SENTENZA N. 199
ANNO 1972
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente
Prof. Costantino MORTATI
Dott. Giuseppe VERZÌ
Dott. Giovanni Battista BENEDETTI
Prof. Francesco Paolo BONIFACIO
Dott. Luigi OGGIONI
Dott. Angelo DE MARCO
Avv. Ercole ROCCHETTI
Prof. Enzo CAPALOZZA
Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI
Prof. Vezio CRISAFULLI
Dott. Nicola REALE
Prof. Paolo ROSSI
Avv. Leonetto AMADEI
Prof. Giulio GIONFRIDA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 656 del codice penale; dell'art. 112 del r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza); degli art. 1, primo e terzo comma, e 8 della legge 2 febbraio 1939, n. 374 (norme per la consegna obbligatoria d’esemplari degli stampati e delle pubblicazioni), promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 18 febbraio 1970 dal pretore di Recanati nel procedimento penale a carico d’Adamo Attilio, iscritta al n. 101 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 dell'8 aprile 1970;
2) ordinanza emessa il 9 marzo 1970 dal pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Cioni Graziano, iscritta al n. 138 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 143 del 10 giugno 1970;
3) ordinanza emessa il 16 settembre 1970 dal tribunale di Venezia nel procedimento penale a carico di Moisio Francesco, iscritta al n. 336 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 299 del 25 novembre 1970;
4) ordinanza emessa il 7 ottobre 1970 dal pretore di Recanati nel procedimento penale a carico di Palestrini Stefano e Porreca Giorgio, iscritta al n. 339 del registro ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 311 del 9 dicembre 1970;
5) ordinanze emesse il 25 e l'8 aprile 1971 dal pretore di Recanati nei procedimenti penali a carico di Simboli Renato e di Baiocco Marcello, iscritte ai nn. 194 e l95 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 30 giugno 1971;
6) ordinanze emesse l'8 aprile 1971 dal pretore di Recanati nei procedimenti penali a carico di Piergiacomi Lino e d’Ombrelli Giuseppe, iscritte ai nn. 231 e 232 del registro ordinanze 1971 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 184 del 21 luglio 1971;
7) ordinanza emessa il 13 novembre 1971 dal pretore di Ronciglione nel procedimento penale a carico di Patricelli Elena ed altri, iscritta al n. 485 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 23 febbraio 1972;
8) ordinanza emessa il 6 aprile 1972 dal giudice istruttore del tribunale di Perugia nel procedimento penale a carico di Spaccini Giovanni ed altri, iscritta al n. 187 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 165 del 28 giugno 1972.
Visto l'atto di costituzione di Palestrini Stefano;
udito nell'udienza pubblica dell'8 novembre 1972 il Giudice relatore Costantino Mortati.
Ritenuto in fatto
1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Attilio Adamo imputato della contravvenzione di diffusione di notizie tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico, il pretore di Recanati, con ordinanza emessa il 18 febbraio 1970, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 656 del codice penale in riferimento all'art. 21 della Costituzione.
Secondo il pretore, la disposizione denunziata, con particolare riguardo all'ipotesi di diffusione di notizie tendenziose, oggetto del giudizio a quo, sembra contrastare con la norma costituzionale sulla libertà di pensiero che, a suo dire, fonda, come primario ed inviolabile diritto di libertà, il diritto di critica, con i soli limiti del buon costume (equivalente al pudore ed alla pubblica decenza) e della sicurezza pubblica, intesa quale protezione dei cittadini da ogni violenza attuale o potenziale.
Aggiunge il giudicante di non ignorare che la questione proposta formò oggetto della sentenza n. 19 del 1962 della Corte costituzionale e che essa fu ritenuta infondata nella considerazione, da un lato, che la formula contenuta nella disposizione denunciata "notizie false, esagerate o tendenziose" non doveva interpretarsi come se configurasse tre distinte ipotesi incriminatrici, ma come una sorta di endiedi con la quale veniva indicata ogni specie di notizie che, in qualche modo, rappresentino la realtà in modo alterato, e che lo stesso art. 656 c.p. appariva finalizzato alla tutela dell'ordine legale su cui poggia la convivenza sociale, armonizzandosi con uno dei limiti che la Corte ebbe a ravvisare nell'art. 21 della Costituzione.
