SENTENZA N. 208
ANNO 1992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Aldo CORASANITI, Presidente
- Prof. Giuseppe BORZELLINO
- Dott. Francesco GRECO
- Prof. Gabriele PESCATORE
- Avv. Ugo SPAGNOLI
- Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
- Prof. Antonio BALDASSARRE
- Prof. Vincenzo CAIANIELLO
- Avv. Mauro FERRI
- Prof. Luigi MENGONI
- Prof. Enzo CHELI
- Dott. Renato GRANATA
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 9, comma primo, della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 1978, n. 62 (I controlli sugli enti locali), come modificato dall'art. 1 della legge regionale 26 gennaio 1989, n. 6 e dall'art. 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro), come modificato dagli artt. 4 bis, ter, quater, quinquies e sexties della legge 20 maggio 1988 n.160 promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa l'11 aprile 1990 dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna nel ricorso proposto da Soro Sebastiano contro la Regione autonoma della Sardegna ed altri iscritta al n. 556 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n.36, prima serie speciale, dell'anno 1991;
2) ordinanza emessa il 13 febbraio 1991 dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna su ricorso proposto dalla Provincia di Cagliari contro il Co.re.co. ed altra iscritta al n. 566 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1991.
Visto l'atto di costituzione della Provincia di Cagliari nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 21 gennaio 1992 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;
udito l'Avvocato Giovanni Cossu per la Provincia di Cagliari e l'avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.1.- Nel corso di due giudizi amministrativi, nei quali veniva in discussione la competenza temporale del Comitato regionale di controllo ad annullare atti degli enti locali (in un caso, la delibera di un consiglio comunale, e, nell'altro, la delibera di una giunta provinciale), il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna con due ordinanze di analogo contenuto, emesse la prima l'11 aprile 1990, ma pervenuta alla Corte il 2.9.1991 (reg.ord. n. 556 del 1991) e la seconda il 13 febbraio 1991 (reg.ord. n. 566 del 1991),ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 9, primo comma, della legge della regione Sardegna 23 ottobre 1978 n. 62 (I controlli sugli enti locali), come modificato dall'art. 1 della legge regionale 26 gennaio 1989 n. 6, nella parte in cui "dispone la decadenza degli organi di controllo non rinnovati entro sessanta giorni dalla loro scadenza", in riferimento all'art. 46 dello statuto speciale per la regione Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3);
b) dell'art. 16 della legge 28 febbraio 1987 n. 56 (Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro), modificato dagli artt.4 bis, ter, quater, quinquies e sexties della legge 20 maggio 1988 n. 160, in riferimento all'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione.
1.2. - Con riferimento alla prima questione il Tribunale rimettente - ritenutane la rilevanza in quanto la norma attiene alla regolare costituzione dell'organo di controllo e l'oggetto dei giudizi a quibus ha riguardo ad annullamenti disposti in entrambi i casi quando esso era già decaduto - osserva che la norma regionale impugnata impedisce all'organo di controllo di funzionare dopo la sua decadenza. La norma è perciò sospettata di incostituzionalità perchè, impedendo la prorogatio dei Comitati, renderebbe possibile, ove il loro rinnovo non fosse tempestivo, il mancato esercizio della funzione del controllo per una durata illimitata e imprevedibile, quando invece la funzione stessa è necessaria e indefettibile ai sensi del parametro statutario invocato - che è in armonia con l'analoga prescrizione contenuta nell'art. 130 della Costituzione - il quale imporrebbe, invece, la prorogatio oltre il predetto termine decadenziale.
1.3. - Con riferimento alla seconda questione, proposta in via subordinata - che è attinente solo al giudizio di cui al reg. ord. n. 556 del 1991, e non invece all'altro, essendo stata riprodotta nel dispositivo della relativa ordinanza di rimessione senza che trovi riscontro nella motivazione di questa - il giudice del rinvio osserva che, nell'ipotesi di una dichiarazione di incostituzionalità della norma regionale ostativa della prorogatio dell'organo di controllo (prima questione), la controversia dovrebbe essere risolta valutando le ragioni dell'annullamento disposto in applicazione dell'art. 16 della legge n. 56 del 1987 e successive modifiche, che disciplina l'assunzione in servizio del personale pubblico delle qualifiche inferiori. Ma la norma richiamata, limitando la partecipazione alle procedure di assunzione solo agli iscritti nelle liste di collocamento ed escludendo invece altri che, essendo già occupati, non vi sono iscritti, si porrebbe in violazione dell'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione, perchè penalizzerebbe coloro che hanno dimostrato le proprie capacità lavorative in diverse occasioni e vantano perciò maggiori titoli di professionalità.
