SENTENZA
N. 30
ANNO
2019
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giorgio LATTANZI;
Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò
ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art.
32, comma 1, lettera a), della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in
materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori
involontariamente disoccupati) e dell’art. 1, comma 55, della legge
24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007
su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita
sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale)
, promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente
tra Mohammed Mounji e altro e l’Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS), con ordinanza
del 24 novembre 2017, iscritta al n. 36 del registro ordinanze 2018 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno
2018.
Visti gli atti di costituzione di Mohammed Mounji e dell’INPS, nonché l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica
del 22 gennaio 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra;
uditi gli avvocati Silvia
Assennato e Gioia Sacconi per Mohammed Mounji,
Vincenzo Stumpo per l’INPS e l’avvocato dello Stato
Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.– Con ordinanza del
24 novembre 2017 (reg. ord. n. 36 del 2018), la Corte
di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione,
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, lettera a),
della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al
lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati), e
dell’art. 1, comma 55, della legge 24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di
attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e
competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori
norme in materia di lavoro e previdenza sociale).
1.1.– La Corte di cassazione riferisce in punto
di fatto di essere investita del ricorso proposto da Mohammed Mounji e da Azedine Mounji – lavoratori agricoli a tempo indeterminato dal 1992
al 2008, licenziati il 31 dicembre 2008 – contro l’Istituto nazionale della previdenza
sociale (INPS) avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia n. 159 del
2012 che aveva rigettato l’appello degli stessi lavoratori avverso la sentenza
del Tribunale ordinario di Mantova che aveva respinto la loro domanda intesa a
ottenere «l’indennità di disoccupazione per l’anno 2009». Con la citata
sentenza, la Corte d’appello di Brescia aveva ritenuto irrilevante la questione
di legittimità costituzionale della disciplina dell’indennità di disoccupazione
agricola dettata dall’art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del
1949, in quanto i lavoratori ricorrenti avevano precisato di non avere diritto
a tale indennità perché non iscritti negli appositi elenchi, con ciò
«acquietandosi del diniego» della stessa da parte dell’INPS, non impugnato
nella causa. Essa aveva inoltre ribadito che i ricorrenti non avevano diritto
all’indennità di disoccupazione ordinaria non agricola, in quanto i loro
contributi erano stati versati nella «gestione agricola» dell’INPS. La Corte
rimettente espone che il ricorso per cassazione è proposto per due motivi. Con
il primo, è dedotta la violazione dell’art. 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88
(Ristrutturazione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale e
dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro).
Tale disposizione ha previsto che «tutti i contributi versati» affluiscono in
un’«unica gestione» che eroga le prestazioni
previdenziali temporanee. Pertanto i giudici di merito avrebbero errato nel
ritenere che i contributi versati dai ricorrenti erano destinati al
finanziamento esclusivamente dell’indennità di disoccupazione agricola e che
essi non avevano perciò i requisiti per ottenere l’indennità di disoccupazione
non agricola. Con il secondo motivo, è dedotta l’omessa pronuncia sulla
domanda, proposta in via subordinata, di riconoscimento dell’indennità di
disoccupazione agricola, previa rimessione alla Corte costituzionale di
questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, lettera a),
della legge n. 264 del 1949. Si precisa che l’INPS ha resistito con
controricorso eccependo, quanto al primo motivo, che ai ricorrenti non spetta
l’indennità di disoccupazione non agricola perché, nel biennio anteriore alla
cessazione del rapporto di lavoro, non hanno il requisito di cinquantadue
settimane di contribuzione versata nella gestione per l’assicurazione contro
tale disoccupazione; quanto al secondo motivo, che la questione di legittimità
costituzionale prospettata dai ricorrenti è irrilevante perché nel giudizio non
era stata proposta alcuna domanda di riconoscimento dell’indennità di
disoccupazione agricola.
1.2.– La Corte di
cassazione espone alcune premesse in punto di diritto.
Essa afferma anzitutto che, in base al censurato
art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949, ai lavoratori
agricoli a tempo indeterminato, spetta un’indennità di disoccupazione per una
durata pari alla differenza tra il numero di 270 e il numero delle giornate di
lavoro prestate nell’anno (con il limite di 180 giornate annue). Da ciò
conseguirebbe che «[a] chi ha lavorato per un periodo di tempo superiore non
spetta nessuna indennità di disoccupazione agricola». Il giudice rimettente
aggiunge che lo stesso art. 32, primo comma, lettera a), non estende ai
lavoratori agricoli a tempo indeterminato il trattamento ordinario di
disoccupazione.
La Corte di cassazione asserisce, in secondo
luogo, che, in base al censurato art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007,
al lavoratore agricolo a tempo determinato, che superi 270 giornate di lavoro
prestate nell’anno e perda il lavoro in prossimità della fine dello stesso,
spetta l’indennità di disoccupazione per un numero di giornate pari a quelle in
cui ha lavorato, entro il limite di 365 giornate.
Il giudice rimettente espone poi che, nonostante
quanto disposto dall’art. 24 della legge n. 88 del 1989, i due sistemi
assicurativi contro la disoccupazione, rispettivamente, ordinaria e agricola,
«non [sono] complementari», sicché «[l]’ordinamento […] non consente […] che
venga erogata l’indennità di disoccupazione ordinaria ai lavoratori agricoli a
tempo indeterminato».
Il giudice a quo rappresenta ancora la
specificità del sistema di protezione contro la disoccupazione agricola,
evidenziando che la distinzione di tale sistema rispetto alla protezione contro
la disoccupazione non agricola è oggi positivamente stabilita dall’art. 2,
comma 3, della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) e dall’art. 2, comma 1,
del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della
normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione
involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione
della legge 10 dicembre 2014, n. 183); disposizioni che, entrambe, escludono
«gli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato» dall’accesso alle
nuove prestazioni dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI)
e della Nuova prestazione di assicurazione sociale per l’impiego (NASpI).
La specificità della prestazione assicurativa
riconosciuta ai disoccupati agricoli starebbe, in particolare, nel fatto che
essa «consiste […] nell’erogazione, in una unica soluzione, di un’indennità
nell’anno successivo a quello in cui si è verificato l’evento della cessazione
del rapporto di lavoro; a prescindere dalla permanenza o meno dello stato di
disoccupazione del lavoratore».
1.3.– Ciò premesso, il
rimettente afferma che le questioni sollevate «in relazione alla disciplina
della disoccupazione agricola e non agricola» sono rilevanti in quanto si deve
ritenere che i ricorrenti «abbiano proposto in giudizio due domande, chiedendo
il riconoscimento di uno dei trattamenti (disoccupazione ordinaria e
disoccupazione agricola) previsti […] contro lo stato di disoccupazione
involontaria». Tali due domande mostrerebbero che lo scopo del giudizio
instaurato dai lavoratori ricorrenti era di «ottenere una delle prestazioni
previste contro lo stato di disoccupazione involontaria, dovendo le domande
essere interpretate alla luce del bene della vita il cui conseguimento muove al
giudizio». Non rileverebbe pertanto che nelle conclusioni del ricorso
introduttivo non fosse contenuta l’esplicita richiesta di accertamento del
diritto alla prestazione di disoccupazione agricola e di condanna dell’INPS al
pagamento di essa, «dovendo ritenersi che la stessa istanza fosse implicita
nella richiesta di rimessione della questione di costituzionalità dell’art. 32
[…] 1° comma legge 264/49 e comunque presente nel contenuto complessivo del
ricorso».