Ritiene, tuttavia, che l'eccezione sollevata possa oggi meritare accoglimento in considerazione della successiva giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine alla libertà di pensiero e di quella dei giudici ordinari sull'art. 656 del codice penale.
Dopo aver rilevato, relativamente a quest'ultimo punto, che la sentenza n. 19, nonostante il tipo di dispositivo adottato, può definirsi interpretativa di rigetto, perché indica un significato dell'art. 656 c.p. diverso da quello comunemente assunto dai giudici penali, il pretore di Recanati osserva che la magistratura ordinaria ha peraltro continuato ad interpretare l'art. 656 c.p., come contenente tre distinte ipotesi di reato, onde la norma penale viene ad essere applicata sia a coloro che hanno diffuso notizie false in senso stretto, sia a coloro che hanno diffuso notizie esagerate, e cioé false solo in senso lato o latissimo, sia infine a coloro che hanno diffuso notizie semplicemente tendenziose, e cioé non false, né in un senso né nell'altro: come appunto nel caso sottoposto al suo esame.
Quanto al secondo punto, il giudice a quo sottolinea che nel codice penale ed in particolare agli artt. 654-658 pare essere stata accolta una concezione formale dell'ordine pubblico, un'accezione cioé che lo apparenta alla quiete e tranquillità pubblica, ma che si assume contrastante con una democrazia avanzata alla quale, viceversa, sarebbe consona esclusivamente una nozione sostanziale o costituzionale dell'ordine pubblico (come del resto la Corte avrebbe ritenuto nella più volte citata sentenza n. 19 del 1962 e nelle successive nn. 120 del 1968 e 84 del 1969) ispirata al principio fondamentale del ripudio della violenza e, conseguentemente, della punizione degli istigatori e persuasori di violenze.
Dinanzi a questa concezione, non sembra al giudice a quo che le fondamenta dello Stato democratico repubblicano siano o possano essere mai minacciate dalla diffusione di qualsivoglia notizia. Credere nella democrazia si identificherebbe al contrario, con il credere nella verità non abbisognevole di tutela penale. Ne conseguirebbe che l'art. 656 c.p., essendo chiaramente ispirato alla tutela del più restrittivo modo di intendere l'ordine pubblico nei confronti delle libertà fondamentali: modo tuttavia corrente (nell'intero sistema della legge penale vigente, e di conseguenza nella comune interpretazione giurisprudenziale) che risale ad un diverso reggimento statuale e ad un diverso ordinamento costituzionale, non é più compatibile con la lettera né - soprattutto - con lo spirito della Carta.
2. - Analoga questione veniva sollevata dal pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Graziano Cioni, con ordinanza emessa il 9 marzo 1970.
Anche questo giudice, con riguardo all'ipotesi di notizie tendenziose, rileva che l'art. 656 contiene tre distinte ipotesi incriminatrici e che, secondo l'interpretazione della norma in esame, comunemente accolta in dottrina ed in giurisprudenza, devesi qualificare come tendenziosa anche una notizia che, pur vera, sia presentata e commentata in modo non obiettivo, onde propagandare - attraverso un’interpretazione di parte - determinate correnti di idee o l'affermazione di determinati principi o interessi. Secondo il pretore, il divieto di un siffatto modo di interpretare la notizia sembra non conforme ad un orientamento pluralistico, basato sulla libera dialettica delle idee e delle diverse componenti politico-sociali, cosicché si pone un serio problema di contrasto con il diritto di libera manifestazione del pensiero proclamato nell'art. 21 della Costituzione. Ed il contrasto sarebbe tanto più serio, ove si consideri che la repressione penale di un fatto qualificabile come "manifestazione di pensiero in materia privilegiata", viene condizionata dalla norma al semplice "pericolo" di un turbamento dell'ordine pubblico, e che inoltre, dato il carattere contravvenzionale del reato, risulta irrilevante l'indagine sull'esistenza del dolo.
