SENTENZA N. 64
ANNO 2015
Commenti alla decisione di
I. Enrico Albanesi, La Corte torna sull’attività dei Consigli regionali in prorogatio (sentt. Corte cost. nn. 44, 55, 64 e 81/2015), in questa Rivista, Studi, 2015/II, 525 ss.
II. Massimiliano Mezzanotte, La prorogatio del Consiglio regionale: il caso Abruzzo, per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alessandro CRISCUOLO Presidente
- Paolo Maria NAPOLITANO Giudice
- Giuseppe FRIGO ”
- Paolo GROSSI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’intero testo e dell’art. 2, commi 4 e 5, della legge della Regione Abruzzo 28 aprile 2014, n. 26 (Disposizioni regionali per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’8-9 luglio 2014, depositato in cancelleria il 15 luglio 2014 ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2014.
Udito nell’udienza pubblica del 10 marzo 2015 il Giudice relatore Paolo Grossi;
udito l’avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.− Con ricorso notificato l’8-9 luglio 2014 e depositato il successivo 15 luglio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha ritualmente proposto in via principale questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 28 aprile 2014, n. 26 (Disposizioni regionali per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione), per violazione dell’art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto regionale 28 dicembre 2006 (Statuto della Regione Abruzzo), in riferimento all’art. 123 della Costituzione. E, gradatamente, ha altresì proposto questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 4 e 5, della stessa legge regionale, in riferimento all’art.117, secondo comma, lettera s), Cost., per contrasto con le norme interposte di cui agli artt. 135, 143, 145 e 156 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137).
1.1.− Il ricorrente rileva, innanzitutto, che la legge censurata, nella sua interezza, è illegittima perché adottata dal Consiglio regionale nel periodo di prorogatio successivo allo scioglimento dell’assemblea regionale per fine legislatura (ed antecedente alla data fissata per lo svolgimento delle nuove elezioni), in assenza dei presupposti per l’esercizio del potere legislativo regionale che caratterizzano tale periodo.
La difesa dello Stato osserva, infatti, che la legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni), ha attribuito alla fonte statutaria la definizione della forma di governo e l’enunciazione dei princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, in armonia con la Costituzione (ai sensi dell’art. 123, primo comma, Cost.); ed ha demandato allo stesso legislatore regionale (nel rispetto dei princìpi fondamentali fissati con legge della Repubblica, «che stabilisce anche la durata degli organi elettivi», ex art. 122, primo comma, Cost.), la disciplina del sistema elettorale. In particolare, l’art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto della Regione Abruzzo prevede che, «[…] nei casi di scioglimento anticipato e di scadenza della Legislatura: a) le funzioni del Consiglio regionale sono prorogate, secondo le modalità disciplinate nel Regolamento, sino al completamento delle operazioni di proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni limitatamente agli interventi che si rendono dovuti in base agli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea, a disposizioni costituzionali o legislative statali o che, comunque, presentano il carattere della urgenza e necessità […]».
Pertanto, secondo il ricorrente, il Consiglio regionale dispone, in tale situazione, di poteri attenuati, verificandosi, in sostanza, una sorta di “depotenziamento” delle sue funzioni, la cui ratio è volta a coniugare il principio di rappresentatività con quello di continuità funzionale dell’organo. Per cui, se va escluso che tale depotenziamento possa spingersi fino ad una indiscriminata e totale paralisi dell’organo stesso, tuttavia al Consiglio regionale è consentito di deliberare in circostanze straordinarie o di urgenza, o per il compimento di atti dovuti o di ordinaria amministrazione (come chiarito nella sentenza n. 68 del 2010), ma non di legiferare oltre tali indefettibili limiti (ribaditi dall’art. 141 del Regolamento interno per i lavori del Consiglio regionale, approvato con delibera del Consiglio regionale della Regione Abruzzo n. 56/2 del 12 ottobre 2010), rispetto ai quali, peraltro, le concrete situazioni di urgenza ed indifferibilità devono essere adeguatamente motivate.