Il giudice a quo precisa che «viene in rilievo
la disciplina […] vigente alla data dei fatti di causa, avendo i ricorrenti
chiesto l’indennità di disoccupazione per l’anno 2009 essendo stati licenziati
nel 2008».
Sarebbe invece inapplicabile, ratione temporis, la disciplina
che risulta dall’art. 2, comma 3, della legge n. 92 del 2012 e dall’art. 2,
comma 1, del d.lgs. n. 22 del 2015, i quali assoggetterebbero tutti i
lavoratori agricoli, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, alla
disciplina dell’art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007.
1.4.– Quanto alla non
manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente afferma di sollevarle
«sotto il profilo della mancanza, inadeguatezza ed irragionevolezza della
tutela contro la disoccupazione riservata dall’ordinamento ai lavoratori
agricoli a tempo indeterminato che come i ricorrenti siano stati licenziati
verso la fine dell’anno […], dopo aver lavorato per 270 giornate».
Dopo avere richiamato la giurisprudenza della
Corte costituzionale in tema di protezione dei lavoratori agricoli contro la
disoccupazione involontaria, il giudice a quo afferma che la specificità di
tale protezione e la discrezionalità del legislatore al riguardo non
consentono, comunque, alla stregua degli artt. 3 e 38 Cost.,
che i lavoratori agricoli a tempo indeterminato licenziati verso la fine
dell’anno siano privati di qualsiasi tutela contro la disoccupazione
involontaria.
Né sarebbe compatibile con la Costituzione una
disciplina della disoccupazione agricola che è «congegnata senza tener conto
delle condizioni oggettive del mercato del lavoro, del tipo di lavoro prestato
e del bisogno in quanto tale (mancanza di lavoro)».
Secondo il rimettente, la speciale disciplina
della disoccupazione agricola sarebbe conforme a Costituzione «se rimane
coerente alle caratteristiche occupazionali intermittenti e di tipo stagionale
proprie del settore agricolo; secondo fasi determinate dalle culture praticate
e dalle condizioni metereologiche», mentre non sarebbe «razionale ed equa (art.
3 Cost.)», quando vengano in rilievo «contratti come quelli a tempo
indeterminato legati a condizioni di lavoro che non hanno le caratteristiche di
discontinuità che sono supposte a fondamento della specialità della stessa
disciplina».
Il giudice a quo afferma, in particolare, che
verrebbero in rilievo «attività lavorative e professionalità impiegate in
settori produttivi che non sono legati a cicli stagionali», come dimostrato dal
caso dei lavoratori ricorrenti che, prima di essere licenziati, avevano
lavorato, versando i contributi, per sedici anni, «per poi essere lasciati
senza alcun ammortizzatore sociale alla fine del rapporto di lavoro».
Il rimettente rappresenta inoltre che si
tratterebbe di lavoratori che, per la loro professionalità – inerente, appunto,
a settori non connotati da «discontinuità produttiva» –, potrebbero non trovare
alcun impiego nell’anno successivo, sicché non si spiegherebbe perché, davanti
«allo stesso spettro della disoccupazione» in tale anno, essi siano privati di
qualunque tutela, «benché sussista lo stato di disoccupazione involontaria al
pari degli altri lavoratori dipendenti a tempo indeterminato».
Andrebbe ancora considerato che l’inquadramento
previdenziale dei lavoratori segue la qualificazione del loro datore di lavoro
e che, tenuto conto dell’ampia nozione di imprenditore agricolo dettata
dall’art. 2135 del codice civile, molte delle attività svolte dai lavoratori
agricoli a tempo indeterminato «non sono necessariamente contraddistinte da
fasi di lavoro discontinue e da cicli stagionali tali da garantire soltanto
condizioni di lavoro discontinuo».
Ciò nonostante, «secondo l’ordinamento vigente ratione temporis», i dipendenti a
tempo indeterminato di tali imprese, per il solo fatto di essere stati
licenziati il 31 dicembre, «non percepiscono alcuna indennità di
disoccupazione, secondo il meccanismo di computo dell’indennità ancorato alle
270 giornate indennizzabili, benché dal punto di vista contributivo possano
aver già maturato i requisiti per ottenere la prestazione di disoccupazione
comune nonostante i loro contributi affluiscano all’unica gestione per le
prestazioni temporanee».
Perciò non si giustificherebbe un sistema
indennitario contro la disoccupazione dei lavoratori agricoli a tempo
indeterminato «costruito esclusivamente sulla base del meccanismo delle
giornate indennizzabili (ex art. 32 l. 264/1949), in relazione alle giornate
lavorate nell’anno precedente e pertanto inidoneo a dare una adeguata tutela ai
lavoratori che perdono il lavoro verso la fine dell’anno; con lesione del loro
diritto alla protezione secondo l’art. 38 della Costituzione […]. Non si scorge
cioè alcuna apprezzabile ragione, ex art. 3 Cost., in
base alla quale il trattamento dello stato di disoccupazione di tali lavoratori
– simile a quello dei lavoratori a tempo indeterminato degli altri settori –
sia rapportato invece alle modalità di protezione dei lavoratori agricoli a
tempo determinato per tradursi praticamente in una mancanza di tutela».
Sotto un «diverso profilo», non si
giustificherebbe, alla stregua dell’art. 3 Cost., che
i lavoratori agricoli a tempo indeterminato in questione siano trattati in modo
deteriore anche, «almeno con riferimento al periodo di tempo che viene in
rilievo nella causa», rispetto agli stessi operai agricoli a tempo determinato,
«da cui mutuano le caratteristiche fondamentali della modulazione del sistema
di protezione (le giornate indennizzabili)». Questi ultimi, infatti, a parità
di lavoro nell’anno, oltre le 270 giornate, godono di una tutela più ampia,
dato che l’art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007 assicura loro
un’integrazione nell’anno successivo del reddito percepito nell’anno precedente
«qualsiasi sia il numero delle giornate lavorate fino al 31.12».
Il giudice rimettente argomenta che, poiché
l’indennità di disoccupazione agricola costituisce un’integrazione del reddito
percepito nell’anno precedente, non si comprenderebbero la funzione e il motivo
di tale disparità di trattamento, per cui, a fronte della stessa data di
cessazione del rapporto di lavoro a ridosso della fine dell’anno, il lavoratore
a tempo determinato percepisce un’integrazione reddituale mentre quello a tempo
indeterminato non ne percepisce alcuna.
Il giudice a quo asserisce infine che le
questioni sollevate sono diverse da quelle oggetto della sentenza della
Corte costituzionale n. 194 del 2017 perché non riguardano, come in quel
caso, il «computo del requisito contributivo (pacificamente sussistente e non
contestato in capo ai ricorrenti)», ma sono dirette a «garantire in concreto
l’individuazione e l’erogazione di un trattamento protettivo per chi ha
lavorato, nel 2008, fino alla fine dell’anno e comunque oltre le 270 giornate
all’anno (limite non valevole per i lavoratori a tempo determinato)».
1.5.– Il rimettente chiede, «allo scopo», alla
Corte costituzionale di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle «norme
indicate», in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., «laddove escludono (l’art.
