Lara Trucco
Ammissibilità delle liste elettorali:
un chiarimento "una volta per tutte"?*
1. Al di là della sua innegabile valenza “politica”, su
cui non s’intende qui ulteriormente indugiare [1],
il caso originato dalla riammissione con ordinanza emessa
dal Consiglio di Stato, in sede cautelare, di una lista in precedenza esclusa [2]
– potrebbe davvero costituire
l’occasione per fare chiarezza –
secondo il perentorio auspicio
del Viminale – “una volta per tutte”su una questione collegata alla più
generale problematica della c.d. “verifica dei poteri” [3],
ovvero sia la “verifica dei titoli di ammissione” o, come altrimenti definiti,
“atti preparatori” alle elezioni [4].
Se, infatti, può osservarsi come lo sviluppo istituzionale italiano sia
stato per lungo tempo egemonizzato dalla considerazione dell’art. 66 Cost. come di una
norma riguardante l’intero procedimento elettorale, dandosi per scontata la
necessità di (continuare a) salvaguardare la prerogativa parlamentare in
questione in nome dell’incondizionata tutela dell’autonomia e indipendenza
delle Camere, più di recente, di questo stesso postulato, si è cominciato a
porre in dubbio l’assoluta validità, con riferimento almeno alla “fase
preparatoria” di verifica appunto dei “titoli di ammissione”. Così, già con
riferimento al contenzioso elettorale della tornata elettorale del 2006, poteva
ricavarsi [5]
un quadro giurisprudenziale nel complesso oscillante ed incerto, se certamente
non con riguardo al punto di approdo, costituito, nella maggioranza dei casi,
dal riconoscimento del difetto assoluto di giurisdizione da parte dei giudici
in materia [6],
quanto meno in relazione alle rispettive aree d’intervento e conseguentemente
ai reciproci rapporti tra gli organi di garanzia elettorale.
In particolare, sembravano emergere tre diversi approcci:
- uno, maggioritario, fatto proprio dalla Corte di cassazione, che, nell’affermare «la natura
amministrativa degli atti degli Uffici elettorali circoscrizionali e centrali»,
sulla base di una lettura ampia dell’art. 66 Cost., confermava
la spettanza esclusiva alle Camere del potere di sindacare la regolarità e la
validità degli atti «pertinenti all’intera sequenza procedimentale che dalla
presentazione delle liste conduce alla proclamazione degli eletti», comprese le
«ricusazioni pronunciate ai sensi dell’art. 22» del T.U. elettorale[7];
- una posizione similare, ma contrassegnata da qualche implicita riserva,
del TAR Lazio, in cui, pur non negando l’estensione della verifica dei poteri
di ciascuna Camera all’accertamento della legittimità di tutte le operazioni elettorali, il giudice amministrativo teneva a
sottolineare comunque le caratteristiche di imparzialità e di indipendenza
degli uffici elettorali [8];
- ed infine una terza prospettiva (fino ad allora del tutto minoritaria),
esemplarmente abbracciata da una decisione del TAR
Catania [9],
che, discostandosi decisamente dall’orientamento giurisprudenziale
tradizionale, concludeva a favore della spettanza in via esclusiva agli Uffici
elettorali del potere di decidere il contenzioso riguardante il «procedimento
elettorale preparatorio».
Il giudice amministrativo siciliano perveniva ad una simile conclusione,
ponendo particolare attenzione, sotto un profilo “oggettivo”, all’analisi del
dato normativo, al fine di dimostrare il mancato conforto, da parte delle fonti
di disciplina della materia, della competenza delle Camere anche nelle fasi
precedenti la votazione. A ciò si accompagnava poi la valorizzazione del
profilo “soggettivo”, consistente nel riconoscimento dell’idoneità degli uffici
elettorali a fornire la più adeguata garanzia del corretto svolgimento del
procedimento e degli interessi ivi coinvolti (v. infra § 4).