Ciò posto, la difesa dello Stato rileva che la legge in esame non presenta alcuno dei richiamati caratteri di indifferibilità ed urgenza, né si configura quale atto dovuto tale da non poter essere rinviato per non recare danno alla collettività regionale o al funzionamento dell’ente. Tali presupposti, infatti, non sarebbero ravvisabili (come invece affermato nella relazione al relativo disegno di legge) nella volontà di rimuovere la situazione di incertezza creatasi, nella materia de qua, a seguito della sentenza n. 211 del 2013, con cui la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2 della legge della Regione Abruzzo 28 agosto 2012, n. 46, che apportava «Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2, recante “Disposizioni in materia di beni paesaggistici e ambientali, in attuazione della Parte Terza del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio)”», come dimostrato dal fatto che la Regione medesima non ha ancora adeguato il piano paesaggistico alle disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli articoli 135, 143, 145 e 156 del citato d.lgs. n. 42 del 2004.
1.2.− In secondo luogo, il ricorrente impugna l’art. 2, commi 4 e 5, della medesima legge regionale, che disciplina il caso in cui, in sede di adeguamento della pianificazione urbanistica a quella comunale, «la proposta comunale si configuri come proposta di variante al P.R.P.».
In particolare, per la difesa dello Stato, il procedimento descritto in tali disposizioni – non prevedendo l’apposito accordo con il competente organo statale previsto dagli artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, ma la mera partecipazione degli organi ministeriali ad una conferenza di servizi – non garantisce adeguatamente il coinvolgimento del Ministero per i beni culturali ed ambientali nella pianificazione paesaggistica, e quindi viola l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Poiché, infatti, la fattispecie disciplinata dal comma 4 dell’art. 2 si configura sostanzialmente in una revisione, ancorché limitata, del piano paesaggistico (non derogabile da parte degli strumenti urbanistici, ex art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004), essa dovrebbe essere soggetta alle medesime garanzie previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di elaborazione congiunta del piano paesaggistico (ex artt. 135, comma 1, 143 e 156 del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004). Viceversa, le disposizioni censurate presentano i medesimi profili di illegittimità costituzionale (sanzionati con la sentenza n. 211 del 2013) dell’art. 2 della legge reg. n. 46 del 2012, che escludeva qualsiasi forma di partecipazione di qualsivoglia organismo ministeriale al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica.
Considerato in diritto
1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri propone innanzitutto questione di legittimità costituzionale dell’intero testo della legge della Regione Abruzzo 28 aprile 2014, n. 26 (Disposizioni regionali per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione), in quanto provvedimento adottato dal Consiglio regionale nel periodo di prorogatio successivo allo scioglimento dell’assemblea regionale per fine legislatura (ed antecedente alla data fissata per lo svolgimento delle nuove elezioni), in assenza dei presupposti per l’esercizio del potere legislativo regionale che caratterizzano tale periodo.
In particolare, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 123 della Costituzione, per l’insussistenza delle condizioni che legittimano il Consiglio regionale a legiferare, contemplate nell’art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto regionale 28 dicembre 2006 (Statuto della Regione Abruzzo), in base al quale «[…] nei casi di scioglimento anticipato e di scadenza della Legislatura: a) le funzioni del Consiglio regionale sono prorogate, secondo le modalità disciplinate nel Regolamento, sino al completamento delle operazioni di proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni limitatamente agli interventi che si rendono dovuti in base agli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea, a disposizioni costituzionali o legislative statali o che, comunque, presentano il carattere della urgenza e necessità […]».
L’oggetto e la portata delle censure mosse dal ricorrente, e le ragioni poste a sostegno delle medesime, attengono dunque alla formale contestazione, a monte, del potere stesso di approvare la legge da parte del Consiglio regionale abruzzese. Di conseguenza (conformemente ai precedenti casi in cui questa Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla denunciata violazione dei poteri in regime di prorogatio: sentenze n. 181 del 2014 e n. 68 del 2010) è pienamente ammissibile che l’impugnazione riguardi l’atto legislativo nel suo testo integrale, a prescindere dal carattere dispositivo più o meno eterogeneo del suo contenuto normativo.
2.− La questione non è fondata.
