisati nell’interesse degli
imprenditori coinvolti.
L’ultima censura, relativa all’art.
16 della legge regionale impugnata, sarebbe infine "incomprensibile”, visto che
il legislatore regionale si è soltanto preoccupato di colmare, in via
transitoria, l’eventuale vuoto normativo nella fase precedente all’emanazione
dei decreti di cui all’art. 4 della legge quadro statale: tanto che la
normativa regolamentare prevista in capo alla Giunta regionale è destinata a
rimanere in vigore "in via transitoria fino all’approvazione” dei citati
decreti, e non a sostituire o a sovrapporsi a questi ultimi.
9. – Nell’imminenza dell’udienza originariamente fissata per il 19 novembre 2002, nel giudizio promosso nei confronti della legge della Regione Marche (reg. ric. n. 4 del 2002) ha depositato memoria il Presidente del Consiglio, insistendo nelle conclusioni di cui all’atto introduttivo.
Quanto alla
prima censura, osserva la difesa erariale,
Quanto alla seconda censura, l’Avvocatura afferma che anche in mancanza dei decreti previsti dall’art. 4 della legge quadro esiste una disciplina statale dei valori-limite, e che essa costituisce disciplina di principio che, nella materia "tutela della salute”, spetta solo allo Stato.
La difesa
erariale ricorda quindi che secondo l’art. 4, commi 2 e 3, del d.m. n. 381 del
I principi enunciati da tale legge risulterebbero chiarissimi. Come prevede l’art. 3, comma 1, lettera d, gli obiettivi di qualità sarebbero di due tipi: da una parte i criteri localizzativi, gli standard urbanistici, le prescrizioni e le incentivazioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, che hanno a che vedere con le competenze regionali, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera e, della legge; dall’altra, i valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, che apparterrebbero invece all’esclusiva competenza statale, come sottolinea l’art. 4, comma 1, lettera a, della legge. In questo senso, si ridimensionerebbe l’interpretazione da dare alla sentenza n. 382 del 1999, secondo cui sarebbero consentiti interventi normativi regionali in materia di obiettivi di qualità di tipo urbanistico, ma non normative regionali più severe in tema di valori di campo, in quanto la tutela del bene "salute” non potrebbe essere che unitaria su tutto il territorio nazionale.
Quanto alla
terza censura, tra i principi fondamentali in materia di governo del territorio
e di tutela della salute rientrerebbe la determinazione di tetti massimi di
radiofrequenza, e quindi anche il divieto di installazione basato sul rispetto
di distanze minime da obiettivi cosiddetti sensibili. Inoltre, l’art. 4 del
decreto ministeriale n. 381 del 1998 individuerebbe il livello di esposizione
al campo elettromagnetico quale unico parametro per garantire la tutela della
popolazione dagli effetti dell’esposizione; e, infine, la previsione di un
divieto fondato sul rispetto di determinate distanze non sarebbe idonea, alla
luce dei parametri determinati dallo Stato, a garantire la finalità di tutela della
salute e, anzi, il parametro della distanza sarebbe inadeguato e irragionevole,
giacché non consentirebbe di tenere conto delle caratteristiche realmente
rilevanti delle stazioni trasmittenti (altezza dal suolo, potenza irradiata,
sistema radiante). E il fatto che il parametro sia "ulteriore” rispetto a
quelli dettati dal decreto ministeriale n. 381 del 1998, come ricorda
9.1. – Nell’imminenza dell’udienza
del 19 novembre
In particolare,
La difesa regionale ricorda poi
che, per effetto della riforma costituzionale, sarebbe venuto meno proprio il
limite dell’interesse nazionale, quale argine della potestà legislativa
concorrente della Regione, per cui non sarebbe pertinente il richiamo all’art.
4, comma 1, della legge quadro statale, che pone tra le funzioni dello Stato la
tutela del "preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari
e normative omogenee”.
