SENTENZA N. 94
ANNO 2003
Commenti alla decisione di
I. Antonio Ruggeri, Riforma del Titolo V e vizi delle leggi regionali: verso la conferma della vecchia giurisprudenza?, per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali
II. Sergio Foà, La legge regionale sulla tutela dei locali storici è legittima perché non riguarda “beni culturali” ma beni “a rilevanza culturale”. La Corte costituzionale “sorvola” sulla distinzione tra tutela e valorizzazione, per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali
III. Paolo Carpentieri, Le regioni possono introdurre nuove tipologie di beni culturali, ma ai soli fini della valorizzazione (dal sito www.giustizia.amministrativa.it – che si ringrazia)
IV. Anna Maria Poggi, Verso una definizione aperta di «bene culturale»? (a proposito della sentenza n. 24/1993 della Corte Costituzionale) (dal sito www.giustizia.amministrativa.it – che si ringrazia)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge Regione Lazio del 6 dicembre 2001, n. 31 recante "Tutela e valorizzazione dei locali storici", promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 27 febbraio 2002, depositato in cancelleria il 6 marzo successivo ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 2002.
Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;
udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2002 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Roberto Nania e Aldo Rivela per la Regione Lazio.
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso depositato il 6 marzo 2002 ed iscritto al registro ricorsi n. 17 del 2002, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Lazio 6 dicembre 2001 n. 31, intitolata "Tutela e valorizzazione dei locali storici".
Con questa legge la Regione Lazio intende "salvaguardare" taluni esercizi commerciali caratterizzati da "valore storico, artistico, ambientale", o meglio, le unità immobiliari nelle quali si svolgono tali attività imprenditoriali, senza distinguere tra immobili di proprietà privata o pubblica.
A tal fine la legge impugnata prevede la formazione di un elenco regionale dei locali aventi "valore storico, artistico ed ambientale", la cui compilazione è affidata ad uffici comunali e regionali; l’inclusione di un immobile in detto elenco comporta la possibilità di accedere a finanziamenti regionali finalizzati a provvedere alla manutenzione o al restauro dei locali, nonché degli arredi o strumenti in essi contenuti, oppure a fronteggiare eventuali aumenti del canone di locazione.
Il finanziamento concesso per la manutenzione o il restauro (ma non anche il finanziamento finalizzato a fronteggiare gli aumenti del canone) comporta l’imposizione sull’immobile di un "vincolo di destinazione d’uso" da trascriversi – previo assenso del proprietario, se diverso dal beneficiario – nei registri immobiliari.
2. – Ad avviso dell’Avvocatura, la legge della Regione Lazio presenterebbe molteplici profili di incostituzionalità.
2.1. – Violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l); la legge regionale - e segnatamente l’art. 4 e l’art. 6, comma 1, laddove non subordinerebbero l’iniziativa dei gestori al previo assenso dei proprietari - inciderebbe sui diritti dominicali di questi ultimi, invadendo, quindi, l’ambito della legislazione esclusiva dello Stato in materia di "ordinamento civile";
2.2. – Violazione dell’art. 117, secondo comma lettera g) nello stesso caso di cui sopra, ma allorquando si sia in presenza di immobili di proprietà demaniale o in genere di proprietà pubblica;
2.3. – Violazione dell’art. 117, comma 2 lettera s) e art. 118, terzo comma; la legge regionale n. 31 del 2001 – e segnatamente gli artt. 1, 2 e conseguenzialmente l’art. 7 – determinerebbero una lesione dell’ambito della legislazione esclusiva dello Stato in materia di "tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e dei beni culturali", dal momento che la formazione dell’elenco dei locali di valore storico, artistico e ambientale prescinderebbe completamente dai vincoli posti (o che possono essere posti) dagli organi dello Stato deputati alla tutela di tali beni, e neppure ipotizzerebbe forme di cooperazione con detti organi;
2.4. – Violazione dell’art. 117, secondo comma lettera s) e art. 118, commi secondo e terzo, Cost.; perché la legge regionale – e segnatamente l’art. 3 – agevolando finanziariamente interventi "fisici" quali il restauro e la manutenzione – costituirebbe un intervento di "tutela", e non di "valorizzazione", dei beni culturali;