2.- É intervenuto in entrambi i giudizi il Presidente del consiglio dei ministri, per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, rilevando in primo luogo che la questione relativa all'art. 16 della legge n. 56 del 1987 è proposta in via meramente ipotetica, per l'eventualità dell'accoglimento dell'altra questione, relativa all'art. 9 della legge della regione Sardegna n. 62 del 1978 e successive modifiche, circa i limiti della prorogatio del comitato regionale di controllo sugli atti degli enti locali, onde il (doppio) giudizio di rilevanza sarebbe reciprocamente condizionato.
Nel merito, quanto alla questione proposta in via subordinata, la difesa dello Stato ne sostiene, in ogni caso, l'infondatezza perchè l'art.97, terzo comma, della Costituzione consente al legislatore di prevedere ipotesi in cui agli impieghi nella pubblica amministrazione può accedersi senza concorso, e perchè la norma denunciata dispone che le assunzioni di personale, per le quali non è richiesto titolo di studio superiore alla scuola d'obbligo, avvengano sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti sia nelle liste di collocamento (per il primo avviamento al lavoro) sia "in quelle di mobilità", in cui, ai sensi dell'art. 10 della stessa legge n. 56, possono iscriversi coloro che sono già occupati e aspirano a diverso impiego.
3.- Si è costituita, nel giudizio promosso con l'ordinanza iscritta al n.566 del 1991, la provincia di Cagliari (ricorrente nel giudizio principale) sostenendo l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, primo comma, della citata legge della Regione Sardegna.
Considerato in diritto
1.- Nel corso di due diversi giudizi, con due distinte ordinanze, è stata sollevata dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, in riferimento all'art. 46 dello Statuto speciale della Regione stessa, questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, primo comma, della legge regionale 23 ottobre 1978 n. 62, come modificato dall'art. 1 della legge regionale 26 gennaio 1989 n. 6, perchè dispone che i Comitati di controllo "decadono" se non rinnovati entro sessanta giorni dalla loro scadenza - che coincide con l'insediamento del Consiglio regionale - termine entro il quale il Consiglio stesso deve "obbligatoriamente" provvedere alla loro ricostituzione. Si assume nelle ordinanze di rinvio che la norma denunciata, escludendo in tal modo la prorogatio -principio di carattere generale, tale da vincolare il legislatore regionale - fino alla rinnovazione dei nuovi organi, impedirebbe durante la vacanza l'esercizio della funzione di controllo, necessaria e indefettibile secondo l'invocato parametro statutario che, ad avviso del giudice rimettente, è "in armonia con l'analoga prescrizione contenuta nell'art. 130 Cost.".
2.- In via ulteriore, nella eventualità dell'accoglimento della questione illustrata nel punto precedente, con le ordinanze predette è stata sollevata, in riferimento all'art. 97, primo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge dello Stato n. 56 del 1987 e successive modifiche, il quale disciplina le assunzioni nel pubblico impiego di personale delle qualifiche inferiori (per le quali è richiesto il solo titolo della scuola d'obbligo), limitando la partecipazione alle selezioni ai soli iscritti alle liste di collocamento ed escludendo così coloro che, già occupati, non vi possono essere iscritti. La norma denunciata sarebbe perciò contraria ai principi di buon andamento e di imparzialità, impedendo di poter accedere ai pubblici impieghi a coloro che hanno già acquisito in precedenti occupazioni capacità lavorative e titoli di professionalità.
3. - Poichè i giudizi concernono le medesime questioni, essi possono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia.