2. È noto come tradizionalmente l’ambito della “verifica
dei poteri” parlamentare sia giunto a ricomprendere l’intero arco del
procedimento elettorale in base ad una peculiare interpretazione dell’art. 66 Cost., cui si
collega la ricostruzione della natura degli organi preposti alla verifica e dei
loro atti come meramente “amministrativi” [10].
Più in generale, è prevalsa l’idea della necessità di (continuare a)
salvaguardare la prerogativa parlamentare in questione – unitariamente intesa –
in nome della necessaria autonomia e indipendenza [11] (cercando semmai di assecondarne la
progressiva “giurisdizionalizzazione”, anche introducendo, sin dove possibile,
talune garanzie [12],
secondo, peraltro, quanto del tutto indirettamente suggerito dalla Corte
costituzionale [13]).
Sul versante giurisprudenziale ciò si manifestato attraverso l’idea «che le
posizioni soggettive fondamentali che hanno rilievo (…) [non erano] prive di
tutela nel disegno costituzionale», e la “prassi” degli organi giurisdizionali [14],
di mettersi da parte, declinando, pressoché tutti, la propria competenza a
favore di quella degli organi parlamentari.
Se pure non mancato chi, nel corso del tempo, alla luce dei limiti e
delle contraddizioni che la “verifica dei poteri” andava palesando, nonché in
base alle ragioni originarie dell’istituto, ha auspicato il ripensamento
dell’intero sistema delle competenze in materia [15],
era evidente che, in una situazione apparentemente così irrigidita, un segnale
di cambiamento nella direzione di qualche autoriduzione dello spazio politico
in sede di verifica dei poteri sarebbe potuto provenire solo dalle stesse
Camere.
Così è stato: nella seduta
del 9 ottobre 1996,
Tale segnale non ha mancato di riverberare i propri effetti proprio in
ordine ai ricorsi avverso atti del procedimento elettorale preparatorio. Può
leggersi in questo senso la vicenda legata alla questione di costituzionalità
sollevata dal TAR Lazio innanzi alla Corte costituzionale (risolta dalla Corte
con l’ord. n.
512 del 2000 nel senso della “manifesta inammissibilità”) in cui il giudice
amministrativo aveva denunziato la mancanza di previsioni normative favorevoli
alla «possibilità di azione giudiziaria» nei confronti di una «decisione emessa
dall’Ufficio centrale nazionale sull’opposizione proposta contro il
provvedimento del Ministero dell’interno di ricusazione di un contrassegno
elettorale presentato per le elezioni politiche». Mentre più di recente è stata
la stessa Corte costituzionale a prendersi a cuore la situazione, rilevando
incidentalmente (stante la sua incompetenza a «risolvere conflitti negativi (o
positivi) di giurisdizione (art. 362 cod. proc. civ.)»), il rischio di mancanza
di tutele nella fase preparatoria al voto, col considerare la posizione assunta
in materia dalla Camere alla stregua di una «“definitiva dichiarazione di
volontà”, declinatoria della sua giurisdizione» in materia (così nell’ord. n. 117 del
2006). Si noti inoltre come lo “spunto” offerto dalla Corte sia stato colto
dal TAR Campania per giustificare la sua eventuale «remissione della questione
di costituzionalità per violazione del diritto di difesa alla Corte delle
Leggi», se «il recente orientamento assunto dagli organi parlamentari nel senso
di escludere la propria competenza sui ricorsi avverso atti del procedimento
elettorale preparatorio» dovesse arrivare al punto da «inficiare la univocità
della prassi applicativa e quindi da ingenerare un vero e proprio vuoto
normativo» [17].
Tutto questo è parso insomma mettere in crisi l’equilibrio formatosi in
precedenza, per la preoccupazione indotta dal timore di un vuoto assoluto di
giurisdizione nella “fase preparatoria” delle elezioni [18],
sì da indurre gli stessi organi giurisdizionali a guardare verso una «prospettiva di ampliamento della natura
giurisdizionale del controllo» all’esterno delle Camere (cfr. infra §3 [19]).