32 n. 264/1949) che venga corrisposto ai lavoratori agricoli a tempo
indeterminato, in possesso dei requisiti assicurativi, il trattamento di
disoccupazione ordinario riservato agli altri lavoratori a tempo indeterminato;
ed, in subordine, laddove non prevedono (l’art. 32 cit. e l’articolo 1 della
legge 24 dicembre 2007, n. 247) che si applichi ai medesimi lavoratori agricoli
lo stesso trattamento previsto per i lavoratori a termine».
La Corte di cassazione solleva quindi questione
di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo comma, lettera a), della
legge n. 264 del 1949 e dell’art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007,
«nella parte in cui escludono la protezione contro lo stato di disoccupazione
dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato nei termini di cui ai motivi».
2.– Si è costituito nel
giudizio Mohammed Mounji, ricorrente nel processo
principale, chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate fondate.
2.1.– La parte sottolinea
che in tale processo aveva chiesto il riconoscimento di «uno dei trattamenti
[di] disoccupazione ordinaria o agricola» – dopo che l’INPS li aveva entrambi
negati, rigettando le sue domande –, con la conseguente rilevanza delle
questioni.
2.2.– Quanto al merito
delle stesse, egli afferma di condividere le argomentazioni dell’ordinanza di
rimessione.
Dopo avere rappresentato che, in base all’art.
32 della legge n. 264 del 1949, al lavoratore agricolo a tempo indeterminato
licenziato dopo avere lavorato per più di 270 giornate non spetta alcuna
indennità di disoccupazione, la parte asserisce che le disposizioni censurate,
negando ogni tutela in caso di disoccupazione involontaria dei lavoratori
agricoli a tempo indeterminato «licenziati verso la fine dell’anno»,
violerebbe, anzitutto, l’art. 38 Cost.
Secondo lo stesso ricorrente, le disposizioni censurate
violerebbero anche l’art. 3 Cost.
Ciò, in primo luogo, sotto il profilo
dell’ingiustificata disparità di trattamento delle due categorie,
«sostanzialmente omogenee», dei lavoratori a tempo indeterminato agricoli e non
agricoli. La parte sottolinea al riguardo che, «fondandosi la specificità del
lavoro agricolo sulla stagionalità, dal punto di vista del lavoratore a tempo
indeterminato non è ragionevolmente giustificabile la […] difformità di
trattamento con gli altri lavoratori del settore non agricolo in assenza delle
condizioni di discontinuità poste a fondamento della specialità della
disciplina agricola».
La violazione dell’art. 3 Cost. sussisterebbe, in secondo luogo, «rispetto ai lavoratori
agricoli a tempo determinato, a parità di periodo lavorativo, oltre le 270
giornate».
3.– Si è costituito nel
giudizio l’INPS, resistente nel processo principale, chiedendo che le questioni
sollevate siano dichiarate inammissibili o infondate.
3.1.– Dopo avere
ricostruito il quadro «storico-normativo» dell’indennità ordinaria di
disoccupazione per gli operai del settore agricolo, l’INPS afferma la notevole
diversità di questa prestazione rispetto a quella in favore dei lavoratori
degli altri settori produttivi. La prima è riconosciuta per un periodo di disoccupazione
già completamente trascorso; è determinata in base al numero delle giornate di
lavoro prestate nell’anno di riferimento; è erogata l’anno successivo a quello
della cessazione del rapporto di lavoro. Essa, pertanto, «assicura […] dal
bisogno per periodi di inattività già decorsi […] e garantisce al disoccupato
del settore agricolo un "minimo di reddito annuo”, indipendentemente dalla
condizione di occupazione o disoccupazione del lavoratore al momento in cui il
sussidio viene chiesto e liquidato».
L’indennità ordinaria di disoccupazione per gli
operai del settore agricolo «si qualifica sostanzialmente come una forma di
integrazione salariale concessa ex post […] senza alcun collegamento con la
ricerca di nuova occupazione».
3.2.– Tanto premesso,
secondo l’INPS le questioni sollevate sarebbero, anzitutto, inammissibili.
3.2.1.– Tale
inammissibilità sarebbe dovuta, in primo luogo, al difetto di motivazione sulla
rilevanza delle stesse.
L’INPS eccepisce, in particolare, che il giudice
rimettente non si sarebbe «fatt[o] carico di motivare
in ordine alla concreta impossibilità degli assicurati nel giudizio a quo di
ottenere l’indennità di disoccupazione agricola, applicando il principio […]
enunciato con la […] sentenza n.
194/2017» – segnatamente, quello secondo cui, «[i]n situazioni analoghe a
quella oggetto del giudizio a quo […] il lavoratore agricolo a tempo
indeterminato potrà […] ottenere l’indennità di disoccupazione agricola per
l’anno "per il quale [essa] è richiesta” […], dato che, pur in mancanza di
contributi accreditati in tale anno, avendo lavorato per l’intero anno
"precedente” […], ha senz’altro conseguito, in tale solo anno, il necessario
accredito "complessivo” di almeno 102 contributi giornalieri» (punto 3. del Considerato in diritto).
Lo stesso Istituto afferma ancora che le
questioni sollevate sarebbero «comunque irrilevant[i]
qualora si volesse far riferimento alla disoccupazione agricola per l’anno
2009», giacché il rimettente non ha addotto la proposizione della relativa domanda
amministrativa entro il 31 marzo dell’anno successivo 2010, «circostanza […]
che comporta ictu oculi l’improponibilità dell’azione
giurisdizionale per ottenere l’indennità di disoccupazione agricola per l’anno
2009».
3.2.2.– L’inammissibilità
delle questioni sarebbe dovuta, in secondo luogo, al fatto che la «soluzione»
prospettata nell’ordinanza di rimessione comporterebbe «un intervento di
carattere additivo-manipolativo» tale da minare «l’intera architettura della
tutela della disoccupazione in agricoltura».
L’INPS deduce che l’accoglimento delle questioni
sollevate determinerebbe «un vuoto normativo […] dirompente per l’imponderabile
effetto "a cascata” che esso avrebbe su una numerosa serie di disposizioni
normative».
3.2.3.– La questione
sollevata in via subordinata sarebbe, infine, inammissibile perché il giudice a
quo non avrebbe «compiutamente ricostruito il quadro normativo applicabile».
L’INPS osserva in proposito che «il parametro
delle 270 giornate non è più in vigore» a seguito del disposto dell’art. 1,
comma 2, del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 108 (Disposizioni urgenti in
materia di sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, nella
legge 1° giugno 1991, n. 69, con la conseguenza che, per tutti gli operai
agricoli, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato, «la modalità di
calcolo della durata e della misura dell’indennità ordinaria di disoccupazione
agricola […] è parametrata sulle 365 giornate dell’anno solare».
3.3.– Ad avviso dell’INPS
le questioni sollevate sarebbero, comunque, infondate.
3.3.1.– Non sussisterebbe,
anzitutto, la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il
profilo della discriminazione, nell’ambito dei lavoratori a tempo
indeterminato, di quelli del settore agricolo rispetto a quelli degli altri settori
produttivi.
Secondo l’INPS, tale discriminazione sarebbe
esclusa «in radice» dalla non omogeneità dei termini posti a raffronto.