4.1.- La questione di costituzionalità sollevata nei confronti dell'art.9,primo comma, della legge regionale n. 62 del 1978, modificato dall'art. 1 della legge regionale n. 6 del 1989, non è fondata.
Come si è ricordato, la norma impugnata prevede che i Comitati regionali di controllo "scadono con l'insediamento del Consiglio regionale" e "decadono il sessantesimo giorno dalla predetta scadenza: entro tale termine il Consiglio regionale deve obbligatoriamente provvedere alla loro ricostituzione".
Ciò premesso, osserva la Corte che deve essere condiviso il presupposto da cui muovono le ordinanze di rinvio le quali ritengono che, dall'interpretazione della norma impugnata, si desuma che i Comitati, una volta decorso il sessantesimo giorno dall'insediamento del Consiglio regionale, non possano continuare, in prorogatio di fatto, ad esercitare le loro funzioni fino alla ricostituzione dei nuovi organi.
La norma è difatti formulata in modo da non lasciare dubbi sul preciso intento del legislatore di non far sopravvivere i Comitati di controllo oltre il termine di sessanta giorni, assegnato al Consiglio regionale per provvedere obbligatoriamente alla loro ricostituzione. Se fosse vero il contrario, non avrebbe senso la previsione della scadenza dei Comitati con l'insediamento del Consiglio e poi della loro decadenza, per l'inutile decorso di sessanta giorni da quest'ultimo evento che segna il dies a quo da cui scatta l'obbligatorietà dell'adempimento da parte del Consiglio regionale.
4.2.- Una volta escluso, conformemente alla premessa da cui muovono le ordinanze di rinvio, che il legislatore regionale abbia attribuito carattere meramente ordinatorio al termine di sessanta giorni previsto per la ricostituzione dell'organo di controllo, non ha fondamento la conseguenza che se ne fa derivare. Quella, cioè, dell'illegittimità costituzionale della norma impugnata sol perchè questa renderebbe inapplicabile la regola della c.d. prorogatio a tempo indeterminato, ritenuta nelle ordinanze di rinvio rispondente ad un principio di carattere generale insito nell'ordinamento, cui sembrerebbe addirittura attribuirsi valore costituzionale in relazione all'indefettibilità di certe funzioni pubbliche per assicurare la continuità dell'esercizio di queste, come nella specie quella di controllo sugli atti degli enti locali.
In proposito osserva la Corte che, diversamente da quanto spesso si ritiene con opinione tralatizia, dal complesso normativo vigente non è possibile desumere che quella della c.d. prorogatio di fatto, incerta nella sua durata, costituisca regola valevole in generale per gli organi amministrativi.
Non sfugge alla Corte che l'indirizzo della giurisprudenza amministrativa è nel senso che la generalità della regola si desuma, oltre che dall'ordinamento nel suo complesso, dalle norme in materia di enti locali territoriali, ed in particolare, risalendo a ritroso, da quella più recente dell'art. 31, terzo comma, della legge n. 142 del 1990 sull'ordinamento degli enti locali, a quelle dell'art. 14 del testo unico delle leggi comunali e provinciali n. 383 del 1934, dell'art. 283 del testo unico n. 148 del 1915, dell'art. 231 del testo unico n. 5921 del 1889, e dell'art. 205 della legge n. 2248, all.A, del 1865. Tutte norme, quelle citate, che pur con diversità lessicali, dovute all'evolversi del linguaggio, dispongono per i predetti enti che coloro che sono nominati a tempo a coprire uffici rimangono in carica, ancorchè scaduti, fino all'insediamento dei successori; previsione, questa, che è anche ripetuta nel regolamento delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (art. 16 regio decreto 5 febbraio 1981 n. 99).
4.3.- Come è stato sottolineato da chi nega la generalità dell'istituto, il richiamo alle leggi che disciplinano l'ordinamento degli enti locali non può valere per qualsivoglia organo, perchè tali leggi si riferiscono agli enti territoriali, enti politici esponenziali di comunità (sentenza n.876 del 1988) e quindi necessari, proprio a causa della peculiare rilevanza della territorialità, che qualifica la struttura stessa dello Stato. Quindi anche se a dette norme potesse attribuirsi il significato di prevedere la prorogatio a tempo indeterminato onde assicurare la continuità funzionale degli organi degli enti locali, esse fonderebbero la propria giustificazione sul peculiare carattere di quegli enti, e, quindi, la stessa regola non potrebbe estendersi ad altri organi ed uffici che non presentino uguali caratteristiche.
