SENTENZA N. 396
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo 3 della legge della Regione Sardegna 7 ottobre 2005, n. 13, recante «Scioglimento degli organi degli enti locali e nomina dei commissari. Modifica alla legge regionale 2 agosto 2005, n. 12 (Norme per le unioni di comuni e comunità montane)», promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri notificato il 5 dicembre 2005, depositato in cancelleria il 13 dicembre 2005 ed iscritto al n. 95 del registro ricorsi 2005.
Visto l'atto di costituzione della Regione Sardegna;
udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 2006 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l'avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Salvatore Alberto Romano e Graziano Campus per la Regione Sardegna.
Ritenuto in fatto
1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso – notificato il 5 dicembre 2005 e depositato il successivo 13 dicembre – per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Sardegna 7 ottobre 2005, n. 13, recante «Scioglimento degli organi degli enti locali e nomina dei commissari. Modifica alla legge regionale 2 agosto 2005, n. 12 (Norme per le unioni di comuni e comunità montane)», «nella parte in cui, richiamando l'art. 142 del d.lgs. n. 267 del 2002 [recte: 2000], non esclude la violazione della Costituzione ed i gravi motivi di ordine pubblico».
Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, l'art. 3 della legge regionale impugnata sarebbe costituzionalmente illegittimo, dal momento che prevede la rimozione e la sospensione di amministratori locali ad opera degli organi regionali genericamente «nei casi disciplinati dall'art. 142 del d.lgs. n. 267 del 2002» (disposizione che stabilisce che ciò possa avvenire «quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico»), implicitamente quindi affermando la competenza regionale anche allorché vengano in rilievo la violazione della Costituzione e l'esistenza di gravi motivi di ordine pubblico.
La denunciata illegittimità costituzionale deriverebbe, anzitutto, dalla violazione della competenza esclusiva dello Stato alla «tutela della Costituzione», competenza che si desumerebbe – ad avviso del ricorrente – «da principi, sui quali non è il caso di soffermarsi», e che troverebbe conferma anche nell'art. 127 Cost.
In secondo luogo, sarebbe costituzionalmente illegittimo il riferimento alla valutazione dei “gravi motivi di ordine pubblico”, dal momento che il ricorrente osserva che «quando lo statuto regionale è entrato in vigore, la competenza legislativa della Regione Sardegna, prevista nell'art. 3, lettera a), sicuramente non si estendeva allo scioglimento degli organi degli enti locali per ragioni di ordine pubblico»; infatti, «secondo i principi generali dell'ordinamento, tenendo conto delle competenze legislative che l'art. 117 Cost. assegnava alle regioni, la tutela dell'ordine pubblico competeva allo Stato in via esclusiva». Inoltre, «se oggi la regione dovesse rivendicare la potestà legislativa in materia ai sensi dell'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, si dovrebbe attenere alla nozione di ordine pubblico» di cui al secondo comma del vigente art. 117 Cost.
Più in generale, l'Avvocatura generale dello Stato rileva che nelle materie di competenza esclusiva della Regione, di cui all'art. 3 dello Statuto (nel caso di specie, viene erroneamente richiamata la competenza in materia di “ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della regione”), i poteri legislativi regionali devono essere esercitati «in armonia con i principi dell'ordinamento dello Stato», fra i quali dovrebbero essere «sicuramente compresi i principi desumibili dall'ordinamento costituzionale». Su questa base, richiamata la giurisprudenza di questa Corte sull'interpretazione dell'art. 117, secondo comma, lettera h), della Costituzione circa la definizione della materia «ordine pubblico e sicurezza», affidata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, come riferita agli interventi «finalizzati alla prevenzione dei reati ed al mantenimento dell'ordine pubblico», si conclude che «non dovrebbe essere posto in dubbio che siano questi, soprattutto perché di rango costituzionale, principi dell'ordinamento giuridico dello Stato ai sensi della norma statutaria».
2. – Con atto depositato il 13 gennaio 2006, si è costituita in giudizio la Regione Sardegna, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, o comunque infondato.
La difesa della Regione premette che il legislatore sardo, con la legge in esame, nell'esercizio della propria competenza «primaria» in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui all'art. 3, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), come sostituita dall'art. 4 della legge costituzionale 23 settembre 1993, n. 2 (Modifiche ed integrazioni agli statuti speciali per la Valle d'Aosta, per la Sardegna, per il Friuli-Venezia Giulia e per il Trentino-Alto Adige), ha provveduto a disciplinare le ipotesi di scioglimento dei consigli comunali e provinciali (art. 2), nonché di rimozione e sospensione degli amministratori locali (art. 3), modellando «la disciplina regionale sulla falsariga di quella vigente a livello nazionale»; «ciò a dimostrazione della assenza di qualsiasi intenzione di “prevaricazione” nei confronti delle competenze dello Stato».