L’INPS deduce che la normativa di tutela contro la
disoccupazione in ambito agricolo è distinta da quella prevista per gli altri
settori produttivi perché fa parte «di un corpus di norme di favore per il
settore agricolo giustificata storicamente dalle differenze di sistemi
produttivi e di organizzazione aziendale».
Secondo lo stesso Istituto, la diversità e la
specificità del settore lavorativo agricolo rispetto agli altri settori
giustificano le specificità circa la misura e la riscossione dei contributi,
l’individuazione e l’accertamento dei soggetti protetti, la disciplina delle
prestazioni previdenziali e, in particolare, dello statuto previdenziale della
disoccupazione involontaria.
Le diversità e le peculiarità delle due
categorie di lavoratori a tempo indeterminato giustificherebbero le diverse modalità
di tutela in caso di disoccupazione involontaria atteso che, nel settore
agricolo, «la funzione dell’indennità di disoccupazione è piuttosto diretta ad
incentivare i lavoratori a continuare a prestare la propria attività lavorativa
in questo settore produttivo, consentendo, così, la continuazione dell’attività
agricola».
Ciò costituirebbe la ratio della tutela contro
la disoccupazione nel settore agricolo, diretta «ad integrare il reddito anno
per anno, nei periodi di mancato svolgimento di attività lavorativa,
indistintamente, a prescindere dunque dalla stabilità dell’intercorso lavoro,
purché l’anno di riferimento includa un periodo privo di lavoro».
La quantità di lavoro svolta nell’anno di
riferimento costituirebbe allora «un mero dato fattuale», inidoneo a incidere
sulla legittimità costituzionale della disciplina.
L’INPS osserva ancora che indubbiamente il
lavoratore a tempo determinato versa in periodi di mancanza di lavoro nel corso
dell’anno con maggiore frequenza del lavoratore a tempo indeterminato. Ciò,
tuttavia, non comporterebbe che quest’ultimo «possa dolersi di tale mera ed
accidentale circostanza di fatto». Non potrebbe, infatti, sentirsi discriminato
colui che, trovandosi in una situazione di stabilità del rapporto di lavoro, più
difficilmente incorre nella situazione di bisogno definita dal legislatore
nell’ambito della previdenza in agricoltura, «consistente nella "integrazione
del salario” ex post per i periodi non lavorati nel corso dell’anno di
riferimento».
Né sarebbe decisiva la deduzione del rimettente
secondo cui verrebbero in rilievo «attività lavorative e professionalità
impiegate in settori produttivi che non sono legati a cicli stagionali». Ciò
che rileverebbe, infatti, «è la diversità della produzione del settore agricolo
rispetto a quella degli altri settori».
3.3.2.– Parimenti non
fondata sarebbe, in secondo luogo, la questione sollevata in riferimento
all’art. 3 Cost. sotto il profilo del supposto
deteriore trattamento dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato rispetto
agli operai agricoli a tempo determinato.
Oltre a ribadire che «il parametro di
riferimento delle 365 giornate nell’anno solare è il medesimo per entrambe le
categorie di lavoratori agricoli», l’INPS deduce che l’eventualità che, a
fronte di tale identico parametro, possa non residuare alcuna giornata
indennizzabile in favore del lavoratore agricolo a tempo indeterminato sarebbe
«ampiamente giustificat[a]» dal sistema di
retribuzione previsto per tale lavoratore, che «include anche le giornate festive
(le domeniche)».
3.3.3.– Da quanto dedotto
deriverebbe infine l’insussistenza di una lesione dell’art. 38 Cost.
L’INPS ribadisce che la prestazione
previdenziale in caso di disoccupazione nel settore dell’agricoltura «è
esclusivamente incentrata sulla tutela dello stato di bisogno conseguente alla
cessazione involontaria del rapporto di lavoro che si verifica nel corso
dell’anno» e che «si tratta di una tutela costruita e diretta a reintegrare ex
post il reddito mancante nell’anno di riferimento, che è quello anteriore
all’anno della richiesta e dell’erogazione del trattamento previdenziale».
Ciò ribadito, l’INPS cita a proprio sostegno le sentenze di questa
Corte n. 215 del 2014 e n. 28 del 1984.
4.– È intervenuto nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, assistito e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni sollevate
siano dichiarate «inammissibil[i], improcedibil[i] e comunque infondat[e]».
L’interveniente, nel richiamare diffusamente la
«nota allegata» dell’INPS, afferma di ribadire quanto in essa asserito circa il
fatto che l’art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949
«garantisce agli operai agricoli a tempo indeterminato la tutela contro la
disoccupazione involontaria pur con le specifiche modalità di calcolo previste
per il settore agricolo», in presenza dei requisiti per l’accesso all’indennità
di disoccupazione ordinaria agricola richiesti dalla stessa disposizione.
L’interveniente ribadisce altresì che il
parametro di riferimento per il calcolo della durata della prestazione
previdenziale è, anche per i lavoratori agricoli a tempo indeterminato, di 365
giornate nell’anno solare.
Con riguardo all’art. 1, comma 55, della legge
n. 247 del 2007, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che «l’INPS
ritiene che i lavoratori agricoli a tempo indeterminato siano esclusi dal
dettato normativo in quanto non espressamente richiamati» e che, «tuttavia,
tali lavoratori siano in ogni caso tutelati […] essendo ancora vigenti, per gli
stessi, le norme in materia di requisiti e modalità di calcolo […] descritti.
Pertanto, ritiene che non possa essere condivisibile l’interpretazione in base
alla quale l’articolo 2, comma 3, della legge n. 92 del 2012 […] estende gli
effetti dell’articolo 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007 anche agli
operai agricoli a tempo indeterminato».
L’interveniente deduce inoltre che la
specificità della previsione dell’art. 32 della legge n. 264 del 1949 «è
collegata alla precarietà dell’attività svolta, di solito stagionale, per la
quale l’indennità di disoccupazione nel settore agricolo assume una funzione di
vera e propria integrazione del reddito e non di ammortizzatore sociale come è
per i lavoratori degli altri settori produttivi» e riporta l’affermazione contenuta
nella sentenza
di questa Corte n. 53 del 2017 secondo cui «la specificità della tutela
contro la disoccupazione dei lavoratori agricoli […] si manifesta nella cesura
tra il sorgere del diritto e l’erogazione nel corso dell’anno successivo e nel
peculiare meccanismo di liquidazione, ancorato alle giornate di lavoro e non a
quelle di disoccupazione».
L’interveniente riporta infine un ampio stralcio
della motivazione della sentenza di questa
Corte n. 194 del 2017 (in particolare, del punto 3. del
Considerato in diritto).
5.– In prossimità dell’udienza pubblica,
Mohammed Mounji e Azedine Mounji (quest’ultimo pur non essendosi costituito in
giudizio) hanno depositato una memoria, con la quale richiamano il principio di
non discriminazione, quanto alle «condizioni di impiego», tra lavoratori a
tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato «comparabili», sancito
dalla clausola 4, paragrafo 1, dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro
a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 del
Consiglio.
6.– In prossimità
dell’udienza pubblica, anche l’INPS ha depositato una memoria.