Della problematicità di tale soluzione è stata peraltro offerta subito
prova dal contrasto prodottosi tra diverse giurisdizioni amministrativi. Per
cui, accanto a chi si è uniformato alla decisione del Consiglio di Stato (come
il TAR Umbria, che ha provveduto a riammettere per la sua Regione la lista
esclusa dall’Ufficio Elettorale Regionale dell’Umbria [22]),
altri ha dato segno di manifestare una certa “resistenza” (si allude alla
posizione assunta dal TAR di Palermo, che, pochi giorni dopo la menzionata
pronuncia del Consiglio di Stato ha respinto il ricorso presentato (anche in
Sicilia) della stessa parte ricorrente contro l’esclusione del simbolo dalla
scheda elettorale, rievocando l’idea della riserva “a ciascuna Camera” “della
competenza esclusiva in ordine alla verifica di legittimità di tutte le
operazioni elettorali" e dunque della propria assoluta carenza di
giurisdizione in materia [23]).
Come che sia, al di là delle “tradizionali” ragioni legate al tema della
“verifica dei poteri”, a rendere in certo modo precario l’orientamento del
Consiglio di Stato sembrerebbe militare particolarmente la mancanza di
specifiche previsioni in ordine al sindacato del giudice amministrativo
relativamente alla fase preparatoria del procedimento elettorale, soprattutto
quando si propenda, come sembra corretto, per l’ascrizione della materia
all’ambito dei “diritti soggettivi”. Sotto altro profilo poi, resta la
sensazione dell’inidoneità dell’attuale processo amministrativo a soddisfare
primordiali esigenze di celerità ed immediatezza in pendenza di elezioni [24].
4. Se si condividono questi rilievi, potrebbe riuscirne
invece consentita una diversa valutazione del ruolo della delle Sezioni
elettorali della Corte di cassazione «nel senso di una loro collocazione
all’interno dell’ambito giurisdizionale, almeno per la parte della loro
attività relativa alla risoluzione delle controversie sollevate dai ricorsi
presentati [25]».
Tale strada, infatti, come s’è già avuto modo di osservare [26],
presenterebbe il non trascurabile pregio di valorizzare maggiormente la fase di
controllo delle operazioni preliminari, così da permettere di pervenire allo
scrutinio con il quadro delle liste ormai compiutamente definito. Se così
fosse, nel caso di specie, una “res
giudicata” già sussisterebbe, essendo individuabile nella decisione dell’Ufficio
Elettorale Centrale Nazionale dell’8 marzo 2008 [27].
Ad una simile ricostruzione si è pero, com’è noto, opposto il rifiuto di
ammettere senza riserve la natura autenticamente “giurisdizionale” delle
“Sezioni elettorali”della Corte di cassazione, imprescindibile perché esse
possano fornire la più adeguata tutela gli interessi in campo [28]
, allegandone principalmente,
-
la mancanza di terzietà ed imparzialità,
-
la carenza del contraddittorio,
-
l’inidoneità a produrre un «giudicato», nonché
-
il carattere temporaneo dell’organo
Esemplare in proposito è stata la posizione assunta[29]
nel giudizio per conflitto di attribuzione all’origine dell’ord. n. 79 del 2006
contestò davanti alla Corte costituzionale siffatta idoneità, asserendo che «la
verifica degli atti preparatori del processo elettorale – comprensiva del
controllo in ordine alla esclusione di nuove liste – è priva di tutela
giurisdizionale, essendo demandata all’Ufficio elettorale centrale nazionale,
che ha natura amministrativa, e alle Camere».
Tuttavia, anche rispetto a questo versante, sembra avvertibile un qualche
mutamento di prospettiva. Così, quanto alla “qualità” dell’organo, si è
rilevato che «i rispettivi membri sono tutti magistrati e che essi esplicano la
loro attività attraverso due gradi di giudizio risultando verosimilmente in
grado di garantire la necessaria imparzialità e indipendenza, col fornire un
servizio di verifica delle fasi preliminari e delle operazioni preparatorie del
procedimento elettorale, che può senz’altro assimilarsi a quello svolto in sede
giurisdizionale»[30].
