SENTENZA N. 157
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Sabino CASSESE Giudice
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 91, ultimo comma, del codice di procedura civile, come introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 212 (Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 febbraio 2012, n. 10, promossi dal Giudice di pace di Mercato San Severino con ordinanza del 25 marzo 2013, dal Tribunale ordinario di Padova − sezione distaccata di Este, con ordinanza del 28 febbraio 2013, e dal Giudice di pace di Pisa, con ordinanza del 22 giugno 2012, rispettivamente iscritte ai nn. 194, 261 e 277 del registro ordinanze 2013 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 38 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2013 e n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2014.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2014 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli.
Ritenuto in fatto
1.− Il Giudice di pace di Mercato San Severino, il Tribunale ordinario di Padova − sezione distaccata di Este ed il Giudice di pace di Pisa, con le tre ordinanze in epigrafe − emesse nel corso di altrettanti giudizi civili, del valore, rispettivamente, di euro 29,31, euro 153,96 ed euro 88,00 – premessane la rilevanza, hanno sollevato questione sostanzialmente identica, di legittimità costituzionale dell’art. 91, ultimo comma, del codice di procedura civile, come introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 212 (Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 febbraio 2012, n. 10, a tenore del quale la liquidazione delle spese e competenze legali della parte vittoriosa nelle cause previste dall’art. 82, comma 1, cod. proc. civ. − e cioè in quelle instaurabili dinanzi al giudice di pace, il cui valore non ecceda la somma di euro 1.100,00 e per le quali è ammessa la facoltà delle parti di stare in giudizio personalmente − non può superare, nel caso in cui la parte stessa sia stata assistita e rappresentata da un difensore, il valore della domanda.
I rimettenti convergono nel ritenere violati gli artt. 24 − in ragione del vulnus, che ne deriverebbe, al diritto di difesa, per il profilo della effettività della tutela giurisdizionale, che dovrebbe essere tale da soddisfare in concreto la pretesa fatta valere anche con riferimento alla congruità delle spese da liquidare in favore della parte vittoriosa − e 3 della Costituzione, per irragionevolezza del vincolo imposto al giudice dal denunciato art. 91, ultimo comma, cod. proc. civ., in ordine alla liquidazione (complessiva) delle spese giudiziali con riferimento alle cause indicate nel citato art. 82, comma 1, cod. proc. civ., con sostanziale disparità di trattamento rispetto al caso previsto dall’art. 417, comma 1, cod. proc. civ., che − ancorché riferito alle controversie di lavoro, nel disciplinare l’ipotesi in cui la parte è ammessa alla costituzione personale in cause di valore non eccedente l’importo (anche inferiore) di euro 129,11 − resterebbe non soggetto ad analogo limite di valore ai fini della liquidazione delle spese.
Ulteriore profilo di violazione degli artt. 3, secondo comma, e 24, commi primo e secondo, Cost. è ravvisato, inoltre, dal Tribunale ordinario di Padova − sezione distaccata di Este, in ragione della disparità di trattamento, nell’esercizio del diritto di difesa, che, nelle cause previste dall’art. 82, comma 1, cod. proc. civ., potrebbe, a suo avviso, determinarsi nell’ipotesi in cui, tra le due parti del processo che decidessero entrambe di difendersi personalmente, l’una risultasse provvista delle necessarie competenze tecniche per l’esercizio del relativo diritto e l’altra no, ovvero l’una potesse permettersi di sostenerne comunque (e a prescindere) il relativo onere economico e l’altra no.
2.− In tutti e tre i giudizi − che per la sostanziale identità di oggetto, possono riunirsi − è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato.
Nel contestare la fondatezza della questione, la difesa dello Stato ha sostenuto che la norma denunciata troverebbe la sua ragione giustificatrice − oltre che nella finalità di contenere entro certi limiti il costo dell’accesso alla giustizia − in un contesto ordinamentale in cui la contrattazione economica tra l’utente ed il professionista legale è da ritenersi pienamente liberalizzata, onde, in sede di conferimento dell’incarico, il compenso spettante al difensore ben potrebbe essere concordato nei limiti dettati dall’ultimo comma dell’art. 91 cod. proc. civ.
Ha sottolineato, inoltre, l’Avvocatura, come l’intervento limitativo delle spese liquidabili nelle controversie cosiddette bagatellari, si conformi alla normativa comunitaria, con particolare riferimento al Reg. (CE) 1 luglio 2007, n. 861/2007 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità), con previsione di liquidabilità delle sole spese legali (ove la parte non si avvalga della facoltà di difesa personale) «che siano proporzionate al valore della controversia» (punto 29 del considerando).