2.1.− Questa Corte ha già avuto occasione di riferirsi alla eventualità che i poteri dei Consigli delle Regioni ad autonomia ordinaria possano essere prorogati al periodo successivo al loro scioglimento, in previsione delle imminenti nuove elezioni.
La sentenza n. 68 del 2010 – premessa la ricostruzione dell’antecedente regolamentazione dell’istituto della prorogatio dei Consigli regionali (sentenze n. 515 del 1995 e n. 468 del 1991) – ha sottolineato come il quadro normativo ed applicativo sia notevolmente mutato a seguito della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1 (Disposizioni concernenti l’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale e l’autonomia statutaria delle Regioni). Questa ha attribuito allo statuto ordinario la definizione della forma di governo e l’enunciazione dei princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione, in armonia con la Costituzione (art. 123, primo comma, Cost.); e ha demandato, nel contempo, la disciplina del sistema elettorale e dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità allo stesso legislatore regionale, sia pure nel rispetto dei princìpi fondamentali fissati con legge della Repubblica, «che stabilisce anche la durata degli organi elettivi» (art. 122, primo comma, Cost.). Cosicché – anche sulla base di quanto successivamente previsto nella legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione) – questa Corte ha affermato che «una interpretazione sistematica delle citate nuove norme costituzionali conduce a ritenere che la disciplina della eventuale prorogatio degli organi elettivi regionali dopo la loro scadenza o scioglimento o dimissioni, e degli eventuali limiti dell’attività degli organi prorogati, sia oggi fondamentalmente di competenza dello statuto della Regione, ai sensi del nuovo articolo 123, come parte della disciplina della forma di governo regionale»; e che, nel disciplinare questo profilo, gli statuti «dovranno essere in armonia con i precetti e con i principi tutti ricavabili dalla Costituzione, ai sensi dell’art. 123, primo comma, della Costituzione» (sentenza n. 196 del 2003; anche sentenza n. 304 del 2002).
Va pertanto ribadito, in sintesi, che l’istituto della prorogatio riguarda, in termini generali, fattispecie in cui «coloro che sono nominati a tempo a coprire uffici rimangono in carica, ancorché scaduti, fino all’insediamento dei successori» (sentenza n. 208 del 1992); che, con specifico riferimento agli organi elettivi, e segnatamente ai Consigli regionali, esso attiene solo all’«esercizio dei poteri nell’intervallo fra la scadenza, naturale o anticipata, di tale mandato, e l’entrata in carica del nuovo organo eletto» (sentenza n. 196 del 2003); e che l’istituto in esame presuppone la scadenza, naturale o anticipata, del mandato dell’organo, non potendovi logicamente esservi prorogatio prima di tale scadenza (sentenze n. 181 del 2014 e n. 68 del 2010). Detto esercizio va inteso come necessariamente limitato alle esigenze di rispondere a speciali contingenze, quale ragionevole soluzione di bilanciamento tra il principio di rappresentatività e il principio di continuità funzionale (sentenze n. 55 e n. 44 del 2015).
2.2.− Ciò premesso (in termini generali, quanto alla individuazione del momento in cui sorge e vige il regime di prorogatio), sotto un profilo più specifico va anche rilevato che la Regione Abruzzo ha effettivamente regolamentato il contenuto e la portata dei poteri attribuiti al Consiglio regionale in periodo di prorogatio.
