ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA ”
- Annibale MARINI ”
- Franco BILE ”
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale del decreto-legge 1° dicembre 1997, n. 411 (Misure urgenti per gli accertamenti in materia di produzione lattiera), convertito con modificazioni nella legge 27 gennaio 1998, n. 5 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° dicembre 1997, n. 411, recante misure urgenti per gli accertamenti in materia di produzione lattiera), e del decreto-legge 1° marzo 1999, n. 43 (Disposizioni urgenti per il settore lattiero-caseario), convertito con modificazioni nella legge 27 aprile 1999, n. 118 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° marzo 1999, n. 43, recante disposizioni urgenti per il settore lattiero-caseario), promosso con ordinanza del 31 maggio 1999 dal Tribunale di Pordenone nel procedimento civile vertente tra Azienda Agricola Ivano e Massimiliano Tesan ed altri contro Cooperativa Agricola Medio Tagliamento Spilimbergo s.r.l., iscritta al n. 654 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 maggio 2005 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Tribunale di Pordenone ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 41, 45 (recte: 25), 53 e 97 Cost. – del decreto-legge 1° dicembre 1997, n. 411 (Misure urgenti per gli accertamenti in materia di produzione lattiera), convertito, con modificazioni, nella legge 27 gennaio 1998, n. 5, e del decreto-legge 1° marzo 1999, n. 43 (Disposizioni urgenti per il settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, nella legge 27 aprile 1999, n. 118;
che entrambi gli atti legislativi sono censurati dal rimettente nella parte in cui consentono all’Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo (AIMA), «per i periodi di produzione lattiera dal 1995-1996 al 1998-1999 compresi», di «determinare ora per allora i quantitativi individuali di riferimento ed esigere tramite i primi acquirenti i relativi prelievi»;
che il giudice a quo premette di essere stato adito, in via d’urgenza, dalla «Azienda agricola Ivano e Massimiliano Tesan», la quale ricorreva ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile – «unitamente ad otto altre aziende agricole» – «nei confronti della Cooperativa Medio Tagliamento» e della «Latteria cooperativa di Valvasone s.r.l.»;
che i predetti ricorrenti hanno dedotto «di essere tutti imprenditori agricoli produttori di latte bovino, e di vendere tale loro produzione alle società resistenti», le quali ultime, pertanto, «vanno qualificate “primi acquirenti” ai sensi e per gli effetti della disciplina delle c.d. “quote latte”»;
che il Tribunale di Pordenone, previamente riassunto il quadro della disciplina suddetta, prevista a livello di Unione europea (incentrata, al fine «di limitare la produzione di latte bovino da parte degli Stati membri», sulla assegnazione di «un limite massimo quantitativo di produzione annua», limite ulteriormente suddiviso da ogni Stato «fra i vari produttori nazionali», mediante determinazione, per ciascuno di essi, di un «quantitativo di riferimento individuale», dal quale costoro non possono discostarsi, pena altrimenti l’assoggettamento ad «un disincentivo economico denominato “prelievo supplementare”»), illustra i tratti salienti anche della normativa nazionale vigente in materia;
che tale normativa, in origine, era quella recata dalla legge 26 novembre 1992, n. 468 (Misure urgenti nel settore lattiero-caseario) e dal d.P.R. 23 dicembre 1993, n. 569 (Regolamento di esecuzione della legge 26 novembre 1992, n. 468, concernente misure urgenti nel settore lattiero-caseario), entrambi, peraltro, abrogati – successivamente all’adozione dell’ordinanza di rimessione da parte del giudice a quo – dall’art. 10, comma 47, lettere a) e b), del decreto-legge 28 marzo 2003, n. 49 (Riforma della normativa in tema di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari), convertito, con modificazioni, nella legge 30 maggio 2003, n. 119;