Considerato in diritto
1.− Al duplice scopo (come emerge dai lavori parlamentari) tendenzialmente deflattivo del contenzioso − con riferimento al flusso delle cause cosiddette bagatellari, più delle altre esposte all’esercizio abusivo del diritto di azione − e di tutela delle parti soccombenti − a fronte del rischio di subire, in tal genere di cause, un aggravio di spese legali di importo superiore al valore della controversia − il legislatore del 2011, con l’art. 13, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 212 (Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 febbraio 2012, n. 10, ha aggiunto un ultimo comma all’art. 91 del codice di procedura civile. Con il quale ha disposto che la liquidazione delle spese e competenze legali della parte vittoriosa nelle cause previste dall’art. 82, comma 1, cod. proc. civ. − cioè in quelle instaurabili dinanzi al giudice di pace, il cui valore non superi la somma di euro 1.100,00 e per le quali è ammessa la facoltà delle parti di stare in giudizio personalmente − non possa superare, nel caso in cui la parte stessa sia stata assistita e rappresentata da un difensore, il valore della domanda.
2.− I giudici rimettenti, con argomentazioni sostanzialmente coincidenti, dubitano che tale introdotta disciplina:
− per un verso, contrasti con l’art. 24 Cost., per l’ostacolo, che ne deriverebbe, al diritto alla tutela giurisdizionale, nelle cause nelle quali la parte (pur non avendone l’obbligo) scelga di farsi difendere da un avvocato ed il valore della domanda, per la sua esiguità [nei giudizi a quibus, rispettivamente, di euro 29,31, euro 153,96 ed euro 88,00], finisca paradossalmente con il comportare una sostanziale soccombenza della parte vittoriosa, la quale, per effetto del limite imposto dalla disposizione censurata, si troverebbe tenuta a corrispondere, in proprio, al suo difensore, il residuo importo delle spese legali, in misura sicuramente maggiore del valore del diritto sostanziale giudizialmente accertato;
− e, per altro verso, violi l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo di una disciplina delle spese legali, nelle controversie di cui all’art. 82 cod. proc. civ., irragionevolmente deteriore rispetto a quella delle controversie di lavoro, di valore non superiore ad euro 129,11, di cui all’art. 417, comma 1, cod. proc. civ., alle quali non è riferito il limite all’importo delle spese di lite (corrispondentemente) liquidabili, di cui all’impugnato art. 91, ultimo comma, delle stesso codice; e di una ulteriore disparità di trattamento (profilo, questo, prospettato dal solo Tribunale ordinario di Padova) che potrebbe determinarsi tra le due parti del processo, che decidessero entrambe di difendersi personalmente, ove solo l’una, e non l’altra, risultasse provvista delle competenze tecniche necessarie per l’esercizio del relativo diritto.
3.− La difesa dello Stato ha contestato, viceversa, il vulnus ai citati parametri costituzionali, per i profili prospettati dai rimettenti, ed ha sottolineato la rispondenza della disposizione impugnata agli indirizzi della normativa comunitaria in tema di «procedimento europeo per le controversie di modesta entità» (Regolamento CE n. 861 del 2007), in relazione al quale è del pari raccomandata una proporzione tra spese legali e valore della controversia.
4.− La questione non è fondata.
4.1.− È pur vero che l’assistenza del difensore costituisce il normale presidio per l’esercizio effettivo del diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. (per tutte, sentenze n. 106 del 2010, n. 63 del 1972). Ma la tutela di tale diritto non esclude che le modalità del suo esercizio possano essere regolate secondo le speciali caratteristiche della struttura dei singoli procedimenti. E ciò nel quadro dell’ampia discrezionalità di cui gode il legislatore nel dettare norme processuali (ex plurimis sentenze n. 270 del 2012, n. 446 del 2007, n. 158 del 2003, n. 59 del 1999). Nel novero delle quali − come già precisato − può rientrare sia una scelta di non obbligatorietà dell’assistenza di difensore abilitato in relazione alla tenuità del valore della lite o alla natura della controversia (sentenza n. 158 del 2003), sia l’opzione per una deroga all’istituto della condanna del soccombente alla rifusione delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, in presenza di elementi che la giustifichino (sentenze n. 270 del 2012 e n. 196 del 1982), non essendo, quindi, indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese (sentenza n. 117 del 1999).
4.2.− Alla luce di tali principi, è innegabile, pertanto, la riconducibilità della disciplina delle spese di lite, recata dalla disposizione impugnata, all’esercizio della discrezionalità delle scelte legislative in tema di norme processuali.
