ANNO 2017
Commenti alla decisione di
I. Giuditta Matucci, La
dissoluzione del paradigma della verità della filiazione innanzi all’interesse
concreto del minore (Nota a sent. Corte cost., 18
dicembre 2017, n. 272), per g.c. del Forum di Quaderni Costituzionali
II. Giuseppina Barcellona, La
Corte e il peccato originale: quando le colpe dei padri ricadono sui figli.
Brevi note a margine di Corte cost. 272 del 2017, per g.c.
del Forum di Quaderni
Costituzionali
III. Francesca Angelini, Bilanciare
insieme verità di parto e interesse del minore la Corte costituzionale in
materia di maternità surrogata mostra al giudice come non buttare il bambino
con l’acqua sporca, per g.c. di Costituzionalismo.it
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Paolo GROSSI Presidente
- Giorgio LATTANZI Giudice
- Aldo CAROSI ”
- Marta
CARTABIA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
- Silvana SCIARRA ”
- Daria de PRETIS ”
- Nicolò ZANON ”
- Augusto Antonio
BARBERA ”
- Giulio
PROSPERETTI ”
- Giovanni AMOROSO
”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 263 del codice
civile, promosso dalla Corte d’appello di Milano nel procedimento civile
vertente tra A.L. C. ed il curatore speciale di L.F. Z., con ordinanza
del 25 luglio 2016, iscritta al n. 273 del registro ordinanze del 2016 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie
speciale, dell’anno 2017.
Visti gli
atti di costituzione di A.L. C. e del curatore speciale di L.F. Z., nonché l’atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella
udienza pubblica del 21 novembre 2017 il Giudice relatore Giuliano Amato;
uditi gli
avvocati Grazia Ofelia Cesaro, nella qualità di
curatore speciale di L.F. Z., e Francesca Maria Zanasi per A.L. C. e l’avvocato
dello Stato Chiarina Aiello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un
procedimento di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto
di veridicità, la Corte d’appello di Milano ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, in riferimento agli
artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della
Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in
avanti: CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva
con la legge 4 agosto 1955, n. 848.
La disposizione è censurata
nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio
minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia
rispondente all’interesse dello stesso.
2.– Il giudizio a quo ha ad
oggetto l’appello avverso la sentenza con cui il Tribunale ordinario di Milano
– in accoglimento della domanda proposta ai sensi dell’art. 263 cod. civ. dal
curatore speciale di un minore, nominato dal Tribunale per i minorenni – ha
dichiarato che lo stesso minore non è figlio della donna che lo ha
riconosciuto.
La vicenda sottoposta
all’esame della Corte d’appello di Milano trae origine dalla trascrizione del
certificato di nascita formato all’estero, relativo alla nascita di un bambino,
riconosciuto come figlio naturale di una coppia di cittadini italiani, i quali
– nell’ambito delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica presso il
Tribunale per i minorenni – avrebbero ammesso il ricorso alla surrogazione di
maternità, realizzata attraverso ovodonazione.
Il giudice a quo riferisce
che, pertanto, su iniziativa della stessa Procura della Repubblica, è stato
avviato il procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità, il
quale si è concluso con dichiarazione di non luogo a provvedere, avendo i
genitori contratto matrimonio ed essendo risultata certa, in base al test
eseguito sul DNA, la paternità biologica di colui che ha effettuato il
riconoscimento.
Riferisce il giudice
rimettente che, su richiesta del pubblico ministero, il Tribunale per i
minorenni di Milano ha autorizzato, ai sensi dell’art. 264, secondo comma, cod.
civ., l’impugnazione del riconoscimento del figlio naturale effettuato da A.L.
C., nominando a tal fine un curatore speciale del minore. In accoglimento di
tale impugnazione, il Tribunale ordinario di Milano ha dichiarato che il minore
non è figlio di A.L. C., disponendo le conseguenti annotazioni a cura
dell’ufficiale di stato civile.
Il giudice a quo riferisce che
la decisione di primo grado si è fondata sulla disposizione di cui all’art.
269, terzo comma, cod. civ., e sulla considerazione che, nel caso in esame, il
rapporto di filiazione dal lato materno non potrebbe essere dedotto dal
contratto per la fecondazione eterologa con maternità surrogata, da ritenersi
invalido per contrarietà della legge straniera all’ordine pubblico, ai sensi
dell’art. 16 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano
di diritto internazionale privato).
2.1.– Ciò premesso, la Corte
d’appello evidenzia che nel caso in esame l’atto di nascita comprovante la
genitorialità del minore è già stato trascritto in Italia e che, pertanto, è
estranea al thema decidendum
la questione della trascrivibilità in Italia di atti di nascita formati nei
paesi che consentono la maternità surrogata. Nel caso in esame, infatti, non è
richiesta la trascrizione di uno status filiationis
riconosciuto all’estero, bensì la rimozione di uno status già attribuito, in
considerazione della sua non veridicità.
2.1.1.– Quanto al divieto di
maternità surrogata previsto dall’art. 12 della legge 19 febbraio 2004, n. 40
(Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), il giudice a quo
ritiene che lo stesso potrebbe porsi in contrasto con i principi costituzionali,
laddove riferito ad ipotesi di gestazione "relazionali” o "solidaristiche”, non
lesive della dignità della donna, né riducibili alla logica di uno scambio
mercantile, ma caratterizzate da intenti di pura solidarietà. Tuttavia, osserva
il rimettente, anche tale questione risulta estranea alla vicenda in esame, in
quanto la surrogazione di maternità è avvenuta al di fuori di un contesto
relazionale e non sarebbe ravvisabile una condizione di libertà della donna che
ha portato a termine la gravidanza.
2.2.– La Corte d’appello prospetta,
invece, una diversa questione di legittimità costituzionale, che pone al centro
l’interesse del bambino, nato a seguito di surrogazione di maternità realizzata
all’estero, a vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto
più rispondente alle sue esigenze di vita.
Il dubbio di costituzionalità
sollevato dal rimettente attiene, in particolare, all’art. 263 cod. civ., nella
parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicità possa essere accolta solo laddove sia ritenuta rispondente
all’interesse del minore.
2.2.1.– Rammenta il giudice a quo che
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. è già stata
ritenuta non fondata dalla sentenza n. 112 del
1997, sull’assunto che l’impugnazione del riconoscimento per difetto di
veridicità sia ispirata al «principio di ordine superiore che ogni falsa
apparenza di stato deve cadere». In quella occasione, asserisce il rimettente,
la Corte ha individuato nella verità del rapporto di filiazione un valore
necessariamente da tutelare, con la precisazione che la finalità perseguita dal
legislatore consisterebbe proprio nell’attuazione del diritto del minore
all’acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica. Analoghi
principi sarebbero stati ribaditi dalle sentenze n. 170 del
1999 e n.
216 del 1997, nonché dall’ordinanza n. 7 del
2012.
Alla stregua di tali rilievi, il
giudice a quo esclude soluzioni ermeneutiche che consentano di considerare,
nella cornice dell’art. 263 cod. civ., la specifica situazione del minore al
fine di privilegiare una soluzione che realizzi il suo concreto ed effettivo
interesse. La mancanza di un riferimento normativo all’interesse del minore,
nel richiamato indirizzo interpretativo da considerare quale "diritto vivente”,
si porrebbe in contrasto con i principi di particolare tutela che la
Costituzione e la CEDU assicurano ai minori.
2.3.– La questione avrebbe
incidenza attuale nel giudizio di impugnazione promosso dal curatore speciale
ai sensi dell’art. 263 cod. civ.
Infatti, nel caso in esame, le
norme inderogabili che definiscono e disciplinano la genitorialità, ed in
particolare la maternità, non consentirebbero a madre e figlio di vedersi
riconosciuto tale legame giuridico, se non per il tramite dell’adozione in casi
particolari, nel presupposto che l’interesse del minore, di cui lo stesso
curatore è portatore, debba identificarsi nel favor veritatis.
Viceversa, ove fosse
consentita una valutazione in concreto dell’interesse del minore, non
coincidente col favor veritatis,
esso potrebbe essere misurato anche alla stregua di altri profili, riguardanti
le particolari modalità della nascita, la possibilità di altro legame
giuridico, certo e ugualmente tutelante, con la madre intenzionale, e tutte le
circostanze, anche relative al rapporto con la madre intenzionale, emerse nella
fattispecie in esame.
2.4.– Il giudice rimettente
richiama i principi enunciati dalla Convenzione sui diritti del fanciullo,
fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27
maggio 1991, n. 176; dalla Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei
fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva
con legge 20 marzo 2003, n. 77; dalla Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, che all’art. 24, secondo comma, sancisce il
principio della necessaria preminenza dell’interesse del minore.
