SENTENZA N. 256
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Alfonso QUARANTA Presidente
- Franco GALLO Giudice
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 22, 26, comma 4, 27, 31, comma 1, lettera d), della legge della Regione Marche 31 ottobre 2011, n. 20 (Assestamento del bilancio 2011), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 5-10 gennaio 2012, depositato in cancelleria il 12 gennaio 2012 ed iscritto al n. 5 del registro ricorsi 2012.
Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
uditi l’avvocato dello Stato Paolo Marchini per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso notificato il 5 gennaio 2012, depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 12 gennaio 2012 (r.r. n. 5 del 2012), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli articoli 22, 26, comma 4, 27 e 31, comma 1, lettera d), della legge della Regione Marche 31 ottobre 2011, n. 20 (Assestamento del Bilancio 2011), pubblicata sul Bollettino Ufficiale Regionale dell’ 8 novembre 2011, n. 7.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha prospettato: 1) in relazione all’art. 22 (comma 1) della legge regionale sopra citata, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere e) e i) (recte: l), della Costituzione; 2) in relazione all’art. 26, comma 4, della medesima legge regionale, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nella materia a legislazione concorrente del «coordinamento della finanza pubblica»; 3) in relazione all’art. 27 della legge regionale impugnata, la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; 4) in relazione all’art. 31, comma 1, lettera d), della medesima legge regionale, la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., nella materia di legislazione concorrente relativa ai «porti».
1.1.— Il ricorrente riporta, in primo luogo, il disposto dell’art. 22 della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, che modifica il comma 4 e abroga il comma 5 dell’art. 2 della legge della stessa Regione 4 aprile 2011, n. 4 (Criteri di premialità connessi alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nelle procedure di aggiudicazione di lavori od opere pubblici di interesse regionale), disposizioni già impugnate dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 60 del 2011, discusso all’udienza pubblica del 21 febbraio 2012.
Egli precisa, al riguardo, che l’art. 22 citato, nella parte in cui modifica il comma 4 dell’art. 2 della legge regionale n. 4 del 2011, dispone che «Negli atti posti a base delle procedure di aggiudicazione le stazioni appaltanti considerano in via prioritaria la possibilità di prevedere una soglia minima di ammissibilità delle offerte relativamente all’elemento o agli elementi di valutazione connessi con la tutela della salute e della sicurezza nel cantiere».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale disposizione consentirebbe di introdurre nelle procedure di aggiudicazione una soglia di sbarramento, rappresentata dalla valutazione della tutela della salute e sicurezza nel cantiere, non presente nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18 CE), e successive modificazioni, che attribuisce alla competenza esclusiva dello Stato una serie di materie le quali, come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 401 del 2007, sono riconducibili alla «tutela della concorrenza» e all’«ordinamento civile», così da richiedere una disciplina uniforme su tutto il territorio nazionale, non derogabile dai legislatori regionali.
In particolare, ad avviso del ricorrente, il citato art. 22 (comma 1) contrasterebbe con l’art. 73 del cosiddetto Codice dei contratti pubblici – in base al quale sono le stazioni appaltanti a determinare e richiedere gli elementi prescritti dal bando e quelli necessari o utili per operare la selezione degli operatori da invitare – e con l’art. 83 del medesimo codice che riserva al bando di gara la previsione dei criteri di ammissibilità dell’offerta.
Né la lesione delle prerogative dello Stato sarebbe mitigata dalla circostanza che la disposizione prevede una mera «possibilità», poiché siffatta previsione risulta smentita da altra e precedente statuizione normativa secondo la quale quella «possibilità» andrebbe considerata dalle stazioni appaltanti «in via prioritaria», cioè quale sorta di precondizione nella determinazione della soglia di ammissibilità, sconosciuta alla normativa dello Stato recettiva di quella sovranazionale della Unione Europea.
Alla luce delle suddette argomentazioni, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, il citato art. 22 (comma 1) risulterebbe invasivo delle attribuzioni legislative dello Stato nelle materie di cui all’art. 117, secondo comma, lettere e) e i) (recte: l) Cost.
