Sentenza n. 157 del 2019

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SENTENZA N. 157

ANNO 2019

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1 nonché dell’intero testo della legge della Regione Abruzzo 18 giugno 2018, n. 14 (Disposizioni in materia sanitaria), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 17-20 agosto 2018, depositato in cancelleria il 24 agosto 2018, iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Udito nell’udienza pubblica del 16 aprile 2019 il Giudice relatore Giulio Prosperetti;

udito l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 17-20 agosto 2018 e depositato il 24 agosto 2018 (reg. ric. n. 53 del 2018), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 18 giugno 2018, n. 14 (Disposizioni in materia sanitaria), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e 3 della Costituzione.

Il ricorrente rappresenta che l’art. l della legge regionale impugnata, rubricato «Disposizioni in materia di sanità convenzionata», dispone, al comma 1, il riconoscimento ai medici di continuità assistenziale, fino alla data di approvazione della delibera della Giunta regionale 18 luglio 2017, n. 398, un compenso aggiuntivo che, ai sensi dell’art. 13 (Trattamento economico), comma l, dell’Accordo integrativo regionale approvato con delibera della Giunta regionale 9 agosto 2006, n. 916, è pari ad euro 4 all’ora, quale indennità per i rischi legati alla tipologia dell’incarico.

Il successivo comma 2 precisa che detta indennità «si intende finalizzata alla remunerazione delle particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà in cui vengono rese le prestazioni sanitarie al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza e del contributo offerto, anche in termini di disponibilità, allo svolgimento di tutte le attività [...]».

1.1.– Secondo l’Avvocatura generale dello Stato il riconoscimento, ad opera dell’art. 1 della legge impugnata, del predetto compenso aggiuntivo si discosterebbe dai principi che ispirano l’Accordo collettivo nazionale (ACN) di settore che regola le attribuzioni degli incarichi ai medici di continuità assistenziale, preposti ad assicurare prestazioni assistenziali territoriali non differibili.

In proposito, il ricorrente espone che l’art. 67, comma l, dell’ACN 29 luglio 2009, di modifica dell’ACN del 23 marzo 2005, stabilisce che «[i]l medico di continuità assistenziale assicura le prestazioni sanitarie non differibili ai cittadini residenti nell’ambito territoriale afferente alla sede di servizio» e che il successivo comma 17 prevede che «[i]l medico di continuità assistenziale partecipa alle attività previste dagli Accordi regionali e aziendali. Per queste attività vengono previste quote variabili aggiuntive di compenso, analogamente agli altri medici di medicina generale che ad esse partecipano. Tali attività sono primariamente orientate, in coerenza con l’impianto generale del presente Accordo, a promuovere la piena integrazione tra i diversi professionisti della Medicina generale, anche mediante la regolamentazione di eventuali attività ambulatoriali».

Ad avviso della difesa dello Stato, da tali disposizioni contrattuali «deriva che ai medici di continuità assistenziale possono essere attribuite altre attività che si aggiungono alle normali funzioni istituzionali, ma queste ulteriori attività devono essere stabilite dagli Accordi collettivi regionali e aziendali e per la remunerazione delle stesse devono essere previste quote variabili aggiuntive di compenso» e che, conseguentemente, «[n]on possono, invece, essere previsti compensi aggiuntivi, volti ad indennizzare il medico per le particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà in cui vengono rese le prestazioni sanitarie da esso svolte, posto che, come sopra indicato, le predette quote variabili aggiuntive costituiscono la possibile remunerazione delle sole attività attribuite al medico in aggiunta rispetto a quelle istituzionali e la corresponsione del relativo compenso prescinde dalle particolari condizioni in cui è resa l’attività assistenziale».

In proposito il ricorrente evidenzia che, pur avendo l’art. 23 dell’ACN 29 luglio 2009 (di modifica all’articolo 72, comma l, dell’ACN del 23 marzo 2005) eliminato il riferimento ai «compensi lordi omnicomprensivi per ogni ora di attività svolta», tuttavia la nuova formulazione dell’art. 72 suddetto contiene pur sempre il riferimento alla rideterminazione dell’onorario professionale, prevedendo che «[a] far data dal l gennaio 2008 l’onorario professionale di cui all’art. 72, comma l dell’ACN 23 marzo 2005 è rideterminato in euro 22,03 per ogni ora di attività svolta [...]»; riferimento che, secondo la difesa dello Stato, deve comunque intendersi quale trattamento onnicomprensivo.