Si deve però parimenti considerare che il rinnovo degli organi degli enti locali territoriali è legato a precise scansioni temporali, previste dalle leggi che ne disciplinano l'ordinamento e da quelle per l'elezione di detti organi, la cui osservanza è assicurata sia dal controllo politico della comunità che da quello dello Stato sugli organi stessi, che ne impediscono l'elusione, mentre in relazione alle ipotesi di un anomalo protrarsi, per qualsivoglia ragione, della vacanza di quegli organi, è prevista la supplenza da parte di organi straordinari, peraltro nominati per periodi estremamente limitati nel tempo.
La norma contenuta fin dal 1865 nelle varie leggi comunali e provinciali succedutesi nel tempo e tramandata fino alla legge n.142 del 1990, sull'"ordinamento delle autonomie locali", non può perciò per il contesto in cui è inserita ritenersi espressiva di un principio generale valevole per tutti gli enti ed organi pubblici avulsi da quel contesto.
4.4. - Ma in ogni caso la norma in parola non ha il significato che solitamente le si attribuisce, perchè essa, neppure per gli organi cui direttamente si riferisce, prevede la prorogatio a tempo indeterminato. Si deve difatti considerare che, per quel che riguarda i Consigli comunali, l'art. 8 del testo unico delle relative leggi elettorali (approvato con d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570) dispone che essi esercitino le loro funzioni fino al 46 giorno antecedente alla data delle elezioni per la loro rinnovazione (secondo comma, non innovato sul punto dall'art. 2, secondo comma, della legge 10 agosto 1964, n. 663), escludendo così la possibilità della proroga delle loro funzioni oltre tale termine, mentre solo per il sindaco e la Giunta prevede che essi restino in carica fino alla nomina dei successori (ultimo comma). Analoghe previsioni riguardano i Consigli provinciali, il presidente della giunta provinciale e la giunta stessa, ai sensi dell'art. 7 della legge 8 marzo 1951, n. 121 per l'elezione di questi Consigli, come modificato dall'art. 2 della legge 10 agosto 1964, n. 663.
Le leggi per le elezioni dei Consigli comunali e provinciali riservano, dunque, soltanto al Sindaco ed alla giunta comunale, nonchè al presidente della giunta provinciale ed alla giunta stessa, la previsione che ora l'art.31 dell'ordinamento delle autonomie locali (innovando sul punto rispetto alle precedenti norme delle leggi comunali e provinciali ed a quelle elettorali) estende ai Consigli comunali e provinciali, ma limitandone durante la proroga la competenza soltanto per "adottare gli atti urgenti ed improrogabili".
Ne deriva che le norme cui solitamente si fa riferimento, già all'interno degli stessi enti locali territoriali, non hanno un contenuto così esteso da farle ritenere, come è invece opinione corrente, espressione del principio generale della prorogatio a tempo indefinito e con pieni poteri, perchè da quelle stesse leggi risulta non solo che i Consigli comunali e provinciali decadono ad una precisa data, ma che restano in carica - secondo il richiamato art. 31 della legge n. 142 del 1990 - fino "all'elezione dei nuovi", con poteri limitati ai soli affari urgenti. Elezione quest'ultima che deve essere indetta dagli organi dello Stato entro termini ben definiti i quali - essendo, come si è detto, soggetti al controllo politico della comunità e dando la loro inosservanza luogo a sicure sanzioni - è assolutamente inimmaginabile che non siano rispettati.
Analoghe considerazioni debbono formularsi anche per il riferimento, talvolta operato per sostenere la generalità di quel principio, alla disciplina delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza.