Sul punto del contraddittorio, poi, pur consentendosi che esso non si
dispieghi con quella larghezza di scansioni e di mezzi tipiche del processo
ordinario, si è pero osservato come sia la stessa normativa (precisamente
l’art. 22 del D.P.R.
30 marzo 1957, n. 361), a prescrivere che gli Uffici centrali
circoscrizionali debbano riunirsi appositamente «per udire eventualmente i
delegati dei candidati delle liste contestate o modificate ed ammettere nuovi
documenti nonché correzioni formali e deliberare in merito». A questo riguardo.
la stessa norma comproverebbe l’atteggiarsi dell’Ufficio elettorale centrale
nazionale come vero e proprio organo di appello, nei confronti delle «decisioni
di eliminazione di liste o di candidati», a cui i delegati di lista possono, si
badi, «ricorrere» entro 48 ore dalla comunicazione [31].
Sul terzo dei profili sopra citati, riguardante l’inidoneità al
«giudicato», si è affremato come il «servizio di verifica delle fasi
preliminari e delle operazioni preparatorie del procedimento elettorale» possa
senz’altro assimilarsi a quello svolto in sede giurisdizionale, anche se
ovviamente conserva una sua propria specificità che lo colloca in un ambito
atipico, suscettibile di assumere carattere e consistenza di un tertium
genus comparationis, posto tra la funzione amministrativa e quella
giurisdizionale in senso stretto, da cui peraltro mutua i rispettivi tratti
distintivi configurandosi in definitiva alla stregua di un’attività formalmente
amministrativa, ma nella sostanza giurisdizionale o, quanto meno,
paragiurisdizionale» [32].
Sembra sia stato però l’ultimo dei profili critici sovra ricordati,
relativo alla “precarietà” dell’organo, ad aver maggiormente pesato sul mancato
riconoscimento della natura «giudiziale» degli Uffici elettorali, se sol si rammenta
come sia stata la stessa Corte costituzionale, nell’ordinanza n. 216
del 1972, a ritenere che gli Uffici elettorali circoscrizionali per
l’elezione dei Consigli regionali non potessero essere considerabili alla
stregua di «giudici», difettando in essi sia i necessari requisiti oggettivi,
dal momento che le funzioni esercitate avrebbero costituito semplicemente una
sottofase di «un complesso procedimento al quale, nel suo insieme, non avrebbe
potuto in alcun modo riconoscersi natura giurisdizionale né a questa
assimilabile»; sia gli altrettanto imprescindibili requisiti soggettivi,
trattandosi di organi temporanei, che, «a differenza da quanto per regola
generale avviene per gli organi giurisdizionali, ordinari o speciali che siano
(…) constano di un numero variabile di membri, rendendo impossibile
l’identificazione degli uffici elettorali con l’“ente” presso il quale vengono
di volta in volta costituiti, e conseguentemente impedendo di considerarli come
«istituzionalmente incardinati nel potere giurisdizionale dello Stato».
Ora, anche a voler tacere della diversità di fattispecie (esulante dalle
elezioni politiche), non si può mancare di considerare come la successiva
evoluzione abbia reso meno “robusto” questo tipo di argomentazione, dal momento
che
5. La conclusione della vicenda che ha suggerito queste
rapide osservazioni è, nel momento in cui scrive, nelle mani delle Sezioni
unite della Corte di Cassazione, essendo esse state adite dall’Avvocatura dello
Stato, su impulso del Ministero
dell’Interno, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione [33],
sì che la pronuncia del TAR Lazio (sul merito della questione sulla quale esso
si è visto censurare in sede di appello il proprio diniego di sospensiva)
potrebbe persino presentare un interesse relativo nel caso fosse “sovrastata”
dalla decisione della Cassazione [34].