1.2.— Il Presidente del Consiglio dei ministri riporta, in secondo luogo, il contenuto dell’art. 26, comma 4, della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, che dispone «un aumento del salario accessorio del personale del comparto CCNL 22 gennaio 2004 addetto all’assemblea legislativa, nonché un aumento della retribuzione di posizione e di risultato del personale dirigente» di detta assemblea.
Secondo il ricorrente, con la citata norma il legislatore regionale avrebbe neutralizzato gli effetti delle riduzioni disposte dalla manovra di finanza pubblica del 2010, aumentando ex post le retribuzioni spettanti al personale addetto all’Assemblea legislativa.
Il ricorrente, pertanto, ritiene tale disposizione in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto eluderebbe il principio fondamentale di riduzione della spesa pubblica dettato dallo Stato con la manovra del 2010, nella materia di legislazione concorrente relativa al «coordinamento della finanza pubblica».
1.3.— La Presidenza del Consiglio dei ministri riporta, poi, il dettato dell’art. 27 della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, che, aggiungendo il comma 5-bis nell’art. 10 della legge regionale 11 dicembre 2001, n. 32 (Sistema regionale di protezione civile), prevede l’obbligo del personale di protezione civile, il quale svolge funzioni anche di supporto tecnico-amministrativo, di effettuare prestazioni lavorative anche in regime di turnazioni diurne e notturne, in deroga ai vigenti contratti collettivi nazionali.
Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata derogherebbe ai vigenti contratti collettivi nazionali che non prevedono siffatto obbligo generalizzato e avulso da specifiche e insopprimibili esigenze, ed, in tal modo, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., nella materia dell’«ordinamento civile», sub specie di rapporti di diritto privato regolati contrattualmente.
1.4.— Il Presidente del Consiglio dei ministri riporta, da ultimo, l’art. 31, comma 1, lettera d), della legge regionale impugnata che prevede la promozione dell’utilizzazione dell’interporto di Jesi, con liberazione di spazi nell’area portuale di Ancona.
Egli precisa che la disposizione, pur primariamente finalizzata ad incentivare l’interporto di Jesi, inciderebbe sulla destinazione ed organizzazione del porto di Ancona, al quale imporrebbe la liberazione di taluni spazi adibiti a centro di raccolta e smistamento delle merci e a retroporto, per «sviarli» verso l’interporto di Jesi.
Secondo il Presidente del Consiglio, la disposizione impugnata attribuirebbe alla Regione Marche le azioni, anche amministrative, per ottenere detto «sviamento» e, di conseguenza, per incidere sulle competenze spettanti all’autorità portuale di Ancona, alla quale – ai sensi dell’art. 5 della legge dello Stato 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) – spetterebbe l’assunzione del piano regolatore regionale che individua la destinazione funzionale delle aree portuali.
In tal modo, ad avviso del ricorrente, il citato art. 31, comma 1, lettera d), violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., essendo in contrasto con i principi fondamentali sulle competenze delle autorità portuali fissati dallo Stato con la legge n. 84 del 1994, nella materia di legislazione concorrente relativa ai «porti».
2.— Con memoria depositata in data 14 febbraio 2012, si è costituita la Regione Marche, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale proposte con il suddetto ricorso siano dichiarate inammissibili o non fondate.
2.1.— In ordine alla questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 22 della legge regionale n. 20 del 2011, la Regione Marche deduce, in primo luogo, la mancanza nell’atto introduttivo di alcuna doglianza in ordine all’art. 22, comma 2, con conseguente inammissibilità in parte qua del ricorso ovvero, in alternativa, con la necessità di delimitare la questione in riferimento esclusivamente all’art. 22, comma 1.
In secondo luogo, la Regione Marche eccepisce la inammissibilità in parte qua della questione residua in relazione all’assunto contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera i), Cost., essendo inconferente l’indicato parametro ed essendo stata indicata nella relazione di accompagnamento alla delibera del Consiglio dei ministri la sola violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.
Nel merito, la Regione Marche deduce la infondatezza delle censure concernenti l’art. 22 (comma 1) della legge regionale n. 20 del 2011, che replicherebbero quelle già rivolte, con il ricorso n. 60 del 2011, all’art. 2, commi 4 e 5, della legge regionale n. 4 del 2011.