E ciò in termini di assoluta ragionevolezza, ove si consideri che:
− le cause, sub art. 82, primo comma, cod. proc. civ. − cui si riferisce il limite in relazione all’importo delle spese legali liquidabili, introdotto dall’impugnato art. 92, ultimo comma, dello stesso codice sono, come di recente precisato dalla Corte di legittimità, esclusivamente quelle devolute alla giurisdizione equitativa del giudice di pace (art. 113, primo comma, cod. proc. civ.), e tra queste non rientrano le controversie (che potrebbero, in taluni casi, presentare qualche elemento di complessità correlato a questioni di principio) in tema di opposizione, sia a verbale di accertamento sia ad ordinanza-ingiunzione, per violazione di disposizioni del codice della strada, posto che gli artt. 6, comma 12, e 7, comma 10, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), come già il previgente art. 23, undicesimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) espressamente escludono, in relazione a dette opposizioni, l’applicabilità dell’art. 113 cod. proc. civ. (Corte di cassazione, seconda sezione civile, sentenze 30 aprile 2014, n. 9556 e n. 9557);
− la difficoltà cui − nelle controversie al livello minimo di valore prospettato dai rimettenti − potrebbe andare incontro la parte, nel reperire (ove intenda avvalersene) un difensore che adegui l’importo del proprio onorario a quello del valore della lite (in un sistema, per altro, in cui l’esercizio della professione forense è pienamente liberalizzato) si risolve, comunque, in un inconveniente di fatto, al pari di quello riconducibile alla decisione della parte di avvalersi di un difensore cui corrispondere, in proprio, un compenso di importo superiore a quello liquidabile dal giudice, ovvero ancora alla prospettata eventualità di una non eguale capacità tecnica tra parti in lite che abbiano entrambe deciso di difendersi personalmente: inconvenienti, questi, che, come tali sono, tutti, non direttamente riferibili alla previsione della norma censurata, ma ricollegabili, invece, a circostanze contingenti attinenti alla sua concreta applicazione (sentenza n. 270 del 2012), non involgenti, per ciò, un problema di costituzionalità (sentenza n. 295 del 1995);
− il margine di compromissione del principio di effettività della tutela giurisdizionale − che si vuole correlato ad un effetto dissuasivo del ricorso alla difesa tecnica nelle controversie di che trattasi, cui darebbe luogo la normativa denunciata (compromissione, per altro, relativa, ove si consideri che, in dette controversie, il giudice di pace generalmente poi deciderà, come detto, secondo equità) − riflette una legittima opzione del legislatore, nel quadro di un bilanciamento di valori di pari rilievo costituzionale. Nel contesto del quale, il diritto di difesa (art. 24 Cost.) risulta in questo caso cedevole a fronte del valore del giusto processo (art. 111 Cost.), per il profilo della ragionevole durata delle liti, che trova innegabile ostacolo nella mole abnorme del contenzioso e che può trovare rimedio nella contrazione di quello bagatellare, che costituisce il dichiarato obiettivo della disposizione impugnata.
Il che esclude i prospettati profili di contrasto di detta disposizione con il precetto di cui all’art. 24 Cost.
4.3.− Neppure è poi ravvisabile il contrasto, della norma denunciata, con l’art. 3 Cost., come prospettato dai rimettenti.
In ragione della tendenziale snellezza e semplicità delle cause di competenza del giudice di pace decidibili secondo equità, deve, infatti, escludersene la comparabilità con le cause di lavoro, attinenti a diritti maggiormente rilevanti sul piano sociale ed appartenenti, peraltro, alla competenza funzionale del Tribunale ordinario. E ciò a prescindere dalla considerazione che l’eventualità dell’instaurazione in concreto di controversie in materia di lavoro per un valore non eccedente l’importo (che il legislatore non ha inteso adeguare) di euro 129,11 (per le quali è ammessa la costituzione personale delle parti) è sostanzialmente irrealistica, e senza, altresì, trascurare che anche in tale evenienza, il giudice − nel liquidare le spese all’esito del giudizio − potrebbe esercitare il potere di compensazione ai sensi dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. o, comunque, non riconoscere le spese ritenute eccessive o superflue.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 91, ultimo comma, del codice di procedura civile, introdotto dall’art. 13, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 212 (Disposizioni urgenti in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento e disciplina del processo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 17 febbraio 2012, n. 10, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione dal Giudice di pace di Mercato San Severino, dal Tribunale ordinario di Padova − sezione distaccata di Este, e dal Giudice di pace di Pisa, con le rispettive ordinanze in epigrafe indicate.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2014.
Il Direttore della Cancelleria