Quanto alla censura sull’art. 2
della legge regionale impugnata, svolta in relazione alla riserva allo Stato
della materia della tutela della concorrenza, essa sarebbe apodittica e carente
di motivazione. L’interpretazione di questa materia, che si configurerebbe come
trasversale rispetto a rilevanti settori e materie ricadenti nella competenza
concorrente o esclusiva della Regione, dovrebbe essere restrittiva, poiché,
diversamente opinando, si giungerebbe a sottrarre completamente alla Regione il
potere di curare interessi essenziali dei propri cittadini in ordine al
godimento di diritti fondamentali mediante la conformazione di procedimenti e
provvedimenti affidati per lo più alla legislazione esclusiva regionale.
10. – In prossimità dell’udienza, nel giudizio promosso nei confronti della legge della Regione Marche (reg. ric. n. 4 del 2002) ha depositato una seconda memoria il Presidente del Consiglio dei ministri, insistendo nelle conclusioni formulate.
La difesa erariale si sofferma in particolare sulla incidenza, sulla
normativa regionale denunciata, del d.lgs. 4 settembre 2002, n. 198
(Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di
telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a
norma dell’art. 2, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), il quale –
così l’art. 1, comma 1 – "detta principi fondamentali in materia di
installazione e modifica delle categorie di infrastrutture di
telecomunicazioni, considerate strategiche ai sensi dell’art. 1, comma 1, della
legge 21 dicembre 2001, n.
La prima censura, avente ad oggetto l’art. 3, commi 3 e 4, della legge regionale, che sottopone l’installazione di impianti fissi di radiocomunicazione a procedure di valutazione di impatto ambientale, era fondata sulla esistenza del principio, posto dalla legislazione statale all’art. 2-bis della legge n. 189 del 1997, che appunto prevedeva la sottoposizione a procedure di valutazione di impatto ambientale delle installazioni di infrastrutture per gli impianti fissi di telefonia mobile. Tale ultima disposizione sarebbe stata ora abrogata dall’art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 198 del 2002. Si sarebbe soddisfatto, in questo modo, l’interesse nazionale unitario e strategico alla realizzazione celere delle infrastrutture di telecomunicazione, sulla base della constatazione che nel procedimento previsto per tali realizzazioni esistono già sufficienti valutazioni e controlli, che consentono di non aggravare il procedimento con la valutazione d’impatto ambientale. Ne conseguirebbe, nella fattispecie, l’abrogazione delle dette norme regionali, per effetto del disposto dell’art. 10, primo comma, della legge 10 febbraio 1953, n. 62, e, in ogni caso, la presenza nella legislazione statale di un principio fondamentale secondo il quale nelle procedure che riguardano l’installazione di tali impianti le regioni non possono introdurre anche la procedura di v.i.a.
Quanto alla censura, svolta con il terzo motivo del ricorso, nei confronti dell’art. 7, comma 3, della legge della Regione Marche n. 25 del 2001, che demanda alla Giunta regionale di adottare un valore di distanza minima, da determinate aree ed edifici, nell’installazione di detti impianti, censura fondata sulla norma di principio dettata dall’art. 4, comma 1, lettera a, della legge quadro n. 36 del 2001, rileva la difesa erariale che l’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 198 del 20002, costituente anch’esso principio fondamentale, dispone che le infrastrutture di telecomunicazione per impianti radioelettrici, ad esclusione di torri e tralicci relativi alle reti di televisione digitale terrestre, "sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica, e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale, anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge e di regolamento”. Tale norma avrebbe abrogato l’art. 7, comma 3, della legge regionale impugnata.
Quanto alla terza disposizione regionale impugnata, l’art. 3, comma 5, rileva la difesa erariale che l’art. 4 del d.lgs. n. 198 del 2002 avrebbe confermato "i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, stabiliti uniformemente a livello nazionale in relazione al disposto della legge 22 febbraio 2001, n. 36, e relativi provvedimenti di attuazione”.
