SENTENZA N. 226
ANNO 2010
Commenti alla decisione di
I.
Stefano Rossi, Ronde e disagio sociale, per
gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali
II. Fulvio Cortese, Continua
la razionalizzazione della disciplina statale in materia di sicurezza urbana:
la Corte costituzionale e le "ronde”, tra ordine pubblico e disagio sociale,
per
gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali
III. Gianguido
D’Alberto, Le ronde
tra "sicurezza urbana” e "disagio sociale”. Corte costituzionale, sentenze nn. 226 e 274 del 2010, per g.c. della Rivista AIC
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
-
-
-
-
-
-
- Luigi MAZZELLA ”
-
-
- Maria
-
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 3,
commi 40, 41, 42 e 43 della legge 15 luglio
2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promossi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria,
notificati il 22 settembre 2009, depositati in cancelleria il 25, il 29 ed il
30 settembre 2009 e rispettivamente iscritti ai nn. 64,
66 e 67 del registro ricorsi 2009.
Visti
gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell’udienza pubblica del 28 aprile 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;
uditi
gli avvocati Lucia Bora per
Ritenuto in
fatto
1.
– Con ricorso notificato il 22 settembre 2009,
La
ricorrente premette che le norme impugnate regolano la collaborazione di
associazioni di privati cittadini alla tutela della sicurezza urbana e alla
prevenzione di situazioni di disagio sociale.
In
particolare, il comma 40 del citato art. 3 prevede che «i sindaci, previa
intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione di cittadini non
armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi
che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio
sociale».
Il
comma 41 stabilisce che le predette associazioni «sono iscritte in apposito
elenco tenuto a cura del prefetto, previa verifica da parte dello stesso,
sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, dei
requisiti necessari previsti dal decreto di cui al comma 43», e demanda allo
stesso prefetto di provvedere «al loro periodico monitoraggio, informando dei
risultati il comitato».
Il
comma 42 precisa ulteriormente che «tra le associazioni iscritte nell’elenco di
cui al comma 41 i sindaci si avvalgono, in via prioritaria, di quelle
costituite tra gli appartenenti, in congedo, alle Forze dell’ordine, alle Forze
armate e agli altri Corpi dello Stato», aggiungendo che «le associazioni
diverse da queste ultime sono iscritte negli elenchi solo se non siano
destinatarie, a nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza
pubblica».
Da
ultimo, il comma 43 attribuisce ad un decreto del Ministro dell’interno, da
adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, il
compito di determinare gli ambiti operativi delle disposizioni di cui ai commi
40 e 41, nonché i requisiti per l’iscrizione e le modalità di tenuta degli
elenchi.
Ad
avviso della ricorrente, le disposizioni ora ricordate risulterebbero invasive
delle competenze legislative regionali.
Alla
luce di una consolidata giurisprudenza costituzionale, che si pone in linea di
continuità con un orientamento formatosi già prima della riforma del Titolo V
della Parte II della Costituzione, la materia della «sicurezza», demandata alla
legislazione esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.,
deve essere, difatti, intesa in senso restrittivo. Tenuto conto della
connessione testuale con l’«ordine pubblico» e dell’esplicita esclusione dal
suo ambito della «polizia amministrativa locale», nonché dell’esigenza di
evitare una smisurata dilatazione dell’area di intervento statale, il concetto
di «sicurezza» va ritenuto comprensivo, in specie, dei soli interventi
finalizzati alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine pubblico,
inteso, quest’ultimo, quale complesso dei beni giuridici fondamentali e degli
interessi pubblici primari sui cui si regge l’ordinata e civile convivenza
nella comunità nazionale.
Quanto,
invece, alla «polizia amministrativa locale» – materia rientrante nella potestà
legislativa residuale delle Regioni, ai sensi della disposizione combinata del
secondo comma, lettera h), e del
quarto comma dell’art. 117 Cost. – essa abbraccia
l’insieme delle misure dirette ad evitare danni o pregiudizi ai soggetti
giuridici e alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle
quali vengono esercitate le competenze delle Regioni e degli enti locali.
Le
norme statali di cui ai commi 40, 41 e 42 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009
inciderebbero sulla disciplina regionale ora ricordata, vanificando il ruolo e
i compiti delle associazioni di volontariato da essa previste.
Le
espressioni di cui il comma 40 si avvale – «sicurezza urbana» e «disagio
sociale» – sarebbero infatti idonee, nella loro ampiezza e genericità, a
svuotare di contenuto le competenze della Regione.
In
base alla ricordata giurisprudenza costituzionale, la «sicurezza urbana»
potrebbe essere, in effetti, ricondotta alla competenza statale solo se
circoscritta agli interventi finalizzati – nell’ambito delle città – alla
prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico. Tanto è vero che,
in sede di decisione su un ricorso per conflitto di attribuzioni,
A
similare conclusione dovrebbe pervenirsi anche con riguardo alla concorrente
locuzione «disagio sociale». Tale espressione apparirebbe, infatti, evocativa
della generalità delle situazioni, protratte nel tempo, nelle quali un soggetto
«non è in grado di utilizzare le proprie risorse e le opportunità offerte dalla
società», e quindi «si isola o suscita rigetto da parte della società stessa».