che ai sensi di tale disciplina era previsto, innanzitutto, che l’AIMA provvedesse a pubblicare, in appositi bollettini, entro il 31 gennaio di ogni anno, «gli elenchi aggiornati dei produttori titolari di quota e dei quantitativi ad essi spettanti nel periodo avente inizio il 1° aprile successivo» (così, testualmente, l’art. 4, comma 2, della citata legge n. 468 del 1992), stabilendo altresì che i c.d. “primi acquirenti” (cioè a dire quanti acquistano il latte bovino direttamente dai produttori) trattenessero, dal prezzo erogato quale corrispettivo della vendita, l’importo – da versare, poi, all’AIMA – del prelievo supplementare dovuto da ogni produttore che non avesse rispettato la quota individuale stabilita a suo carico (in tal senso l’art. 5 della medesima legge n. 468 del 1992);
che era stabilito, infine, che l’AIMA procedesse – nell’ipotesi in cui, per ciascun anno, il latte bovino effettivamente prodotto fosse inferiore al quantitativo globale garantito – alla “compensazione nazionale”, cioè alla ridistribuzione, tra i vari produttori, della differenza tra il suddetto quantitativo e la produzione reale;
che secondo il Tribunale di Pordenone il sistema delineato dalla legge n. 468 del 1992 è rimasto, in sostanza, privo di attuazione, «in quanto l’AIMA non è mai riuscita a pubblicare entro il termine previsto i bollettini» di cui sopra (contenenti i “quantitativi di riferimento individuale”), ciò che però non ha impedito ai “primi acquirenti” di effettuare – quantunque sulla scorta dei bollettini tardivamente emessi, e quindi «necessariamente a posteriori» – «i prelievi supplementari»;
che – sempre secondo il giudice a quo – il legislatore, per ovviare a tale situazione, è intervenuto nuovamente in materia, dettando – con i già citati decreti-legge n. 411 del 1997 e n. 43 del 1999 – «una diversa disciplina, volta, nell’intenzione, a raggiungere retroattivamente i risultati sin dall’origine dovuti nell’ambito CE»;
che il legislatore, pertanto, ha stabilito – nel prendere atto che l’AIMA non ha provveduto a determinare i quantitativi di riferimento individuale «per i periodi dal 1995-1996 al 1998-1999» – che «i prelievi supplementari per ciascuno dei periodi in questione rimangono dovuti», continuando inoltre «ad aver vigore il meccanismo di trattenuta del prelievo supplementare ad opera dei primi acquirenti, solo temperato nella parziale e provvisoria restituzione di alcune delle somme relative ai periodi 1996-1997», precisando, tuttavia, che «tali prelievi, a suo tempo effettuati in forza dei bollettini tardivi, si intendono però “salvo conguaglio”»;
che, difatti, è stato previsto «che, per ciascuno dei periodi in questione, l’AIMA debba operare, ora per allora, la “compensazione nazionale”», la quale presuppone, a sua volta, che la predetta Azienda accerti il quantitativo di latte prodotto in ogni periodo, e quindi aggiorni il quantitativo di riferimento individuale di ciascun produttore, così determinando «il surplus da assoggettare, retroattivamente, a prelievo supplementare»;
che il giudice a quo, dopo aver ricostruito il complessivo quadro normativo di riferimento, ha illustrato il contenuto dell’iniziativa assunta dai ricorrenti nel procedimento cautelare, evidenziando che essi hanno richiesto – sul presupposto dell’avvenuta impugnazione, «nella competente sede amministrativa», del provvedimento di rideterminazione dei quantitativi di riferimento individuale, adottato dall’AIMA in forza della normativa suddetta – di «ordinare alle resistenti la restituzione del prelievo supplementare fino ad ora trattenuto», nonché di inibire loro, nell’ordine, «di escutere le relative garanzie», di «effettuare ulteriori trattenute a titolo di superprelievo» (ovvero di «richiedere ulteriori garanzie per il pagamento di esso»), nonché «di riversare all’AIMA ogni prelievo supplementare, il tutto per le campagne relative dal 1995-1996 al 1999-2000»;
che i ricorrenti, infine, hanno precisato come siffatta domanda cautelare sia «prodromica ad una azione di accertamento negativo degli obblighi suddetti e di condanna alla restituzione delle somme e ai danni»;
che il Tribunale rimettente – prima di illustrare i motivi che denoterebbero la rilevanza della sollevata questione di legittimità costituzionale, nonché la sua non manifesta infondatezza – si è soffermato sulle ragioni della «propria giurisdizione sulla controversia propostagli», oltre che della «competenza della Corte» in ordine all’indicato thema decidendum;