L’INPS deduce che l’irrilevanza della questione
sollevata in via subordinata discenderebbe anche da quanto affermato nella
memoria del ricorrente, là dove si asserisce che lo stesso ha «lavorato 365
giorni». Da tale affermazione discenderebbe che «del tutto irrilevante […] è la
questione del parametro limite delle 270 giornate».
Nel merito, l’INPS, nel ribadire le
argomentazioni prospettate nel proprio atto di costituzione in giudizio, cita
le sentenze di
questa Corte n. 215 del 2014 (in particolare, il punto 4.2. del Considerato in diritto) e n. 202 del 2008
(in particolare, il punto 3. del Considerato in
diritto).
7.– Infine, anche il
Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale,
nel ribadire l’infondatezza delle questioni sollevate, ne afferma, altresì,
l’inammissibilità, conformemente alle eccezioni sollevate dall’INPS.
Considerato
in diritto
1.– Nel corso di un giudizio promosso da due
lavoratori agricoli a tempo indeterminato, licenziati il 31 dicembre 2008, al
fine di ottenere «l’indennità di disoccupazione per l’anno 2009», la Corte di
cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38
della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, primo
comma, lettera a), della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia
di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati)
e, in via subordinata, dello stesso art. 32, primo comma, lettera a), della
legge n. 264 del 1949 e dell’art. 1, comma 55, della legge 24 dicembre 2007, n.
247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza,
lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché
ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale).
1.1.– L’art. 32, primo
comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949 ha esteso l’obbligo
dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria ai lavoratori
subordinati agricoli.
Ai sensi dell’art. 12, comma 1, del decreto
legislativo 11 agosto 1993, n. 375 (Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera
aa, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei
sistemi di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi
contributi) – secondo cui, «[a]gli effetti delle norme di previdenza ed
assistenza sociale, […] i lavoratori agricoli subordinati, esclusi quelli con
qualifica impiegatizia, si distinguono in operai a tempo indeterminato ed
operai a tempo determinato» – i destinatari della tutela debbono intendersi, in
particolare, gli operai agricoli a tempo indeterminato e gli operai agricoli a
tempo determinato.
Per ottenere la prestazione previdenziale, tali
lavoratori devono possedere due requisiti.
In primo luogo, essi devono essere «iscritti
negli elenchi di cui all’articolo 12 del regio decreto 24 settembre 1940, n.
1949, e successive modificazioni, per almeno un anno oltre che per quello per
il quale è richiesta l’indennità». Per gli operai agricoli a tempo
indeterminato, peraltro, la compilazione di tali elenchi nominativi è cessata
dal 1° gennaio 1994, ai sensi dell’art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 375 del
1993.
In secondo luogo, devono avere «conseguito
nell’anno per il quale è richiesta l’indennità e nell’anno precedente un
accredito complessivo di almeno 102 contributi giornalieri». Il significato di
questa previsione è stato chiarito da questa Corte con la
sentenza n. 194 del 2017 che, nel rigettare questioni di legittimità
costituzionale del medesimo art. 32, primo comma, della legge n. 264 del 1949
per «l’erroneità del presupposto interpretativo, a fondamento delle stesse», ha
affermato che «i menzionati 102 contributi giornalieri possono essere accreditati
al lavoratore anche in uno solo dei due anni "per il quale è richiesta
l’indennità e nell’anno precedente”» (punto 3. del
Considerato in diritto).
Quanto, infine, alla durata della corresponsione
dell’indennità di disoccupazione, secondo il disposto dell’art. 32, primo
comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949, essa è pari alla differenza tra
il «numero di 270», che costituisce il parametro annuo di riferimento, e il
«numero delle giornate di effettiva occupazione prestate nell’anno» (comprese
quelle per attività agricole in proprio o coperte da indennità di malattie,
infortunio, maternità), sino a un massimo di 180 giornate.
1.2.– La disciplina
dell’art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949 è stata,
peraltro, modificata, per «gli operai agricoli a tempo determinato e le figure
equiparate», dall’art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007, che il
rimettente ha denunciato, insieme con lo stesso art. 32, primo comma, lettera
a), con le questioni sollevate in via subordinata.
L’art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007
prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 2008, l’importo giornaliero
dell’indennità ordinaria di disoccupazione – fissato dallo stesso comma 55
nella misura del 40 per cento della retribuzione – «è corrisposto per il numero
di giornate di iscrizione negli elenchi nominativi, entro il limite di 365
giornate del parametro annuo di riferimento».
In base a tale disciplina – che, come si è
detto, si riferisce ai soli operai agricoli a tempo determinato – l’indennità
di disoccupazione è corrisposta per una durata pari al «numero di giornate di
iscrizione negli elenchi nominativi», ovvero, come si dice nell’ordinanza di
rimessione, per un numero di giornate «pari a quelle lavorate». Si tratta,
dunque, di una previsione diversa da quanto è previsto, per gli operai agricoli
a tempo indeterminato, dalla lettera a) del primo comma dell’art. 32 della
legge n. 264 del 1949, secondo cui l’indennità di disoccupazione è corrisposta
per una durata pari alla «differenza» tra il parametro annuo di riferimento e
«il numero di giornate di effettiva occupazione prestate nell’anno» (entro il
massimale di 180 giornate annue), il che equivale a dire per una durata pari
alle giornate "non lavorate”, non a quelle "lavorate”.
Inoltre, l’art. 1, comma 55, della legge n. 247
del 2007 non prevede il massimale delle 180 giornate annue, tutt’ora stabilito
dall’art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949.
Infine, lo stesso art. 1, comma 55, della legge
n. 247 del 2007, sempre ai fini della determinazione della durata della
corresponsione della prestazione, stabilisce il parametro annuo di riferimento
di «365 giornate», a fronte di quello di «270» tutt’ora contemplato dall’art.
32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949 per gli operai
agricoli a tempo indeterminato.
2.– La disciplina descritta è indicata dal
giudice a quo come quella che «viene in rilievo [in quanto] vigente alla data
dei fatti di causa», ai quali non è applicabile, ratione
temporis, quella che risulta dall’art. 2, comma 3,
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del
mercato del lavoro in una prospettiva di crescita) e dall’art. 2, comma 1, del
decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22 (Disposizioni per il riordino della
normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione
involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione
della legge 10 dicembre 2014, n. 183); disposizioni che, entrambe, escludono
«gli operai agricoli a tempo determinato o indeterminato» dall’Assicurazione
sociale per l’impiego (ASpI) e dalla Nuova
assicurazione sociale per l’impiego (NASpI).
3.– In punto di non manifesta infondatezza delle
questioni, il rimettente, dopo avere rilevato che «[l]’ordinamento […] non
consente […] che venga erogata l’indennità di disoccupazione ordinaria [rectius: comune] ai lavoratori agricoli a tempo
indeterminato», considera che, per via del meccanismo di computo della durata
dell’indennità di disoccupazione agricola previsto dal censurato art. 32, primo
comma, lettera a), e, in particolare, per via della previsione, ai fini di tale
computo, del parametro annuo di riferimento del «numero di 270», gli stessi
lavoratori, se licenziati alla fine dell’anno o, comunque, dopo avere prestato,
nel corso dello stesso, 270 o più giornate di lavoro, non percepirebbero
neppure l’indennità di disoccupazione agricola, sicché essi sarebbero «privati
di qualunque tutela».