In particolare l’art. 86, comma 3, dello statuto, nella sua originaria previsione disponeva che «[…] in caso di scioglimento anticipato e di scadenza della legislatura, il Consiglio e l’Esecutivo regionale sono prorogati sino alla proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni, indette entro tre mesi dal Presidente della Giunta, secondo le modalità definite dalla legge elettorale». Peraltro, a seguito della sentenza n. 68 del 2010 – con cui questa Corte, in assenza di una espressa limitazione dei poteri dell’organo prorogato, aveva interpretato la norma statutaria come «facoltizzante il solo esercizio delle attribuzioni relative ad atti necessari e urgenti, dovuti o costituzionalmente indifferibili», ritenendo che tale limitazione dei poteri del consiglio fosse «immanente all’istituto della stessa prorogatio» e rappresentasse una «ragionevole soluzione di bilanciamento tra il principio di rappresentatività ed il principio di continuità funzionale» – la norma statutaria è stata sostituita dall’art. 10 della legge statutaria regionale 9 febbraio 2012, n. 1 (Modifiche allo Statuto della Regione Abruzzo). Nel testo oggi vigente, essa prevede che «[…] nei casi di scioglimento anticipato e di scadenza della Legislatura: a) le funzioni del Consiglio regionale sono prorogate, secondo le modalità disciplinate nel Regolamento, sino al completamento delle operazioni di proclamazione degli eletti nelle nuove elezioni limitatamente agli interventi che si rendono dovuti in base agli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea, a disposizioni costituzionali o legislative statali o che, comunque, presentano il carattere della urgenza e necessità […]».
È indubbio che l’impugnata legge reg. Abruzzo n. 26 del 2014, sia stata approvata e promulgata in periodo di prorogatio del Consiglio regionale abruzzese, essendo scaduti il 14 dicembre 2013 i cinque anni di durata in carica del Consiglio regionale, mentre le successive elezioni regionali sono state indette per il giorno 25 maggio 2014 (con decreto del Presidente della Giunta regionale 14 gennaio 2014, n. 6); e la proclamazione dell’ultimo degli eletti è avvenuta l’11 giugno 2014 (come da nota del Consiglio regionale − Direzione affari della presidenza e legislativi n. prot. 12396 dell’11 giugno 2014).
2.3.− Ciò premesso, va sottolineato che le censure svolte dal ricorrente appaiono tutte incentrate sull’assunto (mutuato dalle motivazioni espresse nella sentenza n. 68 del 2010 e dal contenuto dell’art. 141 del Regolamento interno per i lavori del Consiglio regionale, approvato con delibera del Consiglio regionale n. 56/2 del 12 ottobre 2010, cui la norma statutaria fa richiamo) dell’assenza dei caratteri di indifferibilità ed urgenza nel provvedimento legislativo de quo, che non si configurerebbe “quale atto dovuto tale da non poter essere rinviato per non recare danno alla collettività regionale o al funzionamento dell’ente”.
A queste affermazioni può essere opposto un duplice ordine di considerazioni. Il primo attinente al fatto che le condizioni fissate dalla norma statutaria per consentire l’esercizio delle funzioni legislative del Consiglio regionale in periodo di prorogatio non sono limitate ai soli casi di interventi che presentino i caratteri dell’urgenza e della necessità. L’art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto (in ordine al quale da questa Corte è stato affermato che non sono stati superati i limiti imposti dall’art. 123 Cost. e sul cui contenuto non è stata mossa alcuna censura, neppure ai sensi e nei termini di cui al secondo comma dell’art. 123 Cost.) si riferisce agli interventi «che, comunque, presentano il carattere dell’urgenza e necessità», come ad una ipotesi autonoma ed aggiuntiva rispetto «agli interventi che si rendono dovuti in base agli impegni derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea, a disposizioni costituzionali o legislative statali». Questi interventi dunque (secondo il senso inequivoco desumibile dalla lettera della norma e dalla sua ratio) non devono essere necessariamente connotati nei fatti dalla configurabilità dei presupposti della necessità e urgenza, che, viceversa, giustificano la legittimità di interventi diversi da quelli tipizzati.
Il secondo, derivante dalla considerazione che la asserita portata estensiva e generalizzante del limite della necessità ed urgenza (legittimante, come detto, il prorogato esercizio dei poteri legislativi del Consiglio regionale) non può trarsi dalla portata precettiva della norma regolamentare (anch’essa richiamata dal ricorrente), giacché – se è vero che il comma 2 dell’art. 141 del citato Regolamento interno per i lavori del Consiglio regionale disciplina i termini di evidenziazione delle «situazioni di estrema gravità che esigono interventi immediati ed improcrastinabili, la cui adozione non può essere rinviata senza arrecare grave danno per gli interessi affidati alla cura della Regione» – ciò è riferito proprio (e solo) a quegli interventi residuali connotati dalla necessità ed urgenza.