In particolare, ad avviso della Regione, nessun contrasto sarebbe ravvisabile tra l’impugnato art. 22 e le disposizioni contenute negli artt. 73 e 83 del Codice dei contratti pubblici, in quanto la norma in questione sarebbe chiara nello stabilire che le stazioni appaltanti hanno la mera «possibilità» e non già l’«obbligo» – come era imposto dal testo originario dell’art. 2, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2011 – «di prevedere una soglia minima di ammissibilità delle offerte relativamente all’elemento o agli elementi di valutazione connessi con la tutela della salute e della sicurezza nel cantiere». Il fatto che alla considerazione di tale possibilità debba essere data una priorità rispetto alla previsione di altre e diverse soglie di ammissibilità, nulla toglierebbe alla pienezza del potere di libera e incondizionata valutazione della stazione appaltante in sede di avvio delle procedure di aggiudicazione.
2.2.― In ordine alla censura concernente l’art. 26, comma 4, della legge regionale n. 20 del 2011, la Regione Marche eccepisce, in primo luogo, la inammissibilità per il carattere generico del ricorso.
Al riguardo, ad avviso della stessa – benché la disposizione impugnata sia chiarissima nell’indicare che il legislatore regionale ha provveduto ad una «rideterminazione» dei fondi per il salario accessorio del personale di comparto e per la retribuzione di posizione e di risultato del personale dirigente dell’assemblea legislativa – il ricorrente avrebbe dato per scontato che si tratti di una variazione in aumento e, come tale, in grado di eludere gli effetti delle riduzioni imposte dalla legislazione statale, senza quantomeno indicare, nell’ambito della legislazione regionale previgente, il riferimento normativo atto a supportare la conclusione dell’avvenuto aumento dei fondi in questione.
Nel merito, la Regione Marche deduce la infondatezza della censura concernente il citato art. 26, comma 4, in quanto con la disposizione impugnata il legislatore regionale avrebbe provveduto ad una sensibile riduzione, e non già ad un aumento, dei fondi in questione, rispetto alla precedente quantificazione contenuta nell’art. 12, comma 4, della legge Regione Marche 15 novembre 2010, n. 16 (Assestamento del bilancio 2010).
A conferma di ciò, la Regione richiama la legge regionale 19 gennaio 2012, n. 1 (Modifiche alla legge regionale 31 ottobre 2011, n. 20 «Assestamento di bilancio 2011») che, modificando il testo dell’impugnato comma 4 dell’art. 26 della legge regionale n. 20 del 2011, ha aggiunto il chiarimento espresso che gli importi sono rideterminati «in riduzione rispetto all’importo stabilito dal comma 4 dell’articolo 12 della l.r. 16/ 2010».
2.3.— La Regione Marche deduce, altresì, la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 della legge regionale n. 20 del 2011.
La disposizione in questione – che aggiunge il comma 5-bis all’art. 10 della legge regionale n. 32 del 2001 – ha ad oggetto l’organizzazione dell’orario di lavoro del personale adibito alla struttura regionale di protezione civile.
Tale struttura è posta, ai sensi dell’art. 9 della legge regionale n. 32 del 2001, alle dipendenze del Presidente della Giunta regionale e deve essere organizzata «in modo da garantire la piena operatività del personale, dei mezzi e delle attrezzature senza soluzione di continuità». Ad essa fanno capo tutti i servizi di protezione civile di competenza della Regione, tra i quali quelli delicati e permanenti svolti presso la Sala operativa unificata permanente (S.O.U.P.), il Centro assistenziale di pronto intervento (C.A.P.I.) e il Centro funzionale multirischi.
La Regione Marche sottolinea come, proprio in ragione delle specifiche esigenze di funzionalità, efficienza ed efficacia di tali servizi, con la norma impugnata il legislatore regionale abbia previsto che il dirigente della struttura possa disporre particolari regimi di turnazioni diurne e notturne, specificando che tale potere dirigenziale può essere esercitato esclusivamente «ai sensi dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66» e, qualora risulti derogatorio delle previsioni dei contratti collettivi nazionali, debba fondarsi sulla «previa intesa con le organizzazioni sindacali».
La resistente rileva come, con la norma impugnata, il legislatore regionale abbia fatto uso della potestà legislativa concorrente nella materia della «protezione civile» e della potestà legislativa residuale nella materia dell’«organizzazione interna della Regione», senza interferire nella materia di competenza legislativa esclusiva dell’«ordinamento civile».