Muovendo dall’assunto della «mancanza di una
qualsiasi tutela contro lo stato di disoccupazione involontaria» degli operai
agricoli a tempo indeterminato licenziati dopo avere lavorato per 270 o più
giornate, il giudice a quo lamenta che le disposizioni censurate
contrasterebbero, anzitutto, con l’art. 38 Cost., che
riconosce ai lavoratori il diritto a che siano preveduti e assicurati mezzi
adeguati alle loro esigenze di vita in caso di disoccupazione involontaria.
Le stesse disposizioni violerebbero, altresì,
l’art. 3 Cost., sotto due distinti profili.
L’art. 3 Cost. sarebbe leso, anzitutto, perché
tali disposizioni tratterebbero i lavoratori agricoli a tempo indeterminato,
che «dal punto di vista contributivo possano aver già maturato i requisiti per
ottenere la prestazione di disoccupazione comune», in modo ingiustificatamente
deteriore rispetto alla generalità degli altri lavoratori a tempo
indeterminato, considerato che i primi svolgono attività lavorative «che non
hanno le caratteristiche di discontinuità che sono supposte a fondamento della
specialità della […] disciplina» della disoccupazione agricola.
Lo stesso art. 3 Cost., sarebbe violato, in
secondo luogo, perché le disposizioni denunciate tratterebbero i lavoratori
agricoli a tempo indeterminato in modo ingiustificatamente deteriore anche
rispetto agli operai agricoli a tempo determinato i quali, «a parità di lavoro
nell’anno, oltre il tetto di 270 giornate», godrebbero della «più vasta» tutela
dell’art. 1, comma 55, della legge n. 247 del 2007, che «assicura[…] loro,
immancabilmente, una integrazione nell’anno successivo del reddito percepito
nell’anno precedente, qualsiasi sia il numero delle giornate lavorate fino al
31.12».
La Corte di cassazione, sezione lavoro, denuncia
quindi l’art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949,
«laddove esclud[e] che venga corrisposto ai
lavoratori agricoli a tempo indeterminato, in possesso dei requisiti
assicurativi, il trattamento di disoccupazione ordinario riservato agli altri
lavoratori a tempo indeterminato» e, in via subordinata, lo stesso art. 32,
primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949 e l’art. 1, comma 55,
della legge n. 247 del 2007, «laddove non prevedono che si applichi ai medesimi
lavoratori agricoli [a tempo indeterminato] lo stesso trattamento previsto per
i lavoratori agricoli a termine».
4.– Preliminarmente,
devono essere esaminate le quattro eccezioni di inammissibilità prospettate
dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS).
4.1.– Secondo tale Istituto, le questioni
sollevate sarebbero inammissibili, in primo luogo, per difetto di motivazione
sulla rilevanza, in quanto il rimettente non si sarebbe «fatt[o]
carico di motivare in ordine alla concreta impossibilità degli assicurati nel
giudizio a quo di ottenere l’indennità di disoccupazione agricola, applicando
il principio […] enunciato con la […] sentenza n.
194/2017», principio secondo cui, poiché l’art. 32, primo comma, lettera
a), della legge n. 264 del 1949, richiedendo un accredito «complessivo» di
almeno 102 contributi giornalieri, esige soltanto che l’insieme dei contributi
accreditati nei due anni di riferimento sia di 102 unità, ma non che queste
siano suddivise tra tali due anni, nei casi in cui la cessazione involontaria
del rapporto di lavoro intervenga alla fine dell’anno, «il lavoratore agricolo
a tempo indeterminato potrà […] ottenere l’indennità di disoccupazione agricola
per l’anno "per il quale [essa] è richiesta” […], dato che, pur in mancanza di
contributi accreditati in tale anno, avendo lavorato per l’intero anno
"precedente” […], ha senz’altro conseguito, in tale solo anno, il necessario
accredito "complessivo” di almeno 102 contributi giornalieri».
L’eccezione non è fondata.
Il giudice rimettente ha espressamente
argomentato che le questioni sollevate «non riguarda[no] il […] requisito contributivo»
– il cui meccanismo di computo è stato chiarito dalla sentenza n. 194 del
2017 e che è «pacificamene sussistente e non contestato in capo ai
ricorrenti» – ma che l’impossibilità di riconoscere a questi ultimi l’indennità
di disoccupazione agricola discende, piuttosto, dal meccanismo di computo della
durata della corresponsione di tale indennità, previsto dal censurato art. 32,
primo comma, lettera a).
Ciò è sufficiente ai fini della motivazione
sulla rilevanza, mentre la verifica della fondatezza o no di quest’ultimo
assunto e, più in generale, di quello della «mancanza di una qualsiasi tutela
contro lo stato di disoccupazione involontaria» dei lavoratori che si trovino
nella situazione dei ricorrenti attiene, più propriamente, al merito delle
questioni.
4.2.– Secondo lo stesso
INPS, le questioni sollevate sarebbero «comunque irrilevant[i]
qualora si volesse far riferimento alla disoccupazione agricola per l’anno
2009», poiché il rimettente non ha allegato la proposizione della relativa
domanda amministrativa entro il 31 marzo dell’anno successivo 2010,
«circostanza […] che comporta ictu oculi
l’improponibilità dell’azione giurisdizionale per ottenere l’indennità di
disoccupazione agricola per l’anno 2009».
L’eccezione non è fondata.
Secondo la giurisprudenza della Corte di
cassazione, la preventiva presentazione della domanda amministrativa
costituisce, nelle controversie previdenziali e assistenziali che richiedano il
previo esperimento del procedimento amministrativo, un presupposto dell’azione
in sede giudiziaria, in mancanza del quale la stessa è improponibile
(Cassazione, sezioni unite, sentenza 5 agosto 1994, n. 7269; sezione lavoro,
sentenze 30 gennaio 2014, n. 2063, 27 dicembre 2010, n. 26146, 3 luglio 2007,
n. 15012, 24 giugno 2004, n. 11756 e 12 marzo 2004, n. 5149).
È peraltro noto che, «[s]econdo
un costante orientamento, l’accertamento della validità dei presupposti di
esistenza del giudizio principale è prerogativa del giudice rimettente (sentenza n. 61 del
2012), mentre a questa Corte spetta verificare esclusivamente che la
valutazione del giudice a quo sia avvalorata da "una motivazione non implausibile” (sentenza n. 270 del
2010; nello stesso senso, sentenza n. 34 del
2010) e che i presupposti di esistenza del giudizio ”non risultino
manifestamente e incontrovertibilmente carenti” nel momento in cui la questione
è proposta (sentenze
n. 262 del 2015 e n. 62 del 1992)»
(così, da ultimo, la sentenza n. 170 del
2018, punto 2. del Considerato in diritto). Questa
Corte, «a tale riguardo, non può sostituire la propria valutazione a quella già
compiuta dal giudice a quo, eventualmente anche in via implicita (sentenza n. 120 del
2015, punto 3.1. del Considerato in diritto), con
il supporto di "argomenti non arbitrari” (sentenza n. 241 del
2016, punto 3.3. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 53 del
2017, punto 2.1.1. del Considerato in diritto).