Dovrebbero considerarsi,
inoltre, le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per
una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª
riunione dei delegati dei ministri. Il riferimento, ivi contenuto, al superiore
interesse del minore andrebbe inteso come ricerca di una soluzione che
garantisca l’effettiva attuazione, non di un interesse astratto e preconcetto,
bensì del best interest, cioè dell’interesse concreto
di "quel” minore che, nel singolo caso sottoposto a valutazione, è destinatario
di un provvedimento.
La Corte d’appello osserva che
anche la recente giurisprudenza di merito attribuisce rilievo al concreto
interesse del minore in tema di relazioni familiari. In particolare, sono
richiamate quelle pronunce che hanno ammesso la trascrizione nei registri dello
stato civile di atti stranieri attributivi della genitorialità alla madre
intenzionale, a seguito di accordi di maternità surrogata (Corte d’appello di
Bari, sentenza 13 febbraio 2009) o di un atto di nascita, formato all’estero,
del figlio di una coppia di donne, nato con donazione del gamete maschile e
trasferimento dell’ovulo di una delle due all’altra, che ha portato a termine
la gravidanza (Corte d’appello di Torino, decreto 29 ottobre 2014). Sono,
altresì, richiamate quelle decisioni che hanno riconosciuto la possibilità di
adozione del figlio del partner di coppia dello stesso sesso, ai sensi
dell’art. 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una
famiglia). Inoltre, è richiamata la sentenza della Corte di cassazione, sezione
prima civile, 11 gennaio 2013, n. 601, che ha escluso che il fatto di vivere in
una famiglia incentrata su una coppia omosessuale pregiudichi l’equilibrato
sviluppo del bambino.
Il giudice a quo sottolinea,
inoltre, che nella sentenza n. 31 del
2012 questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.
569 del codice penale, nella parte in cui prevedeva che, alla condanna dei
genitori per il delitto di alterazione di stato, conseguisse in via automatica
la perdita della potestà genitoriale, precludendo così al giudice ogni
possibilità di valutazione dell’interesse del minore.
Alla luce dei principi
desumibili dalla normativa sovranazionale e nazionale e degli approdi
giurisprudenziali, europei e interni, nonché delle possibilità offerte dalle
nuove tecnologie in tema di procreazione assistita, il giudice a quo sollecita
una rinnovata riflessione sul tema della coincidenza tra favor
veritatis e favor minoris.
Il dubbio di legittimità
costituzionale ha ad oggetto l’art. 263 cod. civ., nella parte in cui non
consente di valutare il concreto interesse del minore a mantenere l’identità
relazionale e lo status di una riconosciuta filiazione materna, impedendo,
così, che tale interesse possa essere realizzato con l’ampiezza di tutele
riconosciute da plurimi principi costituzionali.
2.5.– In primo luogo, è denunciata
la violazione dell’art. 2 Cost., per la natura inviolabile del diritto del
minore a non vedersi privato del nome, dell’identità personale e della stessa
possibilità di avere una madre, mantenendo lo status filiationis
nei confronti di colei che abbia effettuato il riconoscimento.
In secondo luogo, la
disposizione in esame contrasterebbe con l’art. 30 Cost., che riconosce e
promuove, sia pure in via sussidiaria, accanto alla genitorialità biologica,
una genitorialità sociale, fondata sul consenso e indipendente dal dato
genetico. Di essa, in alcune situazioni problematiche, l’interesse del minore
potrebbe giovarsi. Il riconoscimento della genitorialità sociale si
accompagnerebbe, infatti, alle garanzie offerte al figlio dall’assunzione di
responsabilità nei suoi confronti. La questione di legittimità costituzionale è
sollevata anche in riferimento all’art. 31 Cost., che, con disposizione
riassuntiva e generale, completa il quadro delle garanzie costituzionali dei
rapporti familiari e dell’infanzia.
L’impossibilità di valutare,
in concreto, un interesse, che potrebbe non coincidere col favor
veritatis, si porrebbe altresì in contrasto con il
principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., soprattutto alla luce
dell’art. 9 della legge n. 40 del 2004 che, ancor prima della sentenza di questa
Corte n. 162 del 2014, aveva comunque assicurato al bambino – nato
attraverso fecondazione assistita di tipo eterologo – lo stato di figlio del
coniuge o del convivente della donna che lo aveva partorito.
A questo riguardo, il giudice
a quo evidenzia che, nel nuovo assetto conseguente all’eliminazione del divieto
di fecondazione eterologa, essendo esclusa la possibilità che il coniuge o il
convivente del genitore naturale possano, rispettivamente, disconoscere la
paternità del bambino, ovvero impugnare il relativo riconoscimento, sarebbe
dubbia la legittimazione in capo al figlio in ordine alle azioni indicate.
Infatti, un eventuale accertamento negativo della paternità legale non potrebbe
comunque costituire la premessa per un successivo accertamento positivo della
paternità biologica, stante la regola di cui all’art. 9, comma 3, della legge
n. 40 del 2004.
In ogni caso,
nell’impossibilità di valutare in concreto l’interesse del minore, lo status
del bambino nato da surrogazione di maternità potrebbe risultare
irragionevolmente diverso e sfavorevole rispetto a quello assicurato al minore
nato attraverso il ricorso alla fecondazione eterologa.
La Corte d’appello dubita
della legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ., anche con riferimento
all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 8 della CEDU, come
interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in situazioni
riconducibili alla maternità surrogata.
Sono richiamate, in
particolare, le sentenze della Corte EDU del 26 giugno 2014 rese nei casi Mennesson
contro Francia e Labassee contro Francia (ricorsi n. 65192 del 2011 e n.
65941 del 2011), nelle quali è stata affrontata la questione del rifiuto di
riconoscere, in Francia, rapporti genitoriali stabiliti all’estero tra minori
nati da maternità surrogata e le coppie che vi avevano fatto ricorso. In queste
pronunce, la Corte di Strasburgo ha ritenuto violato l’art. 8 della CEDU con
riferimento al diritto dei minori al rispetto della propria vita privata, quale
diritto di ciascuno su ogni profilo della propria identità di essere umano.
Ad avviso del giudice a quo,
da tali sentenze discenderebbe per gli Stati contraenti l’obbligo positivo di
tutelare l’identità personale del minore nato attraverso surrogazione di
maternità, anche a prescindere dal legame biologico con i genitori
intenzionali. Gli Stati membri del Consiglio d’Europa, se possono scoraggiare o
vietare il ricorso alla maternità surrogata, non potrebbero, viceversa,
rifiutare la trascrizione di un atto di nascita che assicura al minore il
rispetto della sua vita privata, rispondendo tale trascrizione al suo best interest.
In questo senso si porrebbe
anche la sentenza della Corte EDU del 27 gennaio 2015, resa nel caso Paradiso e Campanelli contro
Italia (ricorso n. 25358 del 2012). In un caso di maternità surrogata
caratterizzato dall’assenza di legame biologico del minore con i genitori
intenzionali, la Corte di Strasburgo ha ravvisato la violazione dell’art. 8
della CEDU nei provvedimenti relativi all’allontanamento del minore. La nozione
di "vita familiare”, tutelabile ai sensi dell’art. 8 della CEDU, sarebbe
estensibile alla relazione tra i genitori d’intenzione e il minore, ancorché
costituita illegalmente secondo l’ordinamento nazionale. In questo modo, ad
avviso del giudice a quo, la Corte di Strasburgo avrebbe svincolato la nozione
giuridica di "vita familiare” dall’indefettibilità del legame genetico,
ritenendola comprensiva di relazioni di fatto, la cui tutela corrisponde al
preminente interesse del minore.
2.6.– Dopo avere ribadito che la
questione in esame non concerne la liceità della pratica della surrogazione, ma
i diritti del bambino nato attraverso tale pratica, il rimettente deduce che
non vi sarebbe contrasto, rispetto all’ordine pubblico, del concreto interesse
del minore. In particolare, tale contrasto non sarebbe ricavabile dal divieto
di maternità surrogata di cui all’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004,
dovendosi avere riguardo all’ordine pubblico internazionale, in cui rileva
l’esistenza di paesi, anche in Europa, che consentono il ricorso alla
surrogazione di maternità.
Il concetto di ordine pubblico
dovrebbe essere perciò declinato con riferimento all’interesse del minore,
secondo un principio ricavabile anche dal regolamento CE n. 2201/2003 del 27
novembre 2003 (Regolamento del Consiglio relativo alla competenza, al
riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in
materia di responsabilità genitoriale). Tale regolamento, all’art. 23, prevede che,
con riferimento alle decisioni relative alla responsabilità genitoriale, la
valutazione della non contrarietà all’ordine pubblico debba essere effettuata
tenendo conto del superiore interesse del figlio.