Ciò premesso, il ricorrente assume che con le ricordate previsioni dell’art. l della legge impugnata il legislatore regionale dell’Abruzzo eserciterebbe una competenza non propria, atteso che, ai sensi dell’art. 8, comma l, prima parte, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il rapporto tra il Servizio sanitario regionale, i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale, conformi agli accordi collettivi nazionali.

L’Avvocatura dello Stato al riguardo deduce che «quando – come nel caso in esame – un contratto collettivo nazionale determina, negli ambiti di disciplina ad esso riservati da una legge dello Stato, le materie e i limiti entro i quali deve svolgersi la contrattazione collettiva integrativa, non è consentito ad una legge regionale derogare a quanto in tal senso disposto dal contratto collettivo nazionale».

Secondo il ricorrente, dunque, «l’art. l della legge in esame, e l’intera legge regionale avente carattere normativo omogeneo (essendo composta di soli due articoli tra loro inscindibilmente connessi), invadono la competenza esclusiva statale in materia di “ordinamento civile”, alla quale è riconducibile la contrattazione collettiva, violando in tal modo l’art. 117, secondo comma, lett. l), Cost.», ledendo, al contempo, «l’esigenza connessa al precetto costituzionale di eguaglianza di cui all’art. 3, Cost., di garantire l’uniformità, sul territorio nazionale, delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti in questione».

2.– In prossimità dell’udienza l’Avvocatura generale dello Stato ha presentato memoria nella quale ha ribadito le argomentazioni addotte, insistendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della legge regionale impugnata.

3.– La Regione Abruzzo non si è costituita.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso depositato il 24 agosto 2018, ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, nonché dell’intera legge della Regione Abruzzo 18 giugno 2018, n. 14 (Disposizioni in materia sanitaria), in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e 3 della Costituzione.

L’art. 1 (Disposizioni in materia di sanità convenzionata) stabilisce al comma 1: «[f]ino all’approvazione della Delib.G.R. n. 398 del 18 luglio 2017, l’indennità aggiuntiva di cui al Capo II art. 13, comma 1, dell’Accordo Integrativo Regionale approvato con Delib.G.R. n. 916 del 9 agosto 2006, è confermata in quanto correlata allo svolgimento della attività di Continuità Assistenziale a garanzia del miglioramento dei servizi ai cittadini e dell’integrazione tra professionisti operanti nel settore delle prestazioni assistenziali della Medicina Convenzionata»; al comma 2: «[n]el rispetto delle competenze assegnate ai medici di Continuità Assistenziale ed in linea con gli obiettivi posti dall’art. 67 dell’Accordo Collettivo Nazionale del 23 marzo 2005 e s.m.i. e dei Principi Generali di cui all’art. 14, comma 9, dell’Accordo Collettivo Nazionale del 23 marzo 2005 e s.m.i., l’indennità di cui al comma 1 si intende finalizzata alla remunerazione delle particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà in cui vengono rese le prestazioni sanitarie al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza e del contributo offerto, anche in termini di disponibilità, allo svolgimento di tutte le attività, essendo prioritariamente orientate, in coerenza con l’impianto generale dell’Accordo Collettivo Nazionale vigente, a promuovere la piena integrazione tra i diversi professionisti della Medicina Generale e a garantire migliori standard qualitativi delle prestazioni sanitarie».

1.1.– Ad avviso del ricorrente, le predette disposizioni e l’intera legge regionale, in quanto avente carattere omogeneo, comportano una lesione della competenza statale in materia di «ordinamento civile», ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché a tale ambito di competenza deve ricondursi la disciplina del rapporto di lavoro tra il Servizio sanitario regionale e i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta. Ciò in quanto l’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), demanda la disciplina di tale rapporto ad apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali di settore.

