ORDINANZA N. 154
ANNO 2011
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo DE SIERVO Presidente
- Paolo MADDALENA Giudice
- Alfio FINOCCHIARO Giudice
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dal Giudice di pace di Chioggia con ordinanza del 25 marzo 2010 e dal Giudice di pace di Orvieto con ordinanza del 18 maggio 2010, iscritte ai numeri 260 e 261 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Udito nella camera di consiglio del 23 marzo 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi.
Ritenuto che, con ordinanza del 25 marzo 2010 (r.o. n. 260 del 2010), il Giudice di pace di Chioggia ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica);
che il giudice rimettente – procedendo nei confronti di una persona imputata del reato di cui alla norma denunciata – si limita, in punto di rilevanza, ad enunciare che, in caso di accoglimento della questione, «l’imputato finirebbe per non avere alcuna conseguenza sotto il profilo penale»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, egli osserva che, in base al «principio di necessaria lesività ed offensività», ricavabili dai parametri costituzionali evocati, il ricorso alla sanzione penale potrebbe considerarsi legittimo solo quando la condotta del soggetto si materializzasse in un comportamento esterno idoneo a determinare una lesione del bene tutelato o, almeno, una sua messa in pericolo;
che entrambi questi requisiti non risulterebbero individuabili «nella fattispecie criminosa de qua», destinata, piuttosto, a colpire «una mera condizione personale e sociale dell’agente e propria di una categoria di persone», senza alcuna lesione «del bene della sicurezza pubblica» e senza alcuna possibilità di ricorrere a una presunzione di pericolosità (di soggetti ai quali, oltretutto, non sarebbe «ascrivibile nemmeno la mancata osservanza di un provvedimento amministrativo»);
che ciò risulterebbe in linea con quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 78 del 2007, a proposito del carattere «non univocamente sintomatico di una particolare pericolosità sociale» attribuibile al mancato possesso di titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato, nonché con la sentenza n. 22 del 2007, a proposito dell’inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore come «fattispecie che prescinde da un’accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili»;
che l’incriminazione di una mera condizione individuale (quella di migrante) assumerebbe, pertanto, «un connotato discriminatorio ratione subiecti», in violazione anche del principio di eguaglianza, restando indubbio, in base ai principi anzidetti, che non possa considerarsi consentita l’introduzione legislativa di sanzioni penali «per finalità di mera deterrenza» e con collegamenti, piuttosto che a «fatti colpevoli», «a modi di essere ovvero ad una mera disobbedienza priva di disvalore, anche potenziale»;
che, del resto, «ragioni di ragionevolezza, uguaglianza e proporzionalità» imporrebbero, nel nostro ordinamento, di considerare ammissibile il ricorso allo strumento penale «esclusivamente per la protezione di beni giuridici di rilievo costituzionale» e «solo come extrema ratio»;
che, in ultimo, il rimettente non rinuncia ad evidenziare che la norma denunciata sia stata sottoposta al vaglio di costituzionalità, «sotto una molteplicità di motivi», anche da parte di altri giudici di pace, le cui ordinanze di rimessione, «per la loro serietà, rilevanza e non manifesta infondatezza giustificherebbero, anche per il giudizio in oggetto, di per sé, la sospensione del processo in base al combinato disposto degli artt. 2 e 3 c.p.p.»;
che, con ordinanza del 18 maggio 2010 (r.o. n. 261 del 2010), il Giudice di pace di Orvieto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94 del 2009, denunciando la violazione degli artt. 2, 3, 10, 25, secondo e terzo comma, «in relazione agli artt. 13 e 27 della Costituzione», nonché dell’art. 111 Cost.
che, ad avviso del rimettente, la norma denunciata si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza in quanto priva di «ratio giustificatrice», atteso che il fine che essa si prefigge – di allontanare lo straniero “clandestino” dal territorio nazionale – è, infatti, raggiungibile già in sede amministrativa attraverso la misura dell’espulsione, per la quale non è previsto alcun nulla-osta da parte dell’autorità giudiziaria;
che, del resto, la previsione di una pena pecuniaria sembrerebbe destinata ad un’applicazione solo «teorica», riferendosi «a persone nullatenenti» e prive di «sicura domiciliazione», tanto che anche una sua conversione in lavoro sostitutivo «non otterrebbe alcun risultato utile»;
che risulterebbero, inoltre, violati i principi di offensività e di proporzionalità, considerato che, alla luce di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 78 del 2007, il mancato possesso di un titolo valido per il soggiorno nello Stato «non è, di per sé, sintomo di una particolare pericolosità sociale», la quale, invece – sulla base dell’espressione «fatto commesso», contenuta nell’art. 25, secondo comma, Cost., nonché del principio di personalità della responsabilità penale di cui all’art. 27 Cost. e secondo il criterio dell’extrema ratio – costituirebbe condizione imprescindibile per l’irrogazione di sanzioni penali, tanto più in riferimento a «una situazione che può essere risolta in ambito amministrativo»;
che la norma denunciata contrasterebbe, ancora, con l’art. 10 Cost. e soprattutto con l’art. 2 Cost., sia in riferimento al principio di solidarietà – «posto tra i valori fondamentali dell’uomo» da vari atti di diritto internazionale (quali «la Convenzione di Ginevra sull’asilo politico, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e le varie Convenzioni sui lavoratori migranti e sui Diritti del fanciullo ratificate dall’Italia») – sia in relazione al «connotato discriminatorio» che essa assumerebbe nei confronti di persone che, versando in condizioni di bisogno, vengono considerate «possibili fonti di atti delinquenziali»;
che un ulteriore profilo di irrazionalità deriverebbe dalla circostanza secondo cui l’assenza di una disciplina transitoria, «quale quella prevista per le colf e badanti», fa sì che la condotta di illegale trattenimento nel territorio dello Stato – la quale, a differenza di quella di ingresso clandestino, non ha carattere istantaneo – esponga il migrante «clandestino» (ove già presente in Italia) a non avere «alcuna possibilità di evitare i rigori della legge».
Considerato che i giudizi, avendo ad oggetto una medesima disposizione e sollevando un’identica questione, vanno riuniti per essere congiuntamente decisi;
che la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevata in riferimento, complessivamente, agli articoli 2, 3, 10, 25, secondo e terzo comma («in relazione agli articoli 13 e 27 Cost.»), 27 e 111 della Costituzione;
che le ordinanze di rimessione, risultando carenti nella descrizione dei fatti di cui ai relativi giudizi, nonché nella motivazione sulla rilevanza della questione che sollevano, precludono a questa Corte di compiere la propria necessaria e correlativa valutazione;
che, peraltro, l’ordinanza del Giudice di pace di Orvieto appare di contenuto sostanzialmente identico a quello di altre, emesse dallo stesso giudice rimettente, con le quali sono state sollevate davanti a questa Corte questioni dichiarate manifestamente inammissibili per irrilevanza, in ragione dell’omessa o carente descrizione della concreta fattispecie sottoposta a giudizio (così, per la parte relativa, le ordinanze n. 253 del 2010 e n. 3 del 2011);
che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione, dal Giudice di pace di Chioggia e, in riferimento agli articoli 2, 3, 10, 25, secondo e terzo comma, («in relazione agli articoli 13 e 27 Cost.»), nonché all’articolo 111 Cost., dal Giudice di pace di Orvieto, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 aprile 2011.