Essa sottolinea come il potere del dirigente previsto dalla norma regionale in questione sia espressamente ancorato al rispetto della disposizione statale di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), in base al quale le disposizioni del medesimo decreto legislativo – che rinviano ampiamente ai contratti collettivi in materia di organizzazione degli orari di lavoro – «non trovano applicazione in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio espletato o di ragioni connesse ai servizi di protezione civile», affidando ai decreti ministeriali l’individuazione puntuale delle suddette «esigenze» o «ragioni».
Inoltre, la deroga ai contratti collettivi prevista dalla norma impugnata sarebbe prevista non già come «necessità», ma come «possibilità», rimessa ad una previa intesa con le organizzazioni sindacali.
2.4.— La Regione Marche deduce, infine, la non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 1, lettera d), della legge regionale n. 20 del 2011.
Ad avviso della resistente, la disposizione impugnata si limiterebbe a prevedere la «promozione» di azioni volte a «favorire» un maggiore utilizzo dell’interporto di Jesi, con la conseguenza di mero fatto della «liberazione» di spazi nell’area portuale di Ancona.
La Regione nega che tale «liberazione» di spazi costituisca l’oggetto di un obbligo giuridico imposto all’autorità portuale e, addirittura, l’effetto di una indebita assunzione di funzioni amministrative in danno delle competenze sulla destinazione funzionale delle aree portuali spettanti alla medesima autorità in base all’art. 5 della legge n. 84 del 1994 e ribadite dall’art. 46 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
La norma in questione non pregiudicherebbe, quindi, tali competenze dell’autorità portuale di Ancona, potendo dalla stessa conseguire sull’area portuale unicamente degli effetti di mero fatto (viene, al riguardo, anche allegata la relazione del servizio competente dalla quale si evince che la Regione Marche ha espresso parere favorevole al piano regolatore portuale di Ancona).
3.— Con atto notificato alla Regione Marche in data 22 marzo 2012 e depositato presso questa Corte in data 18 aprile 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha rinunciato all’impugnazione dell’art. 26, comma 4, della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, essendo stata tale disposizione modificata dalla successiva legge della stessa Regione n. 1 del 2012, in modo tale da comportare la rimozione dei sollevati rilievi di incostituzionalità.
4.— In data 24 luglio 2012, la resistente ha depositato la deliberazione n. 1054/12 di accettazione della rinuncia ed in data 18 settembre 2012 memoria illustrativa, con la quale essa chiede che sia dichiarata l’improcedibilità della questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 22, l’estinzione del giudizio in relazione all’art. 26, comma 4, nonché l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto gli artt. 27 e 31, comma 1, lettera d), della legge regionale n. 20 del 2011.
In particolare, quanto al citato art. 22 della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, la resistente osserva che, nelle more del presente giudizio, questa Corte ha pronunciato la sentenza n. 52 del 2012, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 4 e 5, della legge della detta Regione n. 4 del 2011, nel testo vigente prima delle modifiche apportate dal citato art. 22 della legge regionale n. 20 del 2011, nonché l’illegittimità costituzionale in via consequenziale – ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 – dell’art. 2, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2011, nel testo sostituito dall’art. 22 della legge della detta Regione n. 20 del 2011.
La resistente prosegue deducendo che la norma regionale oggetto di censura, «colpita dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale sopraggiunta nel corso del presente giudizio, è stata espunta dall’ordinamento, determinando il venir meno dell’oggetto della questione sollevata dal ricorrente». Pertanto, in parte qua il ricorso andrebbe dichiarato inammissibile o improcedibile.
Quanto alle residue due questioni, concernenti l’art. 27 e l’art. 31, comma 1, lettera d), della legge regionale impugnata, la resistente insiste affinché ne sia dichiarata la non fondatezza.
Considerato in diritto
1.— Con ricorso notificato il 5 gennaio 2012 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli articoli 22; 26, comma 4; 27 e 31, comma 1, lettera d), della legge della Regione Marche 31 ottobre 2011, n. 20 (Assestamento del bilancio 2011).