11. – In
prossimità dell’udienza, già fissata per il 19 novembre
In ordine
alle finalità di tutela ambientale perseguite dalla legge regionale, accanto a
quelle della tutela della salute, della tutela e sicurezza del lavoro, governo
del territorio, nonché ordinamento della comunicazione,
Dopo aver
richiamato decisioni di giudici amministrativi in tema di superamento di
distanze minime fissate da leggi regionali,
Passando
all’esame delle specifiche norme di cui il ricorrente contesta la legittimità
costituzionale, osserva
In
proposito,
Quanto alla previsione regionale di sottoporre le opere da eseguire a valutazioni di impatto ambientale, in assenza di principi fondamentali in materia, alle Regioni non sarebbe precluso di dettare norme dirette a consentire una corretta rappresentazione degli effetti diretti e indiretti sui singoli fattori ambientali e sulle loro reciproche interazioni; né si rinverrebbero principi fondamentali che consentano alle Regioni di sottoporre a procedure di v.i.a. solo gli oggetti espressamente individuati dallo Stato, come sarebbe confermato da talune leggi regionali (è citata la legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 7 settembre 1990, n. 43, artt. 5, 8 e 9), sussistendo una sensibile differenza tra attività normativa diretta a disciplinare i procedimenti di v.i.a. (in ipotesi, rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato), e l’attività normativa diretta a stabilirne la semplice applicabilità agli oggetti più svariati, che rimarrebbe nella disponibilità delle Regioni, ove riconducibile ad oggetti compresi nella loro competenza legislativa concorrente o residuale.
Per gli impianti fissi di telefonia mobile, invece, il principio fondamentale che lo Stato assume violato sarebbe quello contenuto nell’art. 2-bis, comma 2, del decreto legge n. 115 del 1997 – oggi abrogato, si assume, dal d.lgs. n. 198 del 2002 – secondo il quale "l’installazione di infrastrutture dovrà essere sottoposta ad opportune valutazioni di impatto ambientale”. Ma rispetto ad esso la disposizione regionale avrebbe carattere meramente "ripetitivo”. Il potere regolamentare in proposito attribuito alla Giunta dal comma 4 dello stesso art. 3 della legge regionale sarebbe finalizzato a stabilire le norme esecutive e attuative per la sottoposizione a v.i.a. degli impianti in oggetto, sicché la conformità a Costituzione della norma andrebbe valutata in relazione al riparto fra Stato e Regioni del potere regolamentare. Quand’anche si volesse considerare la disciplina delle procedure di v.i.a. come riconducibile alla materia "tutela dell’ambiente”, il combinato disposto del secondo comma, lettera s, e del sesto comma dell’art. 117 della Costituzione stabilirebbe, in questa materia, l’esclusione della potestà legislativa regionale, ma non l’esclusione assoluta della potestà delle Regioni di emanare norme sub-legislative, potendo lo Stato, nelle materie di legislazione esclusiva, delegare il potere regolamentare alle Regioni. Ciò sarebbe avvenuto in forza del d.P.R. 12 aprile 1996, che all’art. 1, comma 2, affida alle Regioni ed alle Province autonome la disciplina dei contenuti e delle procedure di valutazione d’impatto ambientale, ovvero l’armonizzazione delle disposizioni vigenti con quelle contenute nell’atto di indirizzo.
Passando
alla censura rivolta all’art. 3, comma 6, della legge regionale, la difesa
della Regione Marche osserva che il valore limite di campo elettrico di 3
volt/metro, in corrispondenza di edifici adibiti a permanenza non inferiore a
quattro ore, fissato dalla legge impugnata, è destinato espressamente a
permanere "fino all’adozione dei decreti e regolamenti previsti dall’art. 4
della legge n. 36 del
L’ultima
disposizione impugnata, l’art. 7, comma 3, che introduce il parametro della
"distanza minima” – dal perimetro esterno di alcuni edifici destinati ad
ospitare la permanenza prolungata di persone –, ulteriore rispetto ai parametri
di attenzione di cui all’art. 4 della legge quadro, non pregiudicherebbe né
limiterebbe affatto la competenza statale (peraltro ancora non esercitata) per
la determinazione dei parametri di attenzione, costituendo una tipica modalità
di attuazione concreta del principio secondo cui alla Regione non è impedita
l’adozione di misure di tutela più rigorose, purché ciò avvenga negli ambiti
materiali che
Tale parametro costituirebbe un indice strettamente connesso con materie di sicura competenza regionale: non solo la "tutela della salute” e la "tutela e sicurezza del lavoro”, ma soprattutto il "governo del territorio” e le materie dell’ "urbanistica” e dell’ "edilizia” (materie queste due ultime non menzionate nel terzo comma dell’art. 117 e come tali affidate alla competenza legislativa c.d. "residuale” delle Regioni).