Si tratterebbe, dunque, di una nozione di ampia portata, potendo le predette
situazioni derivare da molteplici cause, singole o combinate fra loro
(ristrettezze economiche, difficoltà familiari, disoccupazione, malattie,
invalidità, solitudine, età, carenze culturali, tossicodipendenza e così via
dicendo). Sarebbe evidente, in ogni caso, come gli interventi finalizzati a
porre rimedio a tali situazioni disagiate risultino riconducibili alla sfera
delle «politiche sociali»: materia che ricade anch’essa nella competenza
legislativa residuale delle Regioni.
Analogo
contrasto con il riparto costituzionale delle competenze legislative sarebbe
riscontrabile in rapporto ai successivi commi 41 e 42, giacché, in materia di
polizia amministrativa locale e di politiche sociali, la fissazione delle
regole per la tenuta degli elenchi e delle condizioni per l’iscrizione in essi
delle associazioni di volontari non potrebbe che spettare alle Regioni: e,
infatti,
Né,
d’altra parte, sarebbe possibile una interpretazione conforme a Costituzione
delle norme censurate. Non si potrebbe, in particolare, ritenere che il ricorso
alle associazioni di volontari sia da esse previsto nei limiti di cui all’art.
117, secondo comma, lettera h), Cost., perché ciò significherebbe affidare a privati
cittadini una funzione necessariamente pubblica, quale quella della prevenzione
dei reati e del mantenimento dell’ordine pubblico.
Le
disposizioni di cui ai commi 40, 41 e 42 risulterebbero illegittime anche sotto
il profilo della violazione del principio di leale collaborazione. Nessuna di
tali disposizioni prevede, infatti, un coinvolgimento delle Regioni, neppure
nella forma "debole” del parere della Conferenza Stato-Regioni: e ciò quantunque
esse incidano su ambiti complessi, nei quali spesso le competenze statali e
quelle regionali si intersecano. L’esigenza di detto coinvolgimento – inequivocamente desumibile dall’art. 118, terzo comma, Cost., che demanda alla legge statale la disciplina di
forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost. – risulterebbe, nella specie, ancor più accentuata,
giacché la coesistenza di distinte associazioni di volontariato sul medesimo
territorio, regolate da norme che propongono differenti modelli organizzativi,
comporterebbe un elevato grado di incertezza, non solo normativa, ma anche
applicativa.
Quanto,
infine, al comma 43, esso si porrebbe in contrasto con l’art. 117, sesto comma,
Cost., in quanto attribuirebbe una potestà
regolamentare allo Stato in materie di competenza legislativa regionale.
2.
– Con ricorsi di analogo tenore, notificati entrambi il 22 settembre 2009,
a) in via principale, dei commi 40, 41, 42 e 43
dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009, per violazione dell’artt. 117, secondo,
quarto e sesto comma, Cost.;
b) in via subordinata, dei commi 40, 41 e 43 del
citato art. 3, per violazione dell’art. 118 Cost. e
del principio di leale collaborazione.
Le
Regioni ricorrenti premettono di essersi anch’esse dotate, nell’esercizio della
propria potestà legislativa esclusiva in materia di polizia amministrativa
locale, di leggi organiche di disciplina di tale servizio: rispettivamente, la
legge della Regione Emilia-Romagna 4 dicembre 2003, n. 24 (Disciplina della
polizia amministrativa locale e promozione di un sistema integrato di
sicurezza), come modificata dalla legge regionale 28 settembre 2007, n. 21
(Partecipazione della Regione Emilia-Romagna alla costituzione della fondazione
«Scuola interregionale di Polizia locale». Modifiche alla legge regionale 4
dicembre 2003, n. 24), e la legge della Regione Umbria 30 aprile 1990, n. 34
(Norme in materia di polizia municipale e locale), parzialmente sostituita, da
ultimo, dalla legge regionale 25 gennaio 2005, n. 1 (Disciplina in materia di
polizia locale).
L’art. 8 della legge regionale emiliana
prevede specificamente l’«utilizzazione del volontariato», quale «presenza
attiva sul territorio, aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quella
ordinamentale della polizia locale, con il fine di promuovere l’educazione alla
convivenza e il rispetto della legalità, la mediazione dei conflitti e il dialogo
tra le persone, l’integrazione e l’inclusione sociale». Si tratta di attività
svolte non da associazioni, ma da singoli volontari, in qualche misura inseriti
nell’organizzazione della polizia locale; mentre è previsto, al comma 3 dello
stesso articolo, che le associazioni di volontariato possano stipulare
convenzioni con i comuni e le province «con sole finalità di supporto
organizzativo ai soci che svolgano le attività» di cui al medesimo comma. La
citata norma regionale determina, altresì, analiticamente i requisiti dei
volontari, prevede che la loro collaborazione si limiti ad una «qualificata
attività di segnalazione» e dispone, fissandone i criteri, l’istituzione da
parte dei Comuni di un registro nominativo dei volontari.
Con
le norme impugnate, il legislatore statale sarebbe venuto ad interferire
nell’indicata materia di competenza regionale.
Al
riguardo – dopo avere ampiamente richiamato la giurisprudenza di questa Corte
in ordine ai criteri identificativi delle materie «ordine pubblico e sicurezza»
e «polizia amministrativa locale» – le Regioni ricorrenti osservano come il
comma 40 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009, nel delineare l’attività delle
associazioni di volontari da esso disciplinate, non menzioni neppure la materia
«ordine pubblico e sicurezza», ma faccia diretto riferimento agli «eventi che
possano recare danno alla sicurezza urbana» e alle «situazioni di disagio
sociale».