2.— L’art. 22 della citata legge regionale, sotto la rubrica «Modifiche alla legge regionale 4/2011» si compone in realtà di due commi. Il primo dispone quanto segue: «1. Il comma 4 dell’articolo 2 della legge regionale 4 aprile 2011 n. 4 (Criteri di premialità connessi alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro nelle procedure di aggiudicazione di lavori od opere pubblici di interesse regionale) è sostituito dal seguente:
“4. Negli atti posti a base delle procedure di aggiudicazione le stazioni appaltanti considerano in via prioritaria la possibilità di prevedere una soglia minima di ammissibilità delle offerte relativamente all’elemento o agli elementi di valutazione connessi con la tutela della salute e della sicurezza nel cantiere”.»
Il secondo comma così stabilisce: «2. Il comma 5 dell’articolo 2 della legge regionale 4/2011 è abrogato».
Orbene, benché l’impugnazione risulti diretta contro il citato art. 22 (senza ulteriori specificazioni), le censure addotte, in riferimento all’art.117, secondo comma, lettere e) e i) (recte: l), risultano formulate soltanto contro il primo comma di detta norma, cioè nei confronti della disposizione che sostituisce il comma 4 dell’art. 2 della legge regionale n. 4 del 2011. Si deve ritenere, dunque, che a tale comma sia circoscritta la questione promossa dal ricorrente in parte qua.
Ciò posto, va rilevato che questa Corte, con sentenza n. 52 del 2012, dopo aver dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, commi 4 e 5, della legge della Regione Marche n. 4 del 2011, nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall’art. 22 della legge regionale n. 20 del 2011, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in materia di tutela della concorrenza, ha osservato che le argomentazioni esposte potevano applicarsi anche allo ius superveniens.
Invero, la nuova formulazione dell’art. 2, comma 4, della legge regionale n. 4 del 2011, come sostituito dall’art. 22 della legge regionale n. 20 del 2011, era sostanzialmente coincidente con quella della disposizione impugnata, perché sia il testo originario, sia il testo vigente dell’art. 2, comma 4, individuavano negli «elementi di valutazione connessi con la tutela della salute e della sicurezza nel cantiere» un criterio di ammissibilità delle offerte, prevedendo – il primo come obbligo, il secondo come facoltà per la stazione appaltante – l’inserimento di tale soglia negli atti posti a base della procedura di aggiudicazione.
Pertanto questa Corte, in via consequenziale ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 4, della legge della Regione Marche n. 4 del 2011, nel testo sostituito dall’art. 22 della legge regionale n. 20 del 2011.
Ne deriva che la questione di legittimità costituzionale promossa dal ricorrente con riferimento a tale norma, essendo divenuta priva di oggetto, deve essere dichiarata inammissibile.
3.— L’art. 26, comma 4, della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, è stato censurato dal Presidente del Consiglio dei ministri in quanto il legislatore regionale avrebbe neutralizzato gli effetti delle riduzioni disposte dalla manovra di finanza pubblica del 2010, aumentando ex post le retribuzioni spettanti al personale addetto all’Assemblea legislativa, così violando l’art. 117, terzo comma, Cost.
Infatti, sarebbe stato eluso il principio fondamentale di riduzione della spesa pubblica dettato dallo Stato in materia di coordinamento della finanza pubblica.
La Regione Marche, con legge del 16 gennaio 2012, n. 1 (Regolamento per l’acquisizione in economia di beni e servizi), ha modificato la disposizione censurata in senso ritenuto idoneo a far considerare rimossi i rilievi d’illegittimità costituzionale. Pertanto, il Presidente del Consiglio dei ministri, con atto depositato il 18 aprile 2012, ha rinunziato all’impugnazione proposta nei confronti dell’art. 26, comma 4, della legge regionale n. 20 del 2011, e la rinunzia è stata accettata dalla Regione con atto depositato il 24 luglio 2012.
Ne segue che, ai sensi dell’art. 25 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, deve essere dichiarata l’estinzione del giudizio relativo al citato art. 26, comma 4, della legge della Regione Marche n. 20 del 2011.