In particolare, le disposizioni in materia di trattamento economico dei medici di continuità assistenziale dettate dal legislatore regionale contrasterebbero con quelle previste dall’art. 67, commi 1 e 17, dell’Accordo collettivo nazionale (ACN) del 29 luglio 2009, modificativo dell’ACN del 23 marzo 2005. Secondo la difesa dello Stato, tali disposizioni contrattuali, infatti, escludono che possano essere previsti compensi aggiuntivi al medico di continuità assistenziale, volti ad indennizzarlo per particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà in cui vengono rese le prestazioni sanitarie, in quanto le quote variabili aggiuntive previste dallo stesso Accordo collettivo costituiscono la possibile remunerazione delle sole attività attribuite al medico in aggiunta rispetto a quelle istituzionali, e prescindono dalle particolari condizioni in cui è resa l’attività.

1.2.– Inoltre, l’intervento del legislatore regionale, nell’incidere così su una disciplina di competenza statale, ad avviso del ricorrente, lede altresì il principio di uguaglianza posto dall’art. 3 Cost., poiché pregiudica l’uniformità di trattamento sul territorio nazionale delle regole che disciplinano il rapporto di lavoro in questione.

2.– La questione è fondata in quanto, per le ragioni di seguito illustrate, la legge regionale viola la competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.

2.1.– Il servizio di continuità assistenziale (già guardia medica) costituisce una articolazione della medicina generale, e si configura come uno specifico livello essenziale di assistenza, in quanto ha la funzione di garantire a tutti i cittadini, nell’ambito territoriale di competenza del presidio sanitario, l’assistenza svolta dal medico di medicina generale e dal pediatra di libera scelta nelle ore in cui il servizio non è da essi assicurato.

La prestazione è resa da medici che sono, al pari degli altri medici di medicina generale, in rapporto convenzionale con il Servizio sanitario nazionale, con la competente azienda sanitaria locale.

La Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale costituisce un rapporto privatistico di lavoro autonomo di tipo professionale con la pubblica amministrazione; rapporto riconducibile dunque all’art. 2222 del codice civile, che per la sua particolare disciplina si configura in termini di “parasubordinazione” (Corte di cassazione, sezioni unite, ordinanza 21 ottobre 2005, n. 20344; sezione lavoro, sentenza 8 aprile 2008, n. 9142).

2.2.– La disciplina del rapporto di lavoro in oggetto è stata configurata, fin dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), in termini di necessaria uniformità sul territorio nazionale, assicurata attraverso la piena conformità delle convenzioni alle previsioni dettate dagli accordi collettivi.

L’art. 48 (Personale a rapporto convenzionale) della legge n. 833 del 1978 stabilisce, difatti, che «[l]’uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantita sull’intero territorio nazionale da convenzioni, aventi durata triennale, del tutto conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati tra il Governo, le regioni e l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in campo nazionale di ciascuna categoria. […] L’accordo nazionale di cui al comma precedente è reso esecutivo con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri. […] È nullo qualsiasi atto, anche avente carattere integrativo, stipulato con organizzazioni professionali o sindacali per la disciplina dei rapporti convenzionali. […] È altresì nulla qualsiasi convenzione con singoli appartenenti alle categorie di cui al presente articolo. Gli atti adottati in contrasto con la presente norma comportano la responsabilità personale degli amministratori».

Il ricordato comma 1 dell’art. 8 (Disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali) del d.lgs. n. 502 del 1992 – evocato in particolare dal ricorrente come norma interposta – per un verso ha ribadito e precisato che il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati, ai sensi dell’art. 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale; e per altro verso ha stabilito che tali accordi «devono tenere conto dei seguenti principi: […] d) ridefinire la struttura del compenso spettante al medico, prevedendo una quota fissa per ciascun soggetto iscritto alla sua lista, corrisposta su base annuale in rapporto alle funzioni definite in convenzione; una quota variabile in considerazione del raggiungimento degli obiettivi previsti dai programmi di attività e del rispetto dei conseguenti livelli di spesa programmati di cui alla lettera f); una quota variabile in considerazione dei compensi per le prestazioni e le attività previste negli accordi nazionali e regionali, in quanto funzionali allo sviluppo dei programmi di cui alla lettera f); […]».

Funzionale alla definizione di tale assetto regolatorio è la previsione recata dal comma 9 dell’art. 4 (Assistenza sanitaria) della legge n. 412 del 1991.

Nel testo modificato dall’art. 52, comma 27, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2003)», la citata previsione stabilisce, in particolare, che «[c]on accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, è disciplinato il procedimento di contrattazione collettiva relativo ai predetti accordi tenendo conto di quanto previsto dagli articoli 40, 41, 42, 46, 47, 48 e 49 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».