Il
concetto di «sicurezza urbana» troverebbe una definizione – a livello di
disciplina statale – unicamente nel d.m. 5 agosto
Ne
deriverebbe che la norma censurata, nella parte in cui prevede l’intesa del
prefetto in relazione alle decisioni comunali di avvalersi della collaborazione
dei volontari, violerebbe la competenza regionale in materia di polizia
amministrativa locale.
L’illegittimità
costituzionale del comma 40 si riverbererebbe sul comma 41, nella parte in cui
prescrive che le associazioni siano iscritte in un elenco tenuto e gestito
dalle prefetture. Né il carattere esclusivamente statale di tale gestione
verrebbe meno a fronte del richiesto parere del comitato provinciale per
l’ordine e la sicurezza pubblica, di cui all’art. 20 della legge 1° aprile
1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza),
trattandosi di organo anch’esso statale, senza alcuna partecipazione delle
Regioni.
Altrettanto
dovrebbe dirsi con riguardo al successivo comma 42, che stabilisce criteri di
preferenza nella scelta delle associazioni iscritte e vieta l’iscrizione
nell’elenco di associazioni che fruiscano di risorse a carico della finanza
pubblica: essendosi al cospetto di scelte che, nell’ambito dei servizi di
polizia amministrativa locale, spettano al legislatore regionale e non a quello
statale.
Da
ultimo, il comma 43 – nell’affidare ad un decreto del Ministro dell’interno il
completamento della disciplina posta dai commi precedenti (compito concretamente
assolto dal d.m. 8 agosto 2009, di cui le ricorrenti
deducono di aver deliberato l’impugnazione per conflitto di attribuzioni) –
violerebbe, oltre al quarto, anche il sesto comma dell’art. 117 Cost., prevedendo una competenza regolamentare statale in
materia di competenza legislativa regionale.
In
via subordinata, ove si ritenesse che le norme censurate siano espressione di
una esigenza di disciplina unitaria in un ambito in cui le competenze statali e
regionali si intersecano, i commi 40, 41 e 43 dell’art. 3 della legge statale
andrebbero ritenuti comunque costituzionalmente illegittimi per la mancata
previsione di adeguati meccanismi di coordinamento: più in particolare, per non
aver previsto che all’intesa richiesta ai fini dell’utilizzazione delle
associazioni partecipi anche
L’esigenza
di introdurre meccanismi di coinvolgimento delle Regioni deriverebbe non soltanto
dal generale principio di leale collaborazione, ma anche dallo specifico
dovere, sancito a carico dello Stato dall’art. 118, terzo comma, Cost., di disciplinare «forme di coordinamento tra Stato e
Regioni» nelle materie di cui alla lettera h)
del secondo comma dell’art. 117 Cost.
3.
– Si è costituito, in tutti i giudizi, il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Ad
avviso della difesa dello Stato, le norme impugnate si collocherebbero
nell’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», quale definita dalla
giurisprudenza costituzionale; ciò, anche alla luce del criterio della
prevalenza, del quale
In
questa prospettiva, rientrerebbe nella competenza statale anche l’attività
degli osservatori volontari, i quali, ai sensi del comma 40 dell’art. 3 della
legge n. 94 del 2009, segnalano situazioni di pericolo per la sicurezza urbana
o di disagio sociale.
Quanto, infatti, al concetto di «sicurezza urbana», la definizione offerta dal d.m. 5 agosto 2008 – specificamente richiamato, nelle premesse, dal d.m. 8 agosto 2009, emanato in attuazione della legge n. 94 del 2009 – ha già superato il vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 196 del 2009
). Ma neanche il
riferimento alle «situazioni di disagio sociale» implicherebbe una invasione
delle competenze regionali, e in particolare di quella attinente ai «servizi
sociali». Tale materia comprende, infatti, «tutte le attività relative alla
predisposizione ed erogazione di servizi […] o di prestazioni economiche
destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e difficoltà che la
persona umana incontra nel corso della sua vita» (sentenza n. 50 del
2008). Di contro, gli osservatori volontari previsti dalla legge n. 94 del
2009 si limitano a segnalare situazioni critiche, senza erogare servizi.
Parimenti
infondate risulterebbero le censure mosse al comma 41. Acclarato, infatti, che
le associazioni di volontari operano solo in ambiti di competenza statale,
apparirebbe pienamente giustificata la scelta di affidare al prefetto il
controllo sulle associazioni stesse e di prevedere la consultazione del
comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica: organo,
quest’ultimo, alle cui sedute possono essere chiamati a partecipare i
responsabili degli enti locali interessati, attuando, così, il necessario coordinamento
con le attività di competenza dei sindaci.
Analogamente,
la preferenza accordata dal comma 42 alle associazioni costituite da
appartenenti in congedo alle Forze dell’ordine risponderebbe alla ratio di privilegiare l’intervento di
persone abituate ad individuare e gestire situazioni di pericolo «per
l’incolumità delle persone, la sicurezza dei possessi e il disagio sociale»,
confermando che il legislatore ha ritenuto l’attività dei volontari finalizzata
alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Infondate
risulterebbero, infine, le censure relative al comma 43, giacché il
riconoscimento della piena competenza dello Stato comporterebbe che il
legislatore statale sia anche abilitato ad individuare i meccanismi per la
predisposizione degli elenchi delle associazioni e il controllo sugli iscritti.