La legge impugnata ha infatti come scopo quello di disciplinare un fenomeno che non ha solo riflessi ambientali e di sicurezza e salute, ma anche un impatto di grande rilievo sul territorio, con la conseguente necessità di una rigorosa disciplina edilizia.
La previsione di fasce di rispetto in relazione a determinate aree ed edifici, quale disciplinata dall’art. 7, comma 3, costituirebbe una tipica disciplina urbanistica ed edilizia, che correttamente la legge regionale affida, nel dettaglio, a norme regolamentari della Giunta regionale (art. 7, comma 3) ed agli strumenti di pianificazione urbanistica comunali (art. 7, comma 4).
12. – In prossimità dell’udienza ha depositato un’unica memoria illustrativa il Presidente del Consiglio dei ministri in relazione ai giudizi promossi nei confronti della legge della Regione Campania n. 13 del 2001 (reg. ric. n. 5 del 2002) e della legge della Regione Umbria n. 9 del 2002 (reg. ric. n. 52 del 2002).
Nella prima parte di essa l’Avvocatura svolge difese di carattere generale, mentre nella seconda sviluppa le censure alle singole disposizioni delle due leggi impugnate.
In
relazione alle finalità di "salvaguardia dell’ambiente dall’inquinamento
elettromagnetico” e di "salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio”, enunciate,
rispettivamente, dalla legge campana e dalla legge umbra accanto a quella della
"tutela della salute della popolazione”, sulla scorta dei rilievi svolti dalla sentenza n. 407 del
2002 sulla "trasversalità” della materia e sulla configurazione
dell’ambiente come valore, osserva l’Avvocatura che allo Stato spettano le
discipline che debbono essere uniformi sull’intero territorio nazionale, e che
occorre distinguere, settore per settore, se la esigenza della uniformità
precluda interventi legislativi regionali, ovvero, ferma la riserva allo Stato
della tutela minima da assicurare inderogabilmente su tutto il territorio, sia
possibile per
Premesso che la tutela disposta dallo Stato in materia di inquinamento elettromagnetico è conforme ai dati provenienti dalla ricerca scientifica, acquisiti anche in sede comunitaria (viene richiamata, in tema di "norme tecniche”, la sentenza n. 61 del 1997), osserva la difesa erariale che la legislazione ambientale interferisce, oltre che con la tutela della salute, con la materia della tutela della concorrenza, riservata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione, e che al Governo compete, a norma dell’art. 95 della Costituzione, "la politica generale”, nelle cui linee, specie in questo periodo, sono comprese la politica economica – implicante la fissazione di criteri di compatibilità con l’ambiente per rendere l’obiettivo di sollecitare l’aumento delle risorse nazionali sostenibile – e quella dell’occupazione – diretta all’incremento di quest’ultima dove la disoccupazione è più preoccupante.
Tanto la sostenibilità dello sviluppo economico che l’incremento della occupazione richiederebbero politiche programmate e coordinate sull’intero territorio nazionale, che rendono incompatibile una normazione differenziata Regione per Regione su iniziativa di queste ultime, se non nei limiti in cui sia compatibile con le politiche statali. Ogni misura contro l’inquinamento ambientale, per la sua natura necessariamente restrittiva, determinerebbe costi aggiuntivi per le imprese. "Una diversa graduazione in ogni Regione verrebbe a creare una sorta di competizione ambientale, rendendo più appetibile l’insediamento laddove le misure risultano meno gravose. Attraverso, dunque, la tutela della salute al di sopra dei limiti di sicurezza, fissati dalla legislazione dello Stato a tutela dell’ambiente, si finirebbe con lo scoraggiare gli investimenti produttivi pregiudicando anche l’occupazione, mettendo in dubbio la realizzazione degli obiettivi della politica governativa”.
