Sentenza n. 9 del 2004

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SENTENZA N. 9

ANNO 2004

 

                                                                                                                                                          

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Riccardo CHIEPPA, Presidente

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

- Francesco AMIRANTE

- Ugo DE SIERVO

- Romano VACCARELLA

- Paolo MADDALENA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell’art. 3 del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420 (Regolamento recante modificazioni e integrazioni al d.m. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici), promosso con ricorso della Regione Toscana, notificato il 30 gennaio 2002, depositato in cancelleria il 7 febbraio 2002 ed iscritto al n. 5 del registro conflitti 2002.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 ottobre 2003 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni e Maurizio Fiorilli rispettivamente per la Regione Toscana e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato il 30 gennaio 2002 la Regione Toscana ha proposto conflitto di attribuzione, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per i beni e le attività culturali, in riferimento all’art. 3 del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420 (Regolamento recante modificazioni e integrazioni al d.m. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l’individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici), che ha riformulato integralmente il testo dell’art. 7 del precedente decreto ministeriale 3 agosto 2000, n. 294, emesso dalla medesima Autorità.

Premette la Regione ricorrente che l’art. 8, comma 11-sexies, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), ha stabilito che per le attività di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate dei beni architettonici il Ministro per i beni e le attività culturali debba provvedere a stabilire i requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori. Sulla base di detta previsione è stato emanato il testo originario del decreto ministeriale n. 294 del 2000 che all’art. 7 prevedeva che il diploma di restauratore potesse essere ottenuto, fra l’altro, dopo aver frequentato un apposito corso di durata almeno biennale presso una scuola statale o regionale, cui andava aggiunto un periodo di pratica svolto con determinate modalità. La Regione Toscana, infatti, con propria legge 31 agosto 1994, n. 70, ha provveduto ad organizzare propri corsi di formazione per restauratori di durata triennale. Ora la norma oggetto del conflitto, pur facendo salva, al comma 2, la possibilità, in via transitoria, di riconoscere il titolo di restauratore a chi abbia già conseguito il diploma presso una scuola di formazione regionale all’uopo istituita, prevede che, in avvenire, detto titolo possa essere riconosciuto soltanto a chi abbia frequentato e concluso un corso (almeno quadriennale) presso una scuola statale, con ciò implicitamente stabilendo la fine delle scuole regionali. E ciò appare alla ricorrente in contrasto con gli artt. 3, 97 e 117 della Costituzione.

In base al nuovo testo dell’art. 117 Cost. introdotto dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, infatti, la materia della formazione professionale, essendo specificamente esclusa da quella dell’istruzione per la quale è fissata una competenza concorrente, rientra nella previsione del quarto comma, ossia nella c.d. competenza residuale che è interamente regionale, con i soli limiti di cui al primo comma del medesimo art. 117. Ne deriva che consentire il conseguimento del titolo di restauratore soltanto a chi abbia frequentato le scuole statali – potendo invece le scuole regionali rilasciare il semplice titolo di “collaboratore restauratore” di cui all’art. 8 del medesimo d.m. n. 294 del 2000 – si traduce in un’evidente lesione dell’art. 117 Cost. e delle prerogative costituzionali delle Regioni. D’altra parte, se anche si volesse ricomprendere la norma in questione nella materia “professioni”, essa ricadrebbe nell’ambito della potestà normativa concorrente, sicché lo Stato potrebbe solo limitarsi a dettare i principi fondamentali, senza in tal modo vanificare i corsi di formazione già organizzati dalla Regione.

Ulteriore violazione del medesimo art. 117 Cost. è poi ravvisata dalla Regione Toscana in relazione allo strumento normativo utilizzato, ossia un regolamento adottato ai sensi dell’art. 17, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400; l’art. 117, sesto comma, Cost., infatti, stabilisce che allo Stato sia riconosciuta la potestà regolamentare nei soli ambiti di legislazione esclusiva. E questa Corte ha più volte  affermato, già nella vigenza del pregresso testo costituzionale, che allo Stato è inibito intervenire con regolamento nelle materie di competenza regionale (v. sentenza n. 204 del 1991).

Ritiene infine la Regione ricorrente che la norma oggetto di conflitto, ponendo nel nulla, anche in via transitoria, i corsi regionali di formazione attualmente in atto, sia in contrasto anche con gli artt. 3 e 97 Cost., risolvendosi in un’ulteriore lesione delle attribuzioni regionali. In particolare, la norma transitoria verrebbe a penalizzare, senz’alcun fondamento di razionalità, gli studenti delle scuole regionali toscane che, dopo aver superato il biennio, si apprestano a concludere il corso frequentando il terzo anno, studenti ai quali è precluso di conseguire il titolo di restauratore.