Né,
d’altro canto, si potrebbero invocare forme di coordinamento ulteriori rispetto
a quelle già assicurate dal coinvolgimento del comitato per l’ordine e la
sicurezza pubblica. Anche a ritenere, infatti, che le attività svolte dagli
osservatori siano «contigue» ad ambiti afferenti alla polizia amministrativa
locale, la comune finalità delle disposizioni denunciate, consistente nel
miglioramento delle condizioni di sicurezza dei cittadini, varrebbe comunque a
ricondurle alla materia «ordine pubblico e sicurezza» sulla base del criterio
della prevalenza, senza che sia richiesta l’applicazione del principio di leale
collaborazione.
4.
– Nell’imminenza dell’udienza pubblica,
Secondo
la ricorrente, non risulterebbe probante, ai fini di inquadrare l’attività
delle associazioni di volontari nell’ambito della materia «ordine pubblico e
sicurezza», il riferimento al d.m. 5 agosto
Né
potrebbe trovare applicazione, nella specie, il criterio della prevalenza.
In
rapporto, poi, all’attività di segnalazione delle situazioni di «disagio
sociale» verrebbe in rilievo, non tanto la competenza regionale in materia di
«servizi sociali», ma quella più ampia in tema di «politiche sociali»: materia
che abbraccia il complesso degli interventi volti non soltanto a rimuovere le
situazioni di disagio, ma anche a prevenirle, e dunque anche l’attività
preliminare di monitoraggio delle condizioni di vita della comunità. Con la
legge regionale 24 febbraio 2005, n. 41 (Sistema integrato di interventi e
servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale),
Stante
l’eterogeneità delle cause delle situazioni di disagio sociale, sarebbe inoltre
impossibile ravvisare in dette situazioni elementi di rischio per l’ordine
pubblico e la sicurezza.
Quanto,
infine, all’asserita impossibilità di invocare forme di coordinamento ulteriori
rispetto al previsto intervento del comitato provinciale per l’ordine e la
sicurezza pubblica, tale affermazione rifletterebbe l’erroneo presupposto che
l’attività delle associazioni in questione sia integralmente riconducibile
all’ordine pubblico e alla sicurezza: e ciò a prescindere dal rilievo che nel
predetto comitato possono essere coinvolti solo i rappresentati degli enti
locali, e non anche quelli della Regione interessata.
5.
– Anche le Regioni Emilia-Romagna e Umbria hanno depositato memorie
illustrative, di analogo tenore, insistendo per l’accoglimento dei ricorsi.
Le
ricorrenti rilevano che – diversamente da quanto sostiene la difesa dello Stato
– la giurisprudenza costituzionale non avrebbe mai esteso la competenza statale
di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h),
Cost. ai settori della sicurezza urbana in senso
ampio, come definita dal d.m. 5 agosto 2008, e alle
situazioni di disagio sociale. Con la sentenza n. 196 del
2009,
Né
potrebbe condividersi la tesi secondo la quale il comma 40 dell’art. 3,
nonostante il riferimento alle «situazioni di disagio sociale», non intacca le
competenze regionali in materia di servizi sociali, in quanto gli osservatori
volontari sono chiamati non ad erogare servizi, ma a delle semplici
segnalazioni. A prescindere, infatti, dal rilievo che, ragionando in questi
termini, si dovrebbe ammettere che anche
Quanto,
poi, al comma 41, l’intervento del comitato provinciale per l’ordine e la
sicurezza non assicurerebbe affatto un adeguato coordinamento tra competenze
statali e regionali. Da un lato, infatti, tale intervento risulta limitato alla
semplice formulazione di un parere circa il possesso, da parte delle
associazioni, dei requisiti necessari ai fini dell’iscrizione nel registro;
dall’altro, il coordinamento resterebbe comunque interno alle competenze
statali (quelle del prefetto e quelle dei sindaci, quali ufficiali del
Governo), senza garantire alcuna tutela alle competenze regionali.
Per
quel che attiene, ancora, al comma 42, il riferimento al «disagio sociale»
risulterebbe evidentemente «eterogeneo ed artificioso» rispetto alla scelta
legislativa di preferire le associazioni costituite tra appartenenti in congedo
«alle Forze dell’ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato».
Né, da ultimo, potrebbe
farsi appello al criterio della prevalenza, giacché le norme impugnate non
sarebbero affatto accomunate dalla finalità di migliorare la sicurezza dei
cittadini. Ad escluderlo basterebbe già il suddetto riferimento alle
«situazioni di disagio sociale»: ma lo stesso concetto di «sicurezza urbana» si
estenderebbe ad interventi estranei all’ambito della materia di cui all’art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost.
Considerato
in diritto
1.
–
Ad
avviso della ricorrente, il comma 40 del citato art. 3 – nel prevedere che «i
sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della collaborazione
di cittadini non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato
o locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero
situazioni di disagio sociale» – detterebbe una disposizione esorbitante
dall’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di competenza
legislativa statale esclusiva ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione: materia da
reputare circoscritta, per consolidata giurisprudenza costituzionale, alle sole
misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento dell’ordine
pubblico.
Il generico concetto di «sicurezza urbana»
si presterebbe, infatti, a ricomprendere interventi – quali quelli volti a
migliorare le condizioni di vivibilità dei centri urbani, la convivenza civile
e la coesione sociale – che esulano dal predetto ambito, per ricadere nel campo
della «polizia amministrativa locale», di competenza legislativa esclusiva
regionale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera h), e quarto comma, Cost.; mentre la
formula «disagio sociale» evocherebbe un’ampia gamma di situazioni di
emarginazione, di varia matrice eziologica, che richiedono interventi
inquadrabili nella materia delle «politiche sociali», anch’essa di competenza
regionale esclusiva ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.