Certo, la Cassazione potrebbe decidere di (continuare a) sbarrare ogni
possibile intervento da parte di organi che non siano le stesse Camere,
sancendo così il mantenimento dello status
quo. Ma anche questa soluzione foriera di non trascurabili interrogativi di
rilievo istituzionale di fronte alla constatazione che l’«evoluzione dei
modelli costituzionali in tema di verifica dei poteri sembra essere
generalmente diretta verso un progressivo abbandono di quella che è stata la
soluzione tradizionalmente più diffusa, consistente nell’attribuzione allo
stesso Parlamento del giudizio sui titoli di ammissione dei propri componenti»
a tutto vantaggio di organi diversi, per lo più “giurisdizionali” (nel senso
tecnico del termine) [35].
Sicché il mantenimento di tale soluzione si porrebbe in netta controtendenza
rispetto a quanto avviene nelle maggiori democrazie europee, tanto da indurre
lo stesso OSCE, nel rapporto riguardante le elezioni politiche italiane del
Da questo punto di vista, alle Sezioni Unite è dunque offerta
un’occasione tanto imprevedibile quanto favorevole per convincersi ad
abbracciare la soluzione consistente nel configurare la natura a tutti gli
effetti “giurisdizionale” degli “uffici elettorali” e la loro esclusiva
competenza a giudicare sulla “verifica dei titoli di ammissione”[37],
alla stregua peraltro di quanto suggerito dalla giurisprudenza amministrativa [38],
nel pieno rispetto di quanto consentito dal quadro costituzionale e normativo
vigente e sviluppandone anzi le potenzialità democratiche e garantiste.
* In esito alla vicenda qui commentata è stata pronunciata dalla Corte di cassazione Sezioni Unite Civili la sentenza 8 aprile 2008, n. 9151.
[1] Della vicenda, infatti, si sono
ampiamente occupate tutti gli organi di informazione con ciò in inducendo forse
un certo “recupero” del tempo di campagna elettorale perduto dalla lista
protagonista del caso.
[2] Le origini della vicenda, a ben vedere, vanno individuate all’“alba” del maggioritario, quando, nel gennaio del ’94, il Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana cambiò il proprio nome divenendo Partito Popolare Italiano e da esso sorsero dapprima il Ccd e quindi il Cdu (destinati a legare i propri destini nell’Udc). Accanto a questi ultimi partiti rimasero tutta una serie di parti politiche, “residui” della DC, i cui contrasti per l’utilizzo di nome e simbolo presero, a seconda delle varie fase politiche (ed in particolare dell’appartenenza o meno alla medesima coalizione nonché dalla scelta di utilizzare altre denominazioni), ad essere attutiti o, a seconda delle diverse fasi politiche, riaccesi.
Di recente ciò ha dato origine ad una controversia su cui è intervenuto il Tribunale di Roma con una sentenza del 15 settembre 2006 (in https://www.democraziacristiana.org/_Nebula/Documents/Sentenza%20trib.%20civile%20Roma%2015.09.06%20bis.pdf ) di condanna del CDU «a cessare ogni molestia nei confronti dell’attore in ordine all’uso in qualunque sede del nome Democrazia Cristiana e del simbolo costituito da uno scudo crociato con scritta Libertas», considerando che nel gennaio del ’94 il Consiglio Nazionale della Dc non aveva i poteri per cambiare nome al partito, perché solo il congresso avrebbe potuto farlo. Quindi il Partito Popolare da cui era sorto il CDU «non era affatto il partito della Democrazia Cristiana, ma altro soggetto giuridico», e perciò non avrebbe potuto «disporre del patrimonio altrui», a differenza dell’originaria “Democrazia cristiana” che, sola, poteva dirsi “titolare” di nome e simbolo.