Ad avviso della resistente, la censura concernente la mancata esclusione degli «atti contrari a Costituzione» dall'ambito di applicazione dell'art. 3 della legge regionale impugnata sarebbe, anzitutto, radicalmente inammissibile, in quanto palesemente esorbitante dalla delibera del Consiglio dei ministri che ha deciso di sollevare la questione di costituzionalità.
La censura sarebbe inoltre manifestamente inammissibile per genericità, dal momento che mancherebbe nel ricorso l'individuazione del parametro.
In ogni caso, la censura si rivelerebbe infondata nel merito, giacché verrebbe in considerazione non tanto una specifica funzione di «tutela della Costituzione», «quanto piuttosto una più modesta funzione di controllo e sanzione nei confronti di prassi e attività amministrative» confliggenti con le norme costituzionali; una simile attività, infatti, non differirebbe in nulla «da quell'obbligo di assicurare il rispetto della Costituzione che incombe su tutti i soggetti pubblici e a cui, a maggior ragione, è tenuta una Regione, come la Sardegna, dotata di un'autonomia speciale costituzionalmente garantita e di una specifica competenza legislativa in materia di enti locali». La conformità della norma al quadro costituzionale risulterebbe confermata dalla vigenza di norme analoghe nelle legislazioni delle altre Regioni ad autonomia speciale.
Quanto alla censura concernente l'ipotesi di rimozione/sospensione degli amministratori locali per «gravi motivi di ordine pubblico», essa risulterebbe inammissibile per genericità, nonché per «erronea indicazione del parametro statutario rilevante». L'unica disposizione dello statuto speciale invocata dal ricorrente sarebbe palesemente inconferente rispetto al caso di specie, trattandosi dell'art. 3, lettera a), che riconosce alla Regione la potestà legislativa primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione»; né, ad avviso della resistente, «la mera citazione dell'art. 117, comma 2, lettera h), della Costituzione potrebbe ritenersi sufficiente a sostenere l'ammissibilità della censura, dal momento che, trattandosi di Regione speciale, occorrerebbe indicare la norma dello statuto che si pretende violata».
Nel merito, l'infondatezza della censura in esame discenderebbe dall'interpretazione restrittiva che lo Stato vorrebbe accreditare della disposizione impugnata. Secondo la Regione Sardegna, infatti, quest'ultima non avrebbe «inteso escludere la competenza a favore delle autorità statali per “motivi di ordine pubblico o conseguenti a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso”». Tale riserva sarebbe da ritenere «implicita nell'art. 3», poiché questo articolo andrebbe «letto in armonia con il precedente art. 2 che, al comma 6, esplicitamente riconosce tale competenza statale».
La Regione afferma, pertanto – in termini inequivoci ed anche in considerazione del canone interpretativo che impone di preferire l'interpretazione più coerente non solo con la Costituzione ma anche con la ratio e la stessa impostazione generale dell'atto normativo in questione –, che «la stretta affinità che intercorre tra lo scioglimento e la rimozione nonché, soprattutto, l'assoluta identità dei presupposti che giustificano entrambe le misure (atti contrari a Costituzione, gravi e persistenti violazioni di legge e gravi motivi di ordine pubblico) impongono […] di ritenere che quanto esplicitamente disposto nella legge regionale n. 13 del 2005 per un caso (lo scioglimento) non possa non valere implicitamente anche per l'altro (la rimozione)».
Da ultimo, in estremo subordine, nel caso in cui questa Corte non ritenesse di poter accedere all'interpretazione appena indicata, la Regione Sardegna chiede comunque la pronuncia di una «sentenza interpretativa di rigetto».
3. – In prossimità dell'udienza, la Regione Sardegna ha depositato una memoria nella quale ribadisce le argomentazioni difensive già svolte in sede di costituzione in giudizio.
4. – Anche l'Avvocatura dello Stato, ha depositato memoria, contestando nel merito l'interpretazione della norma censurata prospettata dalla Regione Sardegna, con la quale si vorrebbe accreditare la tesi secondo cui le esclusioni esplicitamente contemplate nell'art. 2, comma 6, della legge regionale in questione per lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali sarebbero, in realtà, da ritenere implicitamente applicabili anche alle fattispecie previste nell'art. 3. Anzi, ad avviso del ricorrente, una simile tesi dimostrerebbe la fondatezza del ricorso, dal momento che l'affinità delle ipotesi disciplinate dalle due norme risulterebbe tutt'altro che evidente.