Gli
evidenziati profili di incostituzionalità si riverbererebbero sulle disposizioni
di cui ai commi successivi dello stesso art. 3: disposizioni che, per un verso,
attribuiscono al prefetto il compito di tenere l’elenco in cui le associazioni
di volontari debbono essere iscritte, di verificare la sussistenza dei
requisiti per l’iscrizione, sentito il parere del comitato provinciale per
l’ordine e la sicurezza pubblica, e di monitorare periodicamente le
associazioni stesse (comma 41); e, per altro verso, stabiliscono che i sindaci
debbano avvalersi, prioritariamente, delle associazioni costituite tra gli
appartenenti, in congedo, «alle Forze dell’ordine, alle Forze armate e agli
altri Corpi dello Stato», ed escludono che associazioni diverse da queste
ultime possano essere iscritte negli elenchi ove destinatarie, a qualunque titolo,
«di risorse economiche a carico della finanza pubblica» (comma 42). In materia
di polizia amministrativa locale e di politiche sociali, la fissazione delle
regole in questione non potrebbe, infatti, che competere alle Regioni.
Le citate disposizioni di cui ai commi
40, 41 e 42 risulterebbero illegittime anche sotto il profilo della violazione
del principio di leale collaborazione, giacché, pur incidendo su ambiti nei
quali le competenze statali e regionali si intersecano, non prevedono alcuna
forma di coinvolgimento delle Regioni.
Da ultimo, il comma 43 – demandando ad
un decreto del Ministro dell’interno il compito di determinare gli ambiti
operativi delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonché i requisiti per
l’iscrizione nell’elenco e le modalità di tenuta degli elenchi – si porrebbe in
contrasto con il sesto comma dell’art. 117 Cost.,
attribuendo una potestà regolamentare allo Stato in materie di competenza
legislativa regionale.
2. – Le disposizioni di cui all’art. 3,
commi 40, 41, 42 e 43, della legge n. 94 del 2009 sono impugnate, con ricorsi
di analogo tenore, anche dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria.
Ad avviso delle ricorrenti, il comma 40
dell’art. 3 violerebbe il secondo comma, lettera h), e il quarto comma dell’art. 117 Cost.,
nella parte in cui richiede l’intesa con il prefetto in rapporto alla decisione
dei comuni di avvalersi della collaborazione di volontari a fini di tutela
della sicurezza urbana e di prevenzione delle situazioni di disagio sociale.
L’attività regolata decamperebbe, infatti, dai ristretti confini propri della
materia «ordine pubblico e sicurezza», per ricadere nell’ambito della «polizia
amministrativa locale», di competenza regionale.
Conseguentemente, risulterebbero
inficiati da analogo vizio di costituzionalità anche i commi 41 e 42, che
dettano regole in tema di iscrizione delle associazioni di volontari in elenchi
tenuti dai prefetti, di scelta fra le associazioni iscritte e di divieto di
iscrizione delle associazioni destinatarie di contributi pubblici: trattandosi
di determinazioni che, nell’ambito dei servizi di polizia amministrativa
locale, spettano al legislatore regionale e non a quello statale.
Da ultimo, il comma 43 – nel rimettere
ad un decreto del Ministro dell’interno il completamento della disciplina posta
dai commi precedenti – violerebbe, oltre al quarto, anche il sesto comma
dell’art. 117 Cost., prevedendo una competenza
regolamentare statale in materia di competenza legislativa regionale.
In via subordinata, e per l’eventualità
in cui le norme censurate fossero ritenute espressive di una esigenza di
disciplina unitaria in un ambito in cui le competenze statali e regionali si
intersecano, le ricorrenti deducono l’incostituzionalità dei commi 40, 41 e 43
per violazione del principio di leale collaborazione e dello specifico dovere,
sancito a carico dello Stato dall’art. 118, terzo comma, Cost.,
di disciplinare «forme di coordinamento tra Stato e Regioni» nelle materie di
cui alla lettera h) del secondo comma
dell’art. 117 Cost. Ciò, in conseguenza della mancata
previsione di adeguati meccanismi di coinvolgimento delle Regioni nelle
attività regolate.
3.
– I ricorsi sollevano questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto
le medesime norme e basate su censure in larga parte analoghe, onde i relativi
giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica decisione.
4. – Giova rimarcare preliminarmente
come la disciplina dettata nelle norme impugnate formi oggetto di scrutinio,
nella presente sede, esclusivamente nella prospettiva della verifica della
denunciata invasione delle competenze legislative regionali, avuto riguardo
segnatamente alla spettanza del potere di stabilire le condizioni alle quali i
Comuni possono avvalersi della collaborazione di associazioni di privati per il
controllo del territorio. La decisione non investe, dunque, in alcun modo, il
diritto di associazione dei cittadini ai fini dello svolgimento dell’attività
di segnalazione descritta dalle disposizioni censurate: diritto che, ai sensi
dell’art. 18, primo comma, Cost., resta affatto
impregiudicato.
5.
– Ciò puntualizzato, la questione di costituzionalità relativa al comma 40
dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 è fondata, nei limiti di seguito
specificati.
5.1.
– La facoltà di avvalersi di gruppi di osservatori privati volontari
(cosiddette «ronde») per il controllo del territorio rappresenta un ulteriore
strumento offerto ai sindaci, a fini di salvaguardia della sicurezza urbana,
dai tre provvedimenti legislativi statali, recanti misure in materia di
sicurezza pubblica, intervenuti, in rapida successione, a cavallo degli anni
2008-2009 (cosiddetti «pacchetti sicurezza»).