2.7.– Il giudice a quo ritiene che
il dubbio di legittimità costituzionale non possa essere superato neppure dalla
considerazione del diritto del figlio a conoscere le proprie origini. Tale
diritto si realizzerebbe, infatti, su un piano diverso da quello
dell’impugnazione di cui all’art. 263 cod. civ., a meno di non voler attribuire
all’accertamento della non veridicità del riconoscimento la funzione di
comunicazione della non-nascita dalla madre, in una logica latamente
sanzionatoria della condotta genitoriale. Ciò andrebbe comunque a detrimento
dell’interesse del minore al mantenimento di un rapporto giuridico
corrispondente alla effettività della relazione con la persona che ha formulato
il progetto familiare e che, dalla nascita del bambino, ne è madre.
3.– Nel giudizio dinanzi a
questa Corte si è costituita A.L. C., parte appellante nel giudizio principale,
chiedendo l’accoglimento della questione sollevata dal giudice a quo.
3.1.– Dopo avere ripercorso le
argomentazioni del giudice rimettente, la parte richiama i principi affermati
nelle sentenze
n. 158 del 1991, n. 112 del 1997
e n. 170 del 1999
ed osserva che, alla luce del mutato quadro giurisprudenziale e dell’evoluzione
scientifica e tecnologica, che ha progressivamente ampliato le possibilità
procreative delle coppie, si imporrebbe una nuova valutazione della legittimità
costituzionale dell’art. 263 cod. civ. Si dovrebbe ritenere ormai superato il
principio della necessaria preservazione del legame di filiazione veridico
quale unico presupposto di tutela dell’interesse del minore.
Sono richiamate, in
particolare, la sentenza
n. 162 del 2014, in materia di fecondazione eterologa, e le sentenze della
Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di surrogazione di maternità. In
queste pronunce la tutela del superiore interesse del minore non sarebbe più
inscindibilmente connessa alla veridicità del rapporto di filiazione, in quanto
biologicamente determinato, bensì alla conservazione del rapporto di filiazione
"sociale”, ovvero "intenzionale”, imperniato sull’assunzione della
responsabilità genitoriale.
La parte evidenzia che, in
tema di disconoscimento di paternità del bambino nato da procreazione
medicalmente assistita di tipo eterologo, la Corte di cassazione, sin da epoca
precedente alla legge n. 40 del 2004, si era già espressa nel senso che il favor veritatis abbia «una
priorità non assoluta, ma relativa» (Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenza 16 marzo 1999, n. 2315).
Occorrerebbe, dunque, una
valutazione individualizzata dell’interesse del minore ed il superamento, sulla
scorta del mutato contesto sociale e giurisprudenziale, dell’impostazione che
ritiene salvaguardato tale interesse solo in presenza di un legame di
filiazione veridico.
3.2.– Riguardo alla violazione
dell’art. 2 Cost., la difesa della parte condivide i rilievi del giudice
rimettente, richiamando in proposito la giurisprudenza costituzionale e di
legittimità in materia di diritto all’identità personale quale diritto
inviolabile della persona umana, strettamente connesso al diritto di conservare
il proprio status filiationis. La disposizione
censurata sarebbe, altresì, lesiva del diritto al nome del minore, anch’esso
protetto a norma dell’art. 2 Cost.
3.3.– L’art. 263 cod. civ. si
porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 3 Cost., per la condizione deteriore
in cui si trova il bambino nato da maternità surrogata rispetto a quello nato
attraverso fecondazione assistita di tipo eterologo. Solo in questo secondo
caso, infatti, in presenza di donazione dei gameti, è preclusa al coniuge e al
convivente del genitore naturale la proposizione dell’azione di disconoscimento
e, rispettivamente, dell’impugnazione del riconoscimento. Tuttavia, anche con
riferimento al bambino nato da maternità surrogata si porrebbe l’analoga esigenza
di assicurare protezione al diritto costituzionale all’identità personale,
nelle forme del diritto al nome e alla conservazione del proprio status filiationis.
3.3.1.– La norma sarebbe
irragionevole anche per l’automatismo decisorio che si determinerebbe in caso
di difetto di veridicità. Sia pure pronunciando su questioni di tipo diverso,
la giurisprudenza costituzionale avrebbe chiarito come siffatti automatismi
possono tradursi in un’irragionevole lesione dell’interesse del minore, in
quanto preclusivi di uno scrutinio individualizzato, caso per caso, da parte
del giudice.
In particolare, in tema di
adozione, tali principi hanno portato a ritenere irragionevoli – perché non
rispondenti all’interesse del minore – le norme che stabilivano limiti rigidi di
età tra adottanti e adottato (sono richiamate le sentenze n. 140 [recte: 44] del 1990, n. 148 del 1992,
n. 303 del 1996
e n. 283 del
1999).
Afferma la parte che, allo
stesso modo, è stata ritenuta irragionevole l’applicazione automatica della
pena accessoria della perdita di potestà genitoriale, a seguito della
commissione del reato di cui all’art. 567 cod. pen., prevista dall’art. 569
cod. pen., che precludeva ogni possibilità di valutazione e bilanciamento tra
l’interesse del minore e l’applicazione della pena accessoria, in ragione della
natura e delle caratteristiche dell’episodio criminoso (sentenza n. 31 del
2012). Analogamente, l’art. 569 cod. pen. è stato censurato nella parte in
cui stabiliva che, alla condanna pronunciata per il delitto di cui all’art.
566, secondo comma, cod. pen., conseguisse di diritto la perdita della potestà
genitoriale, così precludendo ogni possibilità di valutazione dell’interesse del
minore nel caso concreto (sentenza n. 7 del
2013).
È richiamata, inoltre, la
pronuncia con cui questa Corte ha censurato l’art. 4-bis, primo comma, della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in
cui includeva nel divieto di concessione dei benefici penitenziari anche la
detenzione domiciliare speciale, prevista per le madri con prole di età non
superiore a dieci anni (sentenza n. 239 del
2014). Anche in questo caso, non era consentita una valutazione caso per
caso della pericolosità della madre detenuta, al fine di tenere conto del
superiore interesse del minore.
Da ultimo, la difesa della
parte richiama le pronunce che hanno censurato l’irragionevole rigidità della
disposizione che negava al medico una valutazione del caso concreto sottoposto
a trattamento medico, da effettuarsi sulla base delle più aggiornate e
accreditate conoscenze tecnico-scientifiche (sentenza n. 151 del
2009).
Ad avviso della parte, anche
in relazione all’art. 263 cod. civ. sarebbe ravvisabile un automatismo,
consistente nell’accoglimento dell’impugnazione del riconoscimento
ogniqualvolta sussista un difetto di veridicità. Anche a questa previsione
sarebbe sottesa una presunzione assoluta, in base alla quale l’interesse del
minore sarebbe adeguatamente tutelato soltanto quando venga assicurata la
veridicità del legame di filiazione. Per eliminare tale irragionevolezza,
dovrebbe essere consentita al giudice la valutazione degli effetti
dell’accoglimento dell’impugnazione in relazione all’interesse del minore, in
considerazione delle circostanze del caso concreto.
3.4.– Con riferimento alla
violazione degli artt. 30 e 31 Cost., la difesa della parte privata,
richiamandosi ai principi affermati nella sentenza n. 162 del
2014, sottolinea il valore da attribuire alla genitorialità sociale,
dovendo riconoscersi tutela, anche di livello costituzionale, a nuclei
familiari in cui difetti una corrispondenza biunivoca tra il dato biologico e
quello sociale.
Lo stesso legislatore, con la
legge 10 dicembre 2012, n. 219 (Disposizioni in materia di riconoscimento dei
figli naturali), avrebbe già fatto propria una nozione di responsabilità
genitoriale improntata sul consenso liberamente assunto dai genitori nei
confronti del figlio. In quanto finalizzata ad assicurare adeguata protezione
all’interesse del minore, tale responsabilità dovrebbe prescindere dalla
caratterizzazione biologica o sociale del rapporto di parentela.