Quanto all'eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa regionale con riferimento alla censura concernente la mancata esclusione degli «atti contrari alla Costituzione», la quale non sarebbe supportata dalla delibera di impugnazione del Consiglio dei ministri, l'Avvocatura dello Stato osserva che «la relazione allegata alla deliberazione del Consiglio dei ministri richiama l'art. 3, comma 1, dello Statuto speciale “secondo cui la potestà legislativa primaria attribuita alla regione deve comunque essere esercitata in armonia con la Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica”»; tanto basterebbe a dimostrare l'infondatezza dell'eccezione.
Infondata sarebbe anche l'eccezione di inammissibilità «perché la censura sarebbe stata proposta in termini generici ed indicando un parametro costituzionale sbagliato». Sostiene in proposito l'Avvocatura dello Stato che il richiamo contenuto nella parte iniziale del ricorso alla disciplina statutaria – e, in particolare, all'art. 3 – in materia di «scioglimento degli organi degli enti locali» renderebbe evidente il riferimento alla lettera b) e non alla lettera a), «indicata inesattamente per un errore di trascrizione».
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Sardegna 7 ottobre 2005, n. 13, recante «Scioglimento degli organi degli enti locali e nomina dei commissari. Modifica alla legge regionale 2 agosto 2005, n. 12 (Norme per le unioni di comuni e comunità montane)», nella parte in cui non esclude la violazione della Costituzione e i gravi motivi di ordine pubblico dai casi nei quali possono intervenire gli organi regionali in tema di rimozione o sospensione degli amministratori locali.
La denunciata illegittimità deriverebbe dal fatto che, secondo l'art. 3 dello statuto speciale della Regione Sardegna, (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3), come modificato dall'art. 3 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2 (Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei presidenti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano), i poteri legislativi devono essere esercitati «in armonia con i principi dell'ordinamento dello Stato», fra i quali dovrebbero essere «sicuramente compresi i principi desumibili dall'ordinamento costituzionale». Fra questi principi andrebbe anzitutto annoverata la esclusiva competenza dello Stato alla «tutela della Costituzione», competenza che si desumerebbe «da principi, sui quali non è il caso di soffermarsi», e che troverebbe conferma anche nell'art. 127 della Costituzione.
In secondo luogo, sarebbe costituzionalmente illegittimo il riferimento alla valutazione, da parte degli organi regionali, dei “gravi motivi di ordine pubblico”, dal momento che una competenza regionale del genere in una tale materia non sarebbe contenuta nel testo dello Statuto regionale, né potrebbe essere deducibile dal nuovo art. 117 della Costituzione, il cui secondo comma, alla lettera h), riserva anzi esplicitamente allo Stato ogni competenza in tema di “ordine pubblico e sicurezza”.
2. – La Regione resistente eccepisce l'inammissibilità della questione relativa all'asserita mancata esclusione degli «atti contrari a Costituzione» dall'ambito di applicazione della disposizione oggetto di censura, dal momento che ad essa non farebbe riferimento alcuno la delibera del Consiglio dei Ministri (e l'allegata relazione ministeriale) contenente la determinazione ad impugnare l'art. 3 della legge della Regione Sardegna n. 13 del 2005.
L'eccezione deve essere accolta.
In applicazione di un costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (fra le più recenti si vedano le sentenze n. 49 del 2006, n. 360 e n. 300 del 2005, e n. 134 del 2004), la questione in esame è inammissibile, dal momento che la relazione del Ministro per gli affari regionali allegata alla delibera del Consiglio dei ministri fa riferimento alla asserita incostituzionalità dell'art. 3 della legge regionale impugnata solo «nella parte in cui omette di riservare agli organi statali l'adozione dei provvedimenti di rimozione o di sospensione degli amministratori locali per motivi di ordine pubblico o per fenomeni di infiltrazione di tipo mafioso».
Peraltro, il riferimento ai fenomeni di tipo mafioso – contenuto nella citata delibera – va considerato in realtà estraneo all'articolo impugnato, sulla base di quanto contenuto nell'art. 1 della legge regionale n. 13 del 2005 e nell'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e comunque non è stato introdotto nel ricorso come oggetto dell'impugnazione governativa.
3. – Anche in relazione alla seconda questione, concernente la mancata esclusione dall'ambito della norma impugnata dei “gravi motivi di ordine pubblico”, la Regione resistente eccepisce la inammissibilità del ricorso statale «per genericità della censura sollevata ed erronea indicazione del parametro statutario rilevante»; ciò con specifico riferimento alla sommaria formulazione dell'atto introduttivo del giudizio, il quale in realtà per due volte si riferisce alla competenza legislativa regionale in tema di “ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione”, di cui all'art. 3, lettera a), dello Statuto regionale, invece che alla competenza legislativa regionale in tema di “ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni”, di cui all'art. 3, lettera b), dello Statuto regionale.