Se ne avrebbe una conferma nel fatto che le iniziative rivolte ad una più incisiva tutela ambientale sarebbero "spesso contrastate dalle rappresentanze sindacali che vi vedono un ostacolo serio all’incremento della produzione e, quindi, dell’occupazione”.
Nello stesso tempo si finirebbe con l’incidere anche sulla concorrenza, poiché chi scegliesse per il suo insediamento una zona più tutelata si troverebbe in posizione di partenza svantaggiata dal punto di vista competitivo.
Pertanto, la legge regionale, da una parte non può mai ridurre il livello di tutela dell’ambiente, determinato dallo Stato nell’esercizio della sua legislazione esclusiva; dall’altra, non può elevare quel livello quando l’interesse perseguito dallo Stato esclude che si possano avere discipline differenziate Regione per Regione, tenendo anche conto delle esigenze delle politiche generali, anche esse riservate allo Stato.
Tali parametri normativi, osserva l’Avvocatura, non fatti valere nei ricorsi, vengono richiamati solo come canoni interpretativi della legislazione statale in materia di ambiente e dei principi fondamentali sulla tutela della salute.
Richiamata la raccomandazione comunitaria in materia del 12 luglio 1999, i cui "limiti di esposizione raccomandati si basano solo su effetti accertati” (considerando 10), osserva la difesa erariale che ogni diverso limite sarebbe fondato su valutazioni legate alla sensibilità locale, non sostenuta da dati scientifici, e che dovendosi basare le disposizioni degli Stati membri su un quadro normativo concordato, per garantire una protezione uniforme in tutta la comunità, quest’ultima presupporrebbe l’uniformità nazionale, compresa nella materia dei rapporti con l’UE, attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera e, della Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato. E poiché la raccomandazione rende comunitariamente legittime le norme conformi e viene richiamata come fonte di cognizione e di conferma dei dati scientifici più aggiornati acquisiti in materia, tenuto conto delle indicazioni comunitarie, lo Stato, salvo che nelle zone per le quali fossero riscontrabili esigenze ambientali differenziate, non potrebbe introdurre misure non omogenee su tutto il territorio nazionale, incorrendo, in difetto di ragioni giustificative, nella violazione dell’art. 3 e del principio di ragionevolezza ("nel settore imprenditoriale la normativa della concorrenza ha come obiettivo di tutelare la uguaglianza delle imprese dal punto di vista competitivo”) e dell’art. 117, secondo comma, lettera a, della Costituzione.
Né verrebbe in questo modo pregiudicata la competenza regionale in materia di tutela della salute, in quanto i relativi interventi non potrebbero essere fondati su valutazioni di pura discrezionalità politica, ma "sulla verifica delle conoscenze scientifiche e delle evidenze sperimentali acquisite” (sentenza n. 282 del 2002).
Pertanto, rispetto ai limiti (limiti di esposizione, valori di attenzione) fissati dalla normativa statale, "interventi più incisivi della Regione, privi di giustificazione scientifica come sono, possono fondarsi solo su di una scelta politica, che interferendo anche sulla politica economica, sulla politica dell’occupazione e sulla concorrenza, pregiudicherebbero gli obiettivi della politica nazionale in queste materie”.
Se ci si orientasse in senso contrario, prosegue l’Avvocatura, verrebbero neutralizzati gli strumenti governativi di politica economica, cosicché i poteri, e di conseguenza le responsabilità, in materia di sviluppo e di occupazione andrebbero ripartiti tra Stato e Regioni "addirittura con una posizione prevalente di queste ultime che, attraverso l’esercizio della loro legislazione concorrente od esclusiva, potrebbero impedire il raggiungimento degli obiettivi che si propone la legislazione statale”.