Al riguardo, la parte richiama
la giurisprudenza di merito e di legittimità in tema di adozione da parte del
single e della coppia omosessuale (Corte di cassazione, sezione prima civile,
sentenze 11 gennaio 2013, n. 601, e 22 giugno 2016, n. 12962; Corte d’appello
di Torino, sentenza 27 maggio 2016); in materia di trascrizione di atti di
nascita formati all’estero, dai quali risulti che il bambino è figlio di una
coppia composta da persone dello stesso sesso (Corte di cassazione, sezione
prima civile, sentenza 30 settembre 2016, n. 19599), ovvero è nato a seguito di
maternità surrogata (Corte d’appello di Milano, decreto 28 dicembre 2016);
nonché in tema di adozione, da parte del genitore sociale, del figlio biologico
del proprio compagno, nato a seguito di surrogazione di maternità (Tribunale
per i minorenni di Roma, sentenza 23 dicembre 2015).
3.5.– Da ultimo, quanto alla
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 8 della
CEDU, la difesa della parte evidenzia che nella giurisprudenza della Corte di
Strasburgo si rinviene l’affermazione della necessità di assicurare preminenza,
nel bilanciamento tra interessi contrapposti, al superiore interesse del
minore, attraverso uno scrutinio che poggi sulle circostanze del caso concreto.
In tal senso, oltre alle già citate sentenze del 26 giugno 2014 rese nei casi Mennesson e Labassee contro
Francia, è richiamata la sentenza della Grande camera del 6 luglio
2010, resa nel caso Neulinger e Shuruk
contro Svizzera (ricorso n. 41615 del 2007), in cui la Corte ha ravvisato
nell’omessa trascrizione del certificato di nascita formato all’estero la
lesione del superiore interesse del bambino nato da surrogazione di maternità.
Ad avviso della parte, la
prospettiva si dovrebbe spostare dalla valutazione della situazione giuridica
della coppia a quella del minore, meritevole di autonoma considerazione
indipendentemente dalle condotte realizzate dai genitori, siano essi biologici,
sociali o intenzionali.
3.5.1.– A conclusioni analoghe
sarebbe inizialmente pervenuta la Corte EDU nella sentenza resa nel caso
Paradiso e Campanelli contro Italia, sopra già citata. In tale pronuncia, la
Corte di Strasburgo ha affermato il carattere recessivo delle esigenze di
ordine pubblico rispetto alla necessaria salvaguardia del superiore interesse
del minore, ravvisando nel caso concreto la violazione del suo diritto alla
vita privata e familiare, in ragione dell’allontanamento dalla famiglia di
origine.
Peraltro, successivamente
all’ordinanza di rimessione, è intervenuta la sentenza del 24 gennaio 2017
della Grande camera, la quale, nel riesaminare la decisione del 27 gennaio
2015, ha escluso la violazione dell’art. 8 della CEDU. In questa occasione, la
Corte di Strasburgo ha ritenuto che le misure adottate dalle autorità italiane,
che avevano disposto l’allontanamento del minore dalla coppia ricorrente e il
suo collocamento presso un diverso nucleo familiare, non abbiano arrecato allo
stesso minore un pregiudizio grave o irreparabile a causa della separazione,
garantendo un giusto equilibrio tra i diversi interessi in gioco.
Ad avviso della parte, anche
questa pronuncia confermerebbe la necessità di salvaguardare il superiore
interesse del minore attraverso una valutazione individualizzata, avente ad
oggetto le circostanze del caso concreto. In questo caso veniva in rilievo la
conformità alla CEDU dell’allontanamento del minore dalla coppia ricorrente,
con cui egli non intratteneva alcun legame biologico. Viceversa, osserva la
parte privata, la pronuncia non atterrebbe né al rifiuto di trascrivere un
certificato di nascita formato all’estero, né al diritto del minore a ottenere
il riconoscimento del rapporto di filiazione con la coppia, ciò che invece
riveste rilievo centrale nella questione in esame.
Pertanto, resterebbero fermi i
dubbi di non conformità della disposizione censurata rispetto all’art. 8 della
CEDU. Essa precluderebbe, infatti, la valutazione individualizzata delle
circostanze del caso e impedirebbe, altresì, di dare concretezza all’esigenza
di tutela dell’interesse del minore.
3.5.2.– Più in generale, l’art. 263
cod. civ. sarebbe in contrasto con il quadro internazionale di tutela dei
diritti dei minori e, in particolare, con gli artt. 3 e 8, paragrafo 1, della
Convenzione sui diritti del fanciullo. Nella stessa direzione si porrebbe anche
l’azione del Consiglio d’Europa, con le Linee guida per una giustizia a misura
di minore, cui si affianca la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti
dei fanciulli. Si evidenzia, altresì, che la tutela del superiore interesse del
minore è riconosciuta dall’art. 24, secondo comma, della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea.
4.– Con atto depositato in
data 10 febbraio 2017 si è costituita in giudizio l’avvocato Grazia Ofelia Cesaro, nella qualità di curatore speciale del minore L.F.
Z., rappresentato e difeso dalla detta professionista, e ha chiesto
l’accoglimento della questione sollevata dalla Corte d’appello di Milano.
4.1.– Il curatore premette che
l’azione dallo stesso proposta ai sensi dell’art. 263 cod. civ. è derivata
dall’acquisizione della prova, nel corso del procedimento di adottabilità, che
il figlio minore non è un discendente biologico di colei che lo ha
riconosciuto. Il Tribunale per i minorenni ha pertanto provveduto alla nomina
del curatore, conferendogli uno specifico mandato ad impugnare il
riconoscimento.
Il curatore evidenzia, in
particolare, che sebbene gli accertamenti svolti dal Tribunale per i minorenni
avessero confermato l’interesse del figlio minore a mantenere il legame
familiare con la madre sociale (oltre che con il padre), tuttavia le norme che
disciplinano la genitorialità non consentirebbero a madre e figlio di vedersi
riconosciuto tale legame giuridico, laddove esso non corrisponda alla verità
biologica.
L’art. 263 cod. civ., infatti,
contempla quale unico presupposto necessario e sufficiente per l’impugnazione
del riconoscimento il difetto di veridicità, inteso come assenza di un legame
biologico tra l’autore del riconoscimento e colui che è riconosciuto come
figlio. Ciò precluderebbe al giudice ogni possibilità di valutazione e
bilanciamento degli interessi coinvolti, in quanto l’inesistenza di tale legame
biologico costituirebbe l’unica condizione per l’accoglimento dell’azione.
Osserva il curatore che
l’interesse del minore alla salvaguardia del proprio legame con la madre (ed
indirettamente con la famiglia d’origine materna) potrebbe, in ipotesi, essere
preservato solo mediante lo strumento di cui all’art. 44 della legge n. 184 del
1983, previa rimozione dell’attuale status filiationis
per parte di madre. Tale possibilità sarebbe, tuttavia, del tutto aleatoria,
non solo perchè dipendente dalla libera iniziativa
del genitore sociale, ma anche perchè subordinata al
consenso dell’altro genitore. Inoltre, l’eventuale legame così costituito
sarebbe comunque più debole di quello derivante dalla maternità naturale,
attese le peculiarità proprie dell’adozione in casi particolari.
Rispetto all’interpretazione
offerta dalla precedente sentenza n. 112 del
1997, sarebbe oggi necessario un riesame della questione, per riscontrare
se, nell’attuale momento storico-sociale e nell’attuale panorama normativo e
giurisprudenziale, sussista ancora la necessità di individuare nella verità del
rapporto di filiazione un valore preminente, da tutelare in via prioritaria.
4.1.1.– In primo luogo, ad avviso del
curatore, il principio secondo cui ogni falsa apparenza di stato deve cadere,
così come il principio del favor veritatis,
non assurgerebbero a valori costituzionalmente garantiti. L’art. 30 Cost. non
avrebbe attribuito, infatti, un valore preminente alla verità biologica
rispetto a quella legale. Al contrario, nel disporre, al quarto comma, che
«[l]a legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità», la
Costituzione avrebbe demandato al legislatore il potere di privilegiare la
paternità legale rispetto a quella naturale, fissando le condizioni e le modalità
per far valere quest’ultima ed affidandogli la valutazione della soluzione più
idonea per realizzare la coincidenza tra la discendenza naturale e quella
biologica.
L’interesse pubblico alla
verità dello status di filiazione, dunque, non dovrebbe necessariamente ed
automaticamente prevalere sull’interesse del minore. Anche la normativa interna
ed internazionale, oltre ad avere posto il minore al centro dei procedimenti
promossi a sua tutela, avrebbe altresì prescritto l’obbligo di verificare
l’interesse del minore, affinché lo stesso possa essere oggetto di
bilanciamento con gli altri interessi meritevoli di tutela.
