SENTENZA N. 108
ANNO 1974
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Giuseppe VERZÌ
Avv. Giovanni Battista BENEDETTI
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Dott. Giulio GIONFRIDA
Prof. Edoardo VOLTERRA
Prof. Guido ASTUTI
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 415 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 6 dicembre 1971 dal tribunale di Lucca nel procedimento penale a carico di Torre Vanna, iscritta al n. 87 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 104 del 19 aprile 1972.
Udito nella camera di consiglio del 19 febbraio 1974 il Giudice relatore Edoardo Volterra.
Ritenuto in fatto
Nel corso del procedimento penale a carico di Torre Vanna, imputata del delitto di cui all'art. 415 del codice penale, il tribunale di Lucca, con ordinanza emessa il 6 dicembre 1971, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma in questione, ove prevede e punisce il fatto dell'istigazione all'odio fra le classi sociali, in riferimento all'art. 21 della Costituzione.
Dopo aver premesso che l'art. 415, nella parte denunziata, fa riferimento ad ogni forma di manifestazione del pensiero che propugna i principi propri delle dottrine che affermano la necessità del contrasto e della lotta fra portatori di interessi contrapposti, il tribunale ha ritenuto tali forme di manifestazione di pensiero costituzionalmente legittime perché costituiscono l'esercizio del diritto previsto dall'art. 21 Cost., né importano necessariamente l'istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico.
L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Nessuno si é costituito dinanzi alla Corte costituzionale.
Considerato in diritto
1. - L'ordinanza del tribunale di Lucca solleva questione di costituzionalità dell'art. 415 del codice penale, in quanto, secondo il giudice a quo, la norma impugnata "prevede e punisce il fatto dell'istigazione all'odio fra le classi sociali, per tale intendendosi ogni forma di manifestazione del pensiero che propugna i principi propri delle dottrine che affermano la necessità del contrasto e della lotta fra portatori di interessi contrapposti", ed in quanto "tali forme di manifestazione del pensiero devono ritenersi costituzionalmente legittime perché costituiscono l'esercizio del diritto previsto dall'art. 21 della Costituzione, né importano necessariamente l'istigazione a disobbedire alle leggi di ordine pubblico".
2. - Con la sentenza n. 142 del 1973 la Corte ha respinto l'eccezione di illegittimità dell'art. 415 del codice penale prospettata sotto il profilo di un'incongruenza della misura della pena ivi prevista rispetto a quelle di cui agli artt. 266, 270, 272 e 305 del codice penale. In tale pronunzia, la Corte ha considerato la disposizione nel suo complesso, mentre nel presente giudizio l'esame di costituzionalità é circoscritto alla parte concernente chiunque istiga "all'odio fra le classi sociali", disposizione che il legislatore ha nettamente separato con la disgiunzione ovvero dalla precedente e che pertanto non può comprendere casi di "istigazione alla disobbedienza a leggi di ordine pubblico".
Devesi parimenti escludere che nella dizione istigazione "all'odio fra le classi sociali" possano comprendersi i casi di propaganda e apologia sovversiva e antinazionale contemplati nel primo comma dell'art. 272 del codice penale aventi quale oggetto l'instaurazione violenta della dittatura di una classe sociale sulle altre; la soppressione violenta di una classe sociale; il sovvertimento violento degli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato; la propaganda per la distruzione di ogni ordinamento politico e giuridico della società, comma questo che la Corte con la sentenza n. 87 del 1966 ha ritenuto costituzionalmente legittimo. Né nella medesima dizione può comprendersi l'istigazione a commettere reati, fattispecie questa prevista e repressa dall'art. 414 del codice penale, in relazione al quale la relativa questione di legittimità é stata dichiarata infondata con sentenza n. 65 del 1970.
3. - É indubbio che la norma nella sua formulazione attuale, in quanto non indica come oggetto dell'istigazione un fatto criminoso specifico o un'attività diretta contro l'ordine pubblico o verso la disobbedienza alle leggi, ma l'ingenerare un sentimento senza nel contempo richiedere che le modalità con le quali ciò si attui siano tali da costituire pericolo all'ordine pubblico e alla pubblica tranquillità, non esclude che essa possa colpire la semplice manifestazione ed incitamento alla persuasione della verità di una dottrina ed ideologia politica o filosofica della necessità di un contrasto e di una lotta fra portatori di opposti interessi economici e sociali.
Ciò si desume anche dal confronto dell'articolo in esame con la dizione usata dall'art. 247 del cessato codice penale del 1888 ("Chiunque, pubblicamente, fa apologia di un fatto che la legge prevede come delitto e incita alla disobbedienza alla legge, ovvero incita all'odio fra le varie classi sociali in modo pericoloso per la pubblica tranquillità").
La soppressione dell'inciso "in modo pericoloso per la pubblica tranquillità" e comunque la non riproduzione di esso nell'articolo impugnato del vigente codice del 1930 ha certamente esteso, rispetto al codice penale del 1888, la portata della norma, in guisa da non escludere che essa possa colpire anche la semplice attività diretta a manifestare e ad inculcare in altri una ideologia politica o filosofica basata sulla lotta e il contrasto fra le classi sociali.
Va rilevato che con l'entrata in vigore della Costituzione é stato immediatamente avvertito il contrasto dell'art. 415 con i nuovi principi costituzionali, tanto che un'autorevole dottrina ebbe a sostenere che dovrebbe intendersi tacitamente abrogata la seconda fattispecie dell'art. 415 del codice penale.
4. - L'esame della legittimità costituzionale della normativa rispetto alla seconda fattispecie contemplata nell'art. 415 del codice penale va condotta in base ai criteri indicati dalla Corte nella sua sentenza n. 87 del 1966.
Le teorie della necessità del contrasto e della lotta tra le classi sociali sono dottrine che sorgendo e sviluppandosi nell'intimo della coscienza e delle concezioni e convinzioni politiche, sociali e filosofiche dell'individuo appartengono al mondo del pensiero e dell'ideologia. L'attività di esternazione e di diffusione di queste dottrine, che non susciti di per sé violente reazioni contro l'ordine pubblico o non sia attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità, non ha finalità contrastanti con interessi primari costituzionalmente garantiti e pertanto qualsiasi repressione o limitazione di essa viola la libertà consacrata nell'art. 21 della Costituzione.
Di conseguenza, la norma impugnata, nella sua indeterminatezza, appare in contrasto con l'art. 21 della Costituzione in quanto non precisa le modalità con cui deve attuarsi l'istigazione ivi prevista perché questa possa considerarsi diversa dalla manifestazione e diffusione della persuasione di ideologie e di dottrine politiche, sociali, filosofiche od economiche, e quindi, penalmente perseguibile senza violare il precetto costituzionale dell'art. 21.
5. - Devesi pertanto dichiarare in riferimento all'art. 21 della Costituzione l'illegittimità costituzionale dell'art. 415 del codice penale nella parte in cui punisce chiunque pubblicamente istiga all'odio fra le classi sociali, in quanto il medesimo articolo non specifica che tale istigazione deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale della disposizione contenuta nell'art. 415 del codice penale, riguardante l'istigazione all'odio fra le classi sociali, nella parte in cui non specifica che tale istigazione deve essere attuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità.
Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 1974.
Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.
Arduino SALUSTRI - Cancelliere
Depositata in cancelleria il 23 aprile 1974.