La natura di valutazioni "di pura discrezionalità politica” alla base delle diverse discipline regionali in materia troverebbe conferma nell’atto di costituzione della Regione Umbria (reg. ric. n. 52 del 2002), la quale, definendo il suo intervento "all’avanguardia ", ha riconosciuto che la normativa regionale non ha base scientifica, asserendo che "proprio l’incertezza circa la pericolosità delle emissioni elettriche, magnetiche ed elettromagnetiche e l’imponderabilità delle gravissime conseguenze cui la popolazione, in un regime che non consenta limitazioni al riguardo, potrebbe essere esposta, rende ragionevoli le previsioni del legislatore umbro, che, in attesa di una seria e concorde valutazione della comunità scientifica in proposito, si attiene a prudenti canoni di prevenzione”.
Se le diverse leggi regionali introducessero discipline tra loro diverse, la salute sarebbe non una nozione fondata sulla scienza medica, ma una nozione politica, con rilevanti effetti di ordine pratico. Osserva, infatti, la difesa dello Stato che "la rete di trasmissione dell’energia elettrica è unica e connessa con le altre reti europee. Anche ad ammettere che la sua gestione restasse tecnicamente affidabile, essa comporterebbe costi estremamente elevati con incidenza sui prezzi, che, per ragioni di parità di trattamento, dovrebbero essere diversi da Regione a Regione, in base agli aggravi dei costi provocati dalle legislazioni rispettive”.
Sulla base di tali rilievi di carattere generale, osserva l’Avvocatura che sono sicuramente illegittime le norme regionali rivolte espressamente alla tutela dell’ambiente, come gli artt. 1 di entrambe le leggi impugnate, là dove enunciano che per tale finalità viene disciplinata la localizzazione degli elettrodotti, e, conseguentemente gli artt. 2 e 3 della legge campana n. 13 del 2001, e l’art. 2 della legge umbra.
In ordine alle singole disposizioni della legge della Regione Campania, la difesa erariale osserva quanto segue.
Quanto all’art. 2, non sarebbe coerente con quello fissato dalla legislazione statale il valore limite della induzione magnetica, stabilito in 0,2 micro-Tesla, "misurata al ricettore” in prossimità degli insediamenti e località indicate, non essendo posti limiti alla distanza o alla potenzialità delle emittenti. A norma dell’art. 3, comma 1, lettera b, i limiti di esposizione sono infatti fissati "in quanto valori di campo”, come valore prodotto dalla fonte nello spazio circostante "che non deve essere superato in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori”, e non come valore misurato al ricettore, vale a dire presso chi ne riceve gli effetti (viene richiamata la nozione di "campo elettrico” fornita dall’all. A del decreto ministeriale dell’ambiente 10 settembre 1998, n. 381).
L’adozione di un siffatto criterio non soddisferebbe il preminente "interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee” postulato dall’art. 4 della legge n. 36 del 2001 per il perseguimento della finalità fissata dall’art. 1, utilizzando per la fissazione dei valori uno strumento, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (art. 4, comma 2, lettera a), che consente, in linea con la raccomandazione comunitaria richiamata ("il quadro dovrebbe essere riesaminato e valutato regolarmente alla luce delle nuove conoscenze e degli sviluppi nel settore tecnologico”), l’aggiornamento in tempi brevi, prevedendo, peraltro, l’intesa in sede di conferenza unificata ed il parere delle commissioni parlamentari. Principio fondamentale, precisa quindi il ricorrente, è che la disciplina sia uniforme su tutto il territorio nazionale e, per essere tale, che sia fissata dallo Stato.
Nella specie, la misurazione al ricettore prevista dalla Regione Campania può portare alla riduzione delle tutele previste per l’ambiente dalla legislazione statale, consentendo valori di campo anche superiori.