che, quanto al primo di tali profili, il giudice a quo ha sottolineato come il rapporto intercorrente tra il produttore di latte bovino ed il primo acquirente non sia altro se non «una compravendita di diritto civile», esclusivamente caratterizzata dall’esistenza di «un obbligo di compensazione» tra l’obbligazione relativa al pagamento del prezzo di acquisto «e quella, ex lege, di pagare al primo acquirente (…) l’importo del prelievo supplementare», di talché la circostanza che il presupposto di tale obbligazione ex lege sia un provvedimento amministrativo (quello di determinazione del quantitativo di riferimento individuale) non escluderebbe affatto la giurisdizione del giudice ordinario, ricorrendo uno dei casi tipici in cui questi «ha i poteri di cui all’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E»;
che, in relazione al secondo dei profili suddetti, il Tribunale rimettente ha escluso che quello ipotizzabile nel caso di specie sia «un mero contrasto tra la normativa comunitaria (…) e la normativa nazionale», come confermato, ancorché implicitamente, dalla sentenza di questa Corte n. 398 del 1998, atteso che la stessa ebbe a decidere «sulla questione di legittimità della normativa sostituita da quella qui censurata, non rifiutando in limine di esaminare la questione»;
che circa, invece, la rilevanza della questione di legittimità costituzionale il giudice a quo ha evidenziato che, se le norme censurate venissero dichiarate incostituzionali, la domanda cautelare dovrebbe essere accolta, venendo a mancare ogni titolo per esigere i prelievi supplementari per i periodi contestati, mentre, «nell’ipotesi opposta, è ragionevole ritenere che, allo stato, il ricorso andrebbe respinto»;
che, infine, la non manifesta infondatezza della questione sarebbe resa evidente dal fatto che, mentre la disciplina in origine prevista nella materia de qua si caratterizzava in quanto ciascun produttore di latte bovino – in condizione di conoscere in anticipo il quantitativo di riferimento individuale a lui assegnato – poteva liberamente scegliere «se rispettarlo o pagare il disincentivo» (così, dunque, «programmando i propri investimenti e la propria attività»), per converso, la normativa denunciata andrebbe «in senso opposto», in violazione dell’art. 41 Cost.;
che, difatti, in base ai provvedimenti legislativi censurati il produttore di latte bovino – secondo il giudice a quo – «non è, per definizione, stato messo in grado di conoscere in anticipo il proprio limite di produzione», non potendo prevedere «se e quali somme» potranno essergli richieste, trovandosi invece costretto a pagarle «dopo che tutta la produzione è stata realizzata»;
che in tal modo «si è fuori del concetto di programmazione» dell’attività imprenditoriale, vale a dire del solo limite che può essere legittimamente imposto – in forza di quanto previsto dal combinato disposto dei commi primo e terzo dell’art. 41 Cost. – alla libertà di iniziativa economica privata;
che, difatti, nel caso di specie «l’imposizione retroattiva del disincentivo economico» avrebbe potuto essere evitata dall’imprenditore «solo uscendo dal mercato», ciò che appare però contrastare con quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui «i limiti imposti all’attività economica devono essere razionali e non tali da renderla impossibile o estremamente difficile», ovvero, addirittura, «da sopprimerla» (si richiamano le sentenze n. 301 del 1983 e n. 78 del 1970);
che, secondo il giudice a quo, ricorrerebbe anche la violazione dell’art. 97 Cost., giacché la disciplina censurata sarebbe strutturata in modo tale che «l’inadeguatezza tecnica dell’AIMA» a stabilire in via preventiva i quantitativi di riferimento individuale finirebbe per «essere subita dagli amministrati», i quali – per previsione della legislazione, sia statale che comunitaria – dovrebbero invece «poter contare» sul suo operato;