4.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche l’art. 27 della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, che così dispone: «Dopo il comma 5 dell’articolo 10 della legge regionale 11 dicembre 2001, n. 32 (Sistema regionale di protezione civile), è aggiunto il seguente: “5-bis. Per garantire l’operatività continua della SOUP, del CAPI e del Centro funzionale multi rischi, compreso lo svolgimento delle funzioni di supporto tecnico-amministrativo, il personale della struttura di cui all’articolo 9 della presente legge è tenuto ad effettuare prestazioni lavorative anche in regime di turnazioni diurne e, se necessario, notturne, disposte dal relativo dirigente, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione della direttiva 93/104/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), anche in deroga alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro previa intesa con le organizzazioni sindacali”».
Il ricorrente deduce che la disposizione deroga ai vigenti contratti collettivi nazionali che non prevedono tale obbligo generalizzato e avulso da specifiche e insopprimibili esigenze, così violando l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che attribuisce alla legislazione esclusiva dello Stato la materia dell’ordinamento civile, sub specie di rapporti di diritto privato regolati contrattualmente.
La censura è fondata.
L’art. 9 della legge della Regione Marche n. 32 del 2001 disciplina la struttura regionale di protezione civile, posta alle dirette dipendenze del Presidente della Giunta regionale ed «organizzata in modo da garantire un adeguato raccordo con gli analoghi organismi costituiti a livello internazionale, comunitario, nazionale e locale, nonché la piena operatività del personale, dei mezzi e delle attrezzature senza soluzione di continuità» (comma 1). Inoltre la Regione, per le finalità di protezione civile, si dota di un Centro assistenziale di pronto intervento (C.A.P.I.), ai sensi del comma 6 della medesima norma.
Il successivo art. 10, poi, prevede (tra l’altro) una Sala operativa unificata permanente (S.O.U.P.), a servizio della struttura di cui al citato art. 9; essa è presidiata in forma continuativa da personale della Regione o di altri enti pubblici, o delle organizzazioni di volontariato, anche mediante forme di collaborazione o convenzionamento.
L’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2003 (come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera a, del decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213 recante: «Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, in materia di apparato sanzionatorio dell'orario di lavoro»), a sua volta, dispone che «Nei riguardi dei servizi di protezione civile, ivi compresi quelli del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, nonché nell’ambito delle strutture giudiziarie, penitenziarie e di quelle destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica, delle biblioteche, dei musei e delle aree archeologiche dello Stato le disposizioni contenute nel presente decreto non trovano applicazione in presenza di particolari esigenze inerenti al servizio espletato o di ragioni connesse ai servizi di protezione civile, nonché degli altri servizi espletati dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, così come individuate con decreto del Ministro competente, di concerto con i Ministri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dell’economia e delle finanze e per la funzione pubblica, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto».
In questo contesto normativo si colloca la norma impugnata. In essa, diversamente da quanto la Regione ritiene, non convivono affatto due norme distinte, la prima volta ad abilitare il dirigente della struttura regionale di protezione civile a disporre particolari regimi di turnazioni con la precisazione che tale potere dirigenziale può essere esercitato esclusivamente «ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66», la seconda limitata alla previsione di mera «possibilità-eventualità» di deroga rispetto alla disciplina dei contratti collettivi nazionali di lavoro, previa intesa con le organizzazioni sindacali.
In realtà, la norma in questione ha un unico contenuto precettivo, diretto ad attribuire al dirigente della struttura di cui al menzionato art. 9 il potere di disporre, nei confronti del personale della struttura medesima, prestazioni lavorative anche in regime di turnazioni diurne e, se necessario, notturne, in presenza delle particolari esigenze e delle ragioni di cui all’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro), così come individuate con decreto del Ministro competente, di concerto con gli altri Ministri dalla norma medesima indicati, il tutto anche in deroga alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, previa intesa con le organizzazioni sindacali.
Orbene, a parte ogni rilievo sull’operatività del rinvio all’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 66 del 2003 (a quanto consta, il decreto o i decreti ministeriali, di cui alla norma ora citata, non risultano a tutt’oggi adottati, né le parti hanno dedotto alcunché al riguardo), non si può porre in dubbio che la disposizione censurata, incidendo sull’orario di lavoro e sulle turnazioni del personale contrattualizzato, cioè su aspetti del rapporto di lavoro riservati alla contrattazione collettiva, violi l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in quanto i profili suddetti rientrano nella materia dell’ordinamento civile, appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (ex multis: sentenze n. 150, n. 108 e n. 7 del 2011).