Pertanto, l’enfatizzazione del requisito della necessità ed urgenza, quale unico e generale presupposto per l’esercizio dei poteri in periodo di prorogatio, è frutto di un erroneo presupposto interpretativo in cui è incorso il ricorrente, fermo restando che la prorogatio comporta che non possa essere invaso il campo delle scelte normative connaturate al pieno esercizio del mandato elettorale (sentenze n. 55 e n. 44 del 2015).
2.4.− Sotto altro profilo, poi, va posto in evidenza il fatto che, dalla relazione al progetto di legge in questione (da cui, in base a quanto affermato nella sentenza n. 68 del 2010, può trarsi la ratio dell’intervento e la sussistenza dei connaturati limiti di legittimazione), il legislatore abruzzese premette espressamente che l’adozione dell’atto normativo nasce dalla «esigenza di rimuovere la situazione di incertezza, sul piano normativo, in ordine alla procedura da seguire per assicurare il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione». E che tale situazione «trae origine dal vuoto normativo creatosi con la pronuncia della Corte costituzionale n. 211 del 3-18 luglio 2013, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della L.R. 28 agosto 2012, n. 46 […], il cui testo aveva sostituito l’art. 2-bis della L.R. 2/2003, recante la disciplina del coordinamento delle previsioni fissate nella pianificazione paesaggistica regionale con quelle contenute negli strumenti pianificatori sottordinati». Sicché, è proprio in seguito alla citata sentenza che «si registra, pertanto, la necessità di procedere […] all’approvazione di un nuovo provvedimento legislativo allo scopo di colmare il vulnus provocato dalla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 2 della L.R. 46/12, attraverso l’introduzione nell’ordinamento regionale di una disciplina che individui le procedure da seguire per l’esercizio delle funzioni di coordinamento dell’attività di pianificazione paesaggistica con quella di pianificazione locale, in ossequio ai principi di tutela e partecipazione fissati dall’art. 145 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, nonché in linea con la lettura fornita dal Giudice delle Leggi circa gli obblighi di pianificazione concertata».
Orbene, va rilevato come proprio nella sentenza n. 211 del 2013 (dal cui decisum è derivato il vuoto normativo conseguente alla integrale caducazione della disposizione censurata a seguito della declaratoria di incostituzionalità), questa Corte, da un lato, abbia sottolineato espressamente la necessità che la Regione (nell’ottica della salvaguardia del territorio mediante pianificazione paesaggistica ad opera congiunta dello Stato e delle Regioni, ex art. 135, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) predisponga una disciplina del «procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica, assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (ai sensi dell’art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004). E, dall’altro lato, abbia affermato che la circostanza (prospettata dalla difesa dello Stato anche nel presente giudizio, al fine di negare ulteriormente la necessità ed urgenza della legge impugnata) che «non risulti ancora adottato un piano paesaggistico regionale adeguato alle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio finisce per rendere ancor più acuta la vulnerazione delle prerogative statali, considerato che, in relazione a quelle che saranno le concrete previsioni dello stesso piano, dovranno poi essere verosimilmente ridisciplinate, dalla legge regionale, le procedure di adeguamento degli “altri strumenti di pianificazione”».
Pertanto, le richiamate ragioni contenute nei lavori preparatori (citati dallo stesso ricorrente), lungi dal configurarsi come giustificazioni meramente pretestuose circa la sussistenza dei requisiti del legittimo esercizio del potere legislativo in tempo di prorogatio consentono di ricomprendere, quello impugnato, nel novero degli interventi che si rendano comunque dovuti in base a disposizioni costituzionali e/o legislative statali, e dunque consentiti dalla più volte richiamata norma statutaria.