che secondo il Tribunale rimettente, infine, «l’imposizione retroattiva del prelievo supplementare» – indipendentemente dal fatto che sia «qualificata tributo ovvero sanzione amministrativa» – contrasterebbe con la Costituzione, giacché, nel primo caso, «sarebbe violato il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53», atteso che la pregressa produzione di latte bovino eccedente un certo quantitativo «nulla dice sul reddito dell’impresa che lo produce», mentre, nella seconda ipotesi, se è certamente vero che «una sanzione amministrativa retroattiva non contrasta di per sé con l’art. 25 Cost.» (sentenza n. 68 del 1984), è pur vero che tale evenienza rimane, nondimeno, «qualcosa di eccezionale», da prevedere «nei soli casi di estrema necessità» (sentenza n. 118 del 1957), ai quali non potrebbe essere ricondotto, però, quello contemplato dalla normativa impugnata;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato;
che la difesa erariale, in via preliminare, contesta il presupposto dal quale muove il giudice rimettente nella propria ricostruzione, e cioè la «natura tardiva o retroattiva della determinazione del quantitativo di riferimento individuale»;
che, difatti, i provvedimenti legislativi impugnati «sono stati adottati al fine di accertare, a causa delle contestazioni insorte, la quantità effettiva di latte prodotto e commercializzato nei periodi in questione e la titolarità delle relative quote», di talché, nel caso di specie, non si tratta di «attribuzione di nuove quote, ma dell’accertamento dei quantitativi individuali di riferimento, tenendo conto delle istanze di riesame a suo tempo presentate, dei trasferimenti intervenuti, delle correzioni effettuate, come si evince testualmente dall’art. 2, comma 3, del d.l. n. 411 del 1997, presupposto del successivo d.l. n. 43 del 1999»;
che non ricorre, dunque, una «attribuzione tardiva o retroattiva, trattandosi solo di una verifica straordinaria di tutte le quote assegnate (oltre che delle produzioni commercializzate), richiesta dagli interessati, al fine di garantire trasparenza e chiarezza nel settore», verifica svolta sulla base delle risultanze di apposita commissione governativa istituita ad hoc;
che, pertanto, «non sussiste violazione dell’art. 41 Cost., non potendo fondarsi aspettative protette sulla base di eventuali pendenti illegittimità», atteso che ogni singolo produttore ben conosceva (o comunque poteva conoscere) «la propria reale situazione di titolarità»;
che, del pari, è da escludere – secondo la difesa erariale – la denunciata violazione tanto dell’art 97 Cost., «non incidendo eventuali disfunzioni operative sulla legittimità della legge», quanto quella degli artt. 53 e 25 della Carta fondamentale, «non trattandosi di imposizione tributaria (in realtà il prelievo è la trattenuta del prezzo della cessione), né di sanzione vera e propria»;
che su tali basi, pertanto, l’Avvocatura generale dello Stato ha concluso affinché «la Corte dichiari non fondata la questione sollevata», subordinatamente segnalando – atteso che «della medesima problematica è stata investita» la Corte di giustizia delle Comunità europee – l’opportunità di attendere «l’esito del giudizio» appena indicato;
che, con memoria depositata nell’imminenza della camera di consiglio, fissata per la discussione della illustrata questione di legittimità costituzionale, l’Avvocatura generale dello Stato ha dato atto delle sopravvenienze normative intervenute nella materia de qua;
che, in particolare, ha posto in luce come l’art. 10, comma 47, del citato d.l. n. 49 del 2003 abbia previsto l’abrogazione degli impugnati atti legislativi;
che, inoltre, risulta medio tempore sopravvenuta anche l’«attesa statuizione della Corte di giustizia delle Comunità europee, chiamata dal Tar Lazio a pronunciarsi su quesiti riguardanti, in sostanza, se ed in quali limiti dovessero pagare il prelievo supplementare» i produttori di latte che avessero superato il tetto individuale di produzione;
che la predetta Corte di giustizia, con tre sentenze di pressoché identico contenuto (pronunciate dalla sez. VI il 25 marzo 2004, rispettivamente, nelle cause riunite C-231/00, C-303/00 e C-451/00, nonché nelle cause riunite C-480/00, C-481/00, C-484/00, C-489/00, C-490/00, C-491/00, C-497/00, C-498/00 e C-499/00, ed infine nella causa C-495/00), ha, in primo luogo, individuato l’esatta interpretazione delle norme comunitarie che costituiscono il suddetto prelievo supplementare e che stabiliscono le sue modalità di applicazione;