La norma invocata (art. 16, primo comma, del regio decreto 5 febbraio 1891, n.99), modellata sulla legge comunale e provinciale all'epoca vigente per la contiguità delle istituzioni con gli enti regolati da detta legge e circondata da analoghe cautele dirette a prevenire abusi (art. 16, cit., secondo comma), non può comunque assumere valore esemplare per tutti gli altri enti ed uffici pubblici, sia per la sua natura regolamentare, sia per il regime giuridico delle istituzioni stesse "caratterizzato dall'intrecciarsi di una disciplina pubblicistica in funzione di controllo, con una notevole permanenza di elementi privatistici, il che conferisce ad esse un'impronta assai peculiare rispetto agli altri enti pubblici" (sentt. nn. 396 del 1988 e 195 del 1987).
4.5.- Quanto poi alle norme, talvolta richiamate a sostegno della generalità del principio, che dispongono espressamente in tema di proroga degli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale per ammetterla, limitarla o escluderla, nemmeno da esse potrebbero trarsi argomenti valevoli per gli organi amministrativi, sia perchè le loro previsioni, nell'uno o nell'altro senso, sono tassative e diversificate e, quindi, non significative di una regola uniforme, sia perchè l'organizzazione amministrativa è regolata non con riferimento alla disciplina degli organi costituzionali, bensì sulla base dei principi dettati dall'art. 97 della Costituzione, con i quali, come si vedrà in prosieguo, la regola della prorogatio a tempo indefinito, ove ritenuta vigente, apparirebbe contrastare.
4.6.- É quindi priva di fondamento la distinzione talvolta operata fra proroga, come risultato di una espressa previsione legislativa, e prorogatio (di fatto) come vicenda automaticamente collegata ad una anomala vacanza.
Infatti poichè, in base alle conclusioni cui si è pervenuti, è da escludersi l'esistenza di norme dalle quali possa trarsi la generalità del principio, deve arguirsi che ogni proroga, in virtù dei principi desumibili dal citato art. 97 della Costituzione, può aversi soltanto se prevista espressamente dalla legge e nei limiti da questa indicati, per cui la distinzione perde ogni significativo valore.
Neppure quindi la tesi, secondo cui la regola della prorogatio di fatto, a tempo indefinito, sia da considerarsi vigente in quanto inscindibilmente legata all'essenza stessa degli ordinamenti e quindi di applicazione automatica e generale, può dirsi sorretta da argomenti plausibili ma, anzi, qualora la predetta regola risultasse di generale applicazione, senza le cautele idonee ad impedirne l'abuso - analoghe a quelle che sono insite nei sistemi di rinnovazione degli organi elettivi degli enti territoriali - è rispetto ad essa che verrebbe a profilarsi un contrasto con la Costituzione.
Un'organizzazione caratterizzata da un abituale ricorso alla prorogatio sarebbe difatti ben lontana dal modello costituzionale. Se è previsto per legge che gli organi amministrativi abbiano una certa durata e che quindi la loro competenza sia temporalmente circoscritta, un'eventuale prorogatio di fatto sine die -demandando all'arbitrio di chi debba provvedere alla sostituzione di determinarne la durata pur prevista a termine dal legislatore ordinario - violerebbe il principio della riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, nonchè quelli dell'imparzialità e del buon andamento.
4.7.- Nè potrebbe condividersi la tesi intermedia, talvolta avanzata, che, pur escludendo il carattere di regola generale della prorogatio a tempo indeterminato, sostiene che, se la legge non preveda proroghe, la durata dell'organo possa ritenersi protratta, oltre la scadenza, per un termine congruo a consentire la nomina dei successori.
Tale tesi fa leva su di un criterio, quello della "congruità", utilizzato a posteriori per valutare la ragionevolezza di un termine fissato dalla legge nella sua durata (come nel caso della norma regionale impugnata) per il compimento di atti obbligatori da parte di organi pubblici, o indicato ad altri soggetti per proporre un'azione o un ricorso (sentenze nn. 284 del 1985, 31 del 1977, 138 del 1975, 106 del 1973, 10 del 1970 e 57 del 1962) o ancora per valutare la sufficienza del termine assegnato da una delle parti di un rapporto all'altra per certi adempimenti. Ma il criterio è inidoneo, perchè estremamente fluido, per verificare se sussista o meno la competenza temporale di un organo, cioé un aspetto che deve essere ben definito nel momento dell'esercizio della funzione, derivando dalla verifica la possibilità stessa di quell'esercizio, che dipenderebbe altrimenti da valutazioni non ancorate ad elementi certi.