Diversamente sono andate le cose nel caso di specie, in cui, nell’ambito del procedimento elettorale è stato il Viminale, rilevando la possibile confusione tra simboli, ad invitare la “Democrazia Cristiana” a sostituire il proprio contrassegno. Contro tale richiesta il partito ha quindi presentato opposizione all’Ufficio elettorale Nazionale (secondo quanto previsto dal T.U. elettorale), rivolgendosi al contempo al giudice amministrativo per ottenere in via cautelare l’ammissione del proprio simbolo alle elezioni. Sul primo versante l’Ufficio elettorale Nazionale con una decisione dell’8 marzo 2008 ha rigettato l’opposizione, condividendo la valutazione del Viminale circa la “confondibilità” del simbolo e, a fronte di questa, la prevalenza del contrassegno dell’UDC «in quanto utilizzato tradizionalmente dal suddetto partito già da tempo in Parlamento, mentre analoga presenza non è riferibile al contrassegno dell’opponente, con il quale non è stato eletto nessun parlamentare, nella precedente legislatura, in cui quella formazione politica ha bensì partecipato ma con un diverso simbolo, interno ad un contrassegno appartenente al C.O.D.A.C.O.N.S. che ha – esso – conseguito un seggio al Senato».
Dal canto suo, anche il TAR Lazio ha respinto la domanda incidentale di sospensione, ritenendo non adeguatamente comprovati «i necessari requisiti posti a fondamento della domanda cautelare proposta ed, in particolare, quello del fumus boni juris» tenendo a rilevare «che gli atti impugnati attengono a fasi di un procedimento, che, introdotto con l’indizione dei comizi elettorali, risulta estraneo alla giurisdizione del giudice amministrativo» (Così TAR Lazio, sez. II bis, ord. n. 1618 del 20 marzo 2008). Tuttavia, di diverso avviso si è dimostrato il Consiglio di Stato nelle ordd. nn. 1743 e 1744/2008 del 1° aprile 2008 la V sez., che, ravvisandone gli estremi, ha accolto l’istanza cautelare avanzata (e disattesa) in primo grado dalla “Democrazia cristiana” disponendo «l’ammissione della lista appellante alla consultazione elettorale del 13-14 aprile 2008» in Lazio ed in Campania.
In attesa della pronuncia del TAR Lazio (fissata l’8 aprile), il Viminale si è rivolto alle Sezioni Unite della Cassazione per regolamento di giurisdizione, appellandosi altresì al Consiglio di Stato perché revochi la propria decisione.
Nel medesimo tempo ha paventato come possibile il rinvio delle elezioni, non essendoci il tempo necessario per ristampare tutte le schede elettorali col “nuovo” simbolo (ciò che, peraltro, non risolverebbe il problema derivante dal fatto che determinate votazioni, all’estero, sono già in svolgimento). Per prosieguo v. ultima nota.
[3] Sul tema della “verifica dei poteri”
la bibliografia è copiosa, ci limitiamo a menzionare: P. Virga, La verifica
dei poteri, Palermo, 1949; L. Elia,
Elezioni politiche (contenzioso), in Enciclopedia del diritto, XIV, Roma,
1965; A. Manzella, La prerogativa della verifica dei poteri,
in Il Regolamento della Camera dei deputati. Storia, istituti, procedure,
1968; C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, I,
Padova, 1975; M.L. Mazzoni Honorati,
Osservazioni sulla verifica dei poteri in
Francia, Gran Bretagna, Germania federale e Italia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, n. 4; V.
Lippolis, Commento dell’art. 66
Cost., in Commentario della
Costituzione, a cura di G. Branca (proseguito da A. Pizzorusso), Bologna,
1986; V. Di Ciolo, L. Ciaurro, Elezioni. Elezioni politiche: contenzioso,
in Enc. giur., XII, Roma, 1989; M. Midiri, Cause di ineleggibilità e garanzie nel procedimento parlamentare di
verifica delle elezioni, in Giur.
cost., 1990, n. 3; V. Crisafulli, L.
Paladin, (a cura di), Art.
[4] Così D.
Dionisi che segue con attenzione questi temi sul sito https://www.iuritalia.it/
[5] Ci si consenta di rinviare a L. Trucco, Contenzioso elettorale e verifica dei poteri tra «vecchie» - ma mai superate - e «nuove» questioni, in Rass. Parl. 2006, pp. 814 ss.
[6]
Per quanto riguarda la giurisdizione ordinaria v. cfr. Corte Cass., n.
2036/1967, cit.; Corte Cass. 9 giugno 1997 n.