Il pretore di Firenze fa poi riferimento alla sentenza n. 19 del 1962 della Corte, osservando che la particolare nozione dell'ordine pubblico e l'interpretazione restrittiva del concetto di tendenziosità ivi accolte, equivalgono ad un implicito giudizio di incostituzionalità delle contrarie tesi interpretative. Queste ultime, però, ad avviso del giudicante, sarebbero le più aderenti alla ratio legis, tanto da rendere opportuna una sentenza della Corte di accoglimento o di rigetto tale da eliminare le perplessità avanzabili a seguito della precedente sentenza interpretativa.
3. - La stessa questione, in termini pressocché identici, é stata sollevata dal tribunale di Venezia nel procedimento penale a carico di Francesco Moisio, con ordinanza emessa il 16 settembre 1970.
In particolare, il tribunale rileva che il concetto di ordine pubblico delineato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 19 del 1962, nel senso di "bene inteso alla preservazione delle strutture giuridiche della convivenza sociale, instaurata mediante le leggi, da ogni attentato a modificarle od a renderle inoperanti mediante l'uso o la minaccia illegale della forza", non trova adesione nella corrente esegesi dottrinaria e giurisprudenziale dell'art. 656 c.p., la quale, per vero, identifica l'ordine pubblico come "sicurezza, tranquillità pubblica, materiale ed esteriore": esegesi - questa - che, per quanto attiene al sistema penalistico vigente, troverebbe puntuale riscontro nella relazione al codice penale nonché nelle specifiche previsioni dei delitti contro l'ordine pubblico, alla stregua delle quali l'ordine in parola tende a coincidere con gli interessi della prevenzione della delinquenza individuale ed organizzata, e, più in generale, della salvaguardia dell'incolumità e della quiete collettiva. Si paleserebbe pertanto un evidente contrasto tra il dettato dell'art. 21 della Costituzione e la norma incriminata interpretata alla stregua dei suindicati criteri ermeneutici in tema di ordine pubblico.
4. - Con ordinanza emessa il 7 ottobre 1970 nel corso del procedimento penale a carico di Stefano Palestrini e Giorgio Porreca, imputati di aver diffuso volantini, omettendo la consegna degli esemplari di legge alle autorità, e contenenti notizie tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico, il pretore di Recanati ha proposto la questione di legittimità costituzionale degli artt. 656 c.p. e 1, comma primo e terzo, della legge 2 febbraio 1939, n. 374, in riferimento all'art. 21 della Costituzione.
Richiamatosi alla prima propria ordinanza del 18 febbraio 1970 per quel che riguarda la prima eccezione, il giudice a quo ritiene non manifestamente infondato il contrasto tra l'art. 21 Cost. e l'altra disposizione denunciata, concernente l'obbligo di consegna preventiva degli stampati, in base alle seguenti considerazioni.
Rileva, in primo luogo, che la difesa del diritto inviolabile di cui all'art. 21 Cost. deve essere intesa in senso del tutto pregnante, di guisa che una violazione della tutela costituzionale della Carta va ravvisata tutte le volte che il funzionamento di meccanismi necessitati da leggi ordinarie rischi di porre praticamente ostacolo, nella realtà effettuale delle cose, al dispiegarsi dell'ampia tutela costituzionale: tutte le volte, cioé, che adempimenti o formalità burocratiche, imposti sotto minaccia di pena, rischino di praticamente ostacolare la libera diffusione del pensiero manifestato.
Ora, secondo il pretore, l'estensione dell'obbligo di consegna all'ipotesi di "volantinaggio", di cui si giovano di regola coloro che vogliono esprimere il proprio pensiero in relazione ad un avvenimento improvviso, non essendo dotati di mezzi economici per realizzare diverse forme di propaganda, non può non apparire intollerabilmente ostativa al diritto costituzionale garantito, e pertanto contrastante con l'art. 21 della Costituzione.