2.— Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Osserva preliminarmente la difesa dello Stato che nel momento in cui il Ministro competente ha firmato il decreto n. 420 del 2001, ossia alla data del 24 ottobre 2001, la modifica dell’art. 117 Cost. non era ancora entrata in vigore, sicché l’atto non può considerarsi lesivo di alcuna prerogativa regionale, essendo stato emanato in base al citato art. 8, comma 11-sexies, della legge n. 109 del 1994.

Entrando poi nel merito, l’Avvocatura sostiene che la norma oggetto del conflitto non lede in alcun modo la potestà normativa regionale, poiché non va inquadrata nella materia della formazione professionale, bensì in quella della tutela dei beni culturali, affidata alla potestà normativa esclusiva dello Stato. Ogni intervento conservativo su opere d’arte richiede, infatti, massima attenzione ed elevata professionalità, potendosi altrimenti produrre danni irreversibili in un campo nel quale assume fondamentale importanza l’elemento personale.

La tutela dei beni culturali rende opportuna, pertanto, l’individuazione di alcuni standard minimi di competenza che lo Stato fissa con validità per tutto il territorio nazionale; a tal fine gli artt. 7 e 8 del d.m. n. 294 del 2000, nel testo modificato dal d.m. n. 420 del 2001, delineano le figure professionali del “restauratore” e del “collaboratore restauratore”. In considerazione, infatti, della grande importanza che il restauro dei beni culturali riveste nel nostro Paese, si rende indispensabile fissare dei criteri unici che garantiscano l’omogeneità nella didattica e nelle metodologie di intervento, allo scopo di assicurare una adeguata professionalità agli operatori del settore ai quali vengono rilasciati titoli di studio che, come si è detto, devono necessariamente valere su tutto il territorio nazionale.

Considerato in diritto

1.— Il conflitto di attribuzione, proposto dalla Regione Toscana in relazione all’art. 3 del decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 24 ottobre 2001, n. 420 (Regolamento recante modificazioni e integrazioni al d.m. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l’individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici), che ha sostituito l’art. 7 del precedente decreto 3 agosto 2000, n. 294, è diretto ad ottenere la dichiarazione che non spetta allo Stato, nel fissare i requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione di beni culturali mobili e di superfici decorate di beni architettonici, determinare quelli per la qualifica di restauratore, con il conseguente annullamento del citato art. 3.

La Regione ricorrente sostiene, in via principale, che con la norma regolamentare impugnata lo Stato ha invaso la sua sfera di competenza legislativa c.d. residuale, e quindi esclusiva, in materia di formazione professionale; in subordine si duole che lo Stato, in una materia di legislazione concorrente, quale è quella sulle professioni, abbia emanato norme regolamentari, con ciò violando l’art. 117, terzo, quarto e sesto comma, della Costituzione.

Infine, la Regione Toscana afferma che la norma regolamentare censurata è illegittima anche per irragionevolezza, in quanto non tiene conto della posizione di coloro che, al momento della sua entrata in vigore, avevano già frequentato per due annualità i corsi di scuole regionali ed erano al terzo anno di frequenza. La norma censurata secondo la ricorrente contrasta quindi con gli artt. 3 e 97 della Costituzione.

2.— Si rileva, in via preliminare, che l’ultima prospettazione della ricorrente non può avere ingresso in questa sede.

Il giudizio per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione nei confronti dello Stato è finalizzato, per sua natura, ad accertare l’esistenza di una lesione, da parte del secondo, della sfera di competenza della prima. Come questa Corte ha in più occasioni rilevato, affinché vi sia effettivamente materia per simile conflitto occorre che sia prospettata la lesione di una competenza «costituzionalmente garantita delle Regioni nella materia su cui verte la controversia» (sentenza n. 27 del 1996). Nel caso specifico, la presunta lesione di tali competenze troverebbe fondamento nell’aver lo Stato dettato norme in un ambito che non è di sua spettanza alla luce del vigente art. 117 Cost., sicché le ulteriori censure avanzate per sospetta lesione degli artt. 3 e 97 Cost. esulano dal tema proprio dell’oggetto del conflitto di attribuzione. Diversamente argomentando potrebbe accadere che, tramite lo strumento del conflitto, la Corte venga chiamata impropriamente ad un sindacato generale di legittimità costituzionale – del tutto estraneo al sistema – su atti non aventi forza di legge.