[7] Una puntuale manifestazione del primo approccio, si riscontra nelle decisioni n. 8118 e 8119 del 2006 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Cfr. Cass., Sezz. un. civ, sentt. nn. 8118/2006 e 8119/2006 cit.
[8] In questo senso v. TAR Lazio, sez. II-bis, sentt. del 20 aprile 2006 (sui ricorsi nn. 2319/2006, 2358/2006 e 2360/2006).
[9] Così TAR Catania, sent. n. 629 del 22 aprile 2006 (per un primo commento a cui, v. A. Cariola, L’ammissione delle liste elettorali alla ricerca di un giudice in https://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/Cariola_Ammissione_liste_elettorali.htm).
[10]
Così già negli anni sessanta la Corte di Cassazione ebbe modo di affermare il
carattere amministrativo degli uffici elettorali e dei provvedimenti che essi
emettono, sottraendoli conseguentemente al ricorso per Cassazione (cfr. Corte
Cass, sez. I, n. 2382 del 29 agosto
[11] V. l’attenta analisi al proposito di M.L. Honorati Mazzoni, Osservazioni sulla verifica dei poteri in Francia, Gran Bretagna, Germania Federale e Italia, in Riv. trim. dir. pubbl., 1983, p. 1412.
[12] Ci si riferisce, in particolare al tentativo esperito dalla commissione bicamerale D’Alema (su cui si rinvia a P. Costanzo, in P. Costanzo - G.G. Ferrari - G.G. Floridia - R. Romboli E S. Sicardi, La Commissione bicamerale per le riforme costituzionali: i progetti, i lavori, i testi approvati, Padova 1998, 412 e 426).
[13] Ci riferiamo a Corte cost., sent.
27 dicembre 1965, n. 93 che, seppure riguardo alle analoghe funzioni
«d’antica tradizione» un tempo esercitate dai consigli comunali e provinciali,
rilevò nell’occasione la necessità che in queste situazioni non vi fossero
incertezze derivanti dalla laconicità delle norme impugnate, dovendo queste
offrire e suggerire «garanzie per l’imparzialità del giudicante», a pena della
violazione dell’art. 108, 2° co. Cost.
[14] Esprimono quest’ordine di considerazioni, in particolare, le Cass., Sezz. un. civ, nelle sentt. nn. 8118 e 8119 del 6 aprile 2006.
[15] Tra gli altri cfr. P. Virga, La verifica dei poteri, Palermo, 1949 p. 9; A. Manzella, La prerogativa della verifica dei poteri, in Il Regolamento della Camera dei deputati, Storia, istituti, procedure, Roma, 1968, p. 191; V. Lippolis, Commento all’art. 66 Cost., in Commentario alla Costituzione (a cura di G. Branca, proseguito da A. Pizzorusso), Bologna-Roma, 1986, p. 234.
[16] Sulle fonti e prassi delle Camere in
materia v. G. Piccirilli, Contenzioso elettorale politico e verifica
dei poteri: riflessioni sulla effettività delle tutele procedimentali, in Rass. Parl. 2006, spec. pp. 802 e ss.
[17] Così TAR Campania, sez. di Salerno,
ord. n. 59 del 20 marzo 2008.
[19] V. nota n. 19.
[20] In particolare (prima delle ordd.
del Consiglio di Stato del 1° aprile 2008) il TAR
Catania, nella sent. n. 629/2006 cit. e il TAR Campania, sez. di Salerno,
nell’ord. n. 59/2008; contra, da
ultimo TAR Campania, sez. II, sent. n. 1614 del 27 marzo 2008.
[21] A sostegno di questa lettura
[22] Così TAR Umbria, ord. n. 49 del 2
aprile 2008.
[23] Per vero nel momento in cui si
scrive la decisione non è ancora disponibile. Abbiamo notizia della pronuncia
da parte dei quotidiani (v. sul web https://www.siciliainformazioni.com/giornale/politica/13966/sicilia-contro-pizza-respinto-ricorso.htm).