In particolare, nella mutata
coscienza sociale, tra gli interessi giuridici del minore rileverebbero
l’interesse alla stabilità dei legami familiari e quello a vivere e crescere
all’interno della propria famiglia. In tal senso, sia la legge n. 219 del 2012,
sia il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della
legge 10 dicembre 2012, n. 219), avrebbero introdotto nuovi termini di
decadenza ed imposto limiti più stringenti al potere dei genitori di agire per
il disconoscimento del figlio, così come per l’impugnazione del riconoscimento,
per l’acquisita consapevolezza che la tutela dell’identità e della vita
personale e familiare del minore non sempre coinciderebbe con la rimozione di
uno status personale non conforme alle origini biologiche.
Le modifiche legislative avrebbero
posto al centro del rapporto di filiazione il concetto di responsabilità
genitoriale, ridisegnando la disciplina delle azioni di disconoscimento di
paternità e di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, nella
prospettiva della prevalenza dell’interesse del figlio alla stabilità del
rapporto. D’altra parte, anche la giurisprudenza di legittimità avrebbe
riconosciuto il rilievo delle relazioni consolidatesi nel tempo tra genitore e
figlio, alla luce del diritto di quest’ultimo a conservare tale profilo che
caratterizza fin dalla nascita l’identità personale (Corte di cassazione,
sezione prima civile, sentenza 22 giugno 2016, n. 12962).
Il curatore evidenzia,
inoltre, che la più recente giurisprudenza di merito ha esteso la portata
applicativa dell’art. 9 della legge n. 40 del 2004, dichiarando l’illegittimità
dell’azione di impugnazione del riconoscimento intrapresa da terzi nei
confronti di un figlio minore nato da fecondazione eterologa, così estendendo
«a chiunque vi abbia interesse» il divieto di disconoscimento previsto solo nei
confronti dell’autore del riconoscimento (Corte d’appello di Milano, sentenza
10 agosto 2015, n. 3397). Alla luce di tale evoluzione giurisprudenziale, che
attenua il principio della prevalenza della verità biologica, andrebbe escluso
pertanto che il favor veritatis
costituisca valore di rilevanza costituzionale assoluta, tale da affermarsi
comunque.
L’intervento correttivo
auspicato si porrebbe in linea di continuità con la giurisprudenza
costituzionale che ha ritenuto illegittimo ogni automatismo legislativo che
impedisca di bilanciare gli interessi tutelati con il preminente interesse del
minore (è richiamata la sentenza n. 31 del
2012). La necessità di tale bilanciamento sarebbe stata riconosciuta anche
dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione, nella sentenza del 25
gennaio 2017, n. 1946, che ha fatto seguito alla sentenza n. 278 del 2013 di
questa Corte, in cui sarebbe stato affermato il diritto del figlio di accedere
alle informazioni sulla madre che si fosse avvalsa della facoltà di non essere
nominata.
4.1.2.– Anche a livello
europeo, si dovrebbe constatare la progressiva perdita di rilievo della verità
di sangue e l’emersione del rapporto affettivo della filiazione, quale elemento
fondamentale per il riconoscimento dei legami tra genitori e figli sul piano
del diritto; sono richiamate le sentenze della Corte di
Strasburgo 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti contro Italia (ricorso 16318 del
2007), e 1° aprile
2010, S.H. ed altri contro Austria (ricorso n. 57813 del 2000).
Inoltre, la legge 19 ottobre
2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla
continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) farebbe
propri i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, agevolando
l’attribuzione di rilievo giuridico al rapporto di fatto instaurato tra i
minori dichiarati adottabili e la famiglia affidataria.
L’interesse alla costituzione
e alla conservazione dei legami familiari, non necessariamente coincidente con
la verità delle origini biologiche, sarebbe riconosciuto quale criterio di
valutazione centrale e riguarderebbe ormai anche i soggetti maggiorenni. Al
riguardo, è richiamata l’ordinanza del Tribunale di Firenze 30 luglio 2015 che
ha rigettato un’istanza di accertamento della non corrispondenza del DNA del
presunto padre defunto con quello della figlia maggiorenne, al fine di proporre
l’azione di cui all’art. 263 cod. civ.
Ed invero, la tendenza a far
prevalere i valori costituzionali di solidarietà e di tutela dell’individuo e
della vita familiare sarebbe ravvisabile in ogni settore del diritto di
famiglia. È richiamata, al riguardo, la sentenza della Corte di cassazione,
sezione prima civile, 21 aprile 2015, n. 8097, con cui è stata ritenuta
invalida l’annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio,
rispetto ad una coppia in cui uno dei coniugi aveva ottenuto, con il consenso
dell’altro, la rettificazione di sesso.
4.2.– Sulla base di tali
considerazioni, dunque, il curatore ritiene fondati gli argomenti svolti
dall’ordinanza di rimessione.
4.2.1.– Riguardo al contrasto con
l’art. 2 Cost., il curatore sottolinea come l’esigenza di tutelare il diritto
del figlio minore alla propria identità sia stata affermata sin dalla sentenza
n. 112 del 1997. In tale pronuncia sarebbe stata esclusa una contrapposizione
tra il favor veritatis ed
il favor minoris,
intendendo così far coincidere l’identità del minore con la sola discendenza
genetica dello stesso. Si tratterebbe, tuttavia, di un’interpretazione
oltremodo restrittiva ed impropria del concetto di identità personale, non più
conforme all’attuale coscienza sociale.
L’identità personale, infatti,
sarebbe un concetto dinamico, non cristallizzato al momento del concepimento.
Essa si svilupperebbe nel tempo, per effetto delle relazioni create con il
mondo esterno, del nome e del cognome scelto dai genitori alla nascita,
dell’appartenenza al luogo dove si cresce, della propria storia, cultura e
tradizioni e, soprattutto, dei genitori e delle rispettive famiglie d’origine,
che condizionano il processo di crescita.
Anche la Corte di cassazione,
di recente, avrebbe condiviso questi principi, riconoscendo la risarcibilità
del danno arrecato dal padre al figlio a causa dell’esperimento dell’azione di
cui all’art. 263 cod. civ. In tale occasione, si è affermato che l’identità,
come tutti i diritti della personalità, «si rafforza e si consolida con il
passare del tempo. Pertanto, maggiore è il lasso di tempo intercorso tra il
riconoscimento e l’impugnazione per difetto di veridicità, maggiore sarà la lesione
che ne discende al diritto all’identità personale» (Corte di cassazione,
sezione prima civile, sentenza 31 luglio 2015, n. 16222).
D’altra parte, la rimozione
dello status filiationis, ai sensi dell’art. 263 cod.
civ., non garantirebbe affatto l’acquisizione di una genitorialità
corrispondente a verità. Il genitore biologico potrebbe, infatti, rifiutare il
riconoscimento, quest’ultimo potrebbe essere contrario all’interesse del
minore, oppure, come accade nei casi di maternità surrogata, il genitore biologico
potrebbe essere non identificabile. In tali circostanze sarebbe leso anche il
diritto del minore alla bigenitorialità, diritto
riconosciuto come preminente dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni
in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli).
4.2.2.– In riferimento all’art. 3
Cost., il curatore rileva che l’esigenza di bilanciare l’interesse del minore
con il pubblico interesse alla certezza degli status sarebbe stata affermata
dal legislatore in tutte le azioni in materia di riconoscimento dei figli
(artt. 250, 251 e 269 cod. civ.). Se in tali azioni, tese ad estendere i legami
di filiazione del minore, è stata ritenuta necessaria la valutazione
dell’interesse del medesimo, non si comprenderebbe perché essa non possa
compiersi anche nelle azioni il cui accoglimento comporta la rescissione di
tali legami e quindi l’impoverimento delle relazioni familiari del minore.
4.2.3.– Quanto al contrasto con gli
artt. 30 e 31 Cost., il curatore deduce che, nei giudizi di accertamento del
rapporto di filiazione, la prevalenza incondizionata del favor
veritatis sarebbe stata messa in dubbio dalla
giurisprudenza. Al riguardo, si fa rilevare che gli artt. 30 e 31 Cost.
riconoscono che la ricerca della filiazione biologica può incontrare dei
limiti, derivanti dalla necessità di bilanciamento con altri interessi
costituzionalmente garantiti, primo fra tutti l’interesse del minore. La
preminenza del favor veritatis
non sarebbe espressione di valori costituzionali, bensì il portato di una
concezione arretrata e formalistica dei rapporti familiari, ormai estranea al
comune sentire.
4.2.4.– Da ultimo, quanto al
contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., il curatore osserva che l’art. 8
della CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, imporrebbe in via
prioritaria al legislatore nazionale di tutelare il legame di filiazione,
ancorché originato attraverso pratiche ritenute illecite dall’ordinamento
nazionale.