5. - Con quattro ordinanze, identicamente motivate, in data 8 e 25 aprile 1971, nei procedimenti penali a carico di Renato Simboli, Marcello Baiocco, Lino Piergiacomi e Giuseppe Ombrelli, il pretore di Recanati ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, in relazione agli artt. 8 e 9 della legge 2 febbraio 1939, n. 374, e dell'art. 112 t.u.l.p.s. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) nella parte in cui punisce il mettere in circolazione scritti, immagini, disegni e oggetti di qualsiasi specie contrari agli ordinamenti politici, sociali ed economici costituiti nello Stato o lesivi del prestigio dello Stato o offensivi al sentimento nazionale, in riferimento all'art. 21 della Costituzione.
Richiamata l'ordinanza emessa il 7 ottobre 1970, per quel che riguarda l'art. 1 della legge n. 374 del 1939, in relazione all'art. 112 t.u.l.p.s. ritiene il pretore che, pur volendo ritenere inerente alla libertà costituzionale garantita di manifestazione del pensiero il limite della salvaguardia dell'ordine istituzionale del regime vigente, inteso in buona sostanza come costituzione in senso materiale dello Stato repubblicano o come fondamento della civile convivenza dei cittadini nell'assetto democratico di tale Stato, non sembra dubbio che a tale limite implicito sia del tutto estranea la previsione penalmente sanzionata dalla norma di legge ordinaria in esame della contrarietà degli scritti, disegni, immagini od altri oggetti, da essa vietati, "agli ordinamenti politici sociali od economici costituiti, al prestigio dello Stato o dell'autorità, ovvero al sentimento nazionale". Sarebbe infatti chiaro che, mentre la salvaguardia dell'ordine istituzionale nello Stato repubblicano e democratico richiede semplicemente che le civili istituzioni che lo reggono siano difese da ogni attentato e da ogni violenza (in senso, come si vuole, comprensivo anche dell'istigazione alla violenza), del tutto diversa nella sua indiscriminata ampiezza é la previsione repressiva della norma in esame. Attraverso tale norma, la quale reca indelebile lo stigma del regime non libero né democratico a difesa del quale venne introdotta, risulterebbe possibile ogni tipo di attentato alla libertà di manifestazione del pensiero che, secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, costituisce uno dei cardini fondamentali dello stesso regime democratico, proprio quando si concreta in libera critica del complesso delle istituzioni, del modo di essere dello Stato, del comportamento delle autorità e dello stesso "sentimento nazionale" (che ha, in ogni caso, limiti ben precisi).
6. - Anche il pretore di Ronciglione, con ordinanza emessa il 13 novembre 1971, nel procedimento penale a carico di Elena Patricelli ed altri, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 8 della legge 2 febbraio 1939, n. 374, in riferimento agli artt. 21, 42 e 53 della Costituzione.
Secondo il pretore, il contrasto con l'art. 21 deriverebbe dalla circostanza che, in virtù della legge 2 febbraio 1939, si procede, di fatto, al sequestro di ben cinque esemplari degli stampati, e tale sequestro (eseguibile ai sensi del secondo comma dell'art. 8 perfino d'ufficio) può avvenire, date le genericità della formulazione legislativa, non solo senza atto motivato dall'autorità giudiziaria, ma anche senza che si incorra in delitto o in violazione delle norme per l'indicazione dei responsabili.
L'art. 42, terzo comma, sarebbe violato poiché con la legge 1939, n. 374, il proprietario degli stampati viene espropriato dei cinque esemplari senza ricevere alcun indennizzo. Il che può avere la sua rilevanza economica nel caso di pubblicazioni costose, tanto che la legge stessa rimette alla discrezionalità dell'Esecutivo la possibilità di evitare l'ingiusto danno, senza peraltro dare in proposito alcuna seria ed obbiettiva garanzia.
Vi sarebbe infine violazione del primo e del terzo comma dell'art. 53, poiché la ragione principale che milita a favore del mantenimento della legge del 1939 consiste nel fatto che con il meccanismo da essa predisposto vengono rifornite le più importanti biblioteche, venendosi in tal modo a far gravare la spesa (o parte di essa) per il mantenimento delle biblioteche indiscriminatamente su tutti i cittadini che abbiano qualcosa da dire per iscritto senza tener conto né della loro capacità contributiva, né del criterio di progressività, né della circostanza che gli stessi usufruiscono del servizio al quale contribuiscono.
7. - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 della legge n. 374 del 1939 in riferimento all'art. 21 Cost. é stata sollevata, infine, anche dal giudice istruttore del tribunale di Perugia, nel corso del procedimento penale a carico di Giovanni Spaccini, con ordinanza emessa il 6 aprile 1972.
Il giudice istruttore si richiama all'ordinanza del pretore di Ronciglione per sostenere la non manifesta infondatezza della questione prospettata.
8. - Tutte le ordinanze sono state regolarmente comunicate, notificate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale. Nessuno si é costituito nei vari giudizi, all'infuori di quello avanti al pretore di Recanati di cui é parte Palestrini Stefano. Nell'interesse di questi, l'avvocato Gianfilippo Benedetti ha prodotto delle deduzioni, ribadendo le considerazioni svolte nell'ordinanza di rimessione del 7 ottobre 1970 e chiedendo la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme denunciate.
Considerato in diritto
1. - Le dieci ordinanze sottopongono questioni in parte analoghe ed in parte connesse sicché si rende opportuna la loro riunione per la decisione con unica sentenza.
Un primo gruppo di sette ordinanze solleva la questione di legittimità costituzionale dell'art. 656 del codice penale, nella considerazione che, configurando esso quale reato la pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico, viene a porsi in contrasto con l'art. 21 della Costituzione, che alla manifestazione del pensiero non pone altri limiti che non siano quelli del buon costume e della protezione dalla violenza.
La sentenza n. 19 del 1962 che le ordinanze richiamano ha rigettato le censure di illegittimità costituzionale sollevate in ordine all'art. 656 cod. pen., in quanto ha ritenuto che la tutela costituzionale dei diritti, come quello cui ha riguardo l'art. 21, ha sempre un limite non derogabile nell'esigenza che attraverso il loro esercizio non vengano sacrificati beni anche essi voluti garantire dalla Costituzione, e che tale deve ritenersi non solo la tutela del buon costume, cui l'articolo stesso fa espresso riferimento, ma anche il mantenimento dell'ordine pubblico, che é da intendere come ordine legale su cui poggia la convivenza sociale. Ora non sembra contestabile che anche la diffusione di notizie comunque consapevolmente inventate o alterate, così da non corrispondere alla realtà effettuale, deve ritenersi suscettibile di compromettere l'ordine che si vuole proteggere, allorché, in considerazione del contenuto delle medesime o delle circostanze di tempo e di luogo della diffusione stessa, risultino idonee a determinare un turbamento consistente nell'insorgenza di un completo ed effettivo stato di minaccia dell'ordine stesso.
La Corte ritiene che non sussistono motivi per discostarsi dalla precedente pronuncia, che pertanto deve essere confermata in ogni sua parte. Spetta poi al giudice di merito valutare in concreto la sussistenza dei requisiti prima specificati necessari alla perseguibilità del reato di cui all'art. 656.
2. - Fondata deve invece ritenersi la questione di legittimità costituzionale dell'art. 112 t.u. leggi di p.s. n. 773 del 1931, nella parte in cui fa divieto di mettere in circolazione scritti, disegni, immagini contrari agli ordinamenti costituiti dello Stato, o lesivi del prestigio dello Stato o dell'autorità, o offensivi del sentimento nazionale. Tale disposizione, pur se privata della sanzione del sequestro degli oggetti colpiti dal divieto, quale era previsto dall'ultimo suo comma, in virtù del r.d.l. 31 maggio 1946, n. 561, é tuttavia protetta dalla disposizione generale dell'art. 17 dello stesso testo unico, che commina pene per ogni contravvenzione alle sue disposizioni.
L'affermato contrasto con l'art. 21 della Costituzione appare palese quando si consideri che l'art. 112 conferisce un potere assolutamente discrezionale di vietare svariate manifestazioni del pensiero, sempre che queste non configurino fattispecie previste dalle leggi penali, per le quali, quando ricorressero, sarebbe sufficiente a reprimerle la denunzia alla autorità giudiziaria. La semplice e generica contrarietà agli ordinamenti costituiti non può essere titolo sufficiente a giustificare il divieto in uno Stato democratico, che non solo consente la critica alle istituzioni vigenti, ma anzi da essa trae alimento per assicurare, in una libera dialettica delle idee, l'adeguamento delle medesime ai mutamenti intervenuti nella coscienza sociale. Analogamente devono farsi rientrare nella stessa facoltà di critica le manifestazioni suscettibili di offendere il prestigio delle pubbliche autorità, fino a quando non varchino la soglia, oltre la quale ricadono nel vilipendio.