Infine, l’art. 2-nonies del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 81 (Interventi urgenti per fronteggiare situazioni di pericolo per la salute pubblica), convertito, con modificazioni, nella legge 26 maggio 2004, n. 138, ha confermato la così delineata struttura di regolazione del contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale, «garantito sull’intero territorio nazionale da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati mediante il procedimento di contrattazione collettiva definito con l’accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano previsto dall’articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e successive modificazioni», precisando che «[t]ale accordo nazionale è reso esecutivo con intesa nella citata Conferenza permanente, di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281».

2.3.– In base al riferito quadro normativo, la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale in regime di convenzione, sebbene sia di natura professionale, risulta dunque demandata all’intervento della negoziazione collettiva, il cui procedimento è stato modellato dal legislatore con espresso richiamo a quello previsto per la contrattazione collettiva dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) per il personale della pubblica amministrazione il cui rapporto è stato privatizzato.

Particolare rilievo assume il ricordato richiamo, operato dall’art. 4 della legge n. 412 del 1991, all’art. 40 (Contratti collettivi nazionali e integrativi) del d.lgs. n. 165 del 2001, in materia di rapporto tra i diversi livelli di negoziazione collettiva (nazionale, regionale e aziendale), secondo cui la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono. A garanzia del rispetto di tali stringenti vincoli, lo stesso art. 40 dispone la nullità e l’inapplicabilità di clausole dei contratti collettivi integrativi difformi dalle previsioni del livello nazionale. In tal senso, le previsioni già presenti nell’originario testo dell’art. 40 sono state poi rafforzate dalle modifiche introdotte dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni).

2.4.– In vigenza e in attuazione delle citate disposizioni statali, il 23 marzo 2005 è intervenuto l’ACN per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, a seguito dell’intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

Tale Accordo, poi modificato e integrato dall’ACN del 29 luglio 2009, stabilisce, alla lettera o) dell’art. 3 (Negoziazione nazionale), che sia il livello di contrattazione nazionale a definire la struttura del compenso, mentre l’art. 4 (Negoziazione regionale) individua gli specifici aspetti rimessi alla definizione della negoziazione regionale.

Riguardo al trattamento economico dei medici di continuità assistenziale, è l’art. 72 dell’Accordo nazionale a stabilire l’entità del compenso orario per l’attività svolta, mentre l’art. 67, comma 17, prevede quote aggiuntive di compenso per la partecipazione del medico alle attività previste dagli accordi regionali e aziendali.

Il successivo comma 18 prevede poi che «[c]on gli accordi regionali e aziendali sono individuati gli ulteriori compiti e le modalità di partecipazione del medico di continuità assistenziale alle attività previste nelle equipes territoriali, nelle Utap, nelle altre forme organizzative delle cure primarie».

2.5.– Nel contesto così illustrato interviene l’Accordo integrativo regionale (AIR) abruzzese per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, approvato con deliberazione della Giunta regionale 9 agosto 2006, n. 916, il cui art. 13, comma 1, del Capo II, recante la disciplina della continuità assistenziale, stabilisce in materia di trattamento economico che «[a]l medico di continuità assistenziale spetta il compenso aggiuntivo di euro 4/ora quale indennità per i rischi legati alla tipologia dell’incarico».

2.6.– L’art. 1 della legge impugnata, nel confermare la predetta disposizione dell’art. 13, comma 1, Capo II, dell’AIR abruzzese fino alla data di entrata in vigore della delibera della Giunta regionale 18 luglio 2017, n. 398, fornisce poi una “interpretazione” della finalizzazione del compenso aggiuntivo ivi riconosciuto alle «particolari e specifiche condizioni di disagio e difficoltà» in cui vengono rese le prestazioni sanitarie, e del «contributo» offerto allo svolgimento di tutte le attività.

Così disponendo, la legge regionale impugnata incide, con ogni evidenza, su un aspetto del trattamento economico dei medici di continuità assistenziale che l’ordinamento nazionale demanda alla fonte negoziale collettiva ai sensi, in particolare, dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992.