Non potrebbe, dunque,
ritenersi giustificata una previsione legislativa, come quella censurata, che
impone la rimozione dello status filiationis,
precludendo ogni valutazione circa la corrispondenza di questa decisione
all’interesse del minore. In ciò sarebbe ravvisabile un eccesso di
discrezionalità legislativa. Di converso, laddove è in gioco il best interest of the child e la tutela
della sua identità, il margine di tale discrezionalità sarebbe strettissimo,
dovendosi ispirare alla promozione della persona del minore (oltre alle già
citate sentenze 26 giugno 2014, Mennesson contro
Francia e Labassee contro Francia, è richiamata la
sentenza della Grande
camera 10 aprile 2007, Evans contro Regno Unito, ricorso n. 2346 del 2002).
Viceversa, l’art. 263 cod. civ.
tradirebbe tale scopo. Esso sacrificherebbe ogni considerazione centrata sulla
persona del minore ad un presunto interesse pubblico alla verità biologica
della procreazione, violando anche i principi desumibili dalle convenzioni
internazionali che l’Italia ha sottoscritto, prima tra tutte la Convenzione di
New York sui diritti del fanciullo, nonché la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea.
Il curatore deduce che, nella
giurisprudenza della Corte EDU, la sussistenza di legami familiari sarebbe
legata all’esistenza, anche solo nei fatti, di stretti vincoli affettivi (Grande camera, sentenza 13
giugno 1979, Marckx contro Belgio, ricorso n. 6833
del 1974), a prescindere dalla loro qualificazione giuridica formale, ed
anzi, talvolta, anche se la legge nazionale rifiuti di riconoscerli (Grande camera, sentenza 27
ottobre 1994, Kroon ed altri contro Paesi Bassi,
ricorso n. 18535 del 1991, e sentenza 22 aprile 1997, X, Y
e Z contro Regno Unito, ricorso n. 21830 del 1993).
Nella nozione di vita
familiare, da proteggersi ai sensi dell’art. 8 della CEDU, rientrerebbe il
legame tra il figlio ed il genitore, anche se tale relazione non ha presupposti
biologici, ma solo affettivi (Prima sezione, sentenza 16 luglio 2015, Nazarenko contro Russia, ricorso n. 39438 del 2013). Il
rapporto di filiazione sarebbe espressione della vita privata o, come nel caso
che ha dato origine al presente giudizio, espressione di vita familiare. Ciò
sarebbe confermato dalla stessa posizione del Governo italiano, espressa di
fronte alla Corte EDU nel caso Paradiso e Campanelli, laddove è stata ammessa
la possibilità di una vita familiare de facto, anche in assenza di legame
biologico con entrambi i genitori.
Ove il legame biologico
sussista solo nei confronti di un genitore (come nel caso in esame) si potrà
invocare l’art. 8 della CEDU, nell’accezione di "vita familiare”. Laddove tale
legame non sussista, la protezione della filiazione "sociale” dovrebbe essere
riconosciuta quale declinazione della "vita privata” del minore.
5.– Nel giudizio innanzi alla
Corte, è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia
dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
5.1.– La difesa statale ha
eccepito, in primo luogo, l’inammissibilità della questione, in quanto volta ad
inserire, attraverso una pronuncia additiva, una condizione esclusiva
(l’interesse del minore) ai fini dell’impugnazione del riconoscimento di figlio
naturale. Spetterebbe, viceversa, al legislatore stabilire se l’accoglimento di
tale impugnazione debba essere subordinato unicamente all’interesse del minore
all’appartenenza familiare.
5.2.– Nel merito, la questione
sarebbe comunque infondata.
La ratio dell’art. 263 cod.
civ., quale strumento di tutela dell’interesse superiore alla corrispondenza
tra realtà naturale e verità apparente, sarebbe quella di far cadere il
riconoscimento non rispondente al vero. Verrebbe in rilievo, quindi,
l’interesse oggettivo dell’ordinamento alla verità dello status di filiazione,
attinente a principi di ordine pubblico, intesi come principi fondamentali ed
irrinunciabili. Ad avviso della difesa statale, il principio del favor veritatis esprime
un’esigenza di certezza nei rapporti di filiazione e la protezione
dell’interesse del minore si realizzerebbe proprio nel riconoscimento del
diritto alla propria identità (sono richiamate la sentenza n. 112 del
1997 e l’ordinanza
n. 7 del 2012).
La ratio dell’art. 263 cod.
civ. consisterebbe nell’attuazione del diritto del minore all’acquisizione di
uno stato corrispondente alla realtà biologica, ovvero, qualora ciò non sia
possibile, di uno stato corrispondente a quello di figlio legittimo, ma solo attraverso
le garanzie offerte dalla disciplina dell’adozione.
Non sarebbe, dunque,
ravvisabile alcun contrasto con l’art. 2 Cost., perché lo scioglimento dei
vincoli assunti dal genitore verso il preteso figlio realizzerebbe l’interesse
oggettivo dell’ordinamento alla verità dello status.
Non potrebbero ritenersi lesi
neppure i principi di cui agli artt. 30 e 31 Cost. Essi non sarebbero
invocabili laddove il legame familiare venga meno, in quanto privato del
fondamento della verità della filiazione naturale.
Inoltre, non sarebbe
ravvisabile alcun contrasto con l’art. 3 Cost. e quindi con il principio di
ragionevolezza, perché l’art. 263 cod. civ. sarebbe giustificato dalla
superiore esigenza di far cadere ogni falsa apparenza di status.
Infine, non sussisterebbe
neppure la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art.
8 della CEDU, non essendo in discussione la tutela della vita privata del
minore, ma il suo diritto alla identità personale, sotto il profilo del legame
di filiazione.
5.3.– Ad avviso dell’Avvocatura
generale dello Stato, la questione sarebbe manifestamente infondata, non
ravvisandosi nella considerazione del favor veritatis una ragione di conflitto con il favor minoris. La verità
biologica della procreazione costituisce, infatti, una componente essenziale
dell’interesse del medesimo minore, dovendo essergli garantito il diritto alla
propria identità e all’affermazione di un rapporto di filiazione veridico (sentenze n. 216
e n. 112 del
1997). L’intangibilità dello status sarebbe recessiva rispetto a tale
diritto, laddove venga meno la corrispondenza alla verità biologica (sentenza n. 170 del
1999).
6.– In prossimità dell’udienza
pubblica, il curatore speciale ha depositato una memoria integrativa in cui,
dopo avere ribadito gli argomenti già illustrati nelle precedenti difese, ha
sottolineato che la mancata previsione della valutazione dell’interesse del
minore impedirebbe di tener conto che, nel caso in esame, tale interesse è
stato, in parte, già accertato dal Tribunale per i minorenni con la sentenza
che ha dichiarato non luogo a provvedere sull’adottabilità. Il curatore
speciale ritiene, peraltro, che una volta ricevuto il mandato dal medesimo
Tribunale, egli non avrebbe potuto astenersi dallo svolgere tale incarico.
6.1.– In riferimento all’eccezione
di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, relativa
all’incidenza che un’eventuale pronuncia di accoglimento avrebbe sulla
discrezionalità del legislatore, si osserva che in questo caso è richiesta alla
Corte l’eliminazione di un automatismo normativo che impedisce un bilanciamento
tra gli interessi in gioco, ciò che rientrerebbe pienamente nelle sue
attribuzioni. D’altra parte, interventi additivi della giurisprudenza
costituzionale sarebbero frequenti proprio in materia di tutela d’interesse del
minore (sono richiamate le sentenze n. 7 del
2013, n. 31
del 2012, n.
50 del 2006 e n.
297 del 1996).
6.2.– Da ultimo, il curatore
speciale contesta che, nel nostro ordinamento, vi sia una necessaria
coincidenza tra interesse del minore e favor veritatis. Ogni rigidità e automatismo in tal senso, anzi,
potrebbero risultare pregiudizievoli per il minore.
È richiamata, in particolare,
la sentenza della Corte di cassazione, sezione prima civile, 22 dicembre 2016,
n. 26767, che ha ritenuto essenziale il bilanciamento tra gli interessi in
gioco, in considerazione del superamento della concezione della famiglia su
base essenzialmente genetica.
D’altra parte, un distacco tra
identità genetica e identità giuridica sarebbe alla base proprio della
disciplina dell’adozione, la quale costituisce espressione di un principio di
responsabilità di chi sceglie di essere genitore, facendo sorgere nel figlio
"desiderato” un legittimo affidamento sulla continuità della relazione.
Il curatore evidenzia che – a
conferma del riconoscimento della valenza del genitore sociale – la stessa
giurisprudenza costituzionale ha richiamato proprio l’istituto dell’adozione.