[24] Come dimostrerebbe,
del resto, la vicenda in parola, la cui definizione potrebbe avvenire ben oltre
la data di svolgimento del voto.
[25] Così G.
Piccirilli, Contenzioso elettorale
politico e verifica dei poteri: riflessioni sulla effettività delle tutele
procedimentali, cit. p. 807.
[26] Cfr. L. Trucco, Contenzioso elettorale e verifica dei poteri tra «vecchie» - ma mai superate - e «nuove» questioni, cit. p. 818.
[27] Di rigetto dell’opposizione avverso il provvedimento di sostituzione del contrassegno del 3 marzo 2008 del Ministero dell’Interno, presentata dalla “Democrazia Cristiana”.
[28] Così già Elia considerava la “giurisdizionalizzazione” «l’elemento decisivo per spossessare il Parlamento di questa sua prerogativa» (L. ELIA, Elezioni politiche (contenzioso), cit., p. 750).
[29] Dalla lista della «Rosa nel Pugno».
[30] Cfr. Tar Lazio, sentt. del 20 aprile 2006, cit.
[31] Cfr. TAR
Catania, sent. n. 629 del 22 aprile 2006, cit.
[32] Cfr. Tar Lazio, sentt. del 20 aprile
2006, cit.
[33] Da notare che il Ministero
dell’Interno non si era costituito in giudizio, volendo, forse, così
manifestare la sua volontà di rimanere neutrale alla vicenda. Del resto era
imprevedibile, dato l’orientamento giurisprudenziale in materia (v. nota n. 6)
che il Consiglio di Stato ponesse mano a una decisione di questo genere,
ammettendo in via cautelare la lista.
[34] Mentre sul piano politico, il
Ministro Amato parrebbe dare il massimo rilievo all’eventuale accoglimento del
ricorso, nel merito, del TAR Lazio, collegando a tale eventualità il possibile
rinvio delle elezioni (v.lo tra l’altro in https://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/topnews/news/2008-04-02_102175779.html).
[35] V. al proposito l’approfondita analisi di G. Piccirilli, Contenzioso elettorale politico e verifica dei poteri: riflessioni sulla effettività delle tutele procedimentali, cit. pp. 793 ss.; v. altresì le riflessioni in proposito di P. Costanzo, La verifica dei poteri un privilegio parlamentare sempre meno convincente, ibidem, p. 783
[36] Così l’Office for democratic institutions and human rights (OSCE), in
[37] Ciò posto, resta irrisolto il problema di come far fronte alla situazione che si è venuta a creare, visto e considerato che il “regolamento di giurisdizione” segue i termini del giudizio ordinario, rendendo (anche in questo caso) del tutto verosimile l’evenienza che la pronuncia della Cassazione arrivi ad elezioni ormai svolte.
A meno di non volersi ammettere “revisioni” di quanto verrà espresso nelle urne il 13 e 14 aprile prossimi, o della res giudicata, le Sezioni Unite potrebbero mettere mano ad una, invero problematica, pronuncia “manipolativa”, valevole solo per il futuro, oppure guardare “al passato”, “confermando” la decisione dell’Ufficio elettorale centrale dell’8 marzo cit.
L’alternativa è il rinvio delle elezioni in
attesa del formarsi del giudicato. In questo caso, peraltro, al già di per sé
problematico intervento, per decretazione d’urgenza, su di una materia
particolarmente delicata come quella elettorale (un precedente, che però
riguardava elezioni amministrative, è dato dal d.l. n.
710/1977; a proposito della decretazione d’urgenza in materia elettorale ci
si consenta di rinviare al L. Trucco,
Dai terremoti del 1968 alla soppressione delle
sottoscrizioni nel 2008: l’espansione della decretazione d’urgenza in materia
elettorale, in corso di pubblicazione), si aggiungerebbe quello ancor più
“drammatico” (per riprendere l’espressione di V.
Onida, Si può cambiare data se il
caso è drammatico, su
[38] Cfr. TAR
Catania, sent. n. 629 del 22 aprile 2006, cit.