2.5. – Violazione dell’art. 117, terzo comma e art. 118, commi secondo e terzo, Cost.; perché la legge censurata – nel suo complesso – nel caso la si considerasse intervento di "valorizzazione dei beni culturali", dovrebbe comunque osservare i principi preventivamente posti dal d.lgs 29 ottobre 1999,(Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352) e non potrebbe intervenire laddove "tali principi fondamentali non siano ancora espressamente stabiliti";
2.6. – Violazione dell’art. 117, secondo comma lettere g) ed s), comma terzo e 118, commi secondo e terzo, Cost. nonché i principi e le norme "interposte" in tema di contabilità dello Stato; perché la legge regionale – segnatamente l’art. 7 – prevedendo l’imposizione di "vincoli d’uso" su beni pubblici (non esclusi quelli statali) di interesse culturale e/o ambientale, per un verso determinerebbe l’invasione della competenza statale sul punto e per altro, in generale, consentirebbe l’apposizione di un vincolo suscettibile di condizionare la tutela del bene cui si riferisce;
2.7. – Violazione dell’art. 81, 117, comma terzo (coordinamento della finanza pubblica) e art. 118, comma secondo, Cost. (in relazione all’espressione "secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica"), nonché le norme interposte contenute nel d.lgs. 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’art. 1, comma quarto, della legge 25 giugno 1999, n.208); perché la legge regionale – segnatamente l’art. 9 – impegnerebbe, ad esercizio finanziario ultimato, il bilancio regionale per il 2001. In particolare, essa disporrebbe più variazioni al bilancio senza osservare il termine del 30 novembre fissato dall’art. 16, comma 4, del d.lgs. n. 76 del 2000. Inoltre, attribuirebbe risorse finanziarie a finalità non di competenza della Regione.
3. – Si è costituita la Regione Lazio – con memoria depositata il 22 marzo 2002 – sostenendo l’inammissibilità del ricorso, nonché la sua infondatezza nel merito.
Quanto alla asserita inammissibilità, la Regione ha dedotto la violazione dell’art. 127 della Costituzione, dal momento che il ricorso del Governo esulerebbe "dal profilo della violazione di competenza", postulando violazioni di disposizioni costituzionali, o di legislazione ordinaria, che non sarebbero suscettibili di fondare un valido ricorso. Nel merito, la Regione si è limitata ad affermare la propria competenza sulla materia della "valorizzazione dei beni culturali", nella quale rientrerebbe la legge impugnata.
4. – Con successiva memoria depositata in data 20 novembre 2002, la Regione Lazio ha ulteriormente osservato che non coglierebbe nel segno la censura della difesa erariale secondo la quale il vincolo previsto dalla normativa impugnata verrebbe apposto prescindendo dal consenso del proprietario.
Dall’art. 7 della legge oggetto del giudizio, infatti, si desumerebbe (sempre secondo la Regione Lazio) il contrario, cioè che "qualora il destinatario del contributo sia il gestore, non anche il proprietario del bene, non potrà mai ottenerlo se non costituisce il vincolo e se non lo trascrive a seguito, appunto, della apposita manifestazione del proprietario intesa alla accettazione del vincolo stesso". Quanto alla censura concernente la violazione della materia "ordinamento civile", di competenza esclusiva dello Stato, la Regione evidenzia come sia proprio la inconsistenza dell’assunto concernente la non necessarietà del consenso del titolare del diritto dominicale a mostrare come non sia in alcun modo inciso lo stato del diritto di proprietà. Analoghe argomentazioni sono svolte nella memoria in relazione alla pretesa modifica, come effetto del finanziamento ottenuto dal gestore non proprietario, del rapporto di locazione, che viceversa secondo la Regione continuerebbe "ad essere regolato dalle corrispondenti norme civilistiche".
5. – Quanto all’ambito di incidenza dell’intervento regionale nella sfera della "tutela" dei beni culturali, la Regione Lazio osserva come i vincoli ascrivibili a questo campo siano "capaci di introdurre "limiti" al nucleo proprietario (cfr. art. 42, secondo comma, Cost.), sicché il bene stesso acquista un particolare statuto e la imputazione ad una categoria di beni soggetta a speciale regime". Ciò, invece, non succederebbe nel caso in esame, dal momento che l’apposizione del vincolo consegue a scelte degli interessati, non avendo dunque "nulla di doveroso", oltre ad essere di carattere temporaneo.