Nella sentenza
n. 162 del 2014 si sottolinea, infatti, che esso mira a garantire una
famiglia ai minori, evidenziando che «il dato della provenienza genetica non
costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa».
Considerato in diritto
1.– Nel corso di un
procedimento di impugnazione del riconoscimento di figlio naturale per difetto
di veridicità, la Corte d’appello di Milano ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell’art. 263 del codice civile, in riferimento agli
artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in
relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in avanti: CEDU), firmata a Roma
il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n.
848.
La disposizione è censurata
nella parte in cui non prevede che l’impugnazione del riconoscimento del figlio
minore per difetto di veridicità possa essere accolta solo quando sia
rispondente all’interesse dello stesso.
2.– Secondo la difesa del
Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio incidentale, la
questione sarebbe inammissibile in quanto volta ad inserire, attraverso una
pronuncia additiva, una condizione esclusiva (l’interesse del minore) ai fini dell’impugnazione
del riconoscimento del figlio naturale. Spetterebbe, viceversa, al legislatore
stabilire se l’accoglimento di tale impugnazione debba essere subordinato
all’interesse del minore all’appartenenza familiare.
L’eccezione di inammissibilità
è priva di fondamento.
Al riguardo, va rilevato che
il petitum del rimettente è volto al riconoscimento
della possibilità di valutare l’interesse del minore, ai fini della decisione
sull’impugnazione del riconoscimento. Ove si neghi tale possibilità, l’accoglimento
della domanda rimarrebbe condizionato soltanto all’accertamento della non
veridicità del riconoscimento. In definitiva, attraverso l’intervento invocato,
è denunciata l’irragionevolezza di un automatismo decisorio che impedirebbe di
tenere conto degli interessi in gioco. Il sindacato di legittimità rimesso a
questa Corte è limitato, pertanto, alla verifica del fondamento costituzionale
del denunciato meccanismo decisorio, senza alcuna interferenza sul contenuto di
scelte discrezionali rimesse al legislatore.
3.– Sempre in via preliminare,
occorre delimitare l’ambito dell’indagine che il giudice intende rimettere alla
Corte in questa occasione.
Secondo questa prospettazione,
il giudizio a quo ha per oggetto l’accertamento dell’inesistenza del rapporto
di filiazione di un minore nato attraverso il ricorso alla surrogazione di
maternità realizzata all’estero. Non è tuttavia in discussione la legittimità
del divieto di tale pratica, previsto dall’art. 12, comma 6, della legge 19
febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita),
e nemmeno la sua assolutezza. Risulta parimenti estraneo alla odierna questione
di legittimità costituzionale il tema dei limiti alla trascrivibilità in Italia
di atti di nascita formati all’estero.
La questione sollevata dalla
Corte d’appello di Milano ha per oggetto, infatti, la disciplina dell’azione di
impugnazione prevista dall’art. 263 cod. civ., volta a rimuovere lo stato di
figlio, già attribuito al minore per effetto del riconoscimento, in considerazione
del suo difetto di veridicità.
4.– Nel merito, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ. non è fondata.
Nell’interpretazione fatta
propria dal rimettente la norma censurata si porrebbe in contrasto con i
principi di cui agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, Cost., poiché, nel
giudizio di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale, essa non
consentirebbe di tenere conto, in concreto, dell’interesse del minore «a
vedersi riconosciuto e mantenuto uno stato di filiazione quanto più rispondente
alle sue esigenze di vita». Tuttavia, siffatta interpretazione non può essere
condivisa, neppure nei casi nei quali il legislatore imponga di non
pretermettere la verità.
4.1.– Pur dovendosi riconoscere un
accentuato favore dell’ordinamento per la conformità dello status alla realtà
della procreazione, va escluso che quello dell’accertamento della verità
biologica e genetica dell’individuo costituisca un valore di rilevanza
costituzionale assoluta, tale da sottrarsi a qualsiasi bilanciamento.
Ed invero, l’attuale quadro
normativo e ordinamentale, sia interno, sia internazionale, non impone, nelle
azioni volte alla rimozione dello status filiationis,
l’assoluta prevalenza di tale accertamento su tutti gli altri interessi
coinvolti.
In tutti i casi di possibile
divergenza tra identità genetica e identità legale, la necessità del
bilanciamento tra esigenze di accertamento della verità e interesse concreto
del minore è resa trasparente dall’evoluzione ordinamentale intervenuta e si
proietta anche sull’interpretazione delle disposizioni da applicare al caso in
esame.
4.1.1.– A questo riguardo va
preliminarmente osservato che la disposizione dell’art. 263 cod. civ. è stata
censurata dal rimettente nella versione, applicabile ratione
temporis, antecedente alle modifiche apportate dal
decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni
vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10
dicembre 2012, n. 219).
In particolare, l’art. 28 del
medesimo d.lgs., in vigore dal 7 febbraio 2014, nel modificare l’art. 263 cod.
civ., ha limitato l’imprescrittibilità dell’azione esclusivamente a quella
esercitata dal figlio. Analoga previsione è stata inserita – con riferimento
all’azione di disconoscimento di paternità – nell’art. 244, quinto comma, cod.
civ., nel testo introdotto dall’art. 18, primo comma, del d.lgs. n. 154 del
2013. Gli altri legittimati, laddove intendano proporre le suddette azioni di
contestazione degli status, sono ora tenuti a rispettare i termini di decadenza
previsti dalla nuova disciplina.
Il legislatore delegato ha
così garantito, senza limiti di tempo, l’interesse primario ed inviolabile dei figli
all’accertamento della propria identità e discendenza biologica. Per converso,
la previsione di termini di decadenza per gli altri legittimati ha circoscritto
entro rigorosi limiti temporali l’esperibilità delle
azioni demolitorie dello status filiationis,
assicurando così tutela al diritto del figlio alla stabilità dello status
acquisito.
La necessità del bilanciamento
dell’interesse del minore con il pubblico interesse alla certezza degli status
è, altresì, espressamente prevista dal legislatore nelle azioni in materia di
riconoscimento dei figli (artt. 250 e 251 cod. civ.), volte all’estensione dei
legami parentali del minore.
4.1.2.– D’altra parte, già l’art. 9
della legge n. 40 del 2004 aveva escluso che il coniuge o il convivente che
abbiano acconsentito al ricorso a tecniche di procreazione medicalmente
assistita di tipo eterologo potessero promuovere l’azione di disconoscimento o
impugnare il riconoscimento ai sensi dell’art. 263 cod. civ.
Al riguardo questa Corte ha
ritenuto «confermata sia l’inammissibilità dell’azione di disconoscimento della
paternità […] e dell’impugnazione ex art. 263 cod. civ. (nel testo novellato
dall’art. 28 del d.lgs. n. 154 del 2013), sia che la nascita da PMA di tipo
eterologo non dà luogo all’istituzione di relazioni giuridiche parentali tra il
donatore di gameti ed il nato, essendo, quindi, regolamentati i principali
profili dello stato giuridico di quest’ultimo» (sentenza n. 162 del
2014).
Anche in questo caso, in
un’ipotesi di divergenza tra genitorialità genetica e genitorialità biologica,
il bilanciamento è stato effettuato dal legislatore attribuendo la prevalenza
al principio di conservazione dello status filiationis.
4.1.3.– Proprio al fine di
garantire tutela al bambino concepito attraverso fecondazione eterologa, sin da
epoca antecedente alla legge n. 40 del 2004, questa Corte – senza mettere in
discussione la legittimità di tale pratica, «né […] il principio di
indisponibilità degli status nel rapporto di filiazione, principio sul quale
sono suscettibili di incidere le varie possibilità di fatto oggi offerte dalle
tecniche applicate alla procreazione» – si è preoccupata «invece di tutelare
anche la persona nata a seguito di fecondazione assistita, venendo
inevitabilmente in gioco plurime esigenze costituzionali. Preminenti in
proposito sono le garanzie per il nuovo nato […], non solo in relazione ai
diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt.
30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 della
Costituzione – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente
impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità: diritti che è
compito del legislatore specificare» (sentenza n. 347 del
1998).
4.1.4.– Come evidenziato dallo stesso
rimettente in riferimento alla violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.,
anche il quadro europeo ed internazionale di tutela dei diritti dei minori
evidenzia la centralità della valutazione dell’interesse del minore
nell’adozione delle scelte che lo riguardano.
Tale principio ha trovato la
sua solenne affermazione dapprima nella Convenzione sui diritti del fanciullo,
fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27
maggio 1991, n. 176, in forza della quale «[i]n tutte le decisioni relative ai
fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di
assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi
legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione
preminente» (art. 3, paragrafo 1).