che, secondo il Giudice comunitario, tali norme vanno interpretate nel senso di non impedire «che a seguito di controlli uno Stato membro rettifichi i quantitativi di riferimento individuali attribuiti ad ogni produttore e conseguentemente ricalcoli, a seguito di rassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, i prelievi supplementari dovuti, successivamente al termine di scadenza del pagamento per la campagna lattiera interessata»;
che si è, inoltre, riconosciuto come le predette norme comunitarie debbano essere intese «nel senso che l’assegnazione iniziale dei quantitativi di riferimento individuali», nonché ogni loro «modificazione successiva», siano «comunicate ai produttori interessati dalle autorità nazionali competenti»;
che, infine, in relazione a quello che appariva «il punto principale di contrasto» (concernente «i modi e i tempi» della comunicazione suddetta), la Corte di giustizia ha recepito l’opzione ermeneutica proposta dal Governo italiano, affermando che «è sufficiente una pubblicità secondo le norme del diritto interno, purché sia adeguata» (e cioè idonea a porre «in grado gli interessati di conoscere la portata dei loro diritti e dei loro obblighi»), in particolare precisando – con ciò disattendendo le doglianze in proposito formulate dalle aziende produttrici ricorrenti, le quali ipotizzavano una «violazione dei principî generali di proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento» – che «non è escluso che una comunicazione dei quantitativi di riferimento individuali a mezzo di una pubblicazione in bollettini, quale quella controversa nella causa principale, possa soddisfare tale condizione»;
che alla luce, dunque, di tale mutato quadro normativo e giurisprudenziale, la difesa erariale ha concluso nel senso della sostanziale cessazione della materia del contendere.
Considerato che il Tribunale di Pordenone ha sollevato questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 41, 25, 53 e 97 Cost. – del decreto-legge 1° dicembre 1997, n. 411 (Misure urgenti per gli accertamenti in materia di produzione lattiera), convertito, con modificazioni, nella legge 27 gennaio 1998, n. 5, e del decreto-legge 1° marzo 1999, n. 43 (Disposizioni urgenti per il settore lattiero-caseario), convertito, con modificazioni, nella legge 27 aprile 1999, n. 118;
che successivamente all’emanazione dell’ordinanza di rimessione è intervenuto il decreto-legge 28 marzo 2003, n. 49 (Riforma della normativa in tema di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari), convertito, con modificazioni, nella legge 30 maggio 2003, n. 119;
che l’art. 10 del decreto-legge suddetto non solo, al comma 47, lettere n) e r), ha disposto l’abrogazione degli atti legislativi censurati dal rimettente, ma ha altresì stabilito, al comma 36-bis, che tutti i «giudizi pendenti alla data del 1° gennaio 2004 innanzi agli organi giurisdizionali amministrativi ovvero ordinari, aventi ad oggetto gli importi imputati e non pagati a titolo di prelievo supplementare per i periodi di commercializzazione compresi tra gli anni 1995-1996 e 2001-2002, sono estinti d’ufficio, con compensazione delle spese tra le parti a seguito dell’accoglimento dell’istanza di rateizzazione da parte della Regione o Provincia autonoma di appartenenza, da comunicare a cura delle medesime al competente organo giurisdizionale»;
che, pertanto, tali circostanze impongono la restituzione degli atti al Giudice rimettente, soluzione vieppiù necessaria anche in ragione della sopravvenienza della già menzionata sentenza, pronunciata, in data 25 marzo 2004, dalla Corte di giustizia delle Comunità europee, sez. VI, atteso che le decisioni dei giudici comunitari, «nel risolvere la questione della conformità della norma censurata al diritto comunitario», enunciano «principî che, inserendosi direttamente nell’ordinamento interno, con valore di “ius superveniens”, condizionano e determinano i limiti in cui quella norma conserva efficacia e deve essere applicata anche dal giudice nazionale», ciò che quindi «impone una valutazione sulla persistente rilevanza della questione sollevata» (così ordinanza n. 125 del 2004; cfr. anche ordinanza n. 62 del 2003).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Pordenone.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2005.