6. – Ancora, la Regione rileva come – a differenza di quanto si afferma nel ricorso dello Stato – la valorizzazione dei beni culturali non sarebbe una "sub-materia", non conoscendo, da un lato, la Costituzione siffatta categoria, e configurando, d’altra parte, lo stesso testo unico in materia di beni culturali la valorizzazione quale "settore distinto e parallelo" a quello della tutela.
Quanto ai profili finanziari, le censure proposte in relazione all’art. 81 della Costituzione sono ritenute dalla Regione inammissibili, dal momento che dopo la riforma dell’art. 127 Cost. l’impugnativa in via diretta delle leggi regionali potrebbe essere esperita esclusivamente per il vizio di incompetenza. In relazione al merito, si afferma l’erroneità del presupposto su cui si basa la doglianza statale, ossia che si sarebbe provveduto ai fini della copertura di spesa oltre il termine del 30 novembre; ciò perché l’Avvocatura ha preso in considerazione, "come termine, quello della promulgazione della legge (che è in effetti avvenuta dopo il 30 novembre) e non, come si doveva, quello della deliberazione da parte del Consiglio regionale, verificatasi invece in data 21 novembre 2001".
7. – Nel corso dell’udienza pubblica l’Avvocatura dello Stato (peraltro senza addurre specifiche motivazioni) ha dichiarato di rinunziare al motivo di ricorso costituito dalla violazione dell’art. 81 della Costituzione.
Considerato in diritto
1. – Il giudizio in via principale promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe nei confronti della Regione Lazio ha ad oggetto la legge 6 dicembre 2001 n. 31 (Tutela e valorizzazione dei locali storici) e più specificamente gli articoli 1, 2, 3, 4, 6 primo comma, 7 e 9 di questa legge, in riferimento all’art. 117 Cost., comma 2 con riguardo alle lettere g, l, s e comma 3 e all’art. 118 Cost., commi secondo e terzo, all’art. 81 Cost. ed al decreto legislativo n. 28 marzo 2000, n. 76 (Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni, in attuazione dell’art. 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n.208).
Ad avviso del ricorrente, la legge impugnata eccederebbe sotto molteplici profili la competenza regionale di tipo concorrente in materia di valorizzazione dei beni culturali e conterrebbe disposizioni finanziarie contrastanti sia con la normativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, sia in riferimento all’art. 81 della Costituzione.
2. – In linea preliminare va respinta l’eccezione di parziale inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa della Regione Lazio sulla base dell’assunto che l’attuale art. 127 Cost. limiterebbe l’impugnabilità delle leggi regionali alla sola violazione delle regole relative alla loro competenza, e non consentirebbe di dedurre la violazione di altre disposizioni costituzionali o dei parametri legislativi interposti.
Anche prescindendosi dal fatto che il primo comma del nuovo art. 127 della Costituzione ammette il ricorso del Governo in termini identici a quelli utilizzati nel terzo comma del previgente art. 127 Cost., deve notarsi che i rilievi di costituzionalità sollevati sono tutti relativi o riconducibili all’art. 117 della Costituzione.
3. - Parimenti deve essere dichiarata inammissibile, in base alla giurisprudenza di questa Corte (si veda la sentenza n. 85 del 1990), la censura proposta dal ricorrente nei confronti dell’intera legge regionale del Lazio n. 31 del 2001, dal momento che le censure adeguatamente motivate concernono esclusivamente singole disposizioni della legge impugnata, mentre la censura riferita all’intero testo normativo appare affatto generica.
4. – Nel merito la questione non è fondata.
4.1. – E’ necessario innanzitutto valutare se le disposizioni della legge regionale del Lazio n. 31 del 2001, eccedano la competenza regionale da due punti di vista diversi: in primo luogo, quello concernente l’ipotizzata invasione della riserva esclusiva dello Stato, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), in tema di "tutela dei beni culturali"; in secondo luogo, quello riguardante la presunta violazione dei principi fondamentali determinati dal legislatore nazionale in tema di "valorizzazione dei beni culturali".