Esso si affianca, infatti, al potere dei
sindaci di adottare, nella veste di ufficiali del Governo, provvedimenti,
«anche contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali
dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che
minacciano […] la sicurezza urbana»: potere loro conferito dal primo dei
predetti provvedimenti legislativi (art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n.
92, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», convertito, con
modificazioni dalla legge 24 luglio 2008, n. 125), tramite novellazione
del comma 4 dell’art. 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
Nell’occasione, il legislatore – con
tecnica poi reiterata in rapporto all’intervento normativo che qui interessa –
ha demandato ad un decreto del Ministro dell’interno la determinazione
dell’ambito applicativo della ricordata disposizione, con particolare riguardo,
tra l’altro, alla definizione del concetto di «sicurezza urbana» (art. 54,
comma 4-bis, del d.lgs. n. 267 del
2000, come modificato). Tale compito è stato assolto dal d.m.
5 agosto 2008: decreto che questa Corte ha avuto modo di scrutinare a seguito
di ricorso per conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di
Bolzano, escludendo la denunciata lesione delle competenze provinciali (sentenza n. 196 del
2009).
Lo strumento in esame si aggiunge, per
altro verso, alla possibilità, per i comuni, di utilizzare sistemi di
videosorveglianza «per la tutela della sicurezza urbana», secondo quanto è stabilito
dall’art. 6, comma 7, del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti
in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché
in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23
aprile 2009, n. 38 (costituente il secondo dei provvedimenti legislativi in
questione). La facoltà di avvalersi delle associazioni di volontari era, in
effetti, originariamente prevista dallo stesso art. 6 del decreto-legge ora
citato. Le relative disposizioni furono, tuttavia, soppresse in sede di
conversione, per refluire indi nell’art. 3, commi 40, 41, 42 e 43, della legge
n. 94 del 2009: norme oggi impugnate.
5.2. – Tanto premesso, il problema
nodale posto dalle odierne questioni di costituzionalità attiene alla valenza
delle formule «sicurezza urbana» e «situazioni di disagio sociale», che
compaiono nel comma 40 dell’art. 3 della legge da ultimo citata a fini di
identificazione dell’oggetto delle attività cui le associazioni di volontari
sono chiamate («i sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi
della collaborazione di associazioni tra cittadini non armati al fine di
segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano
arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale»). In
particolare, si tratta di stabilire se dette formule individuino o meno ambiti
d’intervento inquadrabili nella materia «ordine pubblico e sicurezza»,
demandata alla legislazione esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma,
lettera h), Cost.:
materia che – in contrapposizione alla «polizia amministrativa locale», da essa
espressamente esclusa – deve essere intesa, secondo la costante giurisprudenza
di questa Corte, in termini restrittivi, ossia come relativa alle sole misure
inerenti alla prevenzione dei reati e alla tutela dei primari interessi
pubblici sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza della comunità
nazionale (ex plurimis,
sentenze n. 129
del 2009; n.
237 e n. 222
del 2006; n.
383 e n. 95
del 2005; n.
428 del 2004).
L’interrogativo richiede una risposta
differenziata in rapporto alle due locuzioni che vengono in rilievo.
5.3. – Quanto, infatti, al concetto di
«sicurezza urbana», il dettato della norma impugnata non è in contrasto con la
previsione costituzionale.
Come già ricordato, questa Corte ha
avuto modo di pronunciarsi sul d.m. 5 agosto 2008,
che ha definito il concetto in questione con riferimento al potere dei sindaci
di adottare provvedimenti secondo la previsione dell’art. 54, comma 4, del
d.lgs. n. 267 del 2000. Ai sensi dell’art. 1 del citato decreto ministeriale,
la nozione di «sicurezza urbana» identifica «un bene pubblico da tutelare
attraverso attività poste a difesa, nell’ambito delle comunità locali, del
rispetto delle norme che regolano la vita civile, per migliorare le condizioni
di vivibilità nei centri urbani, la convivenza civile e la coesione sociale».
Nell’occasione, questa Corte ha ritenuto
che – nonostante l’apparente ampiezza della definizione ora riprodotta – il
decreto ministeriale in questione abbia comunque ad oggetto esclusivamente la
tutela della sicurezza pubblica, intesa come attività di prevenzione e
repressione dei reati. In tale direzione, si sono valorizzati sia la
titolazione del d.l. n. 92 del 2008 (che si riferisce
appunto alla «sicurezza pubblica»); sia il richiamo, contenuto nelle premesse
del decreto, come fondamento giuridico dello stesso, all’art. 117, secondo
comma, lettera h), Cost., oggetto dell’interpretazione restrittiva dianzi
ricordata ad opera della giurisprudenza costituzionale; sia, ancora, la
circostanza che, sempre nelle premesse, il decreto escluda espressamente dal
proprio ambito di riferimento la polizia amministrativa locale. Di qui, dunque,
la conclusione che i poteri esercitabili dai sindaci, ai sensi dei commi 1 e 4
dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, non possono che essere quelli
finalizzati alla attività di prevenzione e repressione dei reati, e non i
poteri concernenti lo svolgimento delle funzioni di polizia amministrativa
nelle materie di competenza delle Regioni e delle Province autonome (sentenza n. 196 del
2009).
Alla stessa conclusione si deve
pervenire con riguardo al concetto di «sicurezza urbana» che figura nella norma
legislativa statale oggi impugnata, risultando anche più numerosi e stringenti
gli argomenti in tale senso.