3.— Una volta delineati i limiti del presente giudizio, occorre ancora osservare che, essendo la potestà regolamentare dello Stato circoscritta alle materie di propria competenza legislativa esclusiva, il conflitto può essere risolto accertando se l’atto censurato rientri o meno in una delle materie elencate nel secondo comma dell’art. 117 Cost. e, più in particolare, se sia fondata la tesi difensiva dell’Avvocatura dello Stato secondo la quale la norma impugnata attiene alla disciplina della tutela dei beni culturali (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.). Non sarebbe invece esaustiva la conclusione che il regolamento impugnato non rientra nelle materie indicate dalla Regione ricorrente.

4.— Si deve rilevare, ancora in via preliminare, che non può essere accolta la tesi dell’Avvocatura dello Stato secondo la quale, poiché la norma regolamentare in esame è stata deliberata prima dell’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, di modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione, è al testo originario di questo che dovrebbe farsi riferimento. Ciò che assume rilievo, infatti, è la data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, nel caso in esame successiva a quella di entrata in vigore della citata legge costituzionale.

5.— Il regolamento in esame radica la sua legittimazione nella legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), il cui art. 8 – mentre al comma 2 prevede che, con regolamento da emanare ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sia istituito un sistema di qualificazione, unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di cui all’art. 2, comma 1, d’importo superiore ai centocinquantamila euro – al comma 11-sexies stabilisce che «per le attività di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, il Ministro per i beni culturali e ambientali, sentito il Ministro dei lavori pubblici, provvede a stabilire i requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori».

Poiché, come questa Corte ha già rilevato (v. sentenza n. 303 del 2003), i lavori pubblici non costituiscono una materia, la derivazione del decreto dalla suindicata legge non fornisce alcun elemento utile al fine di individuare la collocazione della norma impugnata nel sistema di riparto delle competenze legislative; la specialità del regolamento, sotto diversi profili, rispetto alle altre potestà regolamentari previste dalla stessa legge ed esercitate con il d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 (Regolamento di attuazione della legge 11 febbraio 1994 n. 109), e con il d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34 (Regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici), induce, quindi, a ricercare in altre fonti normative i criteri per la decisione del conflitto. La provenienza della disposizione regolamentare impugnata dalla legge n. 109 del 1994, intanto, consente di affermare che l’ambito della sua applicazione è circoscritto ai lavori eseguiti per conto di amministrazioni statali e di enti pubblici nazionali (v. sentenze n. 302 del 2003, n. 61 del 1997, n. 250 del 1996 e n. 482 del 1995).

6.— Il quadro complessivo della disciplina dei beni culturali va ricostruito sulla base di molteplici dati normativi, eterogenei per il loro contesto specifico e per il rango della fonte.

In particolare, benché il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, sia stato emanato in un momento antecedente la riforma di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, questa Corte ha già riconosciuto (v. sentenza n. 94 del 2003) che utili elementi per la distinzione tra tutela e valorizzazione dei beni culturali possono essere desunti dagli artt. 148, 149, 150 e 152 di tale decreto.

L’art. 148 stabilisce che ai fini del decreto stesso s’intende per tutela «ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali e ambientali»; per gestione «ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e valorizzazione»; per valorizzazione «ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad incrementarne la fruizione».

L’art. 149, comma 1, prescrive che «ai sensi dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 15 marzo 1997, n. 59, sono riservate allo Stato le funzioni e i compiti di tutela dei beni culturali la cui disciplina generale è contenuta nella legge 1° giugno 1939, n. 1089, e nel decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409, e loro successive modifiche e integrazioni».

L’art. 150 disciplina il trasferimento della gestione di alcuni beni, secondo il principio di sussidiarietà, alle regioni, alle province o ai comuni.

L’art. 152 prevede al comma 1 che lo Stato, le regioni e gli enti locali curino, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione dei beni culturali e che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera c), della legge n. 59 del 1997, la valorizzazione venga di norma attuata mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali tra Stato, regioni ed enti locali, secondo quanto previsto dagli articoli 154 e 155 dello stesso decreto legislativo.

Il comma 3 dell’art. 152 stabilisce che le funzioni e i compiti di valorizzazione comprendono, in particolare, le attività concernenti: «a) il miglioramento della conservazione fisica dei beni e della loro sicurezza, integrità e valore; b) il miglioramento dell’accesso ai beni e la diffusione della loro conoscenza anche mediante riproduzioni, pubblicazioni ed ogni altro mezzo di comunicazione; c) la fruizione agevolata dei beni da parte delle categorie meno favorite; d) l’organizzazione di studi, ricerche ed iniziative scientifiche anche in collaborazione con università ed istituzioni culturali e di ricerca; e) l’organizzazione di attività didattiche e divulgative anche in collaborazione con istituti di istruzione; f) l’organizzazione di mostre anche in collaborazione con altri soggetti pubblici e privati; g) l’organizzazione di eventi culturali connessi a particolari aspetti dei beni o ad operazioni di recupero, restauro o ad acquisizione; h) l’organizzazione di itinerari culturali, individuati mediante la connessione fra beni culturali e ambientali diversi, anche in collaborazione con gli enti e organi competenti per il turismo».