Ma la norma sarebbe, altresì, illegittima per non aver rispettato i principi fondamentali desumibili dalla legislazione preesistente, espressamente individuati, per il regime transitorio, dall’art. 16 della legge quadro, nel d.m. appena citato e nel d.P.C.m. 23 aprile 1992, dei quali l’Avvocatura illustra il fondamento scientifico, confrontandolo con quello della norma regionale.
Vengono altresì spiegate le conseguenze, in termini economici, del risanamento degli impianti con spesa a carico dei proprietari degli elettrodotti, e l’incidenza sulle tariffe derivanti da mutamenti del quadro normativo, con eventuali problemi, in caso di normative diverse nelle varie Regioni, in ordine al livello dei prezzi dell’energia.
Osserva infatti il Presidente del Consiglio che l’art. 3, comma 10, della legge 16 marzo 1999, n. 79, prevede che "per l’accesso e l’uso della rete di trasmissione nazionale è dovuto al gestore un corrispettivo determinato indipendentemente dalla localizzazione geografica degli impianti di produzione e dei clienti finali e, comunque, sulla base di criteri non discriminatori. La misura del corrispettivo è determinata dall’Autorità per l’energia elettrica”. Pertanto, "se fosse consentita una normativa a pelle di leopardo, ci si troverebbe di fronte a questa alternativa: i consumatori di energia elettrica (sarebbero questi i soggetti economicamente incisi), essendo unica la tariffa, pur risiedendo in una Regione dove opera il livello di protezione previsto dalla normativa statale o, comunque, un livello superiore a quello di altre Regioni, dovrebbero subire l’onere di un livello, ad esempio, di 0,2 micro-Tesla, disposto da altre Regioni a tutela dei propri residenti, anche in mancanza di giustificazioni scientifiche: non è difficile prevedere che insorgerebbero dubbi sulla legittimità costituzionale di un tale regime di corrispettivi. La seconda soluzione sarebbe la previsione di corrispettivi variabili Regione per Regione, in ragione di costi subiti per l’adeguamento degli elettrodotti alle discipline rispettive, dandosi luogo ad un sistema di prezzi anche esso a macchia di leopardo, per cui non sarebbe più possibile parlare di un mercato nazionale”.
L’art. 3, nel regolare il risanamento degli
impianti di distribuzione dell’energia elettrica, violerebbe il principio
fondamentale posto dall’art. 4, comma 1, lettera d, della legge quadro, che riserva allo Stato la determinazione
"dei criteri di elaborazione dei piani di risanamento di cui all’art.
Se un sistema a rete debba o non essere uniforme su tutto il territorio nazionale, infatti, sarebbe una valutazione di principio, che non può essere sottratta allo Stato, la cui competenza precipua è appunto la tutela degli interessi unitari.
La norma impugnata, senza tenere in considerazione l’art. 9, comma 2, della legge statale che attribuisce alle Regioni la redazione dei piani "su proposta dei soggetti gestori e sentiti i Comuni interessati”, avrebbe attribuito ai Comuni, attraverso l’adeguamento della pianificazione urbanistica, la competenza ad individuare gli elettrodotti in esercizio che non rientrano nelle condizioni di cui al comma 3 dell’articolo 2, e che per questo sono oggetto di interventi prioritari di risanamento, imponendo, poi, alle imprese distributrici la predisposizione del piano di risanamento "con le modalità e i tempi degli interventi da realizzare”, senza alcun richiamo ai criteri fissati dallo Stato, e, infine, riservando a sé l’approvazione finale, attribuendosi così una autonomia piena, svincolata da ogni possibilità di coordinamento nazionale attraverso l’osservanza dei criteri di elaborazione riservati allo Stato.
L’art. 7, nel prevedere sanzioni a carico di chi superi i limiti di campo, non terrebbe conto del fatto che il potere sanzionatorio non può competere a un soggetto diverso dal titolare del potere tutelato, e cioè, dallo Stato.
L’art. 8, nel dettare una disciplina transitoria – diversa da quella fissata dall’art. 16 della legge quadro – in attesa della formulazione dei nuovi principi generali per la legislazione concorrente regionale, non terrebbe conto che ciò non può che competere, evidentemente, allo Stato.