Nella specie, il rimettente ha precisato che i
lavoratori ricorrenti «avevano presentato domanda di indennità di
disoccupazione agricola rigettata dall’INPS per mancanza del requisito
contributivo nel biennio anteriore alla cessazione del rapporto». L’esistenza
della condizione di proponibilità dell’azione giudiziaria costituita da tale
domanda amministrativa è, dunque, espressamente affermata dal giudice a quo. Lo
stesso giudice, del resto, non ha ravvisato preclusioni all’esame della domanda
giudiziaria di «indennità di disoccupazione per l’anno 2009». Infine, non
risulta che, nel giudizio principale, l’INPS abbia eccepito l’inesistenza o la tardività
della domanda amministrativa.
Per tali ragioni, la valutazione del giudice a
quo in punto di rilevanza deve ritenersi, sotto l’aspetto preso in
considerazione, non implausibile.
4.3.– Ad avviso
dell’INPS, le questioni sollevate sarebbero inammissibili, in terzo luogo,
poiché la «soluzione» prospettata nell’ordinanza di rimessione comporterebbe
«un intervento di carattere additivo-manipolativo» tale da minare «l’intera
architettura della tutela della disoccupazione in agricoltura».
L’eccezione non è fondata.
In proposito, è sufficiente rilevare che, con la
sentenza n. 194
del 2017, questa Corte ha rigettato un’analoga eccezione di inammissibilità
– sollevata, anche in quel caso, dall’INPS – reputando che «[l]a possibilità
che il legislatore disciplini variamente la tutela contro la disoccupazione, al
fine di adeguarla alla natura delle diverse attività lavorative (sentenza n. 160 del
1974), non esclude che le differenze di trattamento tra le varie categorie
di lavoratori debbano essere "razionalmente giustificabili”, in quanto fondate
su "valide e sostanziali ragioni” […] (sentenza n. 160 del
1974)», con la conseguente «necessità di verificare nel merito le scelte
operate dal legislatore con riguardo al peculiare trattamento di disoccupazione
previsto per i lavoratori (a tempo indeterminato) del settore agricolo» (punto
2.3. del Considerato in diritto).
4.4.– Sempre secondo l’INPS, infine, le
questioni sollevate in via subordinata sarebbero inammissibili anche perché il
giudice a quo non avrebbe «compiutamente ricostruito il quadro normativo
applicabile», non avendo considerato che «il parametro delle 270 giornate non è
più in vigore a seguito del disposto dell’art. 1, comma 2, del D.L. 108/1991,
convertito in legge n. 169/1991», con la conseguenza che, per tutti gli operai
agricoli, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato, «la modalità di
calcolo della durata e della misura dell’indennità ordinaria di disoccupazione
agricola […] è parametrata sulle 365 giornate dell’anno solare».
Neppure tale eccezione può essere accolta.
Il rimettente, dopo aver correttamente e
sufficientemente preso in considerazione il contesto normativo, ha ritenuto in
modo non implausibile che la norma censurata sia
ancora in vigore e che il parametro annuo di riferimento delle 270 giornate si
applichi al caso in questione.
5.– Nel passare allo
scrutinio nel merito, si deve premettere che le questioni sollevate in via
principale e in via subordinata devono essere esaminate, almeno in parte,
congiuntamente.
Per tutte, la lamentata violazione degli artt. 3
e 38 Cost. discende essenzialmente dall’assunto, a
esse comune, che il meccanismo di computo della durata dell’indennità di
disoccupazione agricola previsto dal censurato art. 32, primo comma, lettera
a), comporta la «mancanza di una qualsiasi tutela contro lo stato di
disoccupazione involontaria» degli operai agricoli a tempo indeterminato
licenziati dopo avere lavorato per 270 o più giornate.
Ciò premesso, tutte le questioni non sono
fondate per le ragioni di seguito esposte.
5.1.– Come si è visto, in
base all’art. 32, primo comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949, la
durata della corresponsione dell’indennità di disoccupazione è pari alla
differenza tra il «numero di 270» e il «numero delle giornate di effettiva
occupazione prestate nell’anno» (sino a un massimo di 180 giornate). In tale
modo, il lavoratore agricolo a tempo indeterminato, in base al consuntivo delle
giornate di disoccupazione dell’anno trascorso, percepisce, l’anno successivo,
l’indennità di disoccupazione per le giornate "non lavorate” in quello
precedente.
In ragione di una tale modalità di
determinazione delle giornate indennizzabili questa Corte ha affermato che «il
regime peculiare del trattamento di disoccupazione per i lavoratori agricoli
prevede l’erogazione dell’indennità nell’anno successivo a quello in cui si è
verificato l’evento della cessazione del rapporto di lavoro (sentenza n. 53 del
2017)» (sentenza
n. 194 del 2017, punto 3. del Considerato in
diritto). Come sottolineato da questa Corte (sentenza n. 53 del
2017), le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno statuito che, per i
lavoratori agricoli, l’indennità di disoccupazione ordinaria «si qualifica
sostanzialmente come una forma di integrazione salariale concessa ex post»
(sentenza n. 6491 del 1996).
La complessa e minuziosa ricostruzione dei dati
normativi operata dal rimettente e la valutazione critica che lo stesso offre
di una disciplina risalente e stratificata non esclude una diversa
interpretazione delle disposizioni vigenti, tale da fornire una tutela ai
lavoratori che, «licenziati verso la fine dell’anno […], dopo aver lavorato per
270 giornate», restino privi di «qualsiasi tutela contro lo stato di
disoccupazione involontaria».
Si può ritenere, infatti, che tali lavoratori
ben possano vantare il diritto a ottenere l’indennità di disoccupazione
agricola per l’anno successivo – nel caso del giudizio a quo, per il 2009 – nel
corso del quale siano stati, anche per l’intera durata, disoccupati.
Con la sentenza n. 194 del
2017 questa Corte ha chiarito che il requisito contributivo dell’avere
«conseguito nell’anno per il quale è richiesta l’indennità e nell’anno
precedente un accredito complessivo di almeno 102 contributi giornalieri» deve
essere inteso nel senso che tali contributi «possono essere accreditati al
lavoratore anche in uno solo dei due anni "per il quale è richiesta l’indennità
e nell’anno precedente”» (punto 3. del Considerato in
diritto). Tale interpretazione dell’art. 32, primo comma, lettera a), della
legge n. 264 del 1949, «conforme» agli artt. 3, primo comma, e 38, secondo
comma, Cost., comporta dunque l’indennizzabilità
– almeno sotto il profilo dell’esistenza del requisito contributivo – dell’anno
successivo a quello in cui si è svolta l’attività lavorativa, anche quando esso
sia privo, totalmente, di giornate "lavorate”.
All’accertamento del requisito contributivo non
può non far seguito l’effettiva erogazione della prestazione che allo stesso
corrisponde, argomento quest’ultimo posto al cuore delle questioni sollevate
dal rimettente. Pertanto, anche quanto alla durata dell’erogazione
dell’indennità di disoccupazione agricola prevista dall’art. 32, primo comma,
lettera a), della legge n. 264 del 1949, si deve intendere che il lavoratore
licenziato alla fine dell’anno ottenga detta indennità, pur dopo aver raggiunto
o superato le 270 giornate lavorate ed essere rimasto involontariamente privo
di occupazione nell’anno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro.
