- 22-04-2024

Nella sent. n. 66 del 2024, disponendo una tutela additiva, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) nella parte in cui stabili[va] che “la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, laddove l’attore e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione”.

La Corte ha censurato con ciò l’applicazione di un automatismo solutorio del rapporto di coppia in ragione dell’acquisita nuova identità di genere di uno dei suoi componenti, ravvisando la lesione del diritto inviolabile della persona alla propria identità (ex art. 2 Cost.), «di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione». Pertanto, nella specie, è stato dato contenuto al diritto inviolabile della persona di mantenere senza soluzione di continuità la pregressa tutela propria del precedente status, una volta condotto a compimento il percorso di affermazione della propria identità di genere, secondo principi di proporzione ed adeguatezza.

In via consequenziale, ricorrendo ancora ad un dispositivo additivo, la Corte ha dichiarato illegittimo l’art. 70-octies, c. 5, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile […]). 76», nella parte in cui non prevede[va] che “l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell’unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione”.