Nella stessa direzione si
pongono la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta
a Strasburgo il 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 20 marzo
2003, n. 77, e le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa
per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098ª
riunione dei delegati dei ministri.
Infine, l’art. 24, secondo
comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, sancisce
il principio per il quale «[i]n tutti gli atti relativi ai bambini, siano essi
compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore
del bambino deve essere considerato preminente».
D’altra parte, pur in assenza
di un’espressa base testuale, la garanzia dei best interests
of the child è stata riportata, nell’interpretazione
della Corte europea dei diritti dell’uomo, sia all’art. 8, sia all’art. 14
della CEDU. Ed è proprio in casi di surrogazione di maternità, nel valutare il
rifiuto di trascrizione degli atti di nascita nei registri dello stato civile
francese, che la Corte di Strasburgo ha affermato che il rispetto del migliore
interesse dei minori deve guidare ogni decisione che li riguarda (sentenze del
26 giugno 2014, rese nei casi Mennesson
contro Francia e Labassee contro Francia, ricorsi n. 65192 del 2011 e n.
65941 del 2011).
4.1.5.– Va altresì rammentato che,
in linea con i principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, la
legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul
diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido
familiare) ha valorizzato l’interesse del minore alla conservazione di legami
affettivi che sicuramente prescindono da quelli di sangue, attraverso
l’attribuzione di rilievo giuridico ai rapporti di fatto instaurati tra il
minore dichiarato adottabile e la famiglia affidataria.
D’altra parte, il distacco tra
identità genetica e identità legale è alla base proprio della disciplina
dell’adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Diritto del minore ad una
famiglia»), quale espressione di un principio di responsabilità di chi sceglie
di essere genitore, facendo sorgere il legittimo affidamento sulla continuità
della relazione.
4.1.6.– Anche la
giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto, da tempo, l’immanenza
dell’interesse del minore nell’ambito delle azioni volte alla rimozione del suo
status filiationis (sentenze n. 112 del
1997, n. 170
del 1999 e n.
322 del 2011; ordinanza
n. 7 del 2012).
In tale giurisprudenza si
trovano affermazioni sul particolare valore della verità biologica. Tuttavia –
diversamente da quanto ritiene il giudice a quo – essa non ha affatto negato la
possibilità di valutare l’interesse del minore nell’ambito delle azioni
demolitorie del rapporto di filiazione. È stato riconosciuto che la verità
biologica della procreazione costituisce «una componente essenziale»
dell’identità personale del minore, la quale concorre, insieme ad altre
componenti, a definirne il contenuto.
Pertanto, nell’auspicare una
«tendenziale corrispondenza» tra certezza formale e verità naturale, si è
riconosciuto che anche l’accertamento della verità biologica fa parte della
complessiva valutazione rimessa al giudice, alla stregua di tutti gli altri
elementi che, insieme ad esso, concorrono a definire la complessiva identità
del minore e, fra questi, anche quello, potenzialmente confliggente, alla
conservazione dello status già acquisito.
Costituisce infatti «compito
precipuo del tribunale per i minorenni, […] verificare se la modifica dello
status del minore risponda al suo interesse e non sia per lui di pregiudizio;
così come contemporaneamente occorre anche verificare, sia pure con sommaria
delibazione, la verosimiglianza del preteso rapporto di filiazione, dovendosi
garantire il diritto del minore alla propria identità» (sentenza n. 216 del
1997, sulla previgente disciplina dell’azione di disconoscimento della
paternità, di cui agli artt. 273 e 274 cod. civ.).
Nell’evoluzione normativa e
ordinamentale del concetto di famiglia, a conferma del rilievo giuridico della
genitorialità sociale, ove non coincidente con quella biologica, vi è anche
l’espresso riconoscimento, da parte di questa Corte, che «il dato della
provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della
famiglia stessa» (sentenza
n. 162 del 2014).
4.1.7.– L’esigenza di operare
un’adeguata comparazione degli interessi in gioco, alla luce della concreta
situazione dei soggetti coinvolti e, in particolare, del minore, è stata
recentemente riconosciuta anche dalla Corte di cassazione, con riferimento
all’azione di disconoscimento della paternità.
La giurisprudenza di
legittimità ha escluso, infatti, che il favor veritatis costituisca un valore di rilevanza costituzionale
assoluta da affermarsi comunque, atteso che l’art. 30 Cost. non ha attribuito
un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella
legale. Nel disporre, al quarto comma, che «[l]a legge detta le norme e i limiti
per la ricerca della paternità», l’art. 30 Cost. ha demandato al legislatore
ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango
costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di
fissare le condizioni e le modalità per far valere quest’ultima, così
affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea
per la realizzazione dell’interesse del figlio (Corte di cassazione, sezione
prima civile, sentenze 30 maggio 2013, n. 13638; 22 dicembre 2016, n. 26767; e
3 aprile 2017, n. 8617).
4.2.– È alla luce di tali principi,
immanenti anche nel mutato contesto normativo e ordinamentale, che si pone la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 cod. civ.
L’affermazione della necessità
di considerare il concreto interesse del minore in tutte le decisioni che lo
riguardano è fortemente radicata nell’ordinamento sia interno, sia
internazionale e questa Corte, sin da epoca risalente, ha contribuito a tale
radicamento (ex plurimis, sentenze n. 7 del
2013, n. 31
del 2012, n.
283 del 1999, n.
303 del 1996, n.
148 del 1992 e n. 11 del 1981).
Non si vede conseguentemente
perché, davanti all’azione di cui all’art. 263 cod. civ., fatta salva quella
proposta dallo stesso figlio, il giudice non debba valutare: se l’interesse a
far valere la verità di chi la solleva prevalga su quello del minore; se tale
azione sia davvero idonea a realizzarlo (come è nel caso dell’art. 264 cod.
civ.); se l’interesse alla verità abbia anche natura pubblica (ad esempio
perché relativa a pratiche vietate dalla legge, quale è la maternità surrogata,
che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le
relazioni umane) ed imponga di tutelare l’interesse del minore nei limiti
consentiti da tale verità.
Vi sono casi nei quali la
valutazione comparativa tra gli interessi è fatta direttamente dalla legge,
come accade con il divieto di disconoscimento a seguito di fecondazione
eterologa. In altri il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa
d’atto della verità con divieti come quello della maternità surrogata. Ma
l’interesse del minore non è per questo cancellato.
La valutazione del giudice è
presente, del resto, nello stesso procedimento previsto dall’art. 264 cod.
civ., volto alla nomina del curatore speciale del figlio minore, laddove
l’azione di contestazione dello status sia esercitata nel suo interesse. È
anche in questa sede, infatti, che il legislatore – sia pure con i limiti
derivanti dalla natura camerale del procedimento – ha affidato al giudice
specializzato il compito di valutare, ancor prima dell’instaurazione dell’azione,
l’interesse del minore all’assunzione di tale iniziativa giudiziale.
4.3.– Se dunque non è
costituzionalmente ammissibile che l’esigenza di verità della filiazione si
imponga in modo automatico sull’interesse del minore, va parimenti escluso che
bilanciare quell’esigenza con tale interesse comporti l’automatica
cancellazione dell’una in nome dell’altro.
Tale bilanciamento comporta,
viceversa, un giudizio comparativo tra gli interessi sottesi all’accertamento
della verità dello status e le conseguenze che da tale accertamento possano
derivare sulla posizione giuridica del minore.
Si è già visto come la regola
di giudizio che il giudice è tenuto ad applicare in questi casi debba tenere
conto di variabili molto più complesse della rigida alternativa vero o falso.
Tra queste, oltre alla durata del rapporto instauratosi col minore e quindi
alla condizione identitaria già da esso acquisita, non possono non assumere
oggi particolare rilevanza, da un lato le modalità del concepimento e della
gestazione e, dall’altro, la presenza di strumenti legali che consentano la
costituzione di un legame giuridico col genitore contestato, che, pur diverso
da quello derivante dal riconoscimento, quale è l’adozione in casi particolari,
garantisca al minore una adeguata tutela.
Si tratta, dunque, di una
valutazione comparativa della quale, nel silenzio della legge, fa parte
necessariamente la considerazione dell’elevato grado di disvalore che il nostro
ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità, vietata da apposita
disposizione penale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 263 del
codice civile, sollevata dalla Corte d’appello di Milano, in riferimento agli
artt. 2, 3, 30, 31 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in
relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata
e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, con l’ordinanza indicata
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella
sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il
18 dicembre 2017.