Questa eccezione non può essere accolta.
La relazione ministeriale allegata alla delibera governativa di impugnazione, da un lato, individua specificamente la disposizione censurata e dunque l'oggetto del giudizio, dall'altro, indica con chiarezza la norma statutaria violata, cioè l'art. 3, in particolare facendo correttamente riferimento alla competenza legislativa esclusiva della Regione Sardegna in tema di “ordinamento degli enti locali” – la quale non potrebbe «ricomprendere in tale ambito specifiche competenze in materia di ordine pubblico […], che sono da considerarsi riservate agli organi statali, secondo quanto disposto dall'art. 117, comma 2, lettera h) Cost.» – e affermando che comunque la competenza regionale, sulla base del primo comma dell'art. 3 dello statuto speciale, deve «essere esercitata in armonia con la Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica». La circostanza che nell'atto introduttivo del giudizio si richiami erroneamente la competenza di cui alla lettera a) dell'art. 3 dello statuto speciale, anziché quella di cui alla lettera b), può peraltro essere superata considerando che lo stesso ricorso, seppur in modo alquanto sommario, mette in evidenza come nello statuto siano estranei alle competenze legislative attribuite alla Regione i profili riconducibili al concetto di ordine pubblico e come tale incompetenza non appaia revocabile in dubbio neppure mediante l'ipotetica applicazione dell'art. 10 della legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dato che l'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato la materia dell'ordine pubblico e della sicurezza.
3. – Nel merito, la questione relativa alla applicabilità della disposizione regionale in tema di rimozione e sospensione degli amministratori locali anche all'ipotesi in cui sussistano “gravi motivi di ordine pubblico”, è fondata.
Non possono esservi dubbi sulla estraneità dall'area delle competenze legislative della Regione dei profili concernenti l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica, così come risulta anche dall'art. 49 dello Statuto regionale e dall'art. 2, primo comma, del d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Sardegna in riferimento alla legge 22 luglio 1975, n. 382, e al decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616).
D'altra parte, la stessa Regione resistente sembra essere di ciò consapevole, tanto da sostenere che la disposizione impugnata andrebbe in realtà interpretata nel senso che anche per le ipotesi di rimozione e sospensione degli amministratori locali debba applicarsi il comma 6 dell'art. 2 della medesima legge regionale n. 13 del 2005, che afferma espressamente la perdurante competenza statale “per motivi di ordine pubblico” per quanto riguarda i provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali e provinciali.
Peraltro, deve rilevarsi che la normativa statale distingue espressamente i casi di scioglimento dei consigli (art. 141 del d.lgs. n. 267 del 2000) da quelli di rimozione degli amministratori (art. 142 del d.lgs. n. 267 del 2000), sicché, malgrado l'esplicita esclusione contenuta nell'art. 2 della legge regionale in esame, la lettera dell'art. 3 della medesima legge, rinviando esclusivamente e genericamente ai «casi disciplinati dall'art. 142» del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, non può che essere intesa come affermazione della competenza regionale in tutti i casi previsti dalla disposizione statale e, dunque (seppur del tutto irrazionalmente), in un significato opposto rispetto a quanto espresso nel comma 6 dell'art. 2. Tale interpretazione risulta confermata oltretutto da quanto previsto nell'art. 5-bis della legge regionale n. 13 del 2005, il quale fa salvi i poteri prefettizi previsti dal d.lgs. n. 267 del 2000 per i soli «casi richiamati al comma 6 dell'art. 2».
Deve pertanto essere dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Sardegna n. 13 del 2005, nella parte in cui, richiamando i «casi disciplinati dall'art. 142 del d.lgs. n. 267 del 2000» non esclude che la rimozione e la sospensione degli amministratori locali possa essere disposta dagli organi regionali per gravi motivi di ordine pubblico.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge della Regione Sardegna 7 ottobre 2005, n. 13, recante «Scioglimento degli organi degli enti locali e nomina dei commissari. Modifica alla legge regionale 2 agosto 2005, n. 12 (Norme per le unioni di comuni e comunità montane)», nella parte in cui non esclude i gravi motivi di ordine pubblico dai casi nei quali gli organi regionali possono disporre la rimozione o la sospensione degli amministratori locali.
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della medesima legge regionale n. 13 del 2005, nella parte in cui non esclude la violazione della Costituzione dall'ambito di applicazione della disposizione oggetto di censura, sollevata dal Presidente Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria l'1 dicembre 2006.