Le ragioni di un tale intervento del legislatore regionale abruzzese si evincono dalla lettura congiunta dei lavori preparatori e della ricordata delibera della Giunta regionale n. 398 del 2017.

Emerge difatti che, a seguito dell’indagine disposta dalla competente Procura regionale della Corte dei conti in ordine agli oneri a carico della finanza pubblica prodotti dalla citata previsione dell’art. 13, comma 1, Capo II, dell’Accordo integrativo regionale, in quanto ritenuta difforme dalle ricordate previsioni dell’art. 72 dell’ACN, la Giunta regionale ha innanzitutto adottato la delibera n. 398 del 2017, con cui si è disposta la sospensione dell’erogazione della indennità sospettata di illegittimità. Al contempo, è stato attivato il percorso che ha portato all’approvazione della legge regionale in esame che, nel confermare la indennità in questione fino all’adozione della predetta delibera, ne “sostituisce” la fonte negoziale e amministrativa (AIR, recepito dalla delibera della Giunta Regione Abruzzo 9 agosto 2006, n. 916), legittimandone l’avvenuta erogazione.

3.– Sulla scorta di quanto fin qui esaminato, l’intervento normativo impugnato risulta chiaramente lesivo della competenza statale in materia di «ordinamento civile», in quanto la disciplina del rapporto di lavoro dei medici di continuità assistenziale è riconducibile a tale materia, prevedendone il legislatore nazionale una regolazione uniforme, garantita dalla piena conformità del rapporto alle previsioni dettate dagli accordi collettivi di settore.

Indubbiamente la costante giurisprudenza di questa Corte sulla riconduzione all’ambito della predetta competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., della disciplina del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni si è formata in riferimento al lavoro subordinato “contrattualizzato” (ex plurimis, da ultimo, sentenze n. 10 del 2019 e n. 196 del 2018), ed è riguardo a tale tipo di rapporto che si è riconosciuto il ruolo della contrattazione collettiva come «imprescindibile fonte» cui la legge demanda aspetti di notevole rilievo (in particolare, sentenza n. 178 del 2015).

Tuttavia, già con la sentenza n. 186 del 2016 questa Corte ha affermato che, pur qualificandosi il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale con il Servizio sanitario nazionale nei ricordati termini di “parasubordinazione” prima indicati, non sussistono apprezzabili differenze rispetto alla ricordata giurisprudenza elaborata in ordine al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato.

Nella citata decisione si afferma, difatti, che la contrattazione collettiva nazionale del settore, che si esprime nell’accordo collettivo, fondata sulle previsioni delle norme statali precedentemente illustrate, «è certamente parte dell’ordinamento civile», in quanto «si inserisce nel peculiare sistema integrato delle fonti cui la legge statale pone un forte presidio per garantirne la necessaria uniformità». Pertanto, si configurano le stesse esigenze di disciplina uniforme dei rapporti convenzionali dei medici con il Servizio sanitario nazionale, poiché la regolazione specifica è la risultante di una forte integrazione tra la normativa statale e la contrattazione collettiva nazionale, con una rigorosa delimitazione degli ambiti della contrattazione decentrata e con un limitato rinvio alla legislazione regionale per aspetti e materie ben definite, secondo lo schema comune al pubblico impiego contrattualizzato, come reso evidente dal ricordato richiamo operato dall’innovato art. 4 della legge n. 412 del 1991 alla disciplina del procedimento di contrattazione collettiva dettata dal d.lgs. n. 165 del 2001.

3.1.– Resta assorbita la censura formulata in riferimento all’art. 3 Cost.

3.2.– La riscontrata illegittimità costituzionale delle previsioni dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 14 del 2018, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., si estende all’intera legge, in quanto le disposizioni recate dall’art. 2 (Disposizioni finanziarie) e dall’art. 3 (Entrata in vigore) sono con ogni evidenza prive di una loro autonoma portata normativa, essendo meramente funzionali all’attuazione delle previsioni recate dall’art. 1 (ex plurimis, per analoghe estensioni, sentenze n. 228 e n. 81 del 2018, n. 14 del 2017 e n. 201 del 2008).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la illegittimità costituzionale della legge della Regione Abruzzo 18 giugno 2018, n. 14 (Disposizioni in materia sanitaria).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 aprile 2019.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giulio PROSPERETTI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 25 giugno 2019.