3.− Il ricorrente censura ulteriormente i commi 4 e 5 dell’art. 2 della medesima legge regionale, che disciplinano il caso in cui, in sede di adeguamento della pianificazione urbanistica a quella comunale, «la proposta comunale si configuri come proposta di variante al P.R.P.». La difesa dello Stato lamenta la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., poiché il procedimento descritto in tali disposizioni – non prevedendo l’apposito accordo con il competente organo statale di cui agli artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, ma la mera partecipazione degli organi ministeriali ad una conferenza di servizi – non garantisce adeguatamente il coinvolgimento del Ministero per i beni culturali ed ambientali nella pianificazione paesaggistica. Viceversa, configurandosi l’intervento sostanzialmente in una revisione, ancorché limitata, del piano paesaggistico, esso dovrebbe essere soggetto alle medesime garanzie previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di elaborazione congiunta del piano paesaggistico (ex artt. 135, comma 1, 143 e 156 del d.lgs. n. 42 del 2004).
3.1.− Occorre innanzitutto rilevare che – a seguito della proposizione del presente giudizio in via principale ed al fine (esplicitato nella relazione di accompagnamento al relativo progetto di legge) di comporre il conflitto originato dalla impugnativa dei citati commi 4 e 5 dell’art. 2, mediante accoglimento dei rilievi governativi «in linea con una lettura costituzionalmente orientata» ed in uno spirito di leale collaborazione che consenta di addivenire alla cessazione della materia del contendere – la Regione Abruzzo ha emanato la legge regionale 12 novembre 2014, n. 40 (Modifiche ed integrazioni all’art. 2 della legge regionale 28 aprile 2014, n. 26, all’art. 14 della legge regionale 25 ottobre 1996, n. 96, alla legge regionale 10 marzo 2008, n. 2 e ulteriori norme in materia di edilizia residenziale pubblica), il cui art. 1, in particolare, ha sostituito l’art. 2 della impugnata legge regionale n. 26 del 2014.
Le censure mosse dal ricorrente a sostegno della impugnazione del testo originario dei commi 4 e 5 di detta norma riguardano (nel caso in cui, in sede di adeguamento della pianificazione urbanistica a quella comunale, «la proposta comunale si configuri come proposta di variante al P.R.P.») la previsione di una mera partecipazione degli organi ministeriali ad una conferenza di servizi, senza la garanzia di un adeguato coinvolgimento (finalizzato al raggiungimento di un accordo ai sensi degli artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004), e quindi in violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. La sopravvenuta modifica normativa risulta pienamente satisfattiva delle pretese del Governo, giacché la nuova disposizione espressamente prevede (con particolare riferimento ai commi 4 e 5) che «Nel caso in cui la proposta comunale si configuri come proposta di variante al P.R.P., il parere espresso, in seno alla Conferenza di Servizi di cui al comma 2, dai competenti organi del Ministero dei beni e delle Attività Culturali e del Turismo è vincolante. All’esito della Conferenza di Servizi, la proposta, unitamente al parere espresso dal Ministero viene trasmessa, per il tramite della Direzione regionale competente, al Consiglio regionale che si esprime con apposito atto deliberativo» (comma 4); e che «Il provvedimento di cui al comma 4, pubblicato sul BURA, costituisce variante al P.R.P. ed è condizione imprescindibile per la definitiva approvazione della variante proposta» (comma 5).
Ne consegue che la previsione della vincolatività di tale parere obbligatorio nei casi di proposta di variante e la sua riconosciuta valenza di condizione imprescindibile per la definitiva approvazione della variante medesima (commi 4 e 5) presuppongono e procedimentalizzano il necessario coinvolgimento degli organi ministeriali al procedimento medesimo, finalizzato (e strumentale rispetto) alla effettiva elaborazione congiunta e concordata dei piani paesaggistici (ex artt. 135, comma 1, 143, comma 2, 145, comma 5, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004).
3.2.− Se può dunque ritenersi realizzata la prima delle due condizioni che la giurisprudenza di questa Corte ha enucleato per pervenire alla declaratoria di cessazione della materia del contendere (da ultimo, sentenze n. 2 del 2015 e n. 269 del 2014), tuttavia non altrettanto può dirsi in ordine alla configurabilità dell’ulteriore requisito della mancata applicazione medio tempore della norma censurata, in mancanza di prova del verificarsi di siffatta condizione ed in considerazione del non breve tempo di vigenza (nella specie oltre sei mesi) della disposizione abrogata (sentenze n. 108 e n. 97 del 2014, e n. 272 del 2013).