La distinzione fra tutela e valorizzazione dei beni culturali può essere desunta dalla legislazione vigente ed in particolare dagli articoli 148, 149 e 152 del decreto legislativo 11 marzo 1998 n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59) e dal decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997, n. 352): in particolare, il terzo comma dell’art. 149 del d.lgs. n. 112 del 1998 riserva alla esclusiva competenza statale anzitutto la "apposizione di vincolo, diretto e indiretto, di interesse storico o artistico e vigilanza sui beni vincolati" e tutto quanto riguarda "autorizzazioni, prescrizioni, divieti, approvazioni e altri provvedimenti, anche di natura interinale, diretti a garantire la conservazione, l’integrità e la sicurezza dei beni di interesse storico o artistico" ed "esercizio del diritto di prelazione"; il primo comma dell’art. 152 del medesimo testo normativo afferma, invece, che "lo Stato, le regioni e gli enti locali curano, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione dei beni culturali".
Queste funzioni peraltro ineriscono ai beni culturali quali attualmente definiti e disciplinati dal d. lgs. n. 490 del 1999, ma non riguardano altri beni cui, a fini di valorizzazione, possa essere riconosciuto particolare valore storico o culturale da parte della comunità regionale o locale, senza che ciò comporti la loro qualificazione come beni culturali ai sensi del d. lgs. n. 490 del 1999 e la conseguente speciale conformazione del loro regime giuridico.
La legge regionale del Lazio n.31 del 2001 non pretende quindi di determinare una nuova categoria di beni culturali ai sensi del d.lgs. n. 490 del 1999, ma prevede semplicemente una disciplina per la salvaguardia degli "esercizi commerciali ed artigianali del Lazio aperti al pubblico che hanno valore storico, artistico, ambientale e la cui attività costituisce testimonianza storica, culturale, tradizionale, anche con riferimento agli antichi mestieri". Questi esercizi commerciali vengono individuati da parte dei Comuni territorialmente competenti sulla base dei criteri stabiliti dalla Regione Lazio d’intesa con le Sovrintendenze statali territorialmente competenti (secondo quanto previsto dall’art. 2, commi secondo e terzo, della legge regionale del Lazio n.31 del 2001) e vengono inseriti in un elenco regionale, che viene anche pubblicato sul Bollettino ufficiale della Regione, così assumendo la denominazione di "locali storici". Quest’ultima qualificazione rende semplicemente ad essi applicabile la speciale disciplina della legge regionale in tema di finanziamenti per la loro valorizzazione e per il sostegno delle spese connesse all’aumento dei canoni di locazione, senza produrre alcuno dei vincoli tipici della speciale tutela dei beni culturali di cui al d.lgs. n. 490 del 1999.
Lo stesso art. 7 della legge 6 dicembre 2001, n.31, intitolato "Vincoli di destinazione d’uso", ne prevede alcuni per i titolari dei "locali storici" in relazione ai quali siano stati concessi contributi in conto capitale, con la esplicita possibilità che i vincoli stessi possano essere rimossi "previa restituzione di una somma pari all’entità del contributo maggiorata degli interessi legali".
Quanto all’altro rilievo di costituzionalità, relativo alla mancanza di una normativa statale di determinazione dei principi fondamentali della materia ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., questa Corte ha già chiarito nella sentenza n. 282 del 2002 che le Regioni, per poter esercitare le proprie potestà legislative di tipo concorrente, non devono attendere l’eventuale determinazione dei principi fondamentali da parte dello Stato.
4.2. – Un altro gruppo di rilievi di costituzionalità muove dalla pretesa lesione della esclusiva competenza statale in tema di "ordinamento civile" e di "ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato". La legge regionale, ad avviso della difesa erariale, modificherebbe la disciplina in tema di proprietà privata o pubblica degli immobili entro cui operano i "locali storici": ciò perché i soggetti proprietari dei locali stessi potrebbero essere esclusi dall’iniziativa di chiedere i finanziamenti relativi ad interventi di modificazione dei loro beni, con la possibile conseguenza di vedersi imporre vincoli di destinazione d’uso su questi ultimi senza essere stati chiamati in causa.