In ogni caso il criterio, ipotizzato per evitare che la prorogatio possa durare a tempo indefinito, appare inutile in relazione all'esigenza su cui si vuole giustificare l'istituto e cioè quella di assicurare la continuità delle funzioni pubbliche proprie dell'organo o dell'ufficio scaduti.
Difatti, anche ammesso che sia possibile determinare, nel modo il più plausibile ed obbiettivo, il momento a partire dal quale la prorogatio di fatto sia divenuta incongrua perdurando l'inadempienza di chi deve provvedere alla ricostituzione dell'organo, da quel momento ugualmente questo dovrebbe cessare dal funzionare, onde l'inconveniente cui si vorrebbe ovviare sarebbe solo protratto ad un momento successivo, ma non risolto.
5.- Una volta pervenuti alla conclusione secondo cui non è possibile desumere dalle norme, che espressamente prevedono la proroga di organi oltre la loro scadenza naturale, il principio generale della prorogatio di fatto degli organi amministrativi scaduti, a tempo indefinito e con pieni poteri, viene meno ogni dubbio circa la legittimità costituzionale della impugnata norma della Regione Sardegna che, prevedendo dopo la naturale scadenza dei Comitati regionali di controllo la loro proroga a termine, non contrasta con l'invocato art. 46 dello Statuto regionale che affida alla legge regionale di disciplinare la funzione di controllo sugli atti degli enti locali "in armonia con i principi delle leggi dello Stato".
La norma censurata è proprio diretta ad assicurare la continuità di quella funzione, fissando in primo luogo il momento della scadenza degli organi deputati ad essa, indi la loro proroga per un tempo ragionevole (sessanta giorni), onde consentire al nuovo Consiglio regionale di provvedere obbligatoriamente alla loro ricostituzione, ed infine la loro decadenza.
L'esigenza di continuità è stata quindi risolta con l'indicazione di precise scansioni temporali e con il rendere obbligatorio per il Consiglio regionale l'adempimento di provvedere alle nuove nomine entro un termine ben precisato. Difatti l'espressa previsione della obbligatorietà dell'adempimento entro un certo termine, con le inevitabili sanzioni connesse alla violazione di un comportamento definito obbligatorio, appare in armonia con le leggi dello Stato e quindi idonea a soddisfare le richiamate esigenze funzionali cui fanno riferimento le ordinanze di rinvio.
6. - Una volta dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale proposta nell'ordine per prima e relativa a norma attinente alla competenza temporale del Comitato regionale di controllo ad esercitare le sue funzioni (art. 9, primo comma, della legge regionale n. 62 del 1978 e successive modifiche), è di conseguenza inammissibile (sentt. nn.231 del 1984, 53 del 1982, 140 del 1980) - rimanendo così assorbita l'eccezione dell'Avvocatura generale dello Stato - la seconda questione di legittimità costituzionale (conferente soltanto alla prima ordinanza - reg. ord. n. 556 del 1991 - nonostante sia riportata nel dispositivo anche della seconda ordinanza - reg. ord. n. 566 del 1991) proposta in via ulteriore nell'eventualità dell'accoglimento dell'altra (v. ordd. nn. 231 del 1988, 533, 528 e 406 del 1987) e relativa alle norme (art. 16 della legge n. 56 del 1987 e successive modifiche) che l'organo di controllo aveva applicato negli atti di annullamento oggetto dei giudizi a quibus.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi
a) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 9, primo comma, della legge della Regione Sardegna 23 ottobre 1978 n. 62 (I controlli sugli enti locali), come modificato dall'art. 1 della legge regionale 26 gennaio 1989 n. 6 sollevate, in riferimento all'art. 46 dello Statuto speciale per la Regione Sardegna, dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, con le ordinanze indicate in epigrafe;
b) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 28 febbraio 1987, n. 56 (Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro), e successive modifiche, sollevate dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, in riferimento all'art.97, primo e terzo comma, della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16/04/92.
Aldo CORASANITI, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 04/05/92.