Rammentato che, per gli operai agricoli a tempo
indeterminato, la compilazione degli elenchi nominativi è cessata dal 1°
gennaio 1994, la previsione secondo cui la durata della corresponsione
dell’indennità di disoccupazione agricola è pari, per gli stessi, alla
«differenza tra il numero di 270 ed il numero delle giornate di effettiva
occupazione prestate nell’anno» non è di alcun ostacolo al riconoscimento della
stessa indennità per l’anno successivo a quello in cui si è svolta l’attività
lavorativa fino al 31 dicembre (o, comunque, «oltre le 270 giornate»), che sia
(eventualmente) privo di giornate "lavorate” (nel caso del giudizio a quo, per
il 2009).
È appena il caso di precisare che, per le
ricordate modalità di funzionamento della tutela contro la disoccupazione nel settore
agricolo, anche in questo caso l’erogazione dell’indennità avrà luogo nell’anno
successivo a quello per cui essa è richiesta (nel caso del giudizio a quo, nel
2010). Tale tempistica è, del resto, connaturale al carattere di sostanziale
integrazione reddituale, proprio dell’indennità di disoccupazione agricola.
Da quanto precede discende quindi che,
contrariamente a quanto mostra di ritenere il giudice a quo, l’art. 32, primo
comma, lettera a), della legge n. 264 del 1949 non priva i lavoratori agricoli
a tempo indeterminato, in situazioni rapportabili a quelle del giudizio a quo –
estinzione del rapporto di lavoro «alla fine dell’anno e comunque oltre le 270
giornate all’anno» – dell’indennità di disoccupazione agricola e, quindi, del
sostegno per lo stato di bisogno, delineato nella disciplina della previdenza
contro tale evento.
Nella direzione di una tutela – e non di una
totale privazione della stessa – si deve orientare una interpretazione delle
disposizioni censurate che consenta di erogare ai lavoratori agricoli, assunti
a tempo indeterminato e poi licenziati «alla fine dell’anno e comunque oltre le
270 giornate all’anno», un sostegno previdenziale. Ciò porta a escludere che
tali lavoratori siano discriminati, sia rispetto agli altri lavoratori assunti
a tempo indeterminato, sia rispetto ai lavoratori agricoli assunti con
contratto a tempo determinato.
5.2.– La previsione di
una disciplina della tutela contro la disoccupazione dei lavoratori agricoli a
tempo indeterminato, diversa rispetto a quella prevista per i lavoratori a
tempo indeterminato degli altri settori produttivi e per i lavoratori agricoli
a tempo determinato, non può ritenersi, di per sé, lesiva del principio di
eguaglianza.
Questa Corte ha affermato «[l]a possibilità che
il legislatore disciplini variamente la tutela contro la disoccupazione, al
fine di adeguarla alla natura delle diverse attività lavorative (sentenza n. 160 del
1974)», con il limite che «le differenze di trattamento tra le varie
categorie di lavoratori debbano essere "razionalmente giustificabili”, in
quanto fondate su "valide e sostanziali ragioni” […] (sentenza n. 160 del
1974)» (sentenza
n. 194 del 2017, punto 2.3. del Considerato in
diritto).
5.2.1.– Una giustificazione
è ravvisabile, anzitutto, con riguardo alla previsione di una disciplina della
disoccupazione dei lavoratori agricoli a tempo indeterminato diversa e speciale
rispetto a quella prevista per la generalità degli altri lavoratori a tempo
indeterminato.
In proposito, si deve anzitutto osservare che
anche il lavoro subordinato agricolo a tempo indeterminato non può non dirsi
condizionato – almeno in alcuni casi e in una qualche misura – dalla
stagionalità (sentenze
n. 53 del 2017, n. 192 del 2005,
n. 497 del 1988,
n. 213 del 1986)
e dagli agenti atmosferici e naturali in genere, elementi questi suscettibili
di incidere sui ritmi produttivi e sull’attività lavorativa.
Lo speciale trattamento dei lavoratori agricoli
in genere, inclusi quelli a tempo indeterminato, trova una «valid[a]
e sostanzial[e] ragion[e]» giustificativa nelle
peculiarità del settore produttivo dell’agricoltura rispetto a quelli
dell’industria e del terziario, con riguardo sia ai ritmi e alle regole della
produzione (che sono legati alla capacità biologica delle piante e degli animali
di crescere, riprodursi e produrre, a loro volta, nell’ambiente), sia alla
particolarità del mercato dei prodotti agricoli, sia, infine, allo stesso
carattere primario del settore.
Tali peculiarità – suscettibili di incidere sul
mercato del lavoro agricolo – giustificano, anche sul piano delle valutazioni
di politica economica generale del legislatore (sentenza n. 497 del
1988), la previsione di un regime previdenziale contro la disoccupazione
differenziato per il settore agricolo (quanto alla contribuzione, nonché quanto
ai requisiti, al contenuto, all’entità, alla durata, alle modalità e ai tempi
di erogazione del trattamento).
Da ciò si ricava l’impossibilità di instaurare
un’utile comparazione, ai fini dell’art. 3 Cost., tra
i due regimi che il rimettente pone a confronto.
Alla luce delle trasformazioni nel frattempo
intervenute nell’organizzazione delle imprese agricole, il legislatore dovrà
valutare se dettare una nuova disciplina dei trattamenti di disoccupazione dei
lavoratori agricoli.
5.2.2.– Una giustificazione
è ravvisabile, in secondo luogo, con riguardo alla differenziazione della
tutela contro la disoccupazione dei lavoratori agricoli, rispettivamente, a
tempo indeterminato e a tempo determinato.
Tali rapporti di lavoro si differenziano perché
l’estinzione del primo si ha soltanto al verificarsi di circostanze non
previste al momento della conclusione del contratto di lavoro, mentre il
secondo nasce limitato nel tempo e si estingue alla data, già conosciuta dalle
parti al momento della conclusione del contratto di lavoro, che ne definisce il
termine di durata.
La diversità dei due rapporti di lavoro rende,
in particolare, non irragionevole che la corresponsione dell’integrazione del
reddito, in cui si sostanzia la tutela contro la disoccupazione dei lavoratori
agricoli, venga stabilita, per i lavoratori a tempo determinato, per una durata
corrispondente alle giornate "lavorate” anziché a quelle "non lavorate”, come
avviene per i lavoratori agricoli a tempo indeterminato.
Da ciò si fa discendere, anche in questo caso,
l’impossibilità di instaurare un’utile comparazione, ai fini dell’art. 3 Cost., tra i due regimi che il rimettente pone a confronto.
Tale impossibilità, del resto, trova conferma
nel fatto che, mentre il regime previsto per i lavoratori agricoli a tempo
determinato, attribuendo l’indennità per le giornate "lavorate”, risulta più
favorevole nei casi in cui il lavoratore lavori per la gran parte dell’anno, il
regime previsto per i lavoratori agricoli a tempo indeterminato, attribuendo
l’indennità per le giornate "non lavorate”, è invece più favorevole nei casi in
cui il lavoratore lavori, nell’arco dell’anno, per un numero più limitato di
giornate.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondate, nei
sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 32, primo comma, lettera a), della legge 29 aprile 1949, n. 264
(Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei
lavoratori involontariamente disoccupati) e dell’art. 1, comma 55, della legge
24 dicembre 2007, n. 247 (Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007
su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita
sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale),
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dalla Corte di
cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 febbraio 2019.