Questi rilievi appaiono infondati sulla base di quanto espressamente previsto dall’art. 7, commi 2 e 3, della legge 6 dicembre 2001, n.31.
Tale norma, infatti, subordina esplicitamente l’erogazione dei finanziamenti in conto capitale ad "apposito atto d’obbligo unilaterale prodotto dai soggetti beneficiari dei finanziamenti, da trascrivere, nel rispetto della normativa vigente, presso la competente conservatoria dei registri immobiliari, a loro cura e spese, previo assenso dei proprietari dei locali storici, se diversi dai beneficiari stessi".
La trascrizione di atti del genere, costitutivi dei suddetti vincoli, appare pacificamente ammessa dalla normazione nazionale sulla trascrizione nei registri immobiliari, per effetto di leggi speciali statali o regionali, nell’ambito delle materie di competenza delle regioni, che prevedano la costituzione di vincoli di destinazione (si può vedere anche la circolare del 2 maggio 1995, n.128, del Ministero delle finanze, Dipartimento del territorio, Direzione centrale catasto, la quale espressamente comprende la categoria degli atti in questione tra quelli soggetti a trascrizione). D’altra parte previsioni del genere appaiono ormai ricorrenti nella legislazione regionale.
In conclusione, dunque, poiché l’imposizione dei vincoli di destinazione d’uso sugli immobili, cui è subordinata la concessione dei finanziamenti regionali, è comunque rimessa alla volontà dei proprietari degli immobili stessi, la censura in esame deve ritenersi infondata.
4.3. – Un ulteriore rilievo di costituzionalità muove dalla presunta violazione della normativa costituzionale sul coordinamento della finanza pubblica e della norma interposta, costituita dal decreto legislativo 28 marzo 2000, n.76.
Anche volendosi in questa sede prescindere dalla considerazione dell’intervenuto mutamento della disciplina costituzionale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici, che potrebbe far dubitare della perdurante sussistenza di rigidi limiti sul periodo massimo delle possibili variazioni del bilancio regionale, quale quello contenuto nell’art. 16 del d.lgs. n.76 del 2000, occorre considerare che l’art. 9 della legge regionale del Lazio n.31 del 2001 non modifica il bilancio regionale, ma dà copertura finanziaria alla legge stessa mediante riduzione dei "capitoli concernenti fondi globali per il finanziamento di provvedimenti legislativi", di cui all’elenco 4 del bilancio della Regione Lazio per il 2001 (legge regionale 10 maggio 2001, n.11, recante "Bilancio di previsione della Regione Lazio per l’esercizio finanziario 2001").
E ciò in ossequio a quanto in generale previsto dall’art. 14, commi primo e quinto, del d. lgs. n.76 del 2000, che prevede la possibilità di iscrivere nel bilancio regionale "fondi speciali destinati a far fronte agli oneri derivanti da provvedimenti legislativi regionali che si perfezionino dopo l’approvazione del bilancio" e consente che, per la copertura finanziaria di spese derivanti da provvedimenti legislativi non approvati entro il termine dell’esercizio relativo, possa farsi riferimento alle quote non utilizzate di fondi speciali, "purché tali provvedimenti siano stati approvati prima del rendiconto di tale esercizio e comunque entro il termine dell’esercizio immediatamente successivo". Inoltre, nell’ordinamento della Regione Lazio, gli artt. 16, primo comma, e 25, quinto comma, della legge regionale del Lazio 20 novembre 2001, n. 25 (Norme in materia di programmazione, bilancio e contabilità della Regione) consentono che la copertura di spese derivanti da provvedimenti legislativi regionali non entrati in vigore entro il termine dell’esercizio finanziario, avvenga mediante le quote non utilizzate di fondi speciali.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale proposta nei confronti dell’intera legge della Regione Lazio, 6 dicembre 2001 n. 31 (Tutela e valorizzazione dei locali storici)con il ricorso in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale riguardante gli articoli 1, 2, 3, 4, 6, primo comma, 7 e 9 della legge della Regione Lazio 6 dicembre 2001 n. 31 sollevata, in riferimento agli articoli 81, 117, secondo comma, lettere g) l) e s), e comma 3, 118 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 marzo 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2003.