Alla impossibilità di pervenire ad una pronuncia di cessazione della materia del contendere, consegue, dunque, la necessità di esaminare le censure nel merito.
3.3.− La questione è fondata.
3.4.− Risulta evidente come il testo originario dell’impugnato art. 2, commi 4 e 5, della legge reg. n. 26 del 2014 presentasse profili di illegittimità costituzionale analoghi a quelli (sanzionati con la citata sentenza n. 211 del 2013) dell’art. 2 della legge reg. 28 agosto 2012, n. 46 (Modifiche alla legge regionale 13 febbraio 2003, n. 2 recante “Disposizioni in materia di beni paesaggistici e ambientali, in attuazione della Parte Terza del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 − Codice dei beni culturali e del paesaggio”), che escludeva qualsiasi forma di partecipazione di qualsivoglia organismo ministeriale al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica. Allo stesso modo, infatti, la qui censurata previsione (nel caso in cui «la proposta comunale si configuri come proposta di variante al P.R.P.») di una mera partecipazione degli organi ministeriali alla conferenza di servizi, senza sancire la necessità di pervenire ad una soluzione concordata dell’ente locale con il competente organo statale previsto dagli artt. 143, comma 2, e 156, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, non garantiva adeguatamente il coinvolgimento del Ministero per i beni culturali ed ambientali nella pianificazione paesaggistica.
Infatti, questa Corte, anche di recente (sentenza n. 197 del 2014), ha ribadito che la mancata (o non adeguata) partecipazione degli organi ministeriali al procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici alle previsioni della pianificazione paesaggistica determina l’evidente contrasto con la normativa statale, che – in linea con le prerogative riservate allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (tra le molte, sentenza n. 235 del 2011) – specificamente impone che la Regione adotti la propria disciplina di conformazione «assicurando la partecipazione degli organi ministeriali al procedimento medesimo» (sentenze n. 211 del 2013 e n. 235 del 2011). Costituisce, infatti, affermazione costante – su cui si fonda il principio della gerarchia degli strumenti di pianificazione dei diversi livelli territoriali, dettato dall’evocato art. 145, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 (sentenze n. 197 del 2014, n. 193 del 2010 e n. 272 del 2009) – quella secondo cui l’impronta unitaria della pianificazione paesaggistica «è assunta a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 182 del 2006). Al contrario, la generale esclusione o la previsione di una mera partecipazione degli organi ministeriali nei procedimenti di adozione delle varianti, nella sostanza, viene a degradare la tutela paesaggistica da valore unitario prevalente e a concertazione rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica (sentenza n. 437 del 2008).
3.5.− Poiché la fattispecie disciplinata dalla norma censurata si configurava sostanzialmente in una revisione, ancorché limitata, del piano paesaggistico (non derogabile da parte degli strumenti urbanistici, ex art. 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004), il suo mancato assoggettamento alle medesime garanzie previste dal codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di elaborazione congiunta del piano paesaggistico (ex artt. 135, comma 1, 143, comma 2, 145, comma 5, e 156, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004), si pone in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che determina l’illegittimità costituzionale della norma impugnata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 4 e 5, della legge della Regione Abruzzo 28 aprile 2014, n. 26 (Disposizioni regionali per il coordinamento della pianificazione paesaggistica con gli altri strumenti di pianificazione), nel testo originario, antecedente alla modifica apportata dall’art. 1 della legge della Regione Abruzzo 12 novembre 2014, n. 40 (Modifiche ed integrazioni all’art. 2 della legge regionale 28 aprile 2014, n. 26, all’art. 14 della legge regionale 25 ottobre 1996, n. 96, alla legge regionale 10 marzo 2008, n. 2 e ulteriori norme in materia di edilizia residenziale pubblica);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della medesima legge reg. Abruzzo n. 26 del 2014, proposta – in riferimento all’art. 123 della Costituzione, per violazione dell’art. 86, comma 3, lettera a), dello statuto regionale 28 dicembre 2006 (Statuto della Regione Abruzzo) – dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2015.
F.to:
Alessandro CRISCUOLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella Paola MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 aprile 2015.