Nei riguardi poi dell'offesa al sentimento nazionale é da rilevare che, se deve ritenersi affetta da incostituzionalità la pena per la propaganda lesiva del sentimento stesso, qual'era disposta dall'art. 272 cod. pen., secondo quanto ha ritenuto la Corte con la sentenza n. 87 del 1966, con più forti ragioni la censura di illegittimità deve colpire la parte della disposizione in esame che vieta comportamenti meno gravi di quelli in cui si sostanzia la propaganda.
3. - Passando infine ad un altro gruppo di ordinanze che denunciano gli artt. 1 e 8 della legge 2 febbraio 1939, n. 374, in quanto, obbligando ogni stampatore a consegnare un certo numero di esemplari delle pubblicazioni da lui effettuate, sarebbero in contrasto o solo con l'art. 21 o anche con gli artt. 42 e 53 Cost., se ne deve dichiarare la manifesta infondatezza. Infatti, in ordine alla dedotta violazione dell'art. 21, é da ricordare che già la Corte, con la sentenza n. 115 del 1957, ha dichiarato l'infondatezza della questione in un caso assimilabile a quello della consegna delle copie, riguardante le affissioni murali di scritti in copia unica per i quali la consegna é sostituita dal previo avviso all'autorità di pubblica sicurezza. É ora da confermare che anche l'obbligo della consegna, non inducendo nessun potere di autorizzazione o di censura da parte dell'autorità stessa, in nessun modo contrasta con l'articolo 21.
A diversa conclusione non può giungersi anche in presenza delle nuove prospettazioni che della questione danno il pretore di Recanati e quello di Ronciglione. Infatti non può ritenersi ostacolo apprezzabile alla diffusione del pensiero la consegna d'un esiguo numero di stampati (tenuto anche conto delle esenzioni dall'obbligo considerate nell'art. 7), e tanto meno essa può venirsi ad equiparare al sequestro, poiché tale provvedimento, vietato dall'art. 21, riguarda il complesso della tiratura di ogni pubblicazione, mentre nella specie, anche nel caso dell'esecuzione di ufficio prevista dall'art. 8, la sottrazione coattiva alla disponibilità dello stampatore rimane limitata alle copie d'obbligo. Analoghe considerazioni sono da invocare per contestare la fondatezza dell'allegata violazione dell'art. 42. Un'ipotesi di espropriazione senza indennizzo potrebbe, se mai, riscontrarsi nel caso, che non ricorre nella specie, di pubblicazioni di costo elevato (per le quali peraltro il cit. art. 7 prevede la dispensa); ma, ove essa si verifichi, l'interessato potrà trovare sufficienti garanzie del proprio diritto attraverso l'esperimento dei comuni rimedi contro l'attività discrezionale della pubblica Amministrazione.
Ad eguale conclusione di infondatezza deve giungersi con riferimento alla denuncia di violazione dell'art. 53, poiché, a parte l'inesattezza di quanto si afferma circa la ratio della disposizione in esame, é da negare che l'obbligo di cui si tratta possa incidere sulla capacità contributiva.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 112 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, nella parte relativa al divieto di pubblicazioni contrarie agli ordinamenti dello Stato o al prestigio delle autorità e lesive del sentimento nazionale;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 656 del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 21 della Costituzione, con le ordinanze dei pretori di Recanati e di Firenze e del tribunale di Venezia, indicate in epigrafe;
dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 8 della legge 2 febbraio 1939, n. 374, sollevata, in riferimento agli artt. 21, 42 e 53 della Costituzione, con le ordinanze dei pretori di Recanati e di Ronciglione e del giudice istruttore del tribunale di Perugia, indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1972.
Giuseppe CHIARELLI - Costantino MORTATI
Depositata in cancelleria il 29 dicembre 1972.