A fianco della titolazione della legge
n. 94 del 2009, che, anche in questo caso, richiama la «sicurezza pubblica»,
viene in particolare rilievo l’evidenziato collegamento sistematico tra il
comma 40 dell’art. 3 di detta legge – che affida al sindaco la decisione di
avvalersi della collaborazione delle associazioni di volontari – e il citato
art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000: collegamento reso, peraltro, più
evidente dalla disposizione del comma 5 di tale articolo, che già prefigurava
il coinvolgimento di «soggetti privati» in rapporto ai provvedimenti sindacali
a tutela della sicurezza urbana che interessassero più comuni.
Di qui, dunque, la logica conseguenza
che il concetto di «sicurezza urbana» debba avere l’identica valenza nei due
casi: cioè quella che, in rapporto ai provvedimenti previsti dal testo unico
delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, la citata sentenza n. 196 del
2009 ha già ritenuto non esorbitante dalla previsione dell’art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost. Quanto precede trova, del resto, conferma nel d.m. 8 agosto 2009, che, in attuazione del comma 43 della
legge n. 94 del 2009, individua gli ambiti operativi dell’attività delle
associazioni in questione. Tale decreto richiama, infatti, nel preambolo
espressamente tanto l’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, quanto il d.m. 5 agosto 2008, e fa ulteriore, specifico rinvio al
secondo nell’art. 1, comma 2, proprio al fine di estendere all’attività delle
associazioni di volontari la nozione di «sicurezza urbana» da esso offerta.
Sotto diverso profilo, poi, l’intera
disciplina dettata dalle norme impugnate si presenta coerente con una lettura
del concetto di «sicurezza urbana» evocativa della sola attività di prevenzione
e repressione dei reati. Significative, in tale direzione, appaiono
segnatamente le circostanze che la decisione del sindaco di avvalersi delle
associazioni di volontari richieda una intesa con il prefetto; che le
associazioni debbano essere iscritte in un registro tenuto a cura dello stesso
prefetto, previo parere, in sede di verifica dei requisiti, del comitato
provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica; che il sindaco debba
preferire le associazioni costituite da personale in congedo delle Forze
dell’ordine, delle Forze armate o di altri Corpi dello Stato, ossia da soggetti
già impegnati istituzionalmente, o talvolta utilizzati in funzione integrativa
nell’esercizio di attività di prevenzione e repressione dei reati; che, infine,
le segnalazioni degli osservatori siano indirizzate in via esclusiva alle Forze
di polizia, statali o locali.
Né può condividersi, per questo verso,
l’obiezione della Regione Toscana, stando alla quale si dovrebbe escludere che
il ricorso alle associazioni di volontari, previsto dalle norme impugnate,
resti circoscritto nell’ambito della competenza legislativa statale di cui alla
lett. h)
dell’art. 117, secondo comma, Cost., perché ciò
significherebbe affidare a privati cittadini una funzione necessariamente
pubblica, quale appunto quella della prevenzione dei reati e del mantenimento
dell’ordine pubblico. Tale obiezione non tiene conto, a tacer d’altro, del
fatto che le associazioni di volontari svolgono una attività di mera
osservazione e segnalazione e che qualsiasi privato cittadino può denunciare i
reati, perseguibili di ufficio, di cui venga a conoscenza (art. 333 del codice
di procedura penale) e addirittura procedere all’arresto in flagranza nei casi
previsti dall’art. 380 cod. proc. pen.,
sempre quando si tratti di reati perseguibili d’ufficio (art. 383 cod. proc. pen.); mentre lo stesso
art. 24 della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento
dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), nel descrivere i compiti
istituzionali della Polizia di Stato, prevede che essa eserciti le proprie
funzioni al servizio delle istituzioni democratiche e dei cittadini,
«sollecitandone la collaborazione».
5.4. – La conclusione è diversa per
quanto attiene al riferimento alternativo alle «situazioni di disagio sociale»:
una espressione in rapporto alla quale non risulta, di contro, praticabile una
lettura conforme al dettato costituzionale.
La valenza semantica propria della
locuzione «disagio sociale» – già di per sé assai più distante, rispetto a
quella di «sicurezza urbana», dall’ambito di materia previsto dall’art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost. – si coniuga, difatti, all’impiego della disgiuntiva
«ovvero» («eventi che possano recare danno alla sicurezza urbana ovvero
situazioni di disagio sociale»), che rende palese l’intento del legislatore di
evocare situazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle sottese dalla
locuzione precedente.
Il rilievo letterale, anche alla luce
del generale canone ermeneutico del "legislatore non ridondante”, impedisce di interpretare
la formula in questione in senso fortemente limitativo, tale da ridurne
l’inquadramento nell’ambito dell’attività di prevenzione dei reati: ossia di
ritenerla riferita a quelle sole «situazioni di disagio sociale» che,
traducendosi in fattori criminogeni, determinino un concreto pericolo di
commissione di fatti penalmente rilevanti. In questa accezione, essa
risulterebbe, infatti, già interamente inclusa nel preliminare richiamo agli
eventi pericolosi per la sicurezza urbana, come attesta puntualmente il più
volte citato d.m. 5 agosto 2008, che – al fine di
specificare i poteri sindacali a tutela della sicurezza urbana – richiede ai
sindaci di intervenire «per prevenire e contrastare», proprio e anzitutto, «le
situazioni urbane di degrado o di isolamento che favoriscono l’insorgere di
fenomeni criminosi, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della
prostituzione, l’accattonaggio con l’impiego di minori e disabili e i fenomeni
di violenza legati anche all’abuso di alcool» (art. 2, lettera a).