Quanto alla legge della Regione Umbria n. 9 del 2002, la difesa erariale, richiamate le argomentazioni già svolte in ordine alla legge campana, in particolare si sofferma sull’art. 1, che riserva alla futura disciplina regionale "la localizzazione, la costruzione, la modificazione ed il risanamento degli impianti”, in contrasto con l’art. 5 della legge quadro, che le riserva allo Stato, anche al fine di assicurare l’uguaglianza dei residenti nelle varie Regioni rispetto ai livelli di protezione da radiazioni elettromagnetiche, realizzando così il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione. L’art. 2 della legge impugnata richiede ai gestori ed ai concessionari degli impianti la dimostrazione delle "ragioni obiettive della indispensabilità degli impianti”, non prevista dall’art. 8 della legge quadro, e sconfina così nella sfera della concorrenza, la cui tutela è attribuita alla legislazione esclusiva dello Stato dall’art. 117, comma 2, lettera e, della Costituzione. Gli artt. 4, comma 1, lettera b, e 5 fissano una specifica disciplina regionale per il risanamento degli impianti, che sarebbe illegittima per le ragioni esposte, in contrasto con l’art. 9 della legge quadro. L’art. 12, comma 2, richiede valutazioni di impatto ambientale, le cui procedure non possono essere che di competenza statale, regolate da criteri unitari. Del pari, i "criteri preordinati alla localizzazione ed al risanamento”, che l’art. 13 della legge impugnata rimette alla Giunta regionale, non possono essere che unitari su tutto il territorio nazionale.
12.1. – In
prossimità dell’udienza pubblica, fissata, a seguito di rinvio, al 25 marzo
La difesa erariale ricorda che tra i compiti della Comunità il Trattato pone la garanzia di un elevato livello di protezione dell’ambiente, da mettere in relazione con lo sviluppo sostenibile (artt. 2 e 6), mentre tra i principi di tutela in materia di ambiente pone il principio di precauzione, il quale, considerato il suo carattere elastico, incontra limiti a tutela di altri interessi, ugualmente rilevanti, che non possono essere sacrificati senza giustificazione.
Ciò comporterebbe che ogni misura di tutela vada presa e modificata successivamente in base alle acquisizioni scientifiche disponibili.
Tra i principi cui le Regioni, in materia di tutela della salute, dovevano attenersi vanno ricondotte le prescrizioni, fondate sulle acquisizioni tecniche disponibili, rispetto alle quali sono stati applicati criteri uniformi di precauzione.
Viene definita la portata della raccomandazione CE intervenuta in materia e la natura del vincolo da essa posto, anche alle Regioni.
13. – In prossimità dell’udienza fissata per il 25 marzo 2003, il Comune di Lacco Ameno ed il suo Sindaco, quale Ufficiale di Governo, che avevano spiegato intervento nel giudizio mosso nei confronti della legge campana (reg. ric. n. 5 del 2002), hanno depositato una memoria illustrativa.
13.1. – Ha altresì depositato memoria in prossimità dell’udienza nel medesimo giudizio (reg. ric. n. 5 del 2002) il Gestore della Rete di Trasmissione Nazionale s.p.a. che, insistendo nelle richieste già avanzate, illustra, in particolare, il d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79, recante "Attuazione della direttiva 96/92 CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”.
14. – In prossimità dell’udienza, nel giudizio promosso nei confronti della legge pugliese (reg. ric. n. 35 del 2002), ha depositato memoria il ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri, che, insistendo nelle conclusioni già rassegnate, ha soprattutto ricordato l’entrata in vigore del d.lgs. n. 198 del 2002 e la sua incidenza nel giudizio in corso, svolgendo considerazioni analoghe a quelle già formulate nel giudizio promosso nei confronti della legge della Regione Marche (reg. ric. n. 4 del 2002).
15. – Ha
depositato una prima memoria
Con una
successiva memoria
).