La tesi della difesa regionale, secondo cui la Regione avrebbe agito nell’esercizio delle sue competenze legislative, facendo uso della propria potestà concorrente nella materia della protezione civile e della potestà legislativa residuale nella materia dell’organizzazione interna della Regione medesima, non può essere condivisa.
Invero, questa Corte ha più volte affermato che l’identificazione della materia in cui è da collocare la disposizione impugnata va effettuata con riguardo all’oggetto o alla disciplina da essa stabilita, sulla base della sua ratio, senza tenere conto degli aspetti marginali e riflessi (sentenze n. 300 del 2011, n. 235 del 2010, n. 368 del 2008 e n. 165 del 2007). L’art. 27 della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, come si è visto, attribuisce al dirigente della struttura regionale di protezione civile il potere di disporre particolari regimi di turnazioni diurne e notturne per il personale della medesima struttura, anche in deroga alle previsioni dei contratti collettivi nazionali di lavoro, sia pure «previa intesa con le organizzazioni sindacali».
Pertanto, essa va ad incidere in via diretta sull’orario di lavoro, e quindi sulla materia dell’ordinamento civile, rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, anche se possono sussistere riflessi sulle materie di competenza concorrente o residuale, sopra indicate. Né vale addurre che è prevista l’intesa con le organizzazioni sindacali, perché tale previsione non è idonea ad escludere la violazione della menzionata competenza esclusiva statale che non tollera forme obbligatorie di collaborazione con l’ente regionale.
In definitiva, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 27 della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, che, dopo il comma 5 dell’art. 10 della legge della stessa Regione n. 32 del 2001, ha aggiunto il comma 5-bis.
5.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, ha impugnato anche l’art. 31, comma 1, lettera d), della legge regionale n. 20 del 2011, che così stabilisce: «Per conseguire gli obiettivi di miglioramento delle condizioni ambientali e di sviluppo dell’intermodalità delle merci nel territorio regionale, la Regione promuove, anche in collaborazione con gli enti locali e con gli altri soggetti pubblici e privati interessati, le azioni necessarie a: (omissis)
d) favorire l’utilizzo dell’interporto di Jesi, con funzioni sia di centro di raccolta e smistamento delle merci sia di retroporto, liberando spazi nell’area portuale di Ancona».
Ad avviso del ricorrente la disposizione, pur primariamente finalizzata a incentivare l’interporto di Jesi, incide sulla destinazione e organizzazione del porto di Ancona, imponendo la liberazione di taluni spazi adibiti a centro di raccolta e smistamento delle merci e a retroporto, per «sviarli» verso l’interporto di Jesi.
Essa attribuirebbe alla Regione le azioni, anche amministrative, per conseguire detto «sviamento» e, di conseguenza, per incidere sulle competenze spettanti all’autorità portuale di Ancona, alla quale – ai sensi dell’art. 5 della legge dello Stato 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) – spetta l’assunzione del piano regolatore regionale, che individua la destinazione funzionale delle aree portuali.
La disposizione regionale violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., perché verrebbe a ledere i principi fondamentali sulle competenze delle autorità portuali fissati dallo Stato con la citata legge nella materia dei porti, a legislazione concorrente.
La censura non è fondata.
Come risulta dal suo testuale significato, la norma impugnata ha un contenuto meramente programmatico («La Regione promuove, anche in collaborazione con gli enti locali e con gli altri soggetti pubblici e privati interessati, le azioni necessarie a[…]»), senza introdurre alcuna disciplina sostanziale in ordine alle misure concrete per effettuare il previsto miglioramento dell’utilizzo dell’interporto di Jesi, da cui dovrebbe derivare, come conseguenza di fatto, la liberazione di spazi nell’area portuale di Ancona. Essa, dunque, risulta inidonea ad invadere ambiti costituzionalmente riservati allo Stato (ex plurimis: sentenze n. 94, n. 43 e n. 8 del 2011; n. 308 del 2009).
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 27 della legge della Regione Marche, 31 ottobre 2011, n. 20 (Assestamento del bilancio 2011);
2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 1, lettera d), della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’articolo 117, secondo comma, lettere e) e i) (recte: l), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;
4) dichiara estinto per rinunzia il giudizio relativo alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 4, della legge della Regione Marche n. 20 del 2011, promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 novembre 2012.