Nella sua genericità, la formula
«disagio sociale» si presta, dunque, ad abbracciare una vasta platea di ipotesi
di emarginazione o di difficoltà di inserimento dell’individuo nel tessuto
sociale, derivanti dalle più varie cause (condizioni economiche, di salute,
età, rapporti familiari e altre): situazioni, che reclamano interventi ispirati
a finalità di politica sociale, riconducibili segnatamente alla materia dei
«servizi sociali». Per reiterata affermazione di questa Corte, tale materia –
appartenente alla competenza legislativa regionale residuale (tra le ultime,
sentenze n. 121
e n. 10 del 2010)
– individua, infatti, il complesso delle attività relative alla predisposizione
ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche
destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che
la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle
assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario (ex plurimis,
sentenze n. 168
e n. 124 del
2009; n. 50
del 2008; n.
287 del 2004).
Non può, al riguardo, condividersi la
tesi della difesa dello Stato, secondo cui le disposizioni impugnate non
inciderebbero su tale competenza regionale, in quanto gli osservatori volontari
previsti dalla legge n. 94 del 2009 si limitano a segnalare «situazioni
critiche», senza erogare servizi. Il monitoraggio delle «situazioni critiche»
rappresenta, infatti, la necessaria premessa conoscitiva degli interventi
intesi alla rimozione e al superamento del «disagio sociale»: onde la
determinazione delle condizioni e delle modalità con le quali i Comuni possono avvalersi,
per tale attività di monitoraggio, dell’ausilio di privati volontari rientra
anch’essa nelle competenze del legislatore regionale.
Neppure può essere utilmente invocato, al
fine di ricondurre l’intera disciplina in esame nell’alveo della competenza
statale – come pure sostiene l’Avvocatura dello Stato – il criterio della
prevalenza. L’applicazione di questo strumento per comporre le interferenze tra
competenze concorrenti implica, infatti, da un lato, una disciplina che,
collocandosi alla confluenza di un insieme di materie, sia espressione di
un’esigenza di regolamentazione unitaria, e, dall’altro, che una tra le materie
interessate possa dirsi dominante, in quanto nel complesso normativo sia
rintracciabile un nucleo essenziale appartenente ad un solo ambito materiale,
ovvero le diverse disposizioni perseguano una medesima finalità (sentenza n. 222 del
2006).
Nell’ipotesi in esame, per contro, il
riferimento alle «situazioni di disagio sociale» si presenta come un elemento
spurio ed eccentrico rispetto alla ratio
ispiratrice delle norme impugnate, quale dianzi delineata, finendo per rendere
incongrua la stessa disciplina da esse dettata. Gli interventi del prefetto e
del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, la preferenza
accordata alle associazioni fra appartenenti in congedo alle Forze dell’ordine,
la circostanza che le segnalazioni dei volontari siano dirette alle sole Forze
di polizia (e non, invece, agli organi preposti ai servizi sociali) –
previsioni tutte pienamente coerenti in una prospettiva di tutela della
«sicurezza urbana», intesa come attività di prevenzione e repressione dei reati
in ambito cittadino – perdono tale carattere quando venga in rilievo il diverso
obiettivo di porre rimedio a condizioni di disagio ed emarginazione sociale.
6.
– Il comma 40 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 deve essere dichiarato,
pertanto, costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 117, quarto
comma, Cost., limitatamente alle parole «ovvero
situazioni di disagio sociale».
È
da escludere, per contro, che – una volta circoscritta l’attività delle
associazioni di volontari alla segnalazione dei soli eventi pericolosi per la
sicurezza urbana, intesa nei sensi dianzi indicati – il legislatore statale sia
tenuto comunque a prevedere forme di coordinamento di tale attività con la
disciplina della polizia amministrativa locale, secondo quanto sostenuto dalle
Regioni Emilia-Romagna e Umbria. L’art. 118, terzo comma, Cost.
prevede una riserva di legge statale ai fini della disciplina di forme di
coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h)
del secondo comma dell’art. 117 (immigrazione, ordine pubblico e sicurezza), ma
non implica che qualunque legge dello Stato che contenga disposizioni
riferibili a tali materie debba sempre e comunque provvedere in tal senso.
7.
– Le restanti questioni, concernenti i commi 41, 42 e 43 della legge n. 94 del
2009, non sono fondate.
La lesione del riparto
costituzionale delle competenze deriva, infatti, esclusivamente dalla eccessiva
ampiezza della previsione del comma 40. La declaratoria di illegittimità
costituzionale parziale di essa, riconducendo l’attività delle associazioni di
volontari, di cui il sindaco può avvalersi, nel perimetro della materia «ordine
pubblico e sicurezza», di competenza esclusiva statale, rende la disciplina
complementare recata dai commi successivi non incompatibile con i parametri
costituzionali evocati, senza necessità di ulteriori interventi.
per questi motivi
riuniti
i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale
dell’art. 3, comma 40, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in
materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «ovvero situazioni di
disagio sociale»;
2) dichiara non fondate le questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 41, 42 e 43, della medesima legge
15 luglio 2009, n. 94, promosse dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria,
in riferimento agli artt. 117, secondo, quarto e sesto comma, e 118 della
Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, con i ricorsi
indicati in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2010.
F.to:
Giuseppe FRIGO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in