A sua volta il decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368 (Istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali), all’art. 10, comma 1, lettera b-bis) – disposizione aggiunta con 1’art. 33 della legge 28 dicembre 2001, n. 448, successivamente quindi all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, e poi modificata dal comma 52 dell’art. 80 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e dall’art. 6 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 – nel prevedere la possibilità di dare in concessione a soggetti diversi da quelli statali la gestione di servizi relativi ai beni culturali di interesse nazionale, tramite l’emanazione di un regolamento che disciplini tali concessioni, indica tra i criteri e le garanzie cui il regolamento dovrà uniformarsi la salvezza della riserva statale sulla tutela dei beni.

7.— I dati normativi riferiti permettono di affermare quanto segue.

La tutela e la valorizzazione dei beni culturali, nelle normative anteriori all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, sono state considerate attività strettamente connesse ed a volte, ad una lettura non approfondita, sovrapponibili. Così l’art. 148 del d. lgs. n. 112 del 1998 annovera, come s’è visto, tra le attività costituenti tutela quella diretta «a conservare i beni culturali e ambientali», mentre include tra quelle in cui si sostanzia la valorizzazione quella diretta a «migliorare le condizioni di conservazione dei beni culturali e ambientali».

La gestione, poi, nella definizione che ne dà il medesimo articolo, è funzionale sia alla tutela sia alla valorizzazione.

Il menzionato art. 152 dello stesso decreto legislativo considera la valorizzazione come compito che Stato, regioni ed enti locali avrebbero dovuto curare ciascuno nel proprio ambito. Tuttavia le espressioni che, isolatamente considerate, non denotano nette differenze tra tutela e valorizzazione, riportate nei loro contesti normativi dimostrano che la prima è diretta principalmente ad impedire che il bene possa degradarsi nella sua struttura fisica e quindi nel suo contenuto culturale; ed è significativo che la prima attività in cui si sostanzia la tutela è quella del riconoscere il bene culturale come tale.

La valorizzazione è diretta soprattutto alla fruizione del bene culturale, sicché anche il miglioramento dello stato di conservazione attiene a quest’ultima nei luoghi in cui avviene la fruizione ed ai modi di questa.

Occorre infine rilevare che in nessun atto normativo precedente la modifica del Titolo V della Parte II della Costituzione la tutela dei beni culturali viene attribuita a soggetti diversi dallo Stato; successivamente a questa, anzi, il citato comma 1, lettera b-bis), dell’art. 10 del d.lgs. n. 368 del 1998, nel prevedere le concessioni per la gestione dei servizi relativi ai beni culturali di interesse nazionale, stabilisce, come s’è detto, che deve restare ferma la riserva statale sulla tutela dei beni. Alla luce delle suesposte considerazioni la riserva di competenza statale sulla tutela dei beni culturali è legata anche alla peculiarità del patrimonio storico-artistico italiano, formato in grandissima parte da opere nate nel corso di oltre venticinque secoli nel territorio italiano e che delle vicende storiche del nostro Paese sono espressione e testimonianza. Essi vanno considerati nel loro complesso come un tutt’uno, anche a prescindere dal valore del singolo bene isolatamente considerato.

Nel modificare il quadro costituzionale delle competenze di Stato e Regioni per la parte che qui interessa, il legislatore costituente ha tenuto conto sia delle caratteristiche del patrimonio storico-artistico italiano, sia della normativa esistente, attribuendo allo Stato la potestà legislativa esclusiva e la conseguente potestà regolamentare in materia di tutela dei beni culturali e ambientali (art. 117, secondo comma, lett. s, Cost.) ed alla legislazione concorrente di Stato e Regioni la valorizzazione dei beni culturali e ambientali (art. 117, terzo comma, Cost.). Inoltre, al terzo comma dell’art. 118 ha prescritto che la legge statale disciplini forme di intesa e coordinamento tra Stato e Regioni nella materia della tutela dei beni culturali. Norma quest’ultima di cui può auspicarsi un’applicazione che, attribuendo allo Stato la salvaguardia delle esigenze primarie della tutela che costituisce il fondamento di tutta la normativa sui beni culturali, non trascuri le peculiarità locali delle Regioni.

8.— Una volta chiarito il quadro costituzionale per la parte che può riguardare la controversia in esame, occorre porre attenzione al contenuto specifico della norma regolamentare impugnata.

Essa concerne l’attribuzione della qualifica di restauratore di beni culturali mobili e di superfici decorate di beni architettonici ai fini della qualificazione occorrente per poter eseguire i lavori di manutenzione e restauro e, inserita nel regolamento emanato in esecuzione dell’art. 8, comma 11-sexies, della legge n. 109 del 1994, è soggetta ai limiti di applicabilità propri dei regolamenti esecutivi di tale legge (v. anche la citata sentenza n. 482 del 1995).

L’impugnato art. 3, non riguardando la qualifica generale di “restauratore” e non disciplinando corsi di istruzione, requisiti di ammissione, reclutamento e status dei docenti, non può rientrare nella materia della formazione professionale. Ciò a prescindere da ogni valutazione sulla correttezza della tesi, sostenuta dalla Regione Toscana, secondo cui la formazione professionale comprende anche quella dei restauratori.

Quanto alla pretesa violazione del riparto di competenze nella materia delle professioni va rilevato che la relativa censura, essendo priva di adeguata specifica motivazione, è da ritenere inammissibile.

9.— La Corte ritiene pertanto, alla luce delle considerazioni esposte, che la norma in questione rientri nella materia della tutela dei beni culturali, perché essa concerne il restauro dei medesimi, ossia una delle attività fondamentali in cui la tutela si esplica.

Infatti, l’art. 34 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352), definisce il restauro come «intervento diretto sulla cosa volto a mantenere l’integrità materiale e ad assicurare la conservazione e protezione dei suoi valori culturali»; l’art. 212 del d.P.R. n. 554 del 1999 descrive il restauro come «una serie organica di operazioni tecniche specifiche indirizzate alla tutela e valorizzazione dei caratteri storico artistici dei beni culturali ed alla conservazione della loro consistenza materiale».

A sua volta questa Corte, con la sentenza n. 277 del 1993, ha affermato che il restauro «implica sempre un intervento diretto sulla cosa, volto (nel rispetto dell’identità culturale della stessa) a mantenerla o modificarla, per assicurare o recuperare il valore ideale che essa esprime, preservandolo e garantendone la trasmissione nel tempo».

Tutte queste definizioni non si connotano per la descrizione e tanto meno per la prescrizione delle operazioni in cui si sostanzia il restauro dei beni culturali, limitandosi ad indicarne le finalità; e, d’altra parte,  non potrebbe essere diversamente, dal momento che le modalità di restauro sono oggetto di continua evoluzione in conseguenza del progredire dello stato delle conoscenze tecniche e storico-artistiche sull’argomento. Per quanto concerne le finalità, tuttavia, le definizioni nella loro sostanza coincidono e pongono l’accento non solo sulla inscindibilità tra la struttura materiale ed il valore ideale che essa esprime, bensì anche sulla necessità di incidere sulla stessa struttura materiale del bene, allo scopo di conservarlo o di recuperarlo (si pensi al distacco di affreschi o alla reintelaiatura di dipinti).

Attraverso le operazioni di restauro può giungersi anche alla valorizzazione dei caratteri storico-artistici del bene, che è cosa diversa, però, dalla valorizzazione del bene al fine della fruizione; quest’ultima, infatti, non incidendo sul bene nella sua struttura, può concernere la diffusione della conoscenza dell’opera e il miglioramento delle condizioni di conservazione negli spazi espositivi.

Poiché la norma impugnata concerne l’acquisizione della qualifica di restauratore ai fini dell’esecuzione dei lavori di manutenzione e restauro dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici ricadenti nella disciplina della legge n. 109 del 1994  e perciò – rientrando nella normativa relativa al restauro di tali beni – fa parte di un ambito riservato alla legislazione esclusiva dello Stato, appare evidente che non sussiste alcuna violazione delle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni; e da ciò consegue l’infondatezza del presente conflitto di attribuzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta allo Stato, e per esso al Ministro per i beni e le attività culturali, emanare l’art. 3 del decreto ministeriale 24 ottobre 2001, n. 420 (Regolamento recante modificazioni e integrazioni al d.m. 3 agosto 2000, n. 294 del Ministro per i beni e le attività culturali concernente l'individuazione dei requisiti di qualificazione dei soggetti esecutori dei lavori di restauro e manutenzione dei beni mobili e delle superfici decorate